Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-10-27, n. 202107185
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Pubblicato il 27/10/2021
N. 07185/2021REG.PROV.COLL.
N. 06056/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6056 del 2014, proposto da
N. Ostuni S.r.l., Eddy Monetti, Sirsan S.r.l., Ven Pell S.r.l., Goa S.r.l., Cikorefice Ditta Individuale, Moccia S.r.l., New Mode, Piadina Ailò, Ottica Pugliese, Ottica D'Abundo S.r.l., Pedone S.r.l., Silma S.r.l., A. Sisimbro, Maxwell S.a.s., Ac Antonio Caramanna, Angelo Marino S.r.l., Lac S.r.l., A. Portolano S.r.l., Pasquale Celestino S.n.c., Salvatore Argenio, Snp S.r.l., Via Margutta S.a.s., Life S.r.l., Siola S.r.l., 360° S.r.l., Wero S.r.l., Tennisworld S.a.s., Testa e Tempesta S.r.l., in persona dei legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'avvocato Felice Laudadio, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G.G. Belli n. 39;
contro
Comune di Napoli, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Andreottola e Fabio Maria Ferrari, con domicilio eletto presso l’avv. Nicola Laurenti in Roma, via Francesco Denza 50/1;
nei confronti
E. Marinella S.r.l., Banqueting e Catering S.r.l., Montemurro Gennaro e C. S.n.c., Halloween S.r.l., Elton S.r.l.,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 1350/2014, resa tra le parti, concernente l’impugnazione del piano particolareggiato del traffico
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 luglio 2021, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, il Cons. Cecilia Altavista;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con la deliberazione n.839 del 19 novembre 2012, pubblicata all’Albo pretorio il 10 gennaio 2013, la Giunta comunale di Napoli approvava il Piano particolareggiato del traffico, con cui istituiva le zone a traffico limitato in alcune aree centrali della Città: “ZTL del mare”, “ZTL Quartieri spagnoli”, “ZTL Tarsia Pignasecca” nonché l’area pedonale del lungomare.
Tale piano è stato impugnato da varie ditte titolari di esercizi commerciali operanti nella zona Chiaia con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, inviato alla notifica il 27 marzo 2013, impugnando, altresì, l’ordinanza sindacale n. 603 del 27 novembre 2012, con cui è stato istituito, dall’1 dicembre 2012 al 31 marzo 2013, un dispositivo straordinario di limitazione del transito in alcune strade del centro ed è stata prorogata la pedonalizzazione dell’area del Lungomare istituita con precedenti ordinanze sindacali;l’ordinanza sindacale n. 303 del 4 marzo 2013, con cui è stata sospesa la pedonalizzazione dell’area del lungomare a seguito del crollo di un edificio sulla Riviera di Chiaia fino all’eliminazione del pericolo.
Sono state formulate censure di violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 36 del d. lgs. 30 aprile 1992, n. 285, codice della strada, delle direttive del Ministero dei lavori pubblici del 12 aprile 1995 e del 21 luglio 1997, per la redazione, adozione ed attuazione dei piani urbani del traffico, di eccesso di potere per difetto di istruttoria, di violazione e falsa applicazione del piano generale del traffico del Comune di Napoli;dell’art. 42 del d. lgs. 18 agosto, n. 267 del 2000, di incompetenza, di eccesso di potere per sviamento, di violazione degli artt. 23 e 97 Cost., dell’art. 50 del D. Lgs. n. 267 del 2000, di eccesso di potere per difetto di motivazione ed illogicità manifesta.
In particolare, con il primo motivo si sosteneva la violazione dell’art. 36 del codice della strada, che prescriveva l’aggiornamento biennale del piano urbano del traffico, per cui, in mancanza di tale aggiornamento, il piano generale del traffico urbano (PGTU) del Comune di Napoli, approvato con la delibera consiliare n. 263 del 1997 e aggiornato solo per il biennio 2002-2004, avrebbe perso efficacia;inoltre il piano del traffico sarebbe uno strumento subordinato al piano regolatore generale, per cui dovrebbe essere a questo conforme, mentre, essendo stata approvata la variante generale al piano regolatore nel 2004, il PGTU del 1997 non avrebbe rispettato le previsioni del piano regolatore generale vigente;si deduceva la illegittimità del piano particolareggiato del traffico, che, in quanto strumento attuativo del piano generale del traffico urbano, essendo quest’ultimo inefficace per il mancato aggiornamento biennale e comunque non aggiornato alla variante al PRG, non avrebbe potuto essere approvato;con riferimento alla istituzione degli accessi alla ZTL a pagamento, si sosteneva la violazione dell’art. 7 comma 9 del codice della strada e della circolare del 21 luglio 1997, per cui l’inserimento di zone a pagamento avrebbe dovuto essere prevista nel PGTU, che, nel caso di specie, non lo prevedeva. Con il secondo motivo si contestava la pedonalizzazione dell’area del lungomare, sostenendo il contrasto del Piano particolareggiato del traffico con il PGTU, in quanto quest’ultimo prevedeva l’istituzione di aree pedonali in zone che non presentino “ significativa rilevanza nella rete stradaria primaria ” mentre le strade del lungomare sarebbero individuate come primarie dal Regolamento viario del Comune e individuate dal PGTU come struttura fondamentale della rete stradale cittadina;inoltre, il piano generale al paragrafo 18.5.1.4 prevedeva la pedonalizzazione del lungomare nei limiti tra piazza della Repubblica e la confluenza con via Dohrn con l’istituzione di sensi unici di circolazione, in viale Dohrn, tra piazza della Repubblica e la confluenza con via Caracciolo, e in via Caracciolo dalla confluenza di viale Dohrn e piazza della Vittoria;la pedonalizzazione estesa a tutto il lungomare e comprensiva di via Partenope e via Nazario Sauro sarebbe, dunque, in contrasto con il PGTU e riguardante un fondamentale asse di collegamento viario cittadino;il contrasto con il PGTU sarebbe stato anche rilevato dal Segretario generale del Comune di Napoli nelle osservazioni allegate alla delibera. Con il terzo motivo si lamentava l’incompetenza della Giunta comunale ad approvare il piano, in quanto si sarebbe trattato nella sostanza di una variante al PGTU, che avrebbe dovuto essere approvata dal consiglio comunale. Con il quarto motivo si contestava l’ordinanza sindacale n. 603 del 27 novembre 2012, che aveva prorogato le precedenti ordinanze sindacali del 2012 (emanate in relazione agli interventi per l’America’s Cup), non sussistendo più alcun presupposto d’urgenza;si deduceva poi l’illogicità della ordinanza n. 303 del 2013, che aveva sospeso la pedonalizzazione in relazione al crollo di un edificio fino alla fine del pericolo, con ciò rendendo evidente la circostanza che la pedonalizzazione comportava rischi per la sicurezza cittadina.
Il Comune di Napoli chiedeva la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale, ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, e la parte ricorrente si costituiva, con notificato il 3 giugno 2013 e depositato il 5 giugno 2013, davanti al Tribunale amministrativo regionale della Campania, proponendo le censure del ricorso straordinario.
Con atto di motivi aggiunti, depositati il 21 giugno 2013, sono state impugnate (da 30 dei 35 originari ricorrenti), altresì, l’ordinanza sindacale n. 119 del 27 marzo 2013, con cui è stato istituito un ulteriore dispositivo straordinario di limitazione del transito in alcune strade del quartiere Chiaia;l’ ordinanza sindacale n. 124 del 28 marzo 2013, recante proroga dell’ordinanza n. 603/2012 fino al 30 giugno 2013;l’ ordinanza sindacale n. 190 del 3 maggio 2013, di proroga dell’ordinanza n. 603/2012 fino al 30 settembre 2013, nelle parti non in contrasto con la ordinanza sindacale n. 303 del 4 marzo 2013 e le relative proroghe, estendendo a tali atti le censure proposte con il ricorso straordinario trasposto, lamentando, inoltre, l’illegittimità del sistematico ricorso ai poteri di ordinanza, il contrasto con il regolamento viario che definisce le strade pedonalizzate come primarie ed il contrasto con il piano di evacuazione per l’emergenza bradisismica dei Campi flegrei che individua il lungomare come “via di fuga” , nonché il difetto di istruttoria e lo sviamento del potere d’ordinanza. Con un secondo atto di motivi aggiunti, depositato il 6 novembre 2013, è stata impugnata (dai medesimi ricorrenti del primo atto di motivi aggiunti) l’ordinanza sindacale n. 514 del 30 settembre 2013, che ha ulteriormente prorogato fino al 16 dicembre 2013 la vigenza del precedente regime, estendendo ad essa le censure già proposte avverso i precedenti atti e, successivamente, con atto di motivi aggiunti depositato il 21 dicembre 2013 è stata impugnata l’ordinanza sindacale n. 748 del 13 dicembre 2013, con cui è stata ulteriormente prorogata l’efficacia della precedente ordinanza fino al 16 giugno 2014 con le medesime censure.
Costituendosi in giudizio, il Comune di Napoli aveva eccepito l’inammissibilità per ricorso collettivo, proposto in carenza di un interesse omogeneo tra i ricorrenti, essendo alcuni ricorrenti anzi interessati all’aumento del flusso turistico, conseguente alla pedonalizzazione, come sarebbe dimostrato dalla circostanza che i motivi aggiunti non sono stati proposti da alcuni di essi;a sostegno di tale affermazione è stato depositando, altresì, una articolo di stampa con un intervista di uno degli esercenti, che non aveva proposto i motivi aggiunti;aveva, poi, sostenuto la inammissibilità dei motivi aggiunti, per la mancata coincidenza dei ricorrenti, e contestato la fondatezza dei gravami.
Con la sentenza n. 1350 del 6 marzo 2014, il Tribunale amministrativo regionale della Campania ha respinto l’eccezione di inammissibilità, proposta dalla difesa comunale, ritenendo sussistente un interesse omogeneo dei commercianti della zona alla tutela del proprio bacino di utenza, assumendosi danneggiati dal minore afflusso dell’utenza determinata dalle difficoltà per i clienti di raggiungere la zona;ha respinto le censure relative al mancato aggiornamento del PGTU, non ravvisando alcun termine per l’efficacia del piano, in caso di mancato aggiornamento;ha ritenuto irrilevante il mancato aggiornamento a seguito dell’approvazione della variante al PRG, in quanto tale sopravvenienza può comportare solo l’inoperatività delle singole disposizioni eventualmente contrastanti con le nuove previsioni urbanistiche, da reputarsi prevalenti in base alle comuni regole sulla successione nel tempo di fonti di diverso valore;ha ritenuto fondata solo la censura relativa alla illegittimità della introduzione di un sistema di tariffazione all’accesso, in quanto non prevista dal PGTU;ha respinto le censure proposte con riferimento alla pedonalizzazione del lungomare, ritenendo che il PGTU comunque consentisse l’istituzione di aree pedonali, anche all’interno delle ZTL, rimettendo all’autorità amministrativa le scelte rispetto alla loro concreta individuazione;ha, quindi, affermato che la precisa delimitazione dell’area pedonale in sede di pianificazione attuativa costituisce il frutto di scelte ampiamente discrezionali, non suscettibili di sindacato di merito in sede giurisdizionale, e appare sostanzialmente in linea con le direttive contenute nel PGTU e non manifestamente irragionevole rispetto all’obiettivo dallo stesso perseguito;ha respinto le censure avverso i motivi aggiunti, con cui era stata impugnata l’ordinanza sindacale n. 602 del 2012, in quanto emanata nell’esercizio della potestà di regolamentazione della circolazione nei centri abitati, attribuita al Sindaco dall’art. 7 del codice della strada e non riconducibile alla diversa categoria delle ordinanze contingibili e urgenti previste dall’art. 50 del T.U.E.L., richiamato dai ricorrenti;sulla base di tale argomentazione ha respinto anche gli ulteriori motivi aggiunti;ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse l’impugnazione dell’ordinanza n. 303/2013, in quanto con tale provvedimento era stata sospesa l’area pedonale di via Caracciolo (nel tratto da piazza della Repubblica a piazza Vittoria) e l’area pedonale di piazza Vittoria, riaprendo al traffico veicolare una parte del lungomare.
Avverso tale sentenza è stato proposto il presente appello, notificato il 25 giugno 2014, dalle aziende indicate in epigrafe (corrispondenti a quelle che avevano proposti i motivi aggiunti in primo grado), contestando la sentenza impugnata e riproponendo le censure formulate in primo grado.
In particolare, con il primo motivo è stata riproposta la censura relativa alla illegittimità del piano particolareggiato del traffico adottato in mancanza dell’aggiornamento biennale del piano generale del traffico, con conseguente inefficacia di quest’ultimo;si è, dunque, dedotta l’erroneità della sentenza, in quanto la previsione dell’efficacia biennale del piano generale del traffico sarebbe strettamente correlata alla natura stessa del PGTU ovvero di piano di breve periodo, in quanto finalizzato al rapido adeguamento alle esigenze della viabilità e della cittadinanza;il mancato aggiornamento del piano generale del traffico l’avrebbe reso inadeguato rispetto alla reale situazione della viabilità cittadina, come sarebbe dimostrato dalla sensibile variazione in negativo dell’offerta del trasporto pubblico, che l’aggiornamento del piano avrebbe dovuto prendere in considerazione;in ogni caso, a prescindere dal termine biennale, sarebbe comunque irragionevole avere dato attuazione ad un piano generale del traffico approvato da molti anni;è stato poi ribadito, sia pur genericamente, il vizio derivante dal mancato adeguamento del piano generale del traffico alla variante al PRG approvata nel 2004.
Con il secondo motivo di appello è stata riproposta la censura relativa alla illegittimità della delibera, nella parte in cui ha istituito l’area pedonale del lungomare;sono state contestate le affermazioni del giudice di primo grado, che aveva ritenuto il provvedimento di pedonalizzazione ricompreso all’interno della istituzione della ZTL, mentre, ad avviso degli appellanti, si tratterebbe di due provvedimenti del tutto distinti, pur contenuti nella medesima delibera;si è, quindi, sostenuto il contrasto del piano attuativo con il PGTU, avendo disposto la pedonalizzazione di una rete viaria primaria, in contrasto con il piano generale del traffico, per cui l’istituzione di aree pedonali dovrebbe essere limitata a singole aree o piazze o aree;le vie pedonalizzate sarebbero inserite nella rete viaria primaria nel regolamento viario allegato al PGTU e quali vie di fuga in caso di emergenza nel piano della protezione civile;in particolare, sono state contestate le affermazioni del giudice di primo grado, che aveva fatto riferimento alla mancata indicazione di tali vie come viabilità primaria nelle tavole del piano regolatore generale, sostenendo che il PRG non costituirebbe una fonte regolatrice della mobilità, per cui dovrebbe valere in tale materia il PUGT;a ritenere altrimenti il PUGT dovrebbe essere inefficace, essendo in contrasto con il piano regolatore generale, con un ulteriore conferma della illegittimità del piano particolareggiato, approvato in mancanza di un piano generale del traffico valido ed efficace;poi è stata riproposta anche la deduzione relativa alla indicazione nel PGTU della pedonalizzazione di un tratto di via Caracciolo e non dell’intero lungomare, contestando, quindi le affermazioni della sentenza in ordine alla discrezionalità attribuita all’Amministrazione nella predisposizione del piano attuativo, richiamando le osservazioni formulate dal segretario generale del Comune, in allegato alla delibera impugnata nel senso della non coerenza della stessa con il piano generale del traffico urbano;è stata poi riproposta la censura relativa alla incompetenza della giunta comunale, che avrebbe introdotto una variante al PGTU, che avrebbe dovuto essere approvata dal consiglio comunale .
Con il terzo motivo di appello sono state contestate le affermazioni del giudice di primo grado relativamente alle ordinanze sindacali impugnate, ritenute emanate, ai sensi dell’art. 7 del codice della strada;si è invece sostenuto che sarebbero le stesse ordinanze a contenere i riferimenti a presupposti di contingibilità ed urgenza, non sussistenti nel caso di specie;sono state poi riproposte le censura di illegittimità derivata. Non è stata invece contestata la declaratoria di inammissibilità per carenza di interesse della impugnazione dell’ordinanza n. 303/2013.
Con l’atto di appello sono stati depositati una relazione tecnica relativa alla situazione del traffico nell’area di Chiaia, l’estratto del piano della protezione civile del Comune di Napoli del giugno 2012, la tavola 2 allegata alla delibera del 19 novembre 2012 impugnata in primo grado, la nota dell’Azienda dei traporti, ANM, del 3 giugno 2014 relativa alla situazione del servizio pubblico locale.
Il Comune di Napoli ha proposto appello incidentale, riproponendo la eccezione di inammissibilità del ricorso collettivo, per non avere tutti i ricorrenti un interesse omogeneo rispetto all’azione proposta, e dei motivi aggiunti, in quanto proposti da una parte non integralmente coincidente con quella del ricorso introduttivo;poi ha impugnato il capo della sentenza relativo all’accoglimento del motivo di ricorso rivolto alla istituzione della “ZTL del mare” limitatamente alla previsione dell’accesso a pagamento, sostenendo, in primo luogo, che i commercianti della zona non avrebbero interesse alla questione del pagamento dell’accesso;nel merito, ha dedotto l’erroneità della sentenza di primo grado, in quanto la circolare attuativa del Ministero dei Lavori pubblici del 21 luglio 1997 non potrebbe avere natura vincolante, mentre, a ritenerla di contenuto normativo, sarebbe illegittima per violazione dell’art. 7 comma 9 del codice della strada, per violazione della delega e per incompetenza, avendo disposto oltre i poteri attribuiti dalla norma e dovrebbe, quindi, essere disapplicata;comunque la “ZTL del mare” non prevederebbe una tariffa per l’accesso, ma solo la limitazione della circolazione, riservata ad alcune categorie (residenti, carico e scarico merci, imprese di manutenzione e servizi, officine, alberghi, autorimesse, posti auto fuori dalla sede stradale), per le quali, avendo diritto all’accesso, sarebbe previsto il pagamento di una somma per il costo derivante dalla gestione del servizio di accesso (ovvero del contrassegno rilasciato nonché del sistema di controllo degli accessi), ripartito in maniera differenziata tra le varie categorie interessate;tale costo non rientrerebbe, quindi, nella previsione della circolare e sarebbe ammesso anche senza l’apposita previsione nel piano generale del traffico come richiesto dalla circolare.
Con la memoria depositata il 7 agosto 2014 la difesa comunale ha contestato la fondatezza dei motivi di appello, eccependo l’inammissibilità dell’appello nella parte relativa alle ordinanze sindacali, ormai prive di effetti, essendo state superate dall’ordinanza n. 204 del 13 giugno 2014, non impugnata;ha eccepito la tardività del deposito in appello della perizia tecnica di parte.
In vista dell’udienza pubblica entrambe le parti hanno presentato memoria e la parte appellante anche memoria di replica, insistendo nelle proprie argomentazioni.
All’udienza pubblica del giorno 27 luglio 2021, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, il giudizio è stato trattenuto in decisione.
In via preliminare, deve essere rilevata la tardività del deposito in appello di documentazione non prodotta nel giudizio di primo grado.
Come è noto, ai sensi dell’art. 104 c.p.a. in appello “ non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile ”.
Nel caso di specie, sono stati depositati in appello, una relazione tecnica relativa alla situazione del traffico nell’area di Chiaia, l’estratto del piano della protezione civile del Comune di Napoli del giugno 2012, la tavola 2 allegata alla delibera del 27 novembre 2012 impugnata in primo grado, la nota dell’Azienda dei traporti, ANM, del 3 giugno 2014 relativa alla situazione del servizio pubblico locale.
Si tratta, dunque, di documenti, che avrebbero potuto essere formati e tempestivamente depositati in primo grado.
In particolare, con riferimento alla perizia tecnica, si deve rilevare che la scelta processuale di ricorrere ad un tale strumento avrebbe potuto essere compiuta in primo grado.
Quanto alla nota della ANM del 3 giugno 2014, successiva alla proposizione del giudizio di primo grado, si tratta comunque di un documento irrilevante ai fini del decidere, in quanto fa riferimento alla situazione del trasporto pubblico, in gran parte riferita al biennio successivo a quello in cui è stata approvata la delibera impugnata in primo grado.
In via, altresì, preliminare deve essere dichiarata l’inammissibilità dell’appello relativamente alle censure riproposte, peraltro genericamente, avverso le ordinanze sindacali impugnate in primo grado con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti (n. 603 del 27 novembre 2012;n. 119 del 27 marzo 2013;n. 124 del 28 marzo 2013 di proroga dell’ordinanza n. 603/2012 fino al 30 giugno 2013;l’ ordinanza sindacale n. 190 del 3 maggio 2013, di proroga dell’ordinanza n. 603/2012 fino al 30 settembre 2013;n. 514 del 30 settembre 2013, che ha ulteriormente prorogato fino al 16 dicembre 2013 la vigenza delle precedenti ordinanze;n. 748 del 13 dicembre 2013, di proroga fino al 16 giugno 2014).
A prescindere dalla circostanza che alcune di tali ordinanze avevano perso efficacia già nel corso del giudizio di primo grado, in ogni caso, alla data di proposizione dell’appello, notificato il 25 giugno 2014 e depositato il 15 luglio 2014, aveva perso efficacia anche l’ultima ordinanza impugnata nel giudizio di primo grado, la n. 748 del 13 dicembre 2013, che disponeva la proroga del regime temporaneo di circolazione nell’area di Chiaia fino al 16 giugno 2014, sostituita dalla ordinanza n. 204 del 13 giugno 2014, che non risulta impugnata.
Pertanto, alla data di proposizione dell’appello, non sussisteva più alcun interesse all’annullamento di tali provvedimenti, con conseguente inammissibilità del motivo proposto avverso il capo della sentenza di reiezione delle censure avverso le dette ordinanze.
Non è stata poi contestata con l’atto di appello la dichiarazione, da parte del giudice di primo grado, di inammissibilità del gravame proposto avverso l’ordinanza sindacale n. 303 del 4 marzo 2013, con cui era stata sospesa la pedonalizzazione di cui al punto B dell’ordinanza sindacale n. 603/2012 a seguito del crollo di un edificio sulla Riviera di Chiaia, la quale anche resta, quindi, estranea al presente giudizio di appello, che è dunque limitato all’impugnazione della delibera del 19 novembre 2012 con cui è stato approvato il piano particolareggiato del traffico.
Nell’ordine logico delle questioni devono essere esaminate, in primo luogo, le eccezioni di inammissibilità riproposte dal Comune con l’appello incidentale relative al ricorso collettivo, proposto in presenza di un interesse non omogeneo dei ricorrenti, e ai motivi aggiunti, per la mancata coincidenza con i ricorrenti originari.
Con riferimento ai motivi aggiunti, non sussiste alcun interesse alla eccezione, non dovendo il Collegio procedere all’esame dei motivi aggiunti, rivolti avverso provvedimenti ormai privi di efficacia e per cui l’appello deve ritenersi inammissibile.
Peraltro, le eccezione è comunque infondata, in quanto, rispetto alla disciplina previgente (introdotta dall’art. 1 della legge 21 luglio 2000, n. 205) che conteneva il riferimento alle “ stesse parti ” l’art. 43 c.p.a. ha eliminato tale previsione, consentendo l’impugnazione di un provvedimento nuovo con lo strumento dei motivi aggiunti anche nei casi in cui le parti della nuova impugnazione non coincidano con quelle dell’atto introduttivo del giudizio. Deve, dunque, ritenersi corretto quanto affermato dal giudice di primo grado per cui la mancata proposizione dei motivi aggiunti da parte di alcune (5 su 35 che avevano proposto il ricorso) deve essere ricondotta ad una scelta processuale delle singole parti, del resto ampiamente giustificabile anche solo in base alla efficacia temporanea dei provvedimenti impugnati con i motivi aggiunti.
Quanto all’interesse posto a base del ricorso introduttivo in forma collettiva, deve rilevarsi che il ricorso collettivo nel processo amministrativo introduce una deroga al principio per il quale, di regola non sono cumulabili domande proposte da più persone, se non quando queste ultime condividano una posizione omogenea, ovvero sussistano i requisiti dell'identità di situazioni sostanziali e processuali e l’assenza di un conflitto di interessi tra le parti (Cons. Stato Sez. VI, 13 ottobre 2020, n. 6174;id. Sez. VI, 20 maggio 2021, n. 3902;id VI, 15 gennaio 2021 nn. 476 e 478) In particolare, si richiede l’identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, ovvero che le domande giurisdizionali siano identiche nell'oggetto e che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli stessi motivi (Cons. Stato, sez. II, 18 maggio 2020, n. 3155;id., sez. IV, 27 gennaio 2015, n. 363;id., sez. III, 20 maggio 2014, n. 2581), l’assenza di una situazione di conflittualità di interessi, anche solo potenziale, per effetto della quale l'accoglimento della domanda di alcuni dei ricorrenti sarebbe logicamente incompatibile con l’accoglimento delle istanze degli altri (Cons. Stato, sez. IV., n. 2341 del 18 marzo 2021;Sez. II, 4 maggio 2020, n. 2839), mentre un conflitto di interessi non è ravvisabile tra le posizioni sostanziali e processuali dei suddetti ricorrenti quando esse siano omogenee tra loro, con riferimento sia al petitum azionato che alle doglianze oggetto di deduzione (Cons. Stato, III, 16 agosto 2019, n. 5728;III, 18 settembre 2019, n. 6215;Sez. V, 19 gennaio 2021, n. 573). La nozione di conflitto di interessi viene, quindi, ricondotta, ad un effetto processuale ovvero alla circostanza che l’accoglimento della domanda possa avvantaggiare alcuni o svantaggiare altri componenti della stessa parte processuale.
Sotto tale profilo, nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, non vi era alcun conflitto di interessi, in quanto erano impugnati da tutti i medesimi atti con le medesime censure e l’effetto annullatorio si sarebbe verificato ugualmente in modo vantaggioso per tutti.
Ad avviso del Collegio, non attiene invece alla ammissibilità del ricorso, in quanto proposto in forma collettiva, ma alla stessa sussistenza dell’interesse la questione, posta dal Comune, della diversità di valutazioni da parte di alcuni degli esercenti della zona (che poi non hanno proposto i motivi aggiunti) circa l’effetto delle restrizioni alla circolazione.
Peraltro deve rilevarsi la totale infondatezza delle argomentazioni della difesa comunale sul punto.
Infatti, in generale, sussiste una posizione differenziata e qualificata dei commercianti dell’area interessata rispetto a provvedimenti limitativi della circolazione.
Tale interesse si basa sul presupposto, considerato di comune esperienza, che la regolamentazione del traffico abbia influenze sulla attività commerciale, per cui va riconosciuto che gli esercenti attività commerciale su un area interessata da provvedimenti limitativi del traffico veicolare sono portatori di un interesse qualificato alla legittimità della regolamentazione (C.G.A. 5 febbraio 2010, n. 144).
Tale affermazione fa riferimento, dunque, ad un fatto notorio tratto dall’id quod plerumque accidit, per cui da un provvedimento limitativo della circolazione possono scaturire effetti potenzialmente negativi sul proprio bacino commerciale e sulle potenzialità di vendita , ma prescinde da una verifica in concreto della situazione di fatto, ex post , ovvero se la limitazione del traffico o la pedonalizzazione abbia avuto poi davvero effetti positivi o negativi sulla clientela e quindi sulle vendite o sugli incassi.
Ciò riguarda tutti i tipi di controversie introdotte a tutela di un interesse di natura commerciale, per le quali tale interesse è individuato in base a parametri considerati ex ante, relativi alla vicinanza dell’attività commerciale, al settore di attività interessato, senza alcuna rilevanza rispetto agli effetti verificatesi successivamente ovvero, se in base al concreto atteggiarsi della clientela, la pedonalizzazione di una strada o la limitazione del traffico (ma anche l’apertura di una nuova attività o di un centro commerciale) abbia comportato effetti negativi o invece favorevoli sulle vendite.
Le considerazioni svolte dal Comune riguardano invece proprio una valutazione ex post di tali effetti, estranea sia rispetto alla sussistenza dell’interesse a tutela di una attività commerciale al momento di proposizione del ricorso sia all’omogeneità dell’interesse sottostante al ricorso collettivo.
In ogni caso, nel caso di specie, sussistono entrambi gli aspetti, in quanto rispetto alla regolamentazione da parte del Comune del traffico in una determinata area, l’interesse viene riconosciuto ai commercianti della zona e , quindi, si tratta di un interesse omogeneo per tutti coloro che sono posti nella medesima situazione di fatto, indipendentemente dalle singole valutazioni di carattere personale, in ordine alla convenienza di proporre una impugnazione, che, come correttamente evidenziato dal giudice di primo grado, riguarda scelte e strategie processuali della parti e che possono variare nel corso del giudizio.
Sotto tale profilo, ritiene il Collegio del tutto irrilevante l’articolo di stampa del 5 giugno 2013, depositato anche nel giudizio di primo grado dalla difesa comunale, in cui uno dei titolari delle ditte originariamente ricorrenti (che non hanno proposto l’appello, ma parte del presente giudizio a seguito della notifica dell’appello incidentale), avrebbe affermato che, in realtà, la maggiore presenza di turisti, a seguito dei provvedimenti comunali di regolamentazione della circolazione, avrebbe avuto effetti favorevoli sulle vendite. In primo luogo è evidente che tale intervista è del tutto estranea alla posizione processuale della ditta ricorrente, riguardando le considerazioni personali di un soggetto (di cui non è neppure dedotto dal Comune il ruolo formale nella società ricorrente), non veicolate in una precisa scelta processuale;inoltre, si tratta di valutazioni, riferite all’assetto provvisorio della circolazione, imposto a seguito del crollo dell’edificio sulla Riviera di Chiaia, e quindi, ad regime differente di quello previsto nel piano particolareggiato, oggetto del presente giudizio;infine, si tratta di considerazioni espresse successivamente alla stessa proposizione del ricorso, mentre l’ammissibilità del ricorso deve essere valutata ex ante .
Tali motivi dell’appello incidentale del Comune di Napoli devono essere, quindi, respinti.
Venendo all’esame dell’appello principale, con il primo motivo si ripropone la parte del primo motivo di ricorso, respinta dal giudice di primo grado, relativa alla violazione dell’art. 36 del codice della strada, in quanto, non essendo stato aggiornato il piano generale del traffico avente durata biennale, e, quindi, essendo divenuto inefficace, il piano particolareggiato, in mancanza della strumento di pianificazione sovraordinato, non avrebbe potuto essere legittimamente adottato.
Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 36 comma 1 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, “ ai comuni, con popolazione residente superiore a trentamila abitanti, è fatto obbligo dell'adozione del piano urbano del traffico ”
In base al comma 4, “ i piani di traffico sono finalizzati ad ottenere il miglioramento delle condizioni di circolazione e della sicurezza stradale, la riduzione degli inquinamenti acustico ed atmosferico ed il risparmio energetico, in accordo con gli strumenti urbanistici vigenti e con i piani di trasporto e nel rispetto dei valori ambientali, stabilendo le priorità e i tempi di attuazione degli interventi. Il piano urbano del traffico prevede il ricorso ad adeguati sistemi tecnologici, su base informatica di regolamentazione e controllo del traffico, nonché di verifica del rallentamento della velocità e di dissuasione della sosta, al fine anche di consentire modifiche ai flussi della circolazione stradale che si rendano necessarie in relazione agli obiettivi da perseguire” .
Il comma 5 prevede: “ il piano urbano del traffico viene aggiornato ogni due anni ”.
Il comma 10 dispone: “ I comuni e gli enti inadempienti sono invitati, su segnalazione del prefetto, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a provvedere entro un termine assegnato, trascorso il quale il Ministero provvede alla esecuzione d'ufficio del piano e alla sua realizzazione”.
Dal dato letterale di tale norma, in particolare di quella del comma 10, risulta evidente che, mentre la mancata adozione del piano urbano del traffico comporta l’esercizio dei poteri sostitutivi del Ministero, tale previsione non è riferita anche al mancato aggiornamento. Inoltre, non essendo prevista una espressa sanzione di inefficacia, il termine biennale per l’aggiornamento del piano, conformemente ai principi generali, deve ritenersi solo ordinatorio, con la conseguenza che la presenza di un piano non aggiornato non poteva provocare alcuna illegittimità rispetto alla successiva approvazione del piano particolareggiato del traffico.
Peraltro, rispetto all’interesse fatto valere dagli appellanti, ovvero quello ad evitare limitazioni o eliminazione del traffico veicolare nell’area, in cui sono ubicate le loro attività commerciali, si deve evidenziare che, ai sensi dell'art. 7, comma 9, del codice della strada - disposizione espressamente richiamata dalla delibera del 19 novembre 2012-, “ i comuni, con deliberazione della Giunta, provvedono a delimitare le aree pedonali e le zone a traffico limitato tenendo conto degli effetti del traffico sulla sicurezza della circolazione, sulla salute, sull'ordine pubblico, sul patrimonio ambientale e culturale e sul territorio ”.
Ne deriva la competenza della giunta comunale all’istituzione delle zone a traffico limitato o alla pedonalizzazione di alcune aree, anche in mancanza della previa approvazione del piano del traffico, con la conseguenza della irrilevanza anche del suo mancato tempestivo aggiornamento, come già più volte affermato dalla giurisprudenza sia con riferimento alla pedonalizzazione (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 11 maggio 2020, n. 2928, per cui “ l'istituzione di un’area pedonale non presuppone una modifica del piano del traffico né deve essere contemplata in tale piano ”) sia con riferimento alla istituzione di ZTL (cfr C.G.A n. 144 del 2010, citata;T.A.R. Lazio Sez. II, 29 ottobre 2015, n. 12245).
Inoltre, come sopra rilevato, il comma 4, indica quali finalità dei piani di traffico “ il miglioramento delle condizioni di circolazione e della sicurezza stradale, la riduzione degli inquinamenti acustico ed atmosferico ed il risparmio energetico, in accordo con gli strumenti urbanistici vigenti e con i piani di trasporto e nel rispetto dei valori ambientali, stabilendo le priorità e i tempi di attuazione degli interventi. Il piano urbano del traffico prevede il ricorso ad adeguati sistemi tecnologici, su base informatica di regolamentazione e controllo del traffico, nonché di verifica del rallentamento della velocità e di dissuasione della sosta, al fine anche di consentire modifiche ai flussi della circolazione stradale che si rendano necessarie in relazione agli obiettivi da perseguire”. L’istituzione della ZTL e della pedonalizzazione era, dunque, in linea con gli obiettivi posti dalla legge al piano generale del traffico, per cui anche l’eventuale aggiornamento - di cui la difesa appellante sostiene che fosse necessario in relazione alla stessa natura del piano particolareggiato del traffico, quale piano di breve periodo, in quanto finalizzato al rapido adeguamento alle esigenze della viabilità e della cittadinanza - non avrebbe potuto discostarsi da tali obiettivi, che erano concretamente indicati anche nel piano generale del traffico del Comune di Napoli approvato il 7 febbraio 1997 e aggiornato nel 2002-2004, il quale espressamente prevedeva anche l’istituzione di zone a traffico limitato e di aree pedonalizzate.
Inoltre, la delibera n. 898 del 19 novembre 2012 fa espresso riferimento agli indirizzi espressi dal consiglio comunale nella seduta del 13 giugno 2012, in ordine sia alla istituzione della “ZTL del mare” che alla pedonalizzazione del lungomare come obiettivo strategico della città, per cui non vi è alcun elemento per ritenere che il mancato aggiornamento del piano generale del traffico abbia comportato una irragionevolezza del piano particolareggiato per la mancata corrispondenza alla situazione attuale - come adombrato nell’atto di appello con una censura sostanzialmente nuova rispetto all’ambito del motivo proposto in primo grado - risultando, invece, compiutamente valutata sia dal consiglio, nella seduta del 13 giugno 2012, che dalla giunta, al momento dell’adozione del piano, la situazione della città, esprimendo la chiara volontà del potenziamento delle aree a circolazione limitata e pedonalizzate.
Infondata è anche la parte del motivo, riproposto peraltro genericamente in appello, relativo alla mancata armonizzazione del PGTU con la variante al PRG, approvata con decreto del Presidente della Giunta regionale della Campania n. 323 del 2004, successivamente all’aggiornamento del piano del traffico.
Sul punto, non può che confermarsi quanto sostenuto dal giudice di primo grado, per cui, se in base all’art. 36, comma 4 del D. Lgs. n. 295/1992, i piani del traffico devono essere “ in accordo con gli strumenti urbanistici vigenti ”, la sopravvenienza della variante urbanistica comporta solo l’inoperatività delle singole disposizioni eventualmente contrastanti con le nuove previsioni urbanistiche, da reputarsi prevalenti in base alle comuni regole sulla successione nel tempo di fonti di diverso valore. Peraltro, la difesa appellante non deduce alcunché sulle specifiche incompatibilità del piano generale del traffico rispetto alla variante generale approvata con il decreto del Presidente della Regione n. 323 del 2004 e, anzi, risulta dagli atti del giudizio che la variante generale del P.R.G. non include via Caracciolo e via Partenope come segmenti delle rete stradale primaria, con la conseguenza che tali indicazioni devono prevalere sulle norme del PGTU ( secondo la stessa ricostruzione della difesa appellante) e, in ogni caso un eventuale aggiornamento del PGTU non avrebbe potuto che essere in linea con tali previsioni del PRG.
Con il secondo motivo sono state riproposte le censure relative alla pedonalizzazione del lungomare, in particolare lamentando il contrasto con la disciplina del PGTU, in particolare del paragrafo 9.1.3, che limiterebbe gli interventi di pedonalizzazione a singole strade e piazze “ che non presentino significativa rilevanza nella rete stradaria primaria ”, mentre le strade del lungomare pedonalizzate avrebbero le caratteristiche di strade “primarie” in base al regolamento viario del Comune e al piano generale del traffico, oltre ad essere indicate come “ vie di fuga ”, in caso di emergenze di protezione civile;è stato poi contestato il riferimento da parte del giudice di primo grado al paragrafo 9.2.1 del PGTU, riguardante le aree pedonalizzate all’interno delle ZTL, sostenendo l’erroneità di tale riferimento, dovendosi applicare il punto 9.1.3, in quanto i provvedimenti istitutivi della ZTL e della pedonalizzazione sarebbero del tutto distinti, come poi sarebbe dimostrato anche dalla circostanza che le aree pedonalizzate non rientrano nel perimetro della ZTL del mare;è stata, poi dedotta l’irrilevanza del riferimento operato dal giudice di primo grado alle tavole della variante generale al PRG, che escludono tali strade dalla rete viaria primaria, in quanto il PRG non sarebbe atto destinato a disciplinare la mobilità;nonché il contrasto della pedonalizzazione, disposta con il piano particolareggiato, con il PGTU, che prevedeva la pedonalizzazione solo in un tratto del lungomare, in particolare su via Caracciolo dalla confluenza con piazza della Repubblica alla confluenza con viale Dohrn con l’istituzione del senso unico di circolazione nella strada parallela, contestando la motivazione del giudice di primo grado, che ha ritenuto l’ampliamento dell’area pedonale rientrante in una ambito di discrezionalità comunque attribuito alla giunta comunale dal PGTU;sono state, poi, richiamate le osservazioni del Segretario generale del Comune che avrebbe rilevato la non conformità della delibera al piano generale del traffico.
Il motivo è infondato.
In primo luogo, deve essere richiamata la già citata previsione del comma 9 dell’art. 7 del codice della strada, per cui “ i comuni, con deliberazione della Giunta, provvedono a delimitare le aree pedonali e le zone a traffico limitato tenendo conto degli effetti del traffico sulla sicurezza della circolazione, sulla salute, sull'ordine pubblico, sul patrimonio ambientale e culturale e sul territorio”. La giurisprudenza di questo Consiglio ha affermato che tale previsione attribuisce espressamente alla giunta comunale un potere generale di regolazione delle limitazioni del traffico veicolare urbano e individuazione di specifiche aree da pedonalizzare, in considerazione del generale impatto sul territorio, corrispondendo ad un obiettivo programmatorio generale del traffico veicolare. La giunta comunale può, dunque, imporre specifici divieti, integrali e non, di circolazione e sosta, contestualmente a una considerazione di sistema delle esigenze di regolamentazione del traffico e della distribuzione di ragione urbanistica delle funzioni (residenziale, commerciale, ecc.) e di salvaguardia dei centri storici o comunque delle zone da opportunamente pedonalizzare o semipedonalizzare (Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2019, n. 7129).
La delibera impugnata in primo grado è stata adottata con l’espresso richiamo a tale disposizione dell’art. 7 comma 9 per l’istituzione delle ZTL e per la pedonalizzazione del lungomare, norma che, secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale attribuisce un ampio potere discrezionale, esteso ad un arco molto esteso di soluzioni possibili, incidenti su valori costituzionali spesso contrapposti, che devono essere contemperati, secondo criteri di ragionevolezza (Cons. Stato Sez. V, 13 novembre 2015, n. 5191).
In particolare, l’uso delle strade, specie con mezzi di trasporto, può essere regolato sulla base di esigenze che, sebbene trascendano il campo della sicurezza e della sanità, attengono al buon regime della cosa pubblica, alla sua conservazione, alla disciplina che gli utenti debbono osservare ed alle eventuali prestazioni che essi sono tenuti a compiere;la tipologia dei limiti (divieti, diversità temporali o di utilizzazioni, subordinazione a certe condizioni) viene articolata dalla pubblica autorità tenendo conto dei vari elementi rilevanti: diversità dei mezzi impiegati, impatto ambientale, situazione topografica o dei servizi pubblici, conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’uso indiscriminato del mezzo privato;è una disciplina funzionale alla pluralità degli interessi pubblici meritevoli di tutela ed alle diverse esigenze, e sempre che queste rispondano a criteri di ragionevolezza il cui sindacato va compiuto dal giudice amministrativo, in ossequio al principio di separazione dei poteri ed alla tassatività dei casi di giurisdizione di merito, ab externo nei limiti della abnormità. (Cons. Stato Sez. V, 4 maggio 2017, n. 2031;Cons. Stato, V, 6 maggio 2015, n. 2255). La limitazione della libertà di locomozione e di iniziativa economica è stata, quindi, ritenuta giustificata quando derivi dall'esigenza di tutela rafforzata di patrimoni culturali ed ambientali, specie di rilievo mondiale o nazionale, alla luce del valore primario ed assoluto che Costituzione riconosce all'ambiente, al paesaggio, alla salute (cfr. Consiglio di Stato Sez. II, 20 dicembre 2019, n. 8631 con riferimento alla particolarità della collocazione geografica e orografica, della rilevanza storica, artistica e ambientale, delle esigenze di gestione di un consistente flusso turistico, di tutela di un sito patrimonio UNESCO).
Se, quindi, in tale ambito i provvedimenti limitativi della circolazione devono necessariamente armonizzarsi al sovraordinato piano generale del traffico, questo non può escludere o limitare totalmente le valutazioni dell’organo amministrativo rispetto alle concrete esigenze di tutela perseguite, purché gli obiettivi siano in linea con quanto posto dal piano del traffico.
Alla luce di tali considerazioni deve essere, quindi, affermata la correttezza delle argomentazioni del giudice di primo grado, che ha ritenuto che residuasse un ambito di discrezionalità della giunta comunale nel delineare concretamente il perimetro della area pedonalizzata.
Infatti, la delibera del 19 novembre 2012 ha istituito l’area pedonale del lungomare con la pedonalizzazione di via Caracciolo, piazza Vittoria (tratti compresi tra via Arcoleo e le confluenze con via Partenope e via Caracciolo), via Partenope, via Nazario Sauro.
Secondo la difesa appellante tale scelta sarebbe in contrasto con quanto indicato nel PGTU, che avrebbe previsto una limitata pedonalizzazione solo in un tratto di via Caracciolo e con senso unico di circolazione sul parallelo viale Dhorn.
In primo luogo, si deve rilevare, come sopra evidenziato, che il piano generale del traffico non può ritenersi totalmente limitativo delle scelte discrezionali della giunta comunale, che esercita un potere in concreto, pur in conformità agli obiettivi fissati dall’art. 36 del codice della strada e, in particolare, del PGTU.
Infatti, in base alla disposizione dell’art. 36 comma i piani di traffico stabiliscono “ le priorità e i tempi di attuazione degli interventi ”;hanno quindi una funzione pianificatoria di carattere generale.
In particolare, il PGTU del Comune di Napoli approvato nel 1992 e aggiornato nel 2002- 2004, prevede espressamente che il piano generale “ non deve proporre piani particolareggiati o esecutivi”... i quali “costituiscono un livello di progettazione successivo a quello del PGTU e sono orientati a interventi specifici, come l’istituzione di zone a traffico limitato o aree pedonali ” ;ha però previsto alcune proposte di intervento, elaborate dal servizio traffico e viabilità “ a titolo semplificativo ” espressamente affermando che: “ queste ipotesi di lavoro saranno utilizzate come base di partenza per la predisposizione dei piani particolareggiati ed esecutivi”. Tra le proposte di intervento, per il bacino centrale e Posillipo sono indicate il rafforzamento della ZTL di Chiaia, l’estensione della pedonalizzazione di via Caracciolo al tratto compreso tra via Sannazzaro e Piazza della Repubblica, la pedonalizzazione di largo Sermoneta e primo tratto di via Caracciolo ( facendo riferimento alla sperimentazione nei giorni festivi in particolare del periodo estivo);tali interventi venivano indicati come “ fortemente complementari perché la loro attuazione congiunta determina la pedonalizzazione quasi totale da largo Sermoneta all’incrocio con viale Dhorn. La loro istituzione e l’applicazione di un ulteriore intervento di pedonalizzazione (già sperimentato con successo nel periodo estivo) di via Partenope e via Nazario Sauro da piazza Sannazzaro a via Acton con deviazione del flusso veicolare su via Arcoleo e tunnel della Vittoria determina una continuità pedonale totale sul lungomare da largo Sermoneta al Molo Beverello”.
Tale proposta del PGTU è stata espressamente richiamata anche nella delibera impugnata.
Si deve poi considerare che le linee strategiche poste dal PGTU ed espressamente richiamate nella delibera del 19 novembre 2012, indicano le seguenti finalità: “ garantire una mobilità efficiente nel rispetto dei vincoli ambientali ”;“ migliorare la vivibilità e le condizioni ambientali degli spazi urbani, in particolare delle aree più congestionate, e in tutte quelle centrali e periferiche, che soffrono per una circolazione non più compatibile con le loro specifiche caratteristiche urbanistiche- architettoniche ”;“ rendere più efficaci le condizioni generali della mobilità pedonale”;“garantire una migliore accessibilità con il trasporto pubblico ” .
In relazione a tali obiettivi sono state indicate nel piano le strategie di intervento, tra cui: incentivare l’uso del trasporto collettivo sia su ferro che su gomma;classificare la rete stradale e regolamentare la circolazione promuovendo l’uso di itinerari esterni alle zona centrali/storiche (anche con drastiche limitazioni all’accesso);costituire una politica organica della sosta su strada;rafforzare il sistema di aree ambientali, comprendenti aree pedonali e zone a traffico limitato, in modo da disincentivare i flussi di attraversamento delle zone centrali di ogni bacino;garantire continuità, sicurezza e qualità ambientale ai percorsi pedonali, riservando ad essi nei punti più significativi e qualificati della città, aree ambientali con forte presenza di aree pedonalizzate.
L’ampia pedonalizzazione del lungomare, quindi, oltre che espressamente prevista tra le proposte indicate nel piano generale del traffico, dava precisa attuazione agli obiettivi e alle strategie previste nel PGTU, a cui la delibera riteneva di dare attuazione, in funzione della riduzione delle emissioni inquinanti, della maggiore vivibilità della città, del suo rilancio economico e turistico.
Tale scelta rientrava, quindi, nel potere della giunta comunale, essendo in linea con gli obiettivi del piano di potenziamento delle aree pedonalizzate, peraltro condivise anche dal consiglio comunale nella seduta del 13 giugno 2012, anch’essa espressamente richiamata dalla delibera della Giunta.
Non si può poi ritenere tale scelta, rientrante nella discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, manifestamente illogica o irragionevole in relazione alla unicità, sotto il profilo panoramico e paesaggistico, del lungomare di Napoli, alla forte vocazione turistica dell’area, e, quindi, alle esigenza di tutela ambientale e riqualificazione dell’intera area.
In ogni caso, anche il riferimento contenuto al punto 9.1.3 del PGTU a “ piazze o singole strade che non presentino significativa rilevanza nella rete stradale primaria ”, considerato dalla parte appellante la norma di riferimento applicabile, affida alla Amministrazione il potere di valutare tale significativa rilevanza rispetto alla mobilità cittadina;pertanto, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, non preclude in assoluto l’istituzione di aree pedonali in tutte le strade qualificate come primarie ma rimette, anche sotto tale profilo, alle scelte dell’autorità amministrativa la loro concreta individuazione.
Peraltro, ritiene il Collegio che, sul punto, la questione sia integralmente superata dalle indicazioni della variante al PRG approvata nel 2004, che ha escluso dalla viabilità primaria le vie del lungomare.
Non si può, infatti, condividere quanto sostenuto dalla difesa appellante, per cui, da una parte, il piano generale del traffico deve conformarsi agli strumenti urbanistici (in base all’art. 36 comma 4), dall’altra, in un caso in cui deve ritenersi prevalente la disciplina sopravvenuta del piano regolatore generale, si sostiene che questo non avrebbe effetti rispetto alla disciplina della mobilità.
La giurisprudenza di questo Consiglio è, infatti, costante nel ritenere che la pianificazione urbanistica sia espressione di un potere ampio e funzionalizzato di governo del territorio discendente direttamente dalla indicazione prevista dall'art. 117 della comma 3 Costituzione, che si esplica, non solo nella individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale e alla disciplina della edificazione dei suoli, ma in tutte le modalità di utilizzo delle aree, nel quadro di rispetto e di positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati, trattandosi di un intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo (Consiglio di Stato, sez. IV, 22 febbraio 2017, n. 821;id.1 giugno 2018, n. 3314;Sez. II, 14 novembre 2019, n. 7839).
L’esclusione delle strade del lungomare dalla viabilità primaria, contenuta nel PRG del 2004 risponde, quindi, ad una precisa finalità anche in termini di mobilità cittadina, che la delibera comunale del 2012 non poteva non prendere in considerazione.
Inoltre, lo stesso punto 18.1.5.1.4 del PGTU, citato dalla difesa appellante, fa riferimento ad una ampia area pedonale lungo via Caracciolo, indicando interventi parziali da realizzare in fasi successive, per cui non si può ritenere che gli interventi espressamente indicati fossero gli unici consentiti dal PGTU, anche in relazione alla natura di atto generale di programmazione di tale piano, mentre gli specifici provvedimenti istitutivi delle aree pedonali rimangono attribuiti alla competenza della giunta comunale ( e in caso di emergenza del Sindaco), ai sensi dell’art. 7 del codice della strada.
Del tutto irrilevante è, poi, il riferimento contenuto nell’appello, al piano della protezione civile, nel qual il lungomare è indicato come via di fuga, essendo evidente che, in caso di emergenza, possano e debbano essere utilizzate anche vie ordinariamente interdette al traffico, come del resto confermato dalla stessa relazione del dirigente del Servizio mobilità sostenibile del Comune di Napoli del 28 giugno 2013, depositata dalla difesa resistente nel giudizio di primo grado, che fa riferimento al “ mantenimento di corsie di emergenza e di soccorso e sistemi tecnologici per consentire l’uso veicolare del lungomare in caso di problemi o emergenze ”.
Altresì, irrilevante, è il riferimento alle osservazioni del Segretario generale del Comune di Napoli rispetto alla delibera approvata nella seduta del 19 novembre 2012, in quanto in tali osservazioni si indica solo che “ non è esplicitamente attestata, nell’ambito del provvedimento in oggetto, la coerenza del piano particolareggiato del traffico con il piano generale del traffico urbano ”. Si tratta, dunque, di un rilievo meramente formale, per cui il dirigente avrebbe dovuto attestare in sede di proposta di delibera tale coerenza;da tale riferimento di carattere formale non si può, dunque, inferire alcun elemento concreto relativo ad una verifica di non coerenza del piano particolareggiato con il PGTU.
Le considerazioni sopra riportate circa l’ambito di discrezionalità, comunque, attribuito al Comune dal PGTU e circa le previsioni degli interventi di pedonalizzazione già nel PGTU comportano la infondatezza anche del terzo motivo di appello, con cui si sostiene l’incompetenza della Giunta comunale ad adottare la delibera impugnata che, nella sostanza, sarebbe una variante del PGTU e, quindi avrebbe dovuto essere adottata dal consiglio comunale.
Infatti, le misure adottate si pongono nell’ambito delle competenze della giunta comunale, secondo quanto indicato dall’art. 7 comma 9 del d.lgs. 285 del 1992 sopra citato e danno attuazione alle linee già poste dal piano generale del traffico urbano.
L’appello principale è quindi infondato e deve essere respinto.
Deve procedersi all’ulteriore esame dell’appello incidentale proposto dal Comune di Napoli, trattandosi di impugnativa autonoma avverso il capo della sentenza di accoglimento parziale del ricorso di primo grado.
La difesa comunale contesta tale capo della sentenza, in primo luogo, sostenendo la mancanza di interesse dei ricorrenti sul punto, non essendo dedotto alcunché sul loro interesse ad evitare il pagamento della tariffa d’accesso;poi censura le affermazioni del giudice di primo grado, con cui è stata ritenuta illegittima la previsione della tariffa di accesso alla ZTL, in mancanza della indicazione dell’accesso a pagamento in sede di PGTU, secondo quanto previsto dalla circolare del Ministero dei Lavori pubblici del 21 luglio 1997, sostenendo l’erroneità delle affermazioni del giudice di primo grado, in quanto la circolare attuativa del Ministero dei Lavori pubblici del 21 luglio 1997 non potrebbe avere natura vincolante, mentre, a ritenerla di contenuto normativo, sarebbe illegittima per violazione dell’art. 7 comma 9 del codice della strada, per violazione della delega e per incompetenza, avendo disposto oltre i poteri attribuiti dalla norma e dovrebbe, quindi essere disapplicata;comunque la “ZTL del mare” non prevederebbe una tariffa per l’accesso, ma solo la limitazione della circolazione, riservata ad alcune categorie (residenti, carico e scarico merci, imprese di manutenzione e servizi, officine, alberghi, autorimesse, posti auto fuori dalla sede stradale), per le quali, avendo diritto all’accesso, sarebbe previsto il pagamento di una somma per il costo derivante dalla gestione del servizio di accesso (ovvero del contrassegno rilasciato nonché del sistema di controllo degli accessi), ripartito in maniera differenziata tra le varie categorie interessate;tale costo non rientrerebbe, quindi, nella previsione della circolare e sarebbe ammesso anche senza l’apposita previsione nel piano generale del traffico.
Sull’interesse a ricorrere, a prescindere dalla genericità delle argomentazioni della difesa comunale, è evidente la sussistenza dell’interesse, essendo differente un regime di ZTL non a pagamento da quello in cui è prevista una tariffa d’accesso, che - evidentemente -comporta una ulteriore limitazione alla circolazione, pur da parte delle categorie individuate come aventi diritto all’accesso.
Nel merito il motivo di appello è infondato.
Ai sensi dell’art. 7 comma 9 terzo periodo, del d.lgs. n. 285/1992, “ I comuni possono subordinare l'ingresso o la circolazione dei veicoli a motore, all'interno delle zone a traffico limitato, anche al pagamento di una somma. Con direttiva emanata dall'Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale entro un anno dall'entrata in vigore del presente codice, sono individuate le tipologie dei comuni che possono avvalersi di tale facoltà, nonché le modalità di riscossione del pagamento e le categorie dei veicoli esentati .”
Con la circolare del Ministero dei Lavori pubblici del 21 luglio 1997, prot. n. 3816, sono state poste le direttive. In particolare nelle premesse si afferma: “ La tariffazione degli accessi alle zone a traffico limitato si inserisce nelle strategie generali d'intervento per migliorare la mobilità urbana previste dalle Direttive per la redazione, adozione ed attuazione dei Piani urbani del traffico, emanate da questo Ministero il 24 giugno 1995, e più precisamente rappresenta una forma mediata di disincentivazione dell'uso dei veicoli a motore per il trasporto individuale privato attraverso l'intervento sulla domanda di mobilità.
Considerato che tale domanda non può in alcun modo essere limitata ma unicamente orientata verso modalità alternative di trasporto, a carattere o spaziale o temporale o modale, ne deriva che la tariffazione degli accessi non può essere considerata una misura a se stante ma deve essere studiata ed attuata nell'ambito delle strategie generali d'intervento del Piano urbano del traffico .” Sono state individuate poi le tipologie di Comuni con le seguenti indicazioni: “ I comuni per poter subordinare l'accesso alle zone a traffico limitato al pagamento di una somma devono:
- aver istituito una ZTL (zona a traffico limitato) ai sensi dell'art. 7, comma 9 del NCS;
- aver adottato il Piano urbano del traffico ai sensi dell'art.36 del NCS;
- aver introdotto la tariffazione degli accessi alla ZTL all'interno del Piano urbano del traffico, avendo verificato che tale provvedimento (che costituisce una ulteriore misura di selezione rispetto alla limitazione dell'accesso ad ore prestabilite o a particolari categorie di utenti e di veicoli a motore) si rende effettivamente necessario per il raggiungimento degli obiettivi del Piano urbano del traffico. Di tale verifica deve essere data documentazione in uno specifico paragrafo della relazione tecnica che accompagna il suddetto Piano.
E' ammessa l'adozione della tariffazione degli accessi per i comuni che non hanno ancora adottato il Piano urbano del traffico, unicamente in via sperimentale e per un periodo non superiore ad un anno, a condizione che nella relazione tecnica che dovrà accompagnare il progetto di tariffazione siano precisati gli obiettivi ed i relativi criteri di verifica .”
Sulla base di tali indicazioni, correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto illegittima la delibera del 19 novembre 2012, nella parte relativa agli accessi a pagamento.
Escluso che, nel caso di specie, si tratti di un accesso a pagamento disposto in via sperimentale, la disciplina della circolare comportava che l’introduzione dell’accesso a pagamento fosse consentito solo in caso di analoga previsione contenuta nel PGTU.
Non si può, infatti, condividere quanto sostenuto dalla difesa comunale circa la natura non vincolante della circolare sul punto.
Infatti, si tratta di un provvedimento adottato sulla base del potere espressamente attribuito dall’art 7 comma 9 del codice della strada, di individuare “le tipologie dei comuni che possono avvalersi ” della facoltà di prevedere gli accessi a pagamento.
Pertanto, la previsione relativa all’inserimento degli accessi al pagamento del piano generale del traffico, rientrava pienamente nel potere normativo, di carattere discrezionale, attribuito dalla norma di legge al Ministero.
Infatti, in base dell’ampia nozione della disposizione, il Ministero poteva prevedere anche appositi oneri procedimentali per i Comuni che volessero procedere alla tariffazione degli accessi.
Non vi sono, quindi, elementi per ritenere che il potere esercitato abbia fuorviato dai limiti indicati o che sia in contrasto con quanto previsto dalla norma di legge.
Peraltro, neppure si può condividere la ricostruzione del Comune in ordine alla configurazione del costo del servizio.
In primo luogo la circolare non fa alcuna distinzione del tipo di accessi a pagamento eventualmente previsti dal Comune, se riguardante tutti i cittadini o solo alcune categorie.
Inoltre, è evidente, con riferimento al caso di specie, sia in base alla quantificazione delle tariffe d’accesso (individuate da 10 fino a 200 euro), sia, in particolare, per la diversa parametrazione dei costi in relazione alle diverse categorie di aventi diritto (residenti, titolari di posto auto fuori dalla sede stradale, clienti degli alberghi e autorimesse) che la commisurazione della tariffa sia avvenuta in funzione delle diverse esigenze di accesso;inoltre, rispetto ad una medesima categoria, quale quella dei residenti, vi è una forte diversificazione in relazione al tipo di veicolo per cui si consente l’accesso (se di potenza inferiore o superiore a 231 cavalli), introducendo quindi, nella sostanza, un ulteriore elemento di limitazione all’accesso.
Pertanto, neppure può essere considerata la previsione di tale tariffa, quale un semplice costo commisurato al rilascio del contrassegno e alla gestione dei varchi, che avrebbe potuto essere così qualificato, al limite, in caso di una somma predeterminata in misura uguale per tutti i conducenti, oltre che molto contenuta (ad esempio, nella misura di qualche euro), tale non configurare un effettivo costo per l’accesso, teso ad una sua limitazione, ma solo un corrispettivo per il rilascio del documento di accesso;si tratta, invece, di una disciplina di regolamentazione della disciplina degli accessi a pagamento, integralmente soggetta alle disposizioni della circolare ministeriale.
L’appello incidentale è quindi infondato e deve essere respinto.
La reiezione dell’appello principale e dell’appello incidentale comporta la conferma della sentenza impugnata.
In relazione alla soccombenza di entrambe le parti del giudizio, le spese del presente grado possono
essere compensate.