Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-04-17, n. 202002477
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Pubblicato il 17/04/2020
N. 02477/2020REG.PROV.COLL.
N. 10132/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10132 del 2009, proposto da
Comune di Fordongianus (OR), in persona del suo legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato P F, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Nomentana, n. 316;
contro
A Vittorio non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima) n. 01908/2008, resa tra le parti, concernente accertamento del diritto di proprietà del Comune di Fordongianus sull’area ubicata nell’omonimo territorio comunale e ivi distinta in catasto al Foglio 16, mappale n. 952;ovvero, in subordine, per la pronuncia di sentenza che tenga conto del contratto di cessione della proprietà su tale area.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2019 il Consigliere F R e udito per la parte appellante l’avvocato Daniele Manca Bitti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1.L’attuale appellante, Comune di Fordongianus (OR) espone di aver evocato in giudizio innanzi al T.A.R. per la Sardegna il Signor V A mediante ricorso notificato in data 29 ottobre 1999 e ivi depositato sub R.G. 1287 del 1999 per sentire accertare e dichiarare trasferita alla proprietà della medesima Amministrazione comunale le superfici destinate a parcheggio secondo quanto previsto dal piano di lottizzazione di cui alla convenzione Rep. n 1/82 stipulata in data 29 giugno 1982 tra lo stesso Comune e i Signori V A e Francesca Piredda: il tutto a far data dal momento del collaudo delle opere di urbanizzazione, rimaste ineseguite per la parte insistente sull’area per cui è causa.
L’appellante Comune precisa che con la sottoscrizione di tale convenzione l’A e la Piredda si erano impegnati con l’Amministrazione comunale di Fordongianus ad attuare la lottizzazione a scopo di edificazione dei terreni di loro proprietà distinti in catasto al Foglio n. 16, mappali 6, mapp. nn 952 e 953 in conformità al piano predisposto al riguardo e allegato alla convenzione in uno con gli elaborati tecnici, e che i lottizzanti si erano in particolare impegnati a realizzare le opere di urbanizzazione primaria ivi prescritte e a cedere in proprietà al Comune le relative aree di sedime.
Il Comune rileva che l’art. 4 della convenzione in esame prevede la ripartizione delle superfici nella misura di mq 1370 destinati ad uso pubblico, ossia per attrezzature di interesse comune, spazi pubblici attrezzati e altri destinati a parcheggio, nonché nella misura di mq. 1590 destinati viceversa a superfici viarie, e precisa che il passaggio in proprietà delle opere, e, in particolare, delle aree destinate a strade e parcheggi, veniva fatto coincidere con l’avvenuto collaudo delle opere (cfr.
artt. 4 e 10 della convenzione).
Il Comune espone quindi che i lottizzanti, dopo aver chiesto e ottenuto di poter prolungare sino al 28 ottobre 1992 i tempi previsti per la realizzazione delle opere, la cui scadenza era stata fissata al 29 giugno 1992, sono risultati inadempienti agli obblighi assunti, e che dal verbale di collaudo delle opere sino a quel momento realizzate, redatto in data 2 agosto 1994, è emerso che i lavori previsti in convenzione non sono stati ultimati, che le opere mancanti ammontavano a una somma pari a circa € 12.000,00.- e che, in particolare, non erano state cedute in proprietà all’Amministrazione comunale le aree destinate a parcheggio per una superficie pari a mq 370.
In conseguenza di ciò il Comune si è determinato nel senso di escutere la garanzia assicurativa contemplata dall’art. 10 della convenzione a garanzia degli obblighi assunti dai lottizzanti e di diffidare i lottizzanti a liberare le aree oggetto della cessione al fine di consentire l’esecuzione d’ufficio dei lavori necessari.
Il Comune espone che tale diffida è peraltro rimasta priva di positivo riscontro, e che – anzi – con ulteriore e separato giudizio innanzi al medesimo T.A.R., avente ad oggetto l’impugnazione dell’ordinanza di sgombero delle aree in questione, l’A ha anche contestato la sussistenza del diritto di proprietà comunale sulle aree in questione.
Nel predetto giudizio proposto innanzi al T.A.R. per la Sardegna sub R.G. 1287 del 1999 il Comune di Fordongianus ha quindi dedotto l’inadempimento dell’obbligo di realizzare alcuni parcheggi e di trasferire la relativa area gratuitamente al Comune, come previsto nella convenzione di lottizzazione e nella relativa documentazione tecnica, con conseguente richiesta al giudice di primo grado di emettere una sentenza dichiarativa di tale diritto ovvero, alternativamente, una pronuncia che, stante l’inadempimento della controparte rispetto all’obbligo di cessione, tenesse luogo dell’atto non perfezionatosi.
Il Comune riferisce che, nelle more del giudizio di primo grado, l’impresa Fois, medio tempore incaricata di effettuare il completamento delle opere di urbanizzazione utilizzando le risorse finanziarie derivanti dalla fideiussione escussa nel frattempo, ha risolto il contratto a causa dell’impossibilità di eseguire i lavori per l’indisponibilità dell’area, determinata dagli ostacoli frapposti dallo stesso A.
L’impresa ha chiesto al Comune anche il risarcimento dei danni da essa subiti in dipendenza di tale situazione, e con determinazione n. 59 del Responsabile del Settore Tecnico ha provveduto a liquidare all’impresa medesima, a tale titolo, le somme di Lire 1.752.946.- e di Lire 803.900.- , rispettivamente pari ad € 905,32.- e ad € 415,18.-, rimanendo comunque l’impresa stessa – sempre secondo quanto affermato dal Comune - nella materiale impossibilità di eseguire i lavori, posto che l’ordinanza di sgombero a tal fine emessa con provvedimento del 27 gennaio 1999 è stata annullata dal medesimo T.A.R. per la Sardegna “per asseriti vizi formali” ed essendo “ancora pendente il termine per l’impugnazione” (così a pag. 4 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).
1.2. In tale primo grado di giudizio non si è costituito il Signor V A.
1.3. Con sentenza n. 1908 dd. 27 novembre 2009, resa in forma semplificata a’ sensi dell’allora vigente art. 21, comma 9, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034 nel testo sostituito per effetto dell’art. 3, comma 1, della l. 21 luglio 2000, n. 205, la Sezione I^ dell’adito T.A.R. ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sulla controversia, “considerato: a) che con l’odierno ricorso il Comune ricorrente chiede l’accertamento del diritto di proprietà sull’area distinta in catasto al foglio 16, mappale n. 952, sub. B, ubicato sul proprio territorio ed inclusa, con destinazione pubblicistica, in un piano di lottizzazione;b) che, in subordine, l’Ente domanda la pronuncia di una sentenza che tenga luogo del contratto non concluso concernente la cessione della proprietà della suddetta area ad opera del lottizzante Signor V A;c) che la controversia coinvolge unicamente posizioni di diritto soggettivo;d) che, non vertendosi in ipotesi di giurisdizione esclusiva, deve trovare applicazione l’ordinario criterio di riparto, con la conseguenza che la cognizione delle proposte domande spetta al giudice ordinario (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2294);e) che, pertanto, alla luce di quanto esposto, sussistono i presupposti per la decisione in forma semplificata;f) che sussistono validi motivi per disporre l’integrale compensazione di spese ed onorari di giudizio” .
2.1.1. Con l’appello in epigrafe il Comune di Fordongianus chiede ora la riforma di tale sentenza, censurando innanzitutto la dichiarazione da parte del giudice di primo grado del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla causa sopradescritta.
2.1.2. L’appellante Comune reputa in primo luogo infondato l’assunto del T.A.R. secondo cui l’insussistenza al riguardo della giurisdizione del giudice amministrativo troverebbe fondamento su quanto a suo tempo affermato nella sentenza di Cons. Stato, Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2294 che, “sebbene utile per chiarire il riparto di giurisdizione nella materia dell’urbanistica e dell’edilizia” (così a. pag. 4 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio) non risulterebbe peraltro pertinente con la presente vicenda in quanto emessa in una controversia affatto diversa, riguardante la richiesta di un Comune di adempiere l’obbligo assunto da alcuni proprietari di terreni di cedere gratuitamente la proprietà di alcune aree: obbligo, peraltro, che l’attuale appellante riferisce in quel caso assunto attraverso una convenzione distinta da quella interessante l’intervento edilizio originariamente assentito, “ senza che tra i primi provvedimenti ed il successivo accordo fosse ravvisabile un nesso logico o teleologico che consentisse di ritenere la convenzione (successiva) strettamente inerente all’esercizio delle funzioni autoritative esercitate con il rilascio (antecedente) delle concessioni edilizie” ” (così a pagg. 4 e 5 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio, con puntuale riporto di un assunto contenuto nella sentenza richiamata).
Il Comune – per contro – rimarca che nella presente vicenda è stata chiesta in giudizio la declaratoria del trasferimento in capo all’Ente della proprietà dei terreni che erano espressamente oggetto dell’obbligo di cessione gratuita assunto dai lottizzanti direttamente nella convenzione di lottizzazione;ossia – detto altrimenti – nel caso in precedenza esaminato dalla Sezione IV^ di questo Consiglio di Stato e la cui decisione è stata assunta a fondamento della sentenza qui impugnata, difettava il collegamento diretto fra gli obblighi derivanti dalla convenzione di lottizzazione e la pretesa di adempimento vantata dal Comune, mentre nella fattispecie la fonte del diritto qui vantato dalla medesima Amministrazione comunale si identificherebbe propriamente con la convenzione stipulata tra l’Ente e il Signor A, e in base alla quale sono state rilasciate le concessioni edilizie a beneficio di quest’ultimo.
Secondo la prospettazione del Comune risulterebbe nella presente fattispecie confermata da due distinti, ma convergenti ordini di argomentazioni, qui appresso illustrati.
1)All’art. 4 della convenzione si dispone che il piano di lottizzazione disponga la ripartizione delle superfici da destinarsi ad uso pubblico, in parte per spazi pubblici attrezzati, in altra parte per spazi a parcheggio ed infine per superfici viarie, e che “dette superfici passeranno in piena proprietà del Comune a collaudo avvenuto” .
Inoltre, il susseguente art. 5 dispone che “tutte le strade, i parcheggi saranno costruiti sotto la sorveglianza dell’Ufficio Tecnico Comunale, a cura e spese dei lottizzanti” .
L’appellante Comune rimarca in tal senso che la natura degli impegni assunti dal privato deve essere ricostruita sul presupposto della consolidata qualificazione delle convenzioni di lottizzazione in termini di accordi sostitutivi del provvedimento di cui all’art. 11 della l. 7 agosto 1990, n. 241, richiamando in proposito la giurisprudenza di Cass. civ. SS.UU., 15 dìcembre 2000, n. 1262, 11 dicembre 2001, n. 15641, 7 febbraio 2002, n. 1763, nonché, ad esempio, di Cons. Stato, Sez. IV, 19 febbraio 2008, n. 534 secondo cui “è sufficiente, al riguardo, ricordare che le convenzioni di lottizzazione costituiscono strumenti di attuazione del piano regolatore generale, rivestono carattere negoziale e, in particolare, di accordi sostitutivi del provvedimento (Cons. Stato., Sez. IV, 15 settembre 2003, n. 5152) e che, pertanto, le stesse restano soggette alla disciplina dettata dall’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Cons. Stato., Sez, IV, 13 gennaio 2005, n. 222)”.
Da ciò deriverebbe pertanto che nel caso di specie dovrebbe essere riconosciuto in capo al privato un vero e proprio obbligo di realizzazione degli interventi di urbanizzazione posti a suo carico e di cessione gratuita all’Amministrazione delle aree nelle quali queste sono state costruite, o avrebbero dovuto essere costruite;e che - soprattutto - dalla qualificazione della convenzione di lottizzazione in termini di accordo sostitutivo dovrebbero trarsi ben specifiche conseguenze, posto che sul piano processuale ne deriverebbe la cognizione dell’odierna vicenda da parte del giudice amministrativo a’ sensi dell’anzidetto art. 11 della l. n. 241 del 1990, e posto che sul piano sostanziale, ne discenderebbe anche l’applicazione dei principi del codice civile in materia di obbligazione e contratti, in quanto compatibili.
A tale ultimo riguardo l’appellante Comune denota che, assunta la convenzione di lottizzazione nella categoria dell'accordo procedimentale, la norma di cui all’art. 11 della l. n. 241 del 1990 di per sé consentirebbe di risolvere qualsivoglia dubbio interpretativo sulla giurisdizione, perché, prevedendo al comma 5 che “le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi di cui al presente articolo sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo” , stabilisce espressamente con ciò che le controversie relative all’esecuzione e all’inadempimento degli accordi (nel caso di specie relative all’esecuzione della convenzione) siano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
2) Per altro verso, l’appellante Comune afferma che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, rientrando la fattispecie nella materia dell’ “urbanistica” , va nella specie affermata anche con riguardo all’art. 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, vigente all’epoca in cui era stato radicato il ricorso innanzi al giudice di primo grado e medio tempore sostituito nel suo testo originario per effetto dell’art. 7 della l. 21 luglio 2000, n. 205, secondo il quale “sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia” , con la contestuale precisazione che “agli effetti del presente decreto, la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio” .
Rimarca tuttavia la parte appellante che sussisterebbe una differenza tra le due fattispecie normative: nell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 la giurisdizione esclusiva è individuata per materia, con riferimento ai provvedimenti e atti delle pubbliche amministrazioni attinenti all’urbanistica e all’edilizia, nel mentre nell’art. 11, comma 5, della l. n. 241 del 1990 la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è determinata non già in base alla materia, bensì in virtù della tipologia di atto che è fonte del rapporto, ossia l’accordo complessivamente disciplinato da tale articolo.
In dipendenza di ciò, quindi, secondo il Comune il potere cognitivo del giudice amministrativo fondato sull’art. 11 della l. n. 241 del 1990 risulterebbe ben più esteso di quello deducibile dall’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998.
La giurisprudenza - denota sempre il medesimo Comune - dimostrerebbe a sua volta di essere ben consapevole di tale differenza allorquando, riferendosi agli accordi ex art. 11 della l. n. 241 del 1990, afferma che nella specie “si configura una ipotesi di giurisdizione esclusiva amministrativa non correlata ad una determinata materia, bensì ad una determinata tipologia di atto, quale che sia la materia che ne costituisca oggetto” (Cass. civ., SS.UU., 25 maggio 2007 n. 12186);né la medesima parte appellante sottace che l’art. 11, comma 5, della l. n. 241 del 1990 consente - a differenza di quanto può avvenire nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia urbanistica - che sia l’amministrazione a chiedere al giudice la condanna della parte privata e non già il privato che porti a conoscenza del giudice un accordo o un provvedimento dell’amministrazione ritenuto lesivo: ossia nel contesto dell’accordo l’amministrazione non si pone più esclusivamente come possibile soggetto processuale resistente, ma può essere anche parte ricorrente.
Se così è, ad avviso del Comune è stata introdotta in questo modo nel processo amministrativo una vocatio in ius, che ha il pregio di rendere piena la tutela davanti al giudice amministrativo - al pari di quanto lo sarebbe se il giudice ordinario fosse nella specie titolare della relativa giurisdizione - nell’ipotesi in cui si discuta di accordo col privato sull’uso del potere discrezionale: ipotesi, questa, che – per l’appunto – risulterebbe puntualmente integrata nel caso di specie.
Il Comune richiama anche la giurisprudenza secondo cui l’art. 11, comma 5, della l. n. 241 del 1990, quale norma sulla giurisdizione, è applicabile anche agli accordi che, come quello in esame, sono stati stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore (cfr. sul punto Cass. civ., SS.UU. 11 agosto 1997, n. 7452).
Secondo l’appellante Comune risulterebbe - altresì - nella specie del tutto conseguente l’applicazione dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e di contratti.
In particolare, poiché nella vicenda in esame lo stesso Comune contesta alla controparte l’adempimento degli obblighi di fare, verrebbe in rilievo la disciplina dell’inadempimento del contratto (art. 1453 c.c.) e dell’esecuzione in forma specifica quale rimedio volto ad ottenere la medesima prestazione dedotta in accordo (art. 2931 c.c.).
In tal senso, quindi, lo stesso art. 11, comma 5, della l. n. 241 del 1990 accrescerebbe la pienezza della tutela innanzi al giudice amministrativo non solo estendendo anche alla sua giurisdizione – come detto innanzi - la vocatio in ius, ma anche ammettendo l’applicazione nel processo amministrativo dei rimedi contrattuali previsti dal codice civile.
A questo proposito l’appellante Comune denota che il rimedio di cui all’art. 1453 c.c. non appare incompatibile con la definizione delle convenzioni di lottizzazione in termini di accordo procedimentale e non di contratto, posto che l’accordo ex art. 11 della l. n. 241 del 1990 delinea comunque un assetto di interessi perseguibile soltanto attraverso l’adempimento di obbligazioni a carico dell’una e dell’altra parte del rapporto;e, quindi, in caso di inadempimento della parte lottizzante o del suo avente causa dell’obbligo di eseguire le pattuite opere di urbanizzazione primaria e secondaria, l’amministrazione deve poter contare su tutti i rimedi offerti dall’ordinamento al privato creditore per poter realizzare coattivamente il proprio interesse.
Al riguardo il Comune rimarca che la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che in materia di convenzioni di lottizzazione, nell’ipotesi di inadempimento da parte del lottizzante, ovvero di un suo avente causa, dell’obbligo di eseguire le prescritte opere di urbanizzazione, l’amministrazione deve poter disporre di tutti i rimedi offerti dall’ordinamento ad un qualsiasi creditore per poter realizzare coattivamente il proprio interesse, e quindi anche dell’azione di adempimento (così T.A.R. Lombardia, Brescia, 13 agosto 2003, n. 1157), e puntualizza che la relativa azione appartiene all’area della c.d. “tutela specifica” ovvero “satisfattoria ”, che è tesa a consentire all’amministrazione il conseguimento dell’assetto degli interessi così come programmato dal negozio giuridico attraverso il comando giurisdizionale che integra la fonte dell’obbligazione con l’effetto di assoggettare il debitore all’esecuzione forzata.
La parte appellante afferma che il percorso con cui si perviene a questa conclusione è puntualmente illustrato nella pronuncia del T.A.R. di Brescia testè citata, nonché nella susseguente sentenza del T.A.R. Toscana, Sez. I, 16 settembre 2009, n. 1446, e denota che entrambe tali pronunce, stante l’equiparazione tra convenzione di lottizzazione e accordo sostitutivo affermata dalla prevalente giurisprudenza formatasi sull’art. 11, comma 5, della l. n. 241 del 1990, hanno inteso far conseguire a tale premessa (ossia la riconduzione della fattispecie all'istituto dell’accordo sostitutivo e, quindi, nell’alveo della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo) una tutela della situazione giuridica sottesa che possa definirsi “piena” , e che a questo scopo è stato opportunamente tratto lo spunto dal rinvio ai principi e alle azioni previste nel codice civile in materia di obbligazioni e contratti per regolare la fattispecie, con la conseguenza che il giudice amministrativo adito deve considerarsi legittimato a decidere sulle domande nella specie avanzate dal Comune di Fordongianus e volte ad accertare l'inadempimento e a far condannare i lottizzanti al risarcimento in forma specifica o per equivalente, in applicazione della disciplina civilistica.
L’appellante sostiene che in questo quadro, deve essere valutata la previsione della convenzione di lottizzazione che attribuisce al Comune, per il caso di mancata esecuzione delle prestazioni dedotte nell’accordo concluso tra le parti, la facoltà di realizzare in via diretta, ma a spese degli obbligati, le opere di urbanizzazione: rimedio, questo, che deve ritenersi concorrente con l’azione di adempimento.
A tale ultimo riguardo la parte appellante rileva che, nella specie, per certo sussiste il presupposto dell’inadempimento contrattuale, necessario per l’idonea proposizione di entrambe le azioni.
Secondo il Comune risulterebbe infatti incontestato che dalla convenzione di lottizzazione a suo tempo stipulata derivi l’obbligo dei lottizzanti di realizzare le opere di urbanizzazione primaria e di cederle poi al Comune gratuitamente, e che i parcheggi indicati nel progetto non sono stati realizzati. Sempre per quanto attiene al requisito dell’inadempimento contrattuale la medesima parte appellante afferma che la relativa circostanza dovrebbe considerarsi definitivamente verificata, in quanto essa risulta dalla lettura della disciplina convenzionale sui termini di esecuzione degli oneri urbanistici.
La convenzione prevede, infatti, all'art. 10, che “i lottizzanti devono provvedere in un termine non superiore a dieci anni decorrenti dalla stipula della presente convenzione all’esecuzione di tutte le opere di urbanizzazione previste nel piano di lottizzazione” .
In tal modo - rileva sempre l’appellante Comune - le parti hanno concordemente introdotto un termine di scadenza dell’adempimento, ossia hanno fissato nel tempo il momento entro cui deve avvenire la prestazione;e - denota sempre il Comune - in considerazione della circostanza che la convenzione è stata stipulata il 29 giugno 1982, il termine per dare attuazione agli obblighi assunti dalla sua controparte era ben trascorso allorquando in data 29 ottobre 1999, dopo numerose diffide e solleciti, è stato notificato il ricorso al T.A.R.
Il Comune afferma inoltre che al momento della scadenza decennale della convenzione e in dipendenza del riscontrato inadempimento della controparte, esso ha acquisito il titolo per chiedere la cessione delle aree e per eventualmente esercitare il proprio diritto all’adempimento forzoso o alla risoluzione del contratto per inadempimento dello stesso, e che dalla scadenza della convenzione decorre al riguardo l’ordinario termine di prescrizione (cfr. sul punto T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, 13 novembre 2008, n. 1218).
2.1.3. Afferma – altresì – l’appellante Comune che questo Consiglio di Stato “dovrà pronunciarsi nel merito” di causa “poiché il T.A.R. Sardegna, declinando la propria giurisdizione, ha omesso di esaminare i motivi espressi nel ricorso originario e le domande nello stesso formulate” (così a pag. 12 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio), ribadendo a tal fine che, a fronte del conclamato inadempimento della parte lottizzante, la convenzione prevede agli artt. 4 e 10 che il trasferimento di proprietà delle aree avvenga al momento della redazione del collaudo delle opere. L’appellante rileva quindi che nella specie il collaudo è stato soltanto parziale, non avendo i lottizzanti ultimato le opere di urbanizzazione, né essendo stata liberata la predetta area destinata a parcheggi pubblici, e che il collaudo costituiva l’evento sospensivamente condizionante il trasferimento di proprietà.
Poiché la condizione non si è verificata per atto imputabile ai lottizzanti, aventi interesse contrario, il Comune reputa che la condizione debba ritenersi nella specie avverata a’ sensi dell’art. 1359 c.c. e che gli effetti dell'avveramento debbono ritenersi sussistenti, per la natura del rapporto, alla stessa data del collaudo parziale.
Il Comune peraltro afferma pure che in alternativa, ma con effetti diversi, il momento del collaudo potrebbe anche essere considerato come termine di efficacia iniziale degli effetti traslativi della proprietà sulle aree in questione, ovvero condizionante il sorgere dell’effetto traslativo, ma che in ogni caso, a far tempo dalla data del collaudo, ancorchè parziale, deve ritenersi trasferita in suo favore la proprietà delle aree medesime.
In tal senso, quindi, il Comune chiede la pronuncia di una sentenza che accerti l’intervenuto trasferimento delle superfici ad esso spettanti.
In subordine, nell’ipotesi in cui si ritenesse che la convenzione non assuma effetti traslativi, neppure sub condicione o tempus, ma soltanto effetti obbligatori, il Comune sostiene che l’odierno appellato sarebbe ugualmente tenuto a trasferire la proprietà delle aree in questione.
In tal senso il Comune afferma che i lottizzanti, essendosi impegnati a trasferire le aree al momento del collaudo -che in questo caso si configurerebbe come termine di adempimento - si sarebbero impegnati a prestare il proprio consenso per la stipulazione del successivo atto di trasferimento, con la conseguenza che, essendo la parte lottizzante inadempiente all’obbligo di cessione gratuita delle aree oggetto di convenzione, non potrebbe negarsi il diritto – dovere della medesima Amministrazione comunale di agire nei suoi confronti per ottenere la condanna all’esecuzione in forma specifica della prestazione dedotta nella convenzione a’ sensi dell’art. 2932 c.c.: il che troverebbe piena conferma anche nella giurisprudenza che ha affermato il principio secondo cui gli impegni assunti dai privati nell’ambito di una convenzione urbanistica vanno qualificati a tutti gli effetti come obbligazioni coercibili, nel caso del loro inadempimento, proprio attraverso lo strumento di cui all’art. 2932 c.c., ossia mediante la domanda giudiziale volta ad ottenere una sentenza costitutiva di trasferimento che tenga luogo del contratto non concluso (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 9 febbraio 2004 n. 1971).
Per quanto da ultimo attiene al risarcimento dei danni patiti, secondo il Comune essi consisterebbero innanzitutto nella rifusione del complessivo importo pagato dalla medesima Amministrazione comunale all’impresa Fois, quantificato nel complessivo importo di € 1.320,40.- oltre ad interessi e rivalutazione monetaria a far data dal 23 maggio 2000, nel mentre per quanto attiene al danno consistente nell’incremento dei costi di realizzazione per effetto della lievitazione dei prezzi dei materiali e della manodopera edile, nonché della mancata disponibilità attuale dell’area, la parte appellante, nell’impossibilità di una sua determinazione analitica, ne chiede una valutazione equitativa.
2.2. Anche nel presente grado di giudizio non si è costituito l’appellato V A.
2.3. Con ordinanza n. 271 dd. 19 gennaio 2010, emessa a’ sensi dell’allora vigente art. 33, terzo e quarto comma della l. 6 dicembre 1971, n. 1034 come modificato dall’art. 10 della l. 21 luglio 2000, n. 205, la Sezione IV^ di questo Consiglio di Stato ha respinto la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata, proposta dal Comune, “considerato che le deduzioni dell’appellante sono volte alla riforma della statuizione di primo grado sul difetto della giurisdizione amministrativa e che, in attesa della definizione delle relative questioni, in questa sede non emergono elementi tali da indurre ad accogliere la formulata domanda incidentale”.
2.4. All’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.
3.1.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va accolto con esclusivo riguardo alla sussistenza - nella specie - della giurisdizione del giudice amministrativo, fondatamente dedotta dall’appellante Comune.
3.1.2. Va preliminarmente evidenziato che le disposizioni normative sulle quali la parte appellante fonda la propria tesi in ordine alla sussistenza nella specie della giurisdizione del giudice amministrativo risultano d oggi abrogate e sostituite da altra disciplina, presentemente contenuta nel codice del processo amministrativo e che peraltro riassume evolutivamente il contenuto delle norme previgenti.
Infatti, ’art. 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, dopo essere stato integralmente sostituito nel suo testo originario dall’art. 7 della l. 21 luglio 2000, n. 205, è stato dichiarato parzialmente illegittimo con sentenze della Corte Costituzionale 6 luglio 2004, n. 204 e 28 luglio 2004, n. 281, ed è stato da ultimo abrogato per effetto dell’art. 4, comma 1, punto 20), dell’Allegato 4 al D.Lgs.2 luglio 2010, n. 104, recante – per l’appunto - l’approvazione del Codice del processo amministrativo.
A sua volta, il comma 5 dell’art. 11 della l. 7 agosto 1990, n. 241, è stato abrogato per effetto dell’art. 4, comma 1, punto 14), del medesimo Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010.
Attualmente l’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, attribuisce quindi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di “formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni” , nel mentre la lett. f) del medesimo articolo include pure nella medesima giurisdizione esclusiva “le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio, e ferme restando le giurisdizioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche e del Commissario liquidatore per gli usi civici, nonché del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa” .
Non è superfluo qui evidenziare che con sentenza 15 luglio 2016, n. 179 la Corte Costituzionale ha ravvisato la piena conformità della surriportata disciplina attualmente in vigore rispetto agli artt. 103 e 113 Cost., rimarcando in particolare che “in sede di regolazione della giurisdizione, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato il collegamento funzionale delle convenzioni urbanistiche al procedimento di rilascio dei titoli abilitativi. In quanto inserite nell’ambito del procedimento amministrativo, le convenzioni e gli atti di obbligo stipulati dall’Amministrazione con i privati costituiscono pur sempre espressione di un potere discrezionale della P.A.” : ossia - detto altrimenti - quando l’Amministrazione medesima si avvale per i propri fini dello strumento delle convenzioni urbanistiche, esercita comunque in via mediata il proprio potere sul governo del territorio.
Va anche soggiunto che con la stessa sentenza il Giudice delle Leggi ha pure:
1) puntualmente condiviso l’orientamento interpretativo formatosi sull’art. 133 cit., oramai divenuto diritto vivente, in quanto in linea con l’evoluzione della giustizia amministrativa, che sempre più spesso da giurisdizione sull’atto è divenuta giurisdizione sul rapporto;
2) rilevato come nel nostro ordinamento non esistano materie “a giurisdizione frazionata” , in cui muta il giudice della controversia a seconda del soggetto che intraprende l’azione giurisdizionale, ragion per cui esigenze di coerenza e di parità di trattamento impongono che l’amministrazione debba avvalersi della concentrazione delle tutele e che ad essa debba essere riconosciuta la legittimazione attiva a convenire in giudizio il privato inadempiente di un accordo procedimentale;
3) evidenziato che, qualora si riconoscesse alla pubblica amministrazione soltanto la possibilità di esercitare il potere di autotutela amministrativa, l’accertamento giudiziale dell’inadempimento da parte del privato sarebbe condizionato dall’instaurazione del contenzioso da parte del privato medesimo, con la conseguenza che l’oggetto del giudizio verrebbe da lui stesso unilateralmente determinato senza che la pubblica amministrazione possa modificarlo o ampliarlo mediante una domanda riconvenzionale;
4) rilevato come la concentrazione delle tutele e l’adeguamento agli orientamenti delle giurisdizioni superiori e della giurisprudenza costituzionale costituiscono criteri direttivi imposti dalla delega contenuta nella l. 18 giugno 2009, n. 69, con la conseguenza che se in sede di disposizioni legislative delegate contenute nel d.lgs. n. 104 del 2010 fosse stata compiuta una scelta diversa sarebbe stato violato l’art. 76 Cost.
Posto ciò, il Collegio non può comunque sottrarsi dal rilievo - fondamentale per l’economia della presente causa - che, a’ sensi dell’art. 5 c.p.c., “la giurisdizione … si determina … con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad ess (a) i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo”.
Tale disciplina, per certo “espressione di principio generale” , in dipendenza dell’art. 39, comma 1, c.p.a., risulta sicuramente vincolante per questo giudice nell’attuale contesto normativo;essa, peraltro, doveva comunque reputarsi parimenti vincolante - per l’appunto, quale principio generale di ordine processuale - anche nella vigenza dell’art. 19 e ss. della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, che all’epoca dei fatti di causa disciplinava il procedimento innanzi ai Tribunali amministrativi regionali.
In dipendenza di ciò, quindi, al fine di stabilire la sussistenza - o meno - della giurisdizione del giudice amministrativo per il caso di specie, necessita avere riguardo all’esegesi della disciplina a quel tempo vigente, rilevante ai fini del decidere e correttamente individuata dall’attuale parte appellante negli anzidetti art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 e art. 11, comma 5, della l. n. 241 del 1990.
A margine, e con riguardo alla risalenza temporale della convenzione alla data del 29 giugno 1982, giova comunque rilevare anche la pertinenza del richiamo della parte appellante alla giurisprudenza secondo cui l’art. 11, comma 5, della l. n. 241 del 1990, quale norma sulla giurisdizione, era ritenuta applicabile anche agli accordi che, come quello in esame, erano stati stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore (cfr. sul punto Cass. civ., SS.UU. 11 agosto 1997, n. 7452, citata dal medesimo Comune nell’atto introduttivo del presente grado di giudizio;va denotato che si trattava comunque di giurisprudenza già a quel tempo del tutto consolidata, come si ricava ad es. anche da Cass. civ. SS.UU., 29 agosto 1998, n. 8593, e senza sottacere che per le fattispecie antecedenti all’entrata in vigore della l. n. 241 del 1990 un orientamento giurisprudenziale del giudice della giurisdizione era pervenuto al medesimo risultato di attribuire al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in materia di convenzioni urbanistiche anche mediante una lettura estensiva dell’art. 16 della l. 28 gennaio 1977, n. 10, come risulta ad es. da Cass. civ. SS.UU., 24 giugno 1992, n. 7773).
3.1.3. Come del resto già evidenziato dalla sentenza di Cons. Stato, Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2294, erroneamente ritenuta dal giudice di primo grado quale precedente consonante per negare la sussistenza della propria giurisdizione, la norma attributiva della giurisdizione del giudice amministrativo nelle controversia in esame, deve peraltro più correttamente essere individuata nell’art. 11, comma 5, della l. 7 agosto 1990, n. 241, e non già nell’art. 34 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80.
Solo la prima disposizione, infatti, assegnava alla giurisdizione esclusiva amministrativa la potestà cognitiva in merito alla “formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi tra privati e pubblica amministrazione” , nel mentre la seconda, pur attribuendo al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in ordine ai ricorsi in materia urbanistica ed edilizia, non contemplava, tra gli oggetti di queste ultime - ivi pur nominativamente elencati - anche gli “accordi” , limitandosi a menzionare, per come riformulata dalla Corte Costituzionale con la propria sentenza n. 204 dd. 6 luglio 2004, solo gli “atti” ed i “provvedimenti”.
In dipendenza di tale elemento letterale, l’anzidetta sentenza n. 2294 del 2006 resa dalla Sez. IV^ afferma pertanto che al fine di scrutinare la sussistenza – o meno - della giurisdizione amministrativa in ordine ad una controversia avente ad oggetto la validità (prima) e l’esecuzione (poi) di un accordo concluso tra privati e pubblica amministrazione, necessitava avere riguardo al disposto di cui all’art. 11, comma 5, l. n. 241 del 1990, in quanto unica disposizione utilmente invocabile al fine di giudicare radicata nella specie la pertinente capacità cognitoria del giudice amministrativo, peraltro con la notazione che “la lettura” di tale disposizione doveva avvenire “in coerenza con i principi affermati nella ricordata pronuncia della Corte Costituzionale (n. 204 del 2004), là dove il Giudice delle leggi, pur non esaminando la compatibilità costituzionale della disposizione in esame, ha enunciato il criterio secondo cui la giurisdizione esclusiva risulta validamente assegnata al giudice amministrativo solo quando le controversie riservate alla sua cognizione, ancorché relative anche a diritti soggettivi, comprendano (indefettibilmente) lo scrutinio di rapporti intersoggettivi nei quali l’amministrazione conservi ed eserciti funzioni autoritative” : e ciò in quanto “il parametro utilizzato dalla Consulta per definire la questione di costituzionalità sottoposta al suo esame assume, per il giudice amministrativo chiamato a scrutinare la sussistenza della propria competenza a conoscere di controversie in materia di diritti soggettivi, valenza vincolante (in quanto espressivo di un criterio generale di costituzionalità) anche nell’esegesi e nell’applicazione di disposizioni, attributive della giurisdizione esclusiva amministrativa, diverse da quelle direttamente esaminate con la sentenza n. 204 del 2004” .
Nella medesima sentenza n. 2294 del 2006 si rileva quindi che “la finalità dell'art. 11, comma 5, della l. n. 241 del 1990 è (evidentemente) quella di riservare al giudice amministrativo la cognizione piena (estesa, cioè, anche ai diritti) dell’esercizio della funzione amministrativa, anche quando esercitata con il modulo convenzionale, anziché unilaterale ed autoritativo. La disposizione consacra, in sintesi, il principio dell’indifferenza, al fine dell’attribuzione della pertinente capacità giurisdizionale, dello schema giuridico formale con il quale viene concretamente esercitato il potere autoritativo, sancendo la regola per cui resta riservata al giudice amministrativo la cognizione dell’esercizio delle funzioni pubblicistiche, anche quando concretamente espletate con il modello convenzionale (in alternativa a quello unilaterale). In conformità alla ratio della disposizione (per come appena illustrata) ed in coerenza con il suo dato letterale, i suoi presupposti applicativi vanno, allora, agevolmente individuati nella contestazione giudiziaria della validità o dell’esecuzione di un accordo in base al quale sia stato convenzionalmente individuato il contenuto di un provvedimento che la pubblica amministrazione avrebbe dovuto adottare a conclusione di un procedimento preordinato all’esercizio di una pubblica funzione amministrativa (cfr. ex multis Cass. Civ., SS. UU., 29 agosto 1998, n. 8593). I caratteri della situazione che radica la giurisdizione esclusiva amministrativa sono stati, inoltre, ulteriormente precisati con l’affermazione (peraltro già testualmente contenuta nella disposizione) che l’accordo tra il privato e la pubblica amministrazione dev'essere concluso al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale (Cass. Civ., SS. UU, 13 novembre 2000, n. 1174) ovvero di sostituire quest’ultimo. Come si vede, quindi, l’univoca esegesi della norma impone di circoscriverne l’applicazione alle sole fattispecie in cui la controversia verta su un accordo espressamente e chiaramente concluso al fine di integrare o di sostituire il provvedimento finale, e, cioè, alle ipotesi in cui l’amministrazione, pur godendo di prerogative pubblicistiche ed autoritative che le consentirebbero di regolare unilateralmente il rapporto, preferisce valersi del modulo convenzionale e pattuire con il privato il contenuto (discrezionale) dell’atto o l’assetto di interessi sostitutivo dello stesso provvedimento conclusivo. In conformità a tali canoni ermeneutici, è stata, in particolare, riconosciuta la giurisdizione amministrativa, con riferimento alla materia che qui interessa, nelle controversie aventi ad oggetto accordi conclusi in funzione del successivo rilascio di una concessione edilizia (Cass. Civ., SS. UU, 11 agosto 1997, n. 7452), pattuizioni inserite nell'atto di rilascio del titolo edilizio (Cass. Civ., SS. UU, 1 febbraio 1999, n. 8) o convenzioni di lottizzazione (Cass. Civ., SS. UU, 17 gennaio 2005, n. 732). Come si ricava dalla disamina di tale sintetica rassegna di giurisprudenza, la giurisdizione esclusiva amministrativa si intende radicata solo quando l’accordo inerisca strettamente, funzionalmente e direttamente all’esercizio della funzione pubblicistica dell’amministrazione del territorio, in relazione all’esercizio della quale definisce tutti od alcuni degli aspetti del rapporto oggetto della relativa potestà (siano essi il rilascio di titoli edilizi, la realizzazione di opere di urbanizzazione o la lottizzazione di aree edificabili). Il riconoscimento della giurisdizione esclusiva esige, in definitiva, la pertinenza della convenzione urbanistica all’esercizio di competenze relative alla disciplina del territorio, nel senso che l’intesa con il privato deve servire alla determinazione del contenuto dell’atto amministrativo (ancora da emanarsi) od alla sua integrale sostituzione. Non può, viceversa, riconoscersi la giurisdizione amministrativa quando l’accordo risulti destinato a regolare alcuni aspetti dei rapporti bilaterali tra il privato e la pubblica amministrazione, dopo che questa abbia formalizzato (ed esaurito) l’esercizio delle sue funzioni pubblicistiche (per mezzo dell’adozione unilaterale di atti formali) e senza che, in quell’occasione, il modulo convenzionale sia stato prefigurato come idoneo ad integrare ex post le disposizioni dettate in via autoritativa” .
Ciò posto, l’’equivoco di fondo che ha dato origine alla non corretta dichiarazione nel primo grado di giudizio del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo essenzialmente si identifica nella circostanza che nel precedente costituito dalla medesima sentenza n. 2294 del 2006 erano stati - come ivi si legge – “(dapprima) rilasciati dal Comune i titoli edilizi, senza riserve o condizioni, e (solo dopo) è stata convenuta la cessione gratuita di 9. 500 mq di terreno (al fine dell’urbanizzazione di un'area diversa da quella interessata dall'intervento edilizio originariamente assentito), senza, tuttavia, che tra i primi provvedimenti ed il successivo accordo sia ravvisabile un nesso logico o teleologico che consenta di ritenere la convenzione (successiva) strettamente inerente all’esercizio delle funzioni autoritative esercitate con il rilascio (antecedente) delle concessioni edilizie”, con la necessitata conseguenza che “a prescindere … dai motivi … che hanno indotto i privati a sottoscrivere una convenzione urbanistica formalmente avulsa dalla situazione giuridica cristallizzatasi per effetto del precedente rilascio dei titoli edilizi, la cognizione della validità dell'accordo va ritenuta spettante alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario, in quanto relativa ad una controversia estranea al catalogo di quelle riservate in via esclusiva al giudice amministrativo” (così, puntualmente la sentenza citata).
Nella presente fattispecie – per contro – sussiste indiscutibilmente un’unica convenzione stipulata tra l’Amministrazione comunale e i lottizzanti, per effetto della quale l’intesa con il privato era chiaramente preordinata all’individuazione dell’azione amministrativa di cui il Comune è titolare, ossia l’emanazione delle concessioni edilizie, a fronte del cui esercizio la parte privata si era a sua volta obbligata a realizzare le opere di urbanizzazione e a cedere all’Amministrazione comunale la proprietà delle superfici trasformate in parcheggi.
Non è pertanto contestabile che nel caso di specie sussiste un ben evidente sinallagma tra l’esercizio del potere amministrativo e gli obblighi assunti dal privato, con la conseguenza che la giurisdizione sulla rottura del sinallagma medesimo in dipendenza del dedotto inadempimento di una delle parti non poteva che appartenere – già all’epoca dei fatti di causa, e alla stregua della disciplina di legge a quel tempo vigente – alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Sotto questo profilo, pertanto, l’appello in epigrafe non può che essere accolto, con la conseguente declaratoria della sussistenza, per la presente causa, della giurisdizione del giudice amministrativo
3.2. Non può – viceversa – essere accolta la domanda dell’appellante Comune affinchè questo giudice d’appello si pronunci anche sul merito di causa.
A’ sensi del combinato disposto degli artt. 9 e 105 c.p.a. – quest’ultimo come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. p) del d.lgs. 14 settembre 2012, n. 160 – l’impugnazione della sentenza resa in primo grado con riguardo all’illegittima declaratoria del difetto di giurisdizione da parte del giudice che l’ha pronunciata assume effetto assorbente, con la conseguenza che la sentenza medesima va dichiarata nulla e la causa deve essere riassunta nel precedente grado di giudizio su impulso di parte.
In dipendenza di ciò, quindi, a’ sensi di quanto disposto dal comma 3 del medesimo art. 105 c.p.a., come sostituito per effetto del predetto art. 1, comma 1, lett. p) del d.lgs. n. 160 del 2012 il processo dovrà essere riassunto innanzi al T.A.R. per la Sardegna con ricorso notificato nel termine perentorio di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza.
Il Collegio auspica che, ove ciò si verifichi, sia sollecitamente fissata dal primo giudice la pubblica udienza di trattazione del ricorso, avuto riguardo al principio direttivo di cui all’art. 2, comma 2, c.p.a. ( “Il giudice amministrativo e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo” ), stante il ben consistente lasso di tempo sin qui infruttuosamente intercorso dalla data di notificazione dell’atto introduttivo del precedente giudizio di primo grado (29 ottobre 1999).
4. Anche in dipendenza di tale circostanza il Collegio reputa che sussistono idonee ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari di entrambi i gradi di giudizio.