Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza breve 2024-03-27, n. 202402910
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Pubblicato il 27/03/2024
N. 02910/2024REG.PROV.COLL.
N. 01935/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex
artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 1935 del 2024, proposto da:
Società B F e B M in persona dei soci responsabili in solido e legali rappresentanti
pro tempore
, B F e B M, rappresentata e difesa dall’Avvocato C T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Udine, via Mercatovecchio n. 28;
contro
Ader Agenzia delle Entrate Riscossione e Agea Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, in persona dei legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentate e difese dall'Avvocatura Generale dello Stato presso la quale sono domiciliate, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna - Sezione staccata di Parma (Sezione Prima) n. 00233/2023, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ader ed Agea;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2024 il Cons. M P;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale.;
Verbalizzato l’avviso ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Gli odierni appellanti, soci dell’Azienda agricola « B F e B M », con ricorsi iscritti ai nn. 328/2021 (Marco Basili) e 329/2021 (Fausto Basili), impugnavano dinanzi al Tar Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, le intimazioni emesse in ragione del mancato pagamento delle cartelle loro notificate nel 2018 a titolo di « prelievo latte » per le campagne 1995/1996, 1996/1997 e 2000/2001.
Il Tar, con sentenza n. 233 del 19 luglio 2023, previa riunione dei citati ricorsi, li dichiara inammissibili sul rilievo:
che la cartella di pagamento del 2018, a suo tempo notificata all’azienda Agricola veniva impugnata con ricorso dichiarato inammissibile con sentenza n. 254 del 2 settembre 2022, non appellata;
che la definitività della cartella di pagamento consente la contestazione della conseguente intimazione di pagamento unicamente per vizi propri « e non già per vizi suscettibili di rendere nulla od annullabile la cartella di pagamento presupposta (v. Cons. Stato, Sez. III, 17 maggio 2022 n. 3910) ».
I soci impugnavano la citata sentenza, con contestuale domanda cautelare, deducendo:
1. « sulla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi in ragione del giudizio proposti avverso la cartella di pagamento prodromico imputazioni di prelievo, in cui il ricorrente è risultato soccombente e per omessa impugnazione della cartella di pagamento antecedentemente notificata. Violazione di legge »:
- invocando il principio per il quale « la mancata impugnazione della cartella di pagamento da parte dell’obbligato non determina alcuna preclusione, ben potendo il debitore proporre le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, a norma dell’art. 29 d.lgs. n. 46 del 1999, nelle forme ordinarie, ossia ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c. »;
- sostenendo che, per quanto concerne il giudicato interno formatosi all’esito dell’impugnazione della cartella, sarebbe « suscettivo di rescissione anche dopo la sua formazione vuoi come giudicato formale, vuoi come giudicato sostanziale, allorquando esso per fatti sopravvenuti rispetto al momento del suo consolidamento, divenga illegittimo o incostituzionale per contrasto manifesto con il diritto unionale e/o con le norme costituzionali »;
2. « illegittimità derivata e diretta della sentenza impugnata per manifesta e grave violazione del diritto unionale Questione di illegittimità unionale della statuizione endogena contestata per grave e manifesto contrasto con il diritto unionale. Questione di legittimità costituzionale per violazione dei principi espressi dai precetti delle norme degli artt.3-10-27-111 Cost.» invocando la nullità e/o annullabilità della sentenza «viziata da manifesta e endemica illegittimità per palese e dichiarato contrasto con il diritto unionale » per avere il Tar ignorato e disapplicato « principi di diritto sovranazionale cogente inerenti la annullabilità del prelievo supplementare imputato agli Allevatori Nazionali dal 1995/1996, prima campagna di prelievo del sistema di contingentamento, sino almeno al 2009/2010 quando peraltro vi fu compensazione nazionale del prelievo supplementare latte» omettendo di «recepire il precetto unionale della assoluta necessarietà del ‘ricalcolo’ da parte di Agea del prelievo imputato in Italia, almeno sino al 2009 »;
3. « violazione di legge ed eccesso di potere giurisdizionale della statuizione della sentenza impugnata inerente l’eccepito contrasto con il diritto unionale per contrasto e disapplicazione dei principi espressi 9 dal Consiglio di Stato in plurime adunanze ed arresti in materia qua - Vizio di illegittimità diretta - originaria e derivata della statuizione della sentenza impugnata per violazione di legge » sostenendo che la sentenza sarebbe « viziata da patologici ed insuperabili vizi di illegittimità derivata ed originaria per contrasto con gli stessi principi e con l’ermeneutica, in materia qua espressi dall’adito Consiglio di Stato » in tema di obbligo di « disapplicazione preventiva degli atti amministrativi afferenti la comminatoria dei prelievi supplementari illegittimi e nulli nel nostro ordinamento, disapplicazione per manifesta illegittimità derivata unisonale ».
All’esito della camera di consiglio del 26 febbraio 2024, fissata per la discussione dell’istanza cautelare, ricorrendo i presupposti per la definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., la causa veniva decisa.
Gli illustrati capi d’impugnazione possono essere scrutinati congiuntamente stante la sostanziale omogeneità e interconnessione delle questioni che ne costituiscono oggetto premettendo, per completezza di trattazione che, precedentemente all’emissione della cartella di interesse nel presente giudizio, costituivano oggetto di impugnazione da parte degli odierni appellanti dinanzi al Tar Lazio anche le « comunicazioni inviate alle ricorrenti ai sensi dell’art. 1 del D.L. n. 43 del 1999 relative alla compensazione nazionale per le annate lattiere 1995/1996 e 1996/1997 », nonché, le « comunicazioni AGEA notificate il 25-26 luglio 2001 ai primi acquirenti del latte, contenenti le imputazioni nei confronti dei ricorrenti del prelievo supplementare 2000/2001 » (il primo ricorso veniva dichiarato estinto con sentenza n. 2195 del 5 marzo 2012, non impugnata dagli appellanti;il secondo, veniva respinto con sentenza n. 2218 del 26 febbraio 2014, anch’essa non impugnata).
L’appello è infondato.
Quanto al tema del regime di invalidità applicabile al provvedimento amministrativo nazionale in contrasto con la disciplina unionale, la Sezione ha recentemente ribadito che « in ordine al regime dei provvedimenti amministrativi nazionali assunti in violazione del diritto europeo, la giurisprudenza ampiamente prevalente ha evidenziato che il contrasto di un atto amministrativo con il diritto europeo costituisce sempre e solo motivo di annullabilità e non di nullità (cfr. ex plurimis , da ultimo, Cons. Stato, VI, 29 dicembre 2023, n. 11301;Cons. Stato, VI, 29 novembre 2023, n. 10303;Cons Stato, VI;7 agosto 2023, n. 7609) » chiarendo che « l’atto amministrativo che viola il diritto dell’Unione europea è affetto da annullabilità per vizio di illegittimità sotto forma di violazione di legge e non da nullità, atteso che l’art. 21 septies della l. 7.8.1990, n. 241, ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo e tra queste ipotesi non rientra il contrasto con il diritto dell’Unione europea » (Cons. Stato, Sez. VI, 9 febbraio 2024 n. 1316).
Ciò in coerenza con la natura autoritativa delle determinazioni amministrative che non viene meno « quando - come nella specie, in materia di quote latte - il contrasto col diritto europeo non ha riguardato la disposizione attributiva del potere, ma una regola sui criteri da seguire per il legittimo esercizio del potere" (v. anche in tal senso Cons. Stato, Sez. III, 20 luglio 2022, n. 6333) » (Cons. Stato, Sez. III, 28 settembre 2022, n. 8343».
Chiarito il regime di invalidità dell’atto in termini di annullabilità, il preteso vizio non può che essere fatto valere nel termine decadenziale con la conseguenza che la mancata tempestiva impugnazione o, come nel caso di specie, l’accertata (in via definitiva) inammissibilità della stessa non consente che il medesimo vizio possa essere fatto valere nei confronti degli atti a valle.
Da tale impostazione discende che se il provvedimento presupposto non viene impugnato o non ne viene in ogni caso riconosciuta l’illegittimità all’esito del giudizio, il vizio di contrarietà al diritto unionale non è più contestabile né, a tale preclusione, può porsi rimedio gravando « atti a valle rispetto a quelli nei confronti del quale si sarebbe potuto e dovuto dedurre il vizio di legittimità che inficia l’atto » (Cons. Stato, Sez. VI, 2 gennaio 2024, n. 8) restando, quindi, cristallizzata la censurata cartella della quale l’intimazione impugnata non rappresenta che un atto consequenziale necessitato.
Pretestuose sono, pertanto le doglianze di parte ricorrente circa l’inopponibilità del giudicato formatosi in ordine alla cartella posto che, come già evidenziato dalla Sezione, « la giurisprudenza europea, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, ha posto ugualmente in rilievo che la certezza del diritto è inclusa tra i principi generali riconosciuti nel diritto comunitario, sicché “il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza dei termini ragionevoli di ricorso in seguito all’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a tale certezza e da ciò deriva che il diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo” (cfr. sentenza Kuhne - Heitz del 13 gennaio 2004). Nello stesso senso, la giurisprudenza europea successiva ha evidenziato come, nel rispetto dei principi di equivalenza ed effettività, il principio della certezza nei rapporti giuridici non determina che gli stessi, una volta esauriti, debbano essere messi nuovamente e continuamente in discussione per effetto di una sentenza della Corte di Giustizia che sancisca la sostanziale incompatibilità di un determinato atto con la normativa europea (le stesse recenti sentenze della