Consiglio di Stato, sez. III, sentenza breve 2023-09-15, n. 202308351

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza breve 2023-09-15, n. 202308351
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202308351
Data del deposito : 15 settembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/09/2023

N. 08351/2023REG.PROV.COLL.

N. 05694/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 5694 del 2023, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato A R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

il Ministero dell’Interno e la Prefettura della Provincia di Reggio Emilia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

per la riforma

della sentenza breve del Tar Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, n. -OMISSIS-, non notificata, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza nonché dell’ingiunzione di pagamento della somma di € 38.125,06.


Visto il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Prefettura della Provincia di Reggio Emilia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore alla camera di consiglio del 14 settembre 2023, il Cons. G F e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Considerato che nella suddetta camera di consiglio il Collegio, chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare di sospensiva dell’atto impugnato, ha deciso di definire immediatamente il giudizio nel merito con sentenza resa ai sensi dell’art. 60 c.p.a., e ne ha dato comunicazione (riportandola a verbale) ai difensori presenti delle parti in causa;

Considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:


FATTO

1. Con provvedimento del 13 luglio 2022, il Prefetto di Reggio Emilia ha disposto la revoca delle misure di accoglienza del cittadino straniero, signor -OMISSIS-, sul presupposto che nel caso di specie si fosse inverata la fattispecie prevista dall’art. 23, comma 1, lett. d), d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, il quale prevede che il Prefetto dispone con proprio motivato decreto la revoca delle misure di accoglienza in caso di accertamento della disponibilità da parte del richiedente di mezzi economici sufficienti. Nello specifico, lo straniero, in forza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato ha percepito un trattamento retributivo superiore all’importo dell’assegno sociale annuo (€ 6.085,43), pari ad € 9.929,00 (anno 2018), € 9.788,00 (anno 2019) e € 7.559,89 (anno 2020).

Con provvedimento di pari data, il Prefetto ha ingiunto allo straniero di versare la somma di € 38.125,06 quale rimborso dei costi sostenuti per le misure di cui ha indebitamente usufruito a partire dal momento del superamento della soglia dell’assegno sociale e fino alla data del 19 agosto 2021 (data in cui lo straniero ha rassegnato le dimissioni dal progetto di accoglienza).

2. Con ricorso proposto dinanzi al Tar Parma, lo straniero ha impugnato i suddetti provvedimenti, deducendo la violazione dell’art. 17, par. 3 e 4, dell’art. 20 par. 3, 5 e 6 della direttiva 2013/33/UE e dell’art. 23, comma 6, d.lgs. n. 142 del 2015, l’eccesso di potere per assenza dei presupposti per la misura della revoca dell’accoglienza e l’eccesso di potere per omessa istruttoria e per incongruità del rimborso richiesto.

3. Con sentenza breve n. -OMISSIS-, il Tar Parma ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di idonea procura alle liti in capo al difensore del ricorrente.

4. La citata sentenza n. -OMISSIS- è stata impugnata con appello notificato il 27 giugno 2023 e depositato il successivo 30 giugno, contestando la declaratoria di inammissibilità del ricorso di prime cure e riproponendo le censure non esaminate dal primo giudice.

5. Il Ministero dell’Interno e la Prefettura della Provincia di Reggio Emilia si sono costituiti in giudizio senza espletare difese scritte.

6. Alla camera di consiglio del 14 settembre 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In camera di consiglio il Collegio, chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare di sospensiva dell’impugnata sentenza del Tar, ha deciso di definire immediatamente il giudizio nel merito con sentenza resa ai sensi dell’art. 60 c.p.a., e ne ha dato comunicazione (riportandola a verbale) ai difensori presenti delle parti in causa.

Rileva il Collegio che la mancata comparizione delle parti, pur regolarmente costituite, nella camera di consiglio di trattazione dell’istanza di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato non è di ostacolo alla definizione del giudizio nel merito, una volta che il Collegio abbia accertato la sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’istituto della sentenza con motivazione resa in forma semplificata, trattandosi di apprezzamento rimesso alla sua valutazione discrezionale nel superiore interesse generale alla sollecita definizione dei processi (Cons. St., sez. III, 29 dicembre 2022, n. 11543;
sez. VI, 8 novembre 2022, n. 9807;
sez. III, 1 febbraio 2012, n. 506). La scelta delle parti in causa di non comparire nella camera di consiglio fissata per la discussione della domanda cautelare non può dunque costituire ostacolo alla rapida definizione del giudizio, così frustrando, anche mediante eventuali strategie dilatorie, la ratio acceleratoria che presiede al cit. art. 60 c.p.a. e il principio costituzionale (art. 111 Cost.), che ne sta a fondamento, della ragionevole durata del processo;
la mancata comparizione alla camera di consiglio delle parti costituite non può quindi impedire la definizione del giudizio nel merito ai sensi e per gli effetti del cit. art. 60 c.p.a., risultando la tutela dell’interesse, eventualmente contrario, delle parti costituite sufficientemente garantito una volta che risulti assodata la ritualità della trattazione dell’istanza cautelare, sicché l’assenza volontaria della parte alla detta camera di consiglio non può avere l’effetto di precludere in radice la conversione del rito, che è potere a chiara caratterizzazione ufficiosa (Cons. St., sez. III, 7 luglio 2014, n. 3453).

2. Giunge all’esame del Collegio la sentenza del Tar Parma che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dallo straniero per difetto di idonea procura speciale ad litem.

In particolare, secondo il primo giudice, la procura conferita reca un generico richiamo al “presente giudizio” e indica il difensore senza alcun altro riferimento utile all’individuazione della controversia da instaurare, né quest’ultima risulta evincibile dall’inserimento della procura nel corpo del ricorso (a margine o in calce), atteso che il ricorso è stato notificato in formato digitale e la procura è stata conferita su supporto cartaceo depositato nel fascicolo processuale dal difensore in via telematica, a mezzo di copia per immagine su supporto informatico. Inoltre, la “procura apposta in calce” sarebbe funzionale unicamente all’attribuzione al difensore del potere di certificare l’autografia della sottoscrizione del soggetto che rilascia il mandato alla lite, ma non rileva ai fini dell’accertamento del contenuto minimo della procura speciale “in calce” per la stessa validità della procura che, se priva degli elementi identificativi della lite da instaurare, non può quindi comunque ritenersi idonea a legittimare la posizione del difensore in giudizio.

L’odierno appellante ha contestato tale decisione prospettando l’esistenza di una valida procura, ai sensi dell’art. 40 c.p.a. e comunque la sanabilità dell’eventuale vizio, ex artt. 39 c.p.a. e 182 c.p.c.

In particolare, la procura speciale firmata dall’allora ricorrente è stata notificata alle controparti unitamente al ricorso cui fa riferimento, con espressa ed esplicita indicazione della correlazione tra procura e ricorso in seno alla relata di notificazione. Secondo lo straniero vi è procura speciale pur in assenza di alcun specifico riferimento al giudizio da instaurare, per il solo fatto che la procura sia apposta a margine o in calce al ricorso, poiché tale collegamento documentale è idoneo ad esprimere la volontà del conferente di adire il giudice stesso. E tale è la procura firmata dall’allora ricorrente ai sensi dell’art. 8, comma 3, d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 (Regolamento recante le regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico), secondo cui la procura alle liti si considera apposta in calce all’atto cui si riferisce quando è rilasciata su foglio separato dal quale è estratta copia informatica, anche per immagine, depositato con modalità telematiche unitamente all’atto cui si riferisce.

Le deduzioni di parte appellante devono essere condivise.

Il Collegio non ignora che sulla questione prospettata, relativa all’interpretazione delle disposizioni che riguardano la procura in relazione, in particolare, al processo telematico, non vi sia univoca giurisprudenza. Occorre tener conto, infatti, non solo della previsione recata dall’art. 40, comma 1, lett. g), c.p.a. che si riferisce al ricorso giurisdizionale, ma anche della disposizione recata dall’art. 8, comma 3, d.P.C.M. n. 40 del 2016 secondo cui: “La procura alle liti si considera apposta in calce all’atto cui si riferisce: a) quando è rilasciata su documento informatico separato depositato con modalità telematiche unitamente all’atto a cui si riferisce;
b) quando è rilasciata su foglio separato del quale è estratta copia informatica, anche per immagine, depositato con modalità telematiche unitamente all’atto a cui si riferisce”.

Nella stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato si sono registrate diverse pronunce.

Alcune (cfr. da ultimo, Cons. St., sez. VII, 7 febbraio 2023, n. 1346) hanno ritenuto che la procura, per poter essere qualificata “speciale”, deve indicare l’oggetto del ricorso, le parti contendenti, l’autorità davanti alla quale il ricorso deve essere proposto e ogni altro elemento utile alla individuazione della controversia e, qualora priva di tali requisiti, è stata ritenuta inidonea, con conseguente declaratoria di inammissibilità del gravame e mancato riconoscimento dell’errore scusabile. Né è stata ritenuta utile per una decisione di segno opposto, la richiamata disposizione di cui all’art. 8 delle norme tecniche, per il rilievo che “la disposizione in questione opera una fictio iuris per parificare nell’ambito del processo telematico il documento informatico contenente la procura, allegato al ricorso, alla procura apposta materialmente in calce al ricorso;
tuttavia, tale disposizione non può valere a sanare i vizi della procura. In altre parole, non può essere invocata a favore dell’appellante la giurisprudenza secondo la quale, nel caso di procura al difensore apposta in calce o a margine del ricorso, il requisito della specialità resta assorbito dal contesto documentale unitario, derivando direttamente dalla relazione fisica tra la delega e il ricorso, nonostante la genericità del testo della prima. Nel processo amministrativo telematico, la procura speciale rilasciata su foglio separato deve contenere necessariamente l’indicazione della specifica controversia cui si riferisce il mandato, non potendo supplire alla mancanza di specificità la circostanza che la procura contenuta nel documento informatico “procura alle liti” sia considerata dalle norme tecniche come “apposta in calce” al ricorso.

Altre (cfr. da ultimo, Cons. St., sez. V, 5 luglio 2023, n. 6586), hanno ritenuto che la qualificazione di una procura come generale o speciale è una questione di interpretazione della volontà del conferente la procura che la giurisprudenza civile e amministrativa risolve alla luce del suo contenuto: vi è procura speciale non solo qualora in essa la parte abbia indicato gli elementi essenziali del giudizio, come le parti ovvero, per i gradi di impugnazione, la sentenza da impugnare, o anche l’autorità giudiziaria da adire ma anche, in alcuni casi, pur in assenza di alcun specifico riferimento al giudizio da instaurare, per il solo fatto che la procura sia apposta a margine o in calce al ricorso, poiché tale collegamento documentale è idoneo ad esprimere la volontà del conferente di adire il giudice stesso.

Altre ancora (cfr. Cons. St., sez. III, 7 dicembre 2020, n. 7723), rilevate le diverse interpretazioni giurisprudenziali, hanno quantomeno riconosciuto l’errore scusabile.

Così sommariamente ricostruita la giurisprudenza sul tema oggetto della presente controversia, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale patrocinato dalla richiamata sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato (5 luglio 2023, n. 6586) secondo cui la procura rilasciata su foglio separato è valida purché notificata unitamente all’atto cui accede, poiché la collocazione della procura è comunque idonea a conferire certezza circa la provenienza del potere di rappresentanza ed a generare la presunzione di riferibilità della procura al giudizio cui accede.

La specialità della procura rilasciata dall’allora ricorrente può desumersi in forza della collocazione della stessa in sede di notifica. La procura, infatti, è stata notificata alle controparti unitamente al ricorso cui fa riferimento, compiendo l’asseverazione prevista dall’art. 22, comma 2, del CAD con l’inserimento della relativa dichiarazione in un distinto documento sottoscritto con firma digitale.

Orbene, la procura in questione non contiene espressioni incompatibili con la proposizione dell’impugnazione e univocamente dirette ad attività proprie di altri giudizi o di altre fasi processuali, da cui desumere la mancanza di specialità. In assenza di elementi incoerenti con la proposizione dell’impugnazione, non si intravedono valide ragioni per ritenere qui inoperante la presunzione di specialità della procura che la giurisprudenza imputa alla sua “posizione topografica” in calce o a margine del ricorso.

Il Collegio ritiene quindi che il disposto di cui all’art. 8, comma 3, lett. b), d.P.C.M. n. 40 del 2016 – secondo cui la procura alle liti rilasciata su foglio separato del quale è estratta copia informatica, anche per immagine, depositato con modalità telematiche unitamente all’atto a cui si riferisce si considera apposta in calce all’atto cui si riferisce – deve intendersi nel senso che il contesto documentale unitario è idoneo a superare ogni eventuale deficit di specialità della procura.

Inoltre, nella fattispecie, dagli atti allegati al modulo di deposito risulta che la notifica del ricorso è avvenuta con contestuale allegazione del documento informatico conforme all’originale cartaceo sul quale la procura è stata rilasciata, sicché deve ritenersi che la procura sia stata rilasciata anteriormente, o contestualmente, a tale notificazione. La mancanza di data non rileva, infatti, ai fini della validità della procura, quando sussista la certezza, desumibile dalla riproduzione della procura stessa nella copia notificata del ricorso, dell’anteriorità del conferimento del mandato rispetto alla notificazione dell’impugnazione (Cons. St., sez. IV, 15 novembre 2021, n. 7570).

Per le ragioni che precedono, la procura prodotta in prime cure deve ritenersi valida, con conseguente erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado.

3. Come è noto, la giurisprudenza della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (30 luglio 2018, n. 10;
n. 11;
5 settembre 2018, n. 14;
28 settembre 2018, n. 15) è ormai consolidata nel ritenere che l’erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado non integri una ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., norma considerata di carattere tassativo e non suscettibile di interpretazioni analogiche o estensive. La citata Adunanza Plenaria ha chiarito che la dichiarazione di irricevibilità, inammissibilità e improcedibilità estingue l’azione e consuma la potestas iudicandi: il giudice di primo grado, infatti, nel ritenere che sussista una delle ragioni litis ingressum impedientes, non abdica alla sua potestas iudicandi, ma valuta, per quanto, in ipotesi, erroneamente, che ricorra una questione preliminare idonea a definire il giudizio avanti a sé.

Pertanto, in forza del principio devolutivo (art. 101, comma 2, c.p.a.), il Consiglio di Stato deve decidere nel merito, nei limiti della domanda riproposta, sui motivi di ricorso non affrontati dal giudice di prime cure (sez. II, 19 marzo 2020, n. 1951;
sez. V, 29 dicembre 2017, n. 6158). In particolare, il giudice di secondo grado può pronunciarsi sulla domanda o sulle domande non esaminate in primo grado o erroneamente dichiarate irricevibili, inammissibili o improcedibili solo se, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a, tali domande siano state oggetto di rituale riproposizione.

4. Nel caso all’esame, l’appellante ha ritualmente riproposto in tale sede le doglianze non esaminate dal primo giudice e, in particolare, ha chiesto l’annullamento del provvedimento di revoca delle misure di accoglienza della Prefettura di Reggio Emilia, nonché dell’ingiunzione di pagamento della somma di € 38.125,06, deducendo la violazione dell’art. 17, par. 3 e 4, dell’art. 20, par. 3, 5 e 6, della direttiva 2013/33/UE e dell’art. 23, comma 6, d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, l’eccesso di potere per assenza dei presupposti per la misura della revoca dell’accoglienza e l’eccesso di potere per omessa istruttoria e per incongruità del rimborso richiesto.

Ai fini della disamina della questione controversia, il Collegio ritiene di dover richiamare la sentenza della Sezione (7 marzo 2023, n. 2386), che ha affrontato ex professo il tema della revoca delle misure di accoglienza per il superamento dei requisiti reddituali contemplati dall’art. 14, d.lgs. n. 142 del 2015 e la consequenziale richiesta di rimborso delle spese affrontate dalla Amministrazione nella erogazione dei servizi di accoglienza in favore di stranieri.

La materia dell’accoglienza degli stranieri richiedenti protezione internazionale è disciplinata, nel nostro ordinamento, dal d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, il quale costituisce trasposizione delle direttive 2013/33/UE, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, e 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.

Le condizioni di accoglienza stabilite dalla norma europea (art. 2 della direttiva 33 del 2013) prevedono “alloggio, vitto e vestiario, forniti in natura o in forma di sussidi economici o buoni (...) nonché un sussidio per le spese giornaliere”. L’art. 17 della medesima direttiva richiede che tali condizioni siano assicurate dal momento in cui è manifestata la volontà personale di richiedere la protezione e che assicurino “un’adeguata qualità di vita che garantisca il sostentamento del richiedente e ne tuteli la salute fisica e mentale”.

La direttiva 2013/33/UE prevede, poi, all’art. 20, in conseguenza del venir meno dei presupposti fondanti l’attribuzione delle misure di accoglienza, la possibilità di progressiva e graduale limitazione delle stesse fino a giungere, quale extrema ratio, alla loro revoca, consentita “in caso eccezionali debitamente motivati”.

I casi di riduzione o revoca individuati dalla direttiva sono riconducibili alle seguenti ipotesi contemplate dall’art. 20: allontanamento volontario (par. 1 lett. a);
mancanza di interesse nella procedura (par. 1, lett. b, e par. 2);
presentazione di una domanda reiterata (par. 1 lett. c);
nel caso di occultamento di risorse finanziarie e conseguente indebito godimento delle condizioni di accoglienza (par. 3) ed, infine, per gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché per comportamenti gravemente violenti (par. 4).

Le garanzie procedurali per la riduzione e la revoca dell’accoglienza sono previste, invece, dall’art. 20, par. 5, della menzionata direttiva il quale prevede espressamente che le decisioni devono essere “adottate in modo individuale, imparziale ed obiettivo e sono motivate” e “sono basate sulla particolare situazione della persona interessata, specialmente per quanto riguarda le persone contemplate all’art. 21 (soggetti vulnerabili), tenendo conto del principio di proporzionalità”;
inoltre gli Stati devono assicurare “in qualsiasi circostanza l’accesso all’assistenza sanitaria (...) e garantiscono un tenore di vita dignitoso per tutti i richiedenti”.

La collocazione di quest’ultima disposizione a sostanziale chiusura dell’art. 20 evidenzia che il principio di gradualità della sanzione e di rispetto della dignità della persona si riferiscono a tutte le violazioni indicate. Tale affermazione è stata recentemente confermata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sez. X, 1° agosto 2022, C-422/21 e ancora prima Corte di Giustizia, Grande Sezione, 12 novembre 2019, C-233/18) che, con riferimento alla sanzione della revoca, ha statuito che essa “deve, in qualsiasi circostanza, rispettare le condizioni di cui al par. 5 di tale articolo, in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana”.

L’ordinamento italiano, come detto, ha dato attuazione alla direttiva europea con il d.lgs. n. 142 del 2015 non prevedendo, tuttavia, alcuna ipotesi di graduazione della sanzione né di adeguamento alla gravità del fatto contestato alla luce del fondamentale principio di proporzionalità ragion per cui recentemente è stata adita la Corte di Giustizia (sez. X, 1° agosto 2022, C-422/21) con riferimento al caso specifico del compimento di atti gravemente violenti al di fuori di un centro di accoglienza.

Con specifico riferimento al caso di revoca della misura di accoglienza per superamento dei requisiti reddituali, questione che rileva per la risoluzione del caso sottoposto all'esame del Collegio, occorre precisare che nell'ordinamento europeo vengono in rilievo due species di revoca delle misure di accoglienza: la prima, che potremmo definire ordinaria, per venir meno dei presupposti di legge previsti per l'accesso al sistema di accoglienza, disciplinata all'art. 17 della direttiva n. 33 del 2013;
la seconda, di carattere sanzionatorio, come si evince dalla rubrica dell'art. 20, per l'occultamento delle risorse finanziarie.

In particolare, con riferimento alla revoca per venir meno dei requisiti di legge, l'art. 17 della direttiva dispone ai par. 3 e 4 che: "3. Gli Stati membri possono subordinare la concessione di tutte le condizioni materiali d'accoglienza e dell'assistenza sanitaria, o di parte delle stesse, alla condizione che i richiedenti non dispongano di mezzi sufficienti a garantire loro una qualità della vita adeguata per la loro salute, nonché ad assicurare il loro sostentamento.

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