Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-04-29, n. 201902775

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-04-29, n. 201902775
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201902775
Data del deposito : 29 aprile 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/04/2019

N. 02775/2019REG.PROV.COLL.

N. 04939/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4939 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da
A M, P M, C P, rappresentati e difesi dall'avvocato L M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

- Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;
- Commissione esaminatrice del concorso per esami a venticinque posti di Direttore di ragioneria del Ministero dell’Interno, non costituita in giudizio;

nei confronti

Agostino Anatriello, Giorgio Crovella, Carlo Foti, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 11373/2014, resa tra le parti, concernente concorso a venticinque posti di Direttore di ragioneria – risarcimento danni;


Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2019 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati Sergio Piccarozzi su delega dichiarata di L M e l'avvocato dello Stato Maria Vittoria Lumetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il TAR Lazio, con la sentenza appellata (I-ter, n. 11373/2014), ha respinto il ricorso degli odierni appellati, volto ad ottenere l’annullamento (nella prospettiva della rinnovazione) del concorso per 25 posti di dirigente di ragioneria del Ministero dell’interno indetto con decreto in data 16 novembre 1998 (nell’ambito del quale, all’esito della prova scritta, non sono stati ammessi alla prova orale).

2. Con l’appello, proposto da tre dei ventotto ricorrenti originari, vengono nuovamente prospettate le censure disattese dal TAR, appresso sintetizzate.

2.1. Con un primo ordine di censure, gli appellanti ribadiscono che due commissari (rag. Migliori e dott. Carotenuto – mentre presidente era un magistrato della Corte dei Conti) nominati quali esperti nelle materie oggetto di concorso, come richiesto dal bando e dall’art. 3 del d.P.C.M. 439/1994, non potevano ritenersi tali, in quanto attinti dal ruolo dei dirigenti del Ministero dell’area di ragioneria, circostanza che precludeva loro il possesso delle necessarie competenze in materia di economia politica, politica economica e scienza delle finanze (uno di essi non era nemmeno laureato).

E’ erronea l’affermazione del TAR secondo la quale la relativa censura avrebbe dovuto essere dedotta entro il termine decorrente dalla conoscenza della composizione della commissione, poiché non sussiste un onere di immediata impugnazione se non in caso di impedimento alla partecipazione.

2.2. Numerosi elaborati dei settantacinque concorrenti dichiarati vincitori o idonei e poi assunti in servizio sono contrassegnati da inequivoci segni di riconoscimento, in violazione del generale principio dell’anonimato di cui agli artt. 24 del d.P.R. 487/1997 e 97 Cost.

Si tratta dell’uso di penne con colori diversi (diciassette candidati), e di atipiche cancellature consistenti in sbarramenti trasversali di pagine dell’elaborato e/o sbarramenti di pagine con righe incrociate a forma di X ovvero ampie cancellature ad andamento sinusoidale a forma di M (ventuno candidati);
è significativo che tutti i compiti che presentano tali caratteristiche appartengono a candidati immessi in graduatoria tra i vincitori.

Dette circostanze consentono di affermare che sia stata superata la c.d. soglia di criticità, che l’Adunanza Plenaria ha messo in risalto nella sentenza n. 26/2013, quale baluardo a difesa della par condicio dei concorrenti.

2.3. Con ulteriore ordine di censure vengono contestati aspetti delle attività effettuate dalla Commissione, che gli appellanti assumono inficiate da superficialità ed approssimazione.

Alcune contestazioni sono state disattese dal TAR:

- omesso rispetto della parità di genere, in violazione dell’art. 3, comma 3, del d.P.R. 439/1994;

- insufficienza del mero punteggio numerico;

- omessa indicazione dell’orario di chiusura delle operazioni di correzione degli elaborati;

- omessa collegialità nella conduzione delle prove orali.

Altre censure non risultano espressamente esaminate in primo grado:

- non rinvenibilità, verificata in esito ad accesso, del verbale della Commissione di chiusura delle operazioni concorsuali e degli elaborati di ben sedici concorrenti (dieci vincitori e sei non vincitori);

- violazione dell’obbligo di astensione, ex artt. 11 del d.P.R. 487/1994 e 51 c.p.c., in quanto i due commissari suindicati avevano direttamente collaborato con candidati poi risultati vincitori.

2.4. Gli appellanti ripropongono infine la domanda di risarcimento del danno a titolo di perdita di chances (commisurata al rapporto tra posti disponibili e concorrenti e ritenuta pari al 14%, da applicare alla retribuzione prevista per la fascia dirigenziale per tutta la durata del rapporto di lavoro degli appellanti stabilita dalla legge).

3. Il Ministero dell’interno si è limitato ad una costituzione formale.

4. Con “memoria difensiva - motivi aggiunti”, non notificata e depositata in vista dell’udienza da un nuovo difensore, gli appellanti puntualizzato le censure, anche ampliandone il contenuto (riguardo alla insufficiente attribuzione di punteggi ai propri elaborati, in comparazione a quelli di altri concorrenti).

Nell’atto, vengono anche svolte articolate considerazioni sulla rilevanza penale che, a dire degli appellanti (uno dei quali ha provveduto a suo tempo a presentare denunce alla Procura della Repubblica di Roma ed alla Procura regionale della Corte dei Conti per il Lazio), la vicenda assumerebbe.

5. Il Collegio osserva anzitutto che – come segnalato in udienza ai difensori degli appellanti, ai sensi dell’art. 73 cod. proc. amm. - il predetto ampliamento dei motivi di contestazione si pone in contrasto con l’art. 104, comma 2, cod. proc. amm., trattandosi di censure dal contenuto autonomo e per di più introdotte in giudizio in modo irrituale.

Per tale parte (“memoria difensiva - motivi aggiunti”), il gravame va pertanto dichiarato inammissibile.

6. Il Collegio osserva poi che il profilo di tardività, adombrato dal TAR in relazione alla contestazione dei requisiti dei commissari di concorso, è l’unico in relazione al quale le censure prendono specificamente in considerazione le argomentazioni della sentenza appellata.

L’appello, riguardo alle altre questioni, si muove pertanto sul filo dell’inammissibilità.

In ogni caso, può prescindersi dall’approfondire tale aspetto (unitamente alla completezza del contraddittorio, risultando intimati solo alcuni dei concorrenti idonei/vincitori, i cui nomi erano già noti al momento dell’impugnazione), data l’infondatezza nel merito di tutte le censure dedotte.

6.1. Va anzitutto sottolineato che il requisito di “esperto nelle materie oggetto di concorso”, necessario per essere nominato componente della commissione, non richiede il possesso di particolari titoli di studio, ma implica una valutazione discrezionale basata sulla considerazione della pregressa esperienza in relazione al contenuto delle prove previste.

E’ stato condivisibilmente affermato che la scelta di prevedere anche gli esperti è imposta da ragioni di prudenza ed efficienza dell'azione amministrativa che consigliano di prescindere se del caso - per evitare paralisi dell'attività in presenza di eventuali carenze di personale disponibile nelle categorie predeterminate in modo specifico (dirigenti e professori) - dal rigido riferimento a specifiche categorie professionali, menzionando una categoria generale di esperti compulsabili per fare i componenti, come clausola di sicurezza volta a conferire certezza applicativa alla disposizione così assicurando la più facile costituzione delle commissioni (cfr. Cons. Stato, VI, n. 5325/2006).

In questa prospettiva, non è stato messo in discussione che i due commissari suindicati, entrambi dirigenti di ragioneria, avessero maturato, nell’ambito dell’Amministrazione dell’Interno ed in relazione ai particolari posti messi a concorso, una significativa e pluriennale esperienza nella direzione di uffici contabili.

6.2. La censura relativa al difetto di anonimato dei compiti scritti evidenzia circostanze che non sono idonee a far ritenere superata la soglia di rilevanza necessaria.

L’utilizzo di penne con colori diversi, ovvero le cancellature sull’elaborato, per poter essere considerati segno di identificazione del candidato, devono risultare oggettivamente anomali ed estranei al contesto proprio dell’elaborato – altrimenti, qualsivoglia scritto aggiunto ovvero alterato, apposto nell’elaborato, dovrebbe ritenersi sufficiente ad identificarne l’autore.

Per esperienza comune, il cambio di colore della penna è accadimento che può capitare di frequente, e gli sbarramenti di parti del testo trasversali o ad andamento sinusoidale sono i modi con cui si procede alle cancellature, in assenza di una diversa regola prefissata ed imposta nello svolgimento della prova.

Non vi è pertanto il presupposto di fatto per poter applicare al concorso in esame il principio di rilevanza (presuntiva) dell’inosservanza da parte della commissione di concorso di cautele ed accorgimenti posti a garanzia dell’anonimato, affermato dalla Adunanza Plenaria n. 26/2013 - peraltro, in quel caso ritenuta viziante in una situazione ben diversa, posto che, dopo la conclusione della procedura, la commissione si era trovata in possesso di un elenco alfabetico in cui al codice (segreto) contrassegnante l'elaborato era inequivocabilmente associato il nome del candidato.

6.3. Il Collegio osserva che, ai sensi dell’art. 3 del d.P.C.M. 439/1994, almeno un terzo dei posti è riservato alle donne “salva motivata impossibilità” e “purché in possesso dei requisiti”, e che, come sottolineato dal TAR, in primo grado la difesa dell’Amministrazione aveva argomentato circa la impossibilità di nominare un componente femminile in possesso dei previsti requisiti di esperienza.

Senza contare che l’inosservanza del previsto requisito di genere può inficiare il concorso qualora sia dimostrato, o quanto meno possa supporsi che la commissione abbia assunto una reale condotta discriminatoria (cfr. Cons. Stato, VI, n. 7962/2006, n. 2217/2012, n. 703/2015);
ma, al riguardo, gli appellanti nulla hanno specificamente dedotto, e, comunque, l’attività della Commissione che ha condotto al non superamento delle prove scritte da parte degli appellanti, per quanto esposto, deve ritenersi svolta nel rispetto dell’anonimato.

6.4. La Commissione di concorso ha esplicitato i criteri di attribuzione del punteggio nel verbale in data 7 settembre 1999.

Ciò premesso, è sufficiente richiamare la costante giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., da ultimo, Cons. Stato, IV, n. 4745/2018), secondo la quale il voto numerico, in mancanza di una contraria disposizione, esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della commissione di concorso, contenendo in sé stesso la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni, quale principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla commissione nell'ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato e la significatività delle espressioni numeriche del voto, sotto il profilo della sufficienza motivazionale in relazione alla prefissazione, da parte della stessa commissione esaminatrice, di criteri di massima di valutazione che soprassiedono all'attribuzione del voto, da cui desumere con evidenza, la graduazione e l'omogeneità delle valutazioni effettuate mediante l'espressione della cifra del voto, con il solo limite della contraddizione manifesta tra specifici elementi di fatto obiettivi, i criteri di massima prestabiliti e la conseguente attribuzione del voto. Inoltre, ai fini della verifica di legittimità dei verbali di correzione e dei conseguenti giudizi non occorre l'apposizione di glosse, segni grafici o indicazioni di qualsivoglia tipo sugli elaborati in relazione a eventuali errori commessi. In definitiva, solo se mancano criteri di massima e precisi parametri di riferimento cui raccordare il punteggio assegnato, si può ritenere illegittima la valutazione dei titoli in forma numerica (così, da ultimo, la decisione dell’Adunanza plenaria n. 7/2017).

6.5. L’asserita mancata indicazione dell’ora di chiusura nel verbale costituisce mera irregolarità non viziante, posto che, come affermato dal TAR, occorre applicare il principio della strumentalità delle forme secondo cui il raggiungimento dello scopo segna il discrimine tra mera irregolarità ed invalidità ad effetto viziante: poiché nei verbali è analiticamente descritto l’intero iter procedimentale, la mancata indicazione dell’ora di chiusura del verbale, in sé, non comporta alcun pregiudizio delle operazioni che la commissione attesta aver svolto.

6.6. Quanto al difetto di collegialità della commissione in occasione della prova orale, è evidente la mancanza di interesse in capo agli appellanti, in quanto esclusi da detta prova.

6.7. La non rinvenibilità, verificata in esito ad accesso, del verbale della Commissione di chiusura delle operazioni concorsuali e degli elaborati di ben sedici concorrenti, tra cui dieci vincitori e sei non vincitori, è certamente un fatto deprecabile (e meritevole di essere approfondito in altra sede), che tuttavia non può di per sé comportare l’invalidazione del concorso.

6.8. Infine, riguardo alla circostanza che alcuni dei vincitori avessero collaborato direttamente con i due commissari “interni”, deve rilevarsi come una simile evenienza sia praticamente inevitabile, tutte le volte che i concorrenti siano già in servizio presso l’Amministrazione che bandisce il concorso e i commissari siano dirigenti della stessa.

Nei pubblici concorsi i componenti delle commissioni esaminatrici hanno l’obbligo di astenersi solo ed esclusivamente se ricorre una delle condizioni tassativamente previste dall’art. 51, c.p.c., senza che le cause di incompatibilità possano essere oggetto di estensione analogica (cfr. Cons. Stato, V, n. 3956/2014). L'incompatibilità tra esaminatore e concorrente implica quindi o l’esistenza di una comunanza di interessi economici o di vita - di intensità tale da far ingenerare il sospetto che il candidato sia giudicato non in base alle risultanze oggettive della procedura, ma in virtù della conoscenza personale con l'esaminatore (cfr. Cons. Stato, VI, n. 1057/2015) ed idonea a far insorgere un sospetto consistente di violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento (comunque inquadrabile nell'art. 51, comma 2, c.p.c.) - ovvero la sussistenza di un potenziale conflitto di interessi per l’esistenza di una causa pendente tra le parti, o la sussistenza di grave inimicizia tra di esse.

In definitiva, in presenza di candidati interni all’Amministrazione presso cui prestano servizio, ciò che deve orientare la condotta dei commissari ai fini del rispetto dell’obbligo di astensione, è l’esistenza di pregressi rapporti di collaborazione basata su scelte fiduciarie, ovvero di carattere personale;
ma nel caso in esame non è argomentato che ciò si sia verificato.

7. In conclusione, l’appello – nella parte non dichiarata inammissibile - deve essere respinto.

Le spese del grado di giudizio, in considerazione della mancanza di difese sostanziali da parte dell’Amministrazione, possono essere compensate.

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