Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-02-29, n. 201600848

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-02-29, n. 201600848
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201600848
Data del deposito : 29 febbraio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07948/2011 REG.RIC.

N. 00848/2016REG.PROV.COLL.

N. 07948/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7948 del 2011, proposto da:
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. S O D L, A B, con domicilio eletto presso . Delegazione Regione Puglia in Roma, Via Barberini N.36;

contro

Addolorata D'Oria, rappresentato e difeso dall'avv. V B M, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria, 2;
Paola Domenica Boccaforno;

nei confronti di

Comune di Trani, Provincia di Bari;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della PUGLIA – Sede di BARI - SEZIONE II n. 00313/2011, resa tra le parti, concernente delibera per approvazione del p.u.g. - piano urbanistico generale


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Addolorata D'Oria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 novembre 2015 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati A B in proprio e in dichiarata sostituzione dell'Avvocato Sabina Di Lecce e Corbyons su delega dell'avvocato Muscatiello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con la sentenza in epigrafe appellata n. 313/2010 il Tribunale amministrativo regionale della Puglia - Sede di Bari - ha accolto il ricorso (a seguito di trasposizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato notificato il 4 settembre 2009)proposto dalla odierna parte appellata Addolorata D'Oria e Paola Domenica Boccaforno corredato da motivi aggiunti, volto ad avversare, ottenendone l’annullamento, gli atti ed i provvedimenti relativi al procedimento di adozione ed approvazione definitiva del Piano Urbanistico Generale (PUG), culminato nella delibera Consiliare di approvazione definitiva n. 8 del 31.3.2009 nella parte in cui disciplinava i suoli di proprietà della parte originaria ricorrente, unitamente a tutti gli atti presupposti e connessi.

Con il predetto ricorso, sostanzialmente, si era lamentato che la nuova classificazione impressa all’area di propria pertinenza, notevolmente penalizzante, violasse i principi generali in materia di comparto.

Il T ha anzitutto preso in esame il terzo motivo del mezzo di primo grado osservando che esso si strutturava in due sottocensure.

Ha quindi disatteso la prima sottocensura con la quale era stata contestata la illegittimità dell’attività di controllo reso dalla regione ( e la conseguente illegittimità derivata degli atti successivi) avendo asseritamente la stessa compiuto un controllo esulante dai limiti delineati dall’art. 11 della L.R. 20/01.

Ad avviso del T, infatti, puntando il dito sulla densità edilizia ed individuando la stessa come causa di compromissione del bene paesaggistico "costa", la Regione non aveva affatto travalicato i limiti del sindacato che poteva compiere sul P.U.G.

Il primo giudice ha quindi preso il esame la seconda articolazione del mezzo, ed ha proceduto ad un articolato excursus delle disposizioni legislative che regolavano la detta materia ed agli orientamenti della giurisprudenza sul punto, ed ha accolto il ricorso di primo grado, nei limiti dell’ interesse della parte originaria ricorrente, alla stregua di alcune, articolate, considerazioni.

Nel merito, ad avviso del T, non era condivisibile il disegno degli estensori del P.U.G. di applicare a tutti i costi, e quindi in maniera indiscriminata i principi perequativi.

Appariva evidente, quindi, come nel caso di specie il P.U.G. avesse abusato della perequazione deviando dallo zoning tradizionale fuori dai casi in cui una simile deviazione poteva ammettersi.

Secondo il T, poi, per altro verso, la tipizzazione impressa ai detti suoli di proprietà di parte ricorrente era illegittima in quanto contemplava la delimitazione di un “comparto perequato” a mezzo di uno strumento urbanistico di natura generale (dovendosi escludere, in particolare, che la Legge regionale n. 6/1979 consentisse di delimitare i comparti edificatori in sede di approvazione dello strumento generale).

La Legge regionale n. 6/1979 all’art. 15 “disegnava” il comparto in termini simili al comparto edificatorio ex art. 23 della legge n. 1150/1942 ed al dPR n. 327/2001, art. 7: cioè come strumento di terzo livello (il T ha sul punto richiamato la propria precedente sentenza n. 1962/2010)

Secondo l’argomentare del primo giudice nella Regione Puglia la situazione non aveva subìto mutamenti neppure per effetto della entrata in vigore della Legge regionale n. 20/2001, (che aveva disciplinato il Piano Urbanistico Generale, recependo espressamente i principi della perequazione urbanistica, peraltro sospendendo l’obbligo di approvazione del Programma Pluriennale di Attuazione e facoltizzando i comuni che nel frattempo se ne erano dotati a revocarlo o mantenerlo fino alla scadenza, ma non incidendo in alcun modo sull’istituto del comparto edificatorio, di cui non si occupava). L’art. 14 della citata legge regionale, infatti, stabiliva che “Al fine di distribuire equamente, tra i proprietari interessati dagli interventi, i diritti edificatori attribuiti dalla pianificazione urbanistica e gli oneri conseguenti alla realizzazione degli interventi di urbanizzazione del territorio, il PUG può riconoscere la stessa suscettività edificatoria alle aree comprese in un PUE.”);

l’art. 15 della Legge regionale n. 20/2001 stabiliva che “al PUG viene data attuazione mediante PUE di iniziativa pubblica, privata, o mista”;

lo strumento attuativo del PUG, quindi, era il PUE, e non il comparto.

Ed il PUE era strumento che presupponeva la già avvenuta approvazione del PUG (art. 18 della Legge regionale n. 20/2001, secondo cui il PUE non poteva variare le previsioni strutturali del PUG e comma 2 lett. a del detto art. 18 secondo cui ai fini della formazione del PUE “ non costituiva variazione del PUG la modificazione delle perimetrazioni contenute nel PUG conseguente alla trasposizione del PUE sul terreno”).

Da ciò ha fatto discendere la conseguenza per cui non spettava al P.U.G. la perimetrazione dei comparti edificatori (e neppure la stessa perimetrazione dei PUE).

Il nuovo P.U.G. di Trani risultava quindi, ad avviso del Tribunale amministrativo, illegittimo in quanto provvedeva a delimitare il perimetro di comparti definiti specificamente come “comparti edificatori” con rinvio espresso all’art. 15 della L.R. 6/79, (art.

5.04 NTA) comparti che, in quanto tali, avrebbero potuto essere individuati solo in sede attuativa.

In sintesi:

Il P.U.G. di Trani (art.

5.04 NTA)disegnava un comparto edificatorio identico a quello di cui all’art. 15 L.R. 6/79 : ma esso non tollerava di essere individuato in sede di pianificazione generale.

Ne risultava violato il precetto di cui all’ art. 14 della Legge regionale n. 20/2001(“"Al fine di distribuire equamente, tra i proprietari interessati dagli interventi, i diritti edificatori attribuiti dalla pianificazione urbanistica e gli oneri conseguenti alla realizzazione degli interventi di urbanizzazione del territorio, il PUG può riconoscere la stessa suscettività edificatoria alle aree comprese in un PUE. ",”).

In base a tale norma cera possibile attribuire una suscettività edificatoria a fondi che non potrebbero averla in base alla destinazione loro propria.

Ma tale deroga poteva essere applicata solo nell'ambito di un Piano Urbanistico Esecutivo, e solo allo scopo di ottenere, tra tutti proprietari interessati ad un intervento, una eguale ripartizione dei diritti edificatori.

Ad avviso del T, quindi, tenuto anche conto del fatto che i PUE potevano essere delimitati solo in sede attuativa, la legislazione pugliese consentiva al fine di dare attuazione ai principi della perequazione:

a)che il PUG potesse soltanto, dopo aver comunque proceduto ad una tipizzazione di massima delle varie zone del territorio comunale nel rispetto dei principi dello zoning tradizionale, individuare zone soggette a pianificazione attuativa all'interno delle quali ogni fondo ricevesse, proprio in forza della norma speciale di cui all'art. 14 L.R. 20/01, un uniforme indice di fabbricabilità convenzionale, (che il PUG poteva predeterminare, magari tra un minimo ed un massimo onde che l’indice di fabbricabilità definitivo fosse determinato nella maniera più confacente al caso di specie);

b) il PUG poteva altresì inoltre indicare i criteri di massima da osservare nella futura delimitazione dei PUE, anche individuando eventuali meccanismi premiali;

c) spettava invece alla pianificazione attuativa perimetrare, all'interno di tali zone, i singoli PUE, ed all'occorrenza i singoli comparti.

Il PUG di Trani non avrebbe potuto, al fine di ripartire l’onere derivante dalla cessione di suoli per urbanizzazioni secondarie, perimetrare un piano attuativo in sede di approvazione dello strumento di pianificazione generale, né attribuire diritti edificatori all’area interessata da tale cessione in misura differente rispetto alle altre aree comprese nel comparto.

Completato questo iter motivo sotto un profilo più generale (sostanzialmente riconoscendo fondata la censura di eccesso di potere per straripamento) il T ne ha fatto conseguire la considerazione (capo 1.2.3. della sentenza) secondo la quale

la tipizzazione impressa al Cp/29 dal PUG di Trani scontava la violazione dei summenzionati principi, prevedendo in un medesimo comparto soggetto a pianificazione attuativa unitaria, cioè estesa all'intero comparto, la coesistenza di differenti tipizzazioni, residenziale ed alberghiera, con diversi indici di fabbricabilità fondiaria, nonché l'asservimento della maglia ES/10 a servizi al solo scopo di concentrare tutta l'edificazione sulla vicina maglia ES/11, scopo questo che in teoria avrebbe anche potuto essere perseguito tipizzando l'intera area quale zona edificabile e sottoponendo la stessa non a vincolo di comparto ma a pianificazione attuativa, con un uniforme indice di fabbricabilità: la concentrazione dei volumi nella zona più lontana dal litorale sarebbe stata poi ottenuta mediante approvazione di un adeguato piano attuativo.

Conseguentemente, il Tribunale amministrativo ha annullato la delibera del Consiglio Comunale di approvazione definitiva del nuovo Piano Urbanistico Generale, e gli atti ad esso presupposti, limitatamente alle previsioni relative ai fondi di proprietà della parte originaria ricorrente.

L’amministrazione regionale rimasta soccombente ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati ripercorrendo la cronologia degli accadimenti e chiedendo la riforma dell’appellata decisione.

Ha in particolare rimarcato che parte originaria ricorrente di primo grado non aveva sollevato doglianze in ordine all’utilizzo di tecniche perequative per la disciplina del suolo di pertinenza: aveva prestato acquiescenza alle modalità con cui avveniva l’edificazione del suolo.

La sentenza di prime cure era affetta dal vizio di ultrapetizione ed extrapetizione ex art. 112 cpc, ed era gravemente errata in quanto impingente sul merito delle scelte discrezionali dell’amministrazione e resa tenendo in non cale la disciplina regionale di cui alla legge n. 20/2001.

Parimenti il contraddittorio era stato violato perché ex officio, ed obliando l’art. 73 comma 3 del cpa il T aveva posto a sostegno della decisione demolitoria vizii mai lamentati e comunque sui quali non era stato sollecitato il contraddittorio.

Sotto altro profilo, ha sostenuto che il mezzo di primo grado non era stato notificato ad alcuno degli altri proprietari di arre ricadenti nel comparto e non impugnanti: ove si fosse ritenuto che la sentenza spiegava incidenza anche su dette posizioni il mezzo doveva essere dichiarato inammissibile.

La sentenza, pertanto: era viziata ex art. 112 cpc;
affetta da nullità in quanto le tematiche ivi esaminate non erano state oggetto di delibazione svolta in contraddittorio;
il ricorso di primo grado, era inammissibile per omessa intimazione alle parti contro interessate (proprietarii di aree allocate nel comparto).

Nel merito, la sentenza fondava la propria valutazione di illegittimità della pianificazione perequativa prevista dal Pug su argomenti, gravemente errati.

Si era infatti ivi sostenuto che il Comune aveva utilizzato la tecnica perequativa in contrasto con il criterio della zonizzazione e che i comparti perequativi potessero essere perimetrati soltanto in sede di pianificazione attuativa, e non già direttamente nel PUG.

la sentenza, non teneva conto del principio giurisprudenziale affermatosi, secondo cui v’era piena compatibilità tra la zonizzazione prevista dalla legge n. 1150/1942 e la pianificazione perequativa (posto che quest’ultima operava all’interno di comparti perequativi e non introduceva nuove destinazioni di zona).

Quanto alla tesi secondo cui i comparti perequativi (in quanto strumento di “terzo livello” potevano essere perimetrati soltanto in sede di pianificazione attuativa ( e non già direttamente dal PUG), essa non teneva conto della circostanza che la legge regionale n. 20/2001 aveva modificato sostanzialmente la legge regionale n. 56/1980 e quella n. 6/1979.

Gli art. 2 lett. d e 14 della legge regionale n. 20/2001 prevedevano invece espressamente che la perimetrazione dei Pue e quella dei distretti perequativi (ove prevista dal pianificatore locale) venisse effettuata direttamente dallo strumento urbanistico generale.

Il primo giudice aveva confuso i “comparti edificatori” previsti ex art. 870 cc e dall’art. 23 della legge n. 1150/1942 (oltre che dalla ante vigente legislazione regionale) con i comparti perequativi.

Con memoria ritualmente depositata parte appellata ha chiesto la reiezione dell’appello evidenziando che la impugnata decisione non era incorsa nel lamentato vizio di ultrapetizione ex art. 112 cpc, essendosi limitata ad applicare le norme di legge regolatrici della fattispecie rimanendo nell’alveo delle censure proposte in primo grado e nel perimetro della illegittimità ivi dedotta.

Nel merito ha ribadito la legittimità delle statuizioni demolitorie contenute nell’appellata decisione ed ha riproposto i motivi di censura contenuti nei mezzi di primo grado ed assorbiti dal primo giudice.

Segnatamente ha riproposto il primo motivo di censura del mezzo di primo grado, incentrato sulla violazione dell’art. 3 L. 241/90, della L.R. 20/01, del D.M. 1444/68, dei principi di buon andamento ed imparzialità, dei principi in materia di pianificazione urbanistica, eccesso di potere e difetto assoluto di istruttoria, motivazione contraddittoria, travisamento, illogicità, sviamento.

Ad avviso di parte appellata, la perimetrazione della maglia ES11 all’interno dell’ATE di tipo A di cui alla tavola 11/a doveva ritenersi frutto di errore materiale in quanto l’inserimento della maglia stessa in ATE di tipo A contrastava con la tipizzazione ad essa impressa;
altrimenti v’era una divergenza tra tavole del PUG, che doveva essere risolta in via interpretativa ritenendo che il suolo di proprietà della ricorrente non fosse compreso nella zona perimetrata come ATE di tipo A.

Il vincolo di inedificabilità impresso alle maglie incluse nel comparto Cp/29 andava in senso contrario alle direttive del Documento Programmatico Preliminare, con il quale il Comune aveva dato l’indirizzo di confermare ed estendere le aree a vocazione edificatoria.

Nel contrasto tra la tavola 10 e quella 11/A doveva prevalere la prima, in quanto meno gravosa per la proprietà.

La perimetrazione di cui alla tavola 11/A doveva ritenersi “imputabile” ad un mero errore grafico.

Con la seconda riproposta censura, ha sostenuto la violazione dell’art. 3 L. 241/90, della L.R. 20/01, del D.M. 1444/68, dei principi di buon andamento ed imparzialità, dei principi in materia di pianificazione urbanistica, eccesso di potere e difetto assoluto di istruttoria, motivazione contraddittoria, travisamento, illogicità, sviamento.

Ad avviso di parte appellata la destinazione peggiorativa impressa al fondo di sua proprietà era priva di motivazione, ed anche illogica.

Essa era stata impressa a seguito delle indicazione emerse in sede di Conferenza di Servizi asseritamente per motivi connessi alla necessità di assicurare adeguata tutela al bene costa, ma una modificazione in peggio quale era detta tipizzazione impressa all’area di sua proprietà non era giustificabile con un generico riferimento alla necessità di tutelare la costa.

In ogni caso, l’area di propria pertinenza era situata a 250 mt. dalla costa e quindi non poteva considerarsi come bene di “singolare unicità” tale da giustificare l’inclusione in un ambito territoriale esteso di tipo A;

In vista della odierna udienza pubblica l’appellante Regione ha depositato il 17.10.2015 una memoria,datata 15.10.2015 nell’ambito della quale:

a)ha riproposto la critica appellatoria principale, già contenuta nel proprio appello, ed ha sostenuto che la individuazione dei comparti in seno al PUG fosse legittima;

b)ha preso posizione sui riproposti motivi di censura di primo grado assorbiti. Ha a tale proposito rilevato che il motivo fondato sulla asserita discrasia tra tavole era infondato in quanto nella delibera di giunta regionale n. 184 del 17.2.2009 si era espressamente stabilita la prevalenza della tavola 10 su tutti gli elaborati grafici costituenti le tavole della serie “11” .

Mentre le ulteriori riassorbite censure in punto di “eccessività” della tutela della costa, e fondate sulla circostanza che l’area di propria pertinenza era ubicata ad almeno 250 mt dalla costa, erano inammissibili ed infondate in quanto straripanti su valutazioni di merito.

Parte appellata, con memoria depositata il 16.10.2015, ha fatto presente che:

a)nel proprio -riproposto in sede di trasposizione –terzo motivo di ricorso straordinario si criticava la delimitazione in comparti, per cui non v’era alcun vizio di extrapetizione;

inoltre l’amministrazione, costituendosi innanzi al T, aveva dato atto che la tavola 11 era errata, per cui il motivo assorbito e riproposto era parimenti fondato.

In vista della odierna pubblica udienza l’appellante Regione ha depositato una memoria di replica, in data 27.102015, tendente a puntualizzare le proprie difese.

Alla odierna pubblica udienza del 17 novembre 2015 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1.L’appello è fondato e va accolto, mentre i riproposti motivi di censura di primo grado sono inammissibili e comunque infondati. La sentenza va quindi annullata, con reiezione del mezzo di primo grado.

1.1.Al fine di perimetrare anticipatamente il materiale cognitivo in via teorica esaminabile dal Collegio, si rileva che parte originaria ricorrente ha tempestivamente riproposto con memoria i motivi del mezzo di primo grado assorbiti dal primo giudice: essi sarebbero pertanto teoricamente riesaminabili dal Collegio,in ipotesi di accoglimento del mezzo principale .

Invero (il mezzo di primo grado è stato proposto nel 2009 – a seguito di trasposizione di ricorso straordinario al Capo dello Stato notificato il 4 settembre 2009 - e la causa è stata assunta in decisione nell’ottobre 2010 mentre la sentenza è stata pubblicata nel dicembre 2010) ove la vicenda processuale fosse regolata ex artt. 101 e 46 del cpa i motivi assorbiti avrebbero dovuto essere riproposti incidentalmente con memoria depositata “entro il termine di costituzione in giudizio” (id est: sessanta giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notifica del gravame).

Alle stesse conclusioni si perviene comunque valutando la problematica alla luce della disciplina previgente, in adesione all’orientamento della Sezione secondo cui “e' solo in applicazione estensiva dell'art. 346 c.p.c. che, nel processo amministrativo, si afferma il principio della riproponibilità dei motivi assorbiti o non esaminati mediante memoria , così semplificando gli oneri dell'appellante incidentale (proprio), esentandolo dalla necessità di notificazione dell'atto. Peraltro, se pure si consente la riproposizione dei motivi per il tramite di memoria e non di appello incidentale (accordando prevalenza all'art. art. 346 c.p.c. sull'art. 37 R.D. n. 1054/1924), non si può escludere che detta memoria debba essere comunque depositata entro il termine previsto dal citato art. 37. E ciò a maggior ragione vista l'assenza di diversa previsione nell'art. 346 c.p.c. (Cons. Stato Sez. IV, 10-08-2011, n. 4766).

Parte appellata depositò tempestiva memoria di costituzione nell’odierno grado di giudizio contenente i motivi sottesi al ricorso di primo grado oggetto di decisione mercè la gravata sentenza rimasti assorbiti: il Collegio in ipotesi di accoglimento dell’appello principale dovrebbe comunque vagliarne la fondatezza.

1.2. Per il vero, almeno in parte, il secondo riproposto motivo (asserita carenza di motivazione ed abnormità della prescrizione imposta in sede di conferenza di servizi di tutelare il “bene costa”) interferisce con il decisum del T contenuto al capo 1.1. ed al capo 1.1.1 della gravata decisione, e pertanto avrebbe dovuto essere sollevato con appello incidentale notificato, e non con semplice memoria: in sede di esame delle riproposte censure il Collegio chiarirà quale porzione del secondo motivo della memoria sia ammissibile, scrutinando nel merito le censure ivi contenute, e farà presente invece quale porzione delle medesime sia inammissibile.

2.Ciò premesso in punto di materiale cognitivo esaminabile dal Collegio, in via preliminare rispetto alla disamina del merito della causa devono essere scrutinate le censure di natura processuale sollevate da parte appellante.

Come già rilevato nella parte in fatto, è stata sollevata la doglianza di extrapetizione, a propria volta connessa con quella di violazione delle regole del contraddittorio.

Inoltre, si sottolinea nell’appello, che il mezzo di primo grado non era stato notificato agli altri proprietarii del comparto, per cui (secondo la critica appellatoria) ove si ritenga che la decisione gravata possa spiegare effetti nei confronti dei detti soggetti il mezzo di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

2.1.Trattandosi di doglianze che, ove accolte, potrebbero condizionare la esaminabilità del merito della causa, esse vanno esaminate prioritariamente.

3. La prima di esse da sottoporre a scrutinio, in ordine logico, è quella afferente la affermata disintegrità del contraddittorio in primo grado: si sostiene infatti che il mezzo di primo grado non era stato notificato agli altri proprietarii del comparto, per cui ove si ritenga che la decisione gravata possa spiegare effetti nei confronti dei detti soggetti il mezzo di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

3.5.1. Come è noto, il vizio di omesso rispetto del contraddittorio è rilevabile anche ex officio (vedasi oggi art. 105 del cpa):la censura/eccezione è pertanto ammissibile anche ove proposta per la prima volta in appello.

Essa è però infondata in fatto: espressamente il T ha fatto presente che la statuizione demolitoria era stata resa nei limiti dell’interesse di parte originaria ricorrente, per cui la statuizione non “intacca” la posizione degli altri proprietarii del comparto.

Il mezzo, quindi, non doveva essere notificato a questi ultimi.

4. La ulteriore censura di natura processuale, ex art. 112 cpc, attinge direttamente la sentenza: si evidenzia a tal proposito, da parte dell’ appellante amministrazione, che il primo giudice si è discostato dal petitum dell’ originaria parte ricorrente ponendo in larga parte a fondamento della statuizione demolitoria argomenti e motivi non prospettati (violazione dell’art. 112 cpc pacificamente applicabile al processo amministrativo) e neppure sui quali era stato mai sollecitato il contraddittorio processuale (oggi: art. 73 comma 3 cpa).

4.1. Come è noto, di regola, la eccezione ex art. 112 del codice di procedura civile anche se accolta, non potrebbe condurre, all’annullamento delle statuizione gravata costituendo jus receptum (ribadito dall’attuale testo dell’art. 105 cpa) il principio per cui “l'omessa pronuncia su una o più censure proposte col ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo tale da comportare l'annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado, ma solo un vizio dell'impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo del merito della causa.” (Consiglio Stato , sez. IV, 19 giugno 2007, n. 3289).

Analogo principio dovrebbe valere in ipotesi di extrapetizione.

Senonchè, da un canto, laddove il giudice incorra in un simile vizio, la corrispondenza tra chiesto e pronunciato costituisce soltanto uno dei profili da esaminare, unitamente a quello di violazione delle regole che presiedono al contraddittorio processuale (come segnalato da parte appellante) che vieta le c.d. “decisioni a sorpresa” che non consentono alle parti di interloquire su tematiche processuali (ma anche sostanziali) successivamente poste a fondamento della decisione (si veda, sul punto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 2000).

Sotto altro profilo, laddove il vizio ex art. 112 cpc sia sì grave da comportare uno stravolgimento assoluto delle regole processuali potrebbe ricorrere l’ipotesi di nullità “sostanziale”della sentenza (si veda: Consiglio Stato sez. V 19 novembre 2009 n. 7235) .

4.2. Entrambi i profili sinora evidenziati verranno esaminati dal Collegio, che in prima battuta verificherà se la sentenza impugnata sia effettivamente incorsa nella violazione dell’espresso disposto di cui al comma 3 dell’art. 73 del cpa, ovvero anche del principio generale sotteso alla detta disposizione.

4.2.1 Invero è noto l’orientamento della giurisprudenza amministrativa (applicato nel caso di specie ad una pronuncia di irricevibilità, ma predicabile ogniqualvolta sia stato dal giudice individuato ex officio un thema decidendi nuovo)secondo il quale “ai sensi dell'art. 105 comma 1, c.p.a. va annullata con rinvio al giudice di primo grado la sentenza che sia stata emessa senza che la questione d'irricevibilità/inammissibilità del ricorso, rilevata d'ufficio dal collegio, sia stata sottoposta alla trattazione delle parti, comportando tale omissione violazione del generale principio processuale di garanzia del contraddittorio immanente alla garanzia costituzionale del giusto processo di cui all'art. 111 cost., che opera non solo nella fase d'instaurazione del processo ma ne permea l'intero svolgimento, ponendosi detto principio come garanzia di partecipazione effettiva delle parti al processo, ossia come riconoscimento del loro diritto d'influire concretamente sullo svolgimento del processo e d'interloquire sull'oggetto del giudizio, sicché le stesse devono essere poste in grado di prendere posizione in ordine a qualsiasi questione, di fatto o di diritto, preliminare o pregiudiziale di rito o di merito, la cui risoluzione sia influente ai fini della decisione.” (Consiglio di Stato, sez.V, 08 marzo 2011, n. 1462).

Della citata decisione si è riportato un breve passaggio motivazionale, in quanto integralmente condiviso dal Collegio.

L'obbligo del giudice di provocare il contraddittorio sulle questioni rilevate d'ufficio, a pena di nullità della sentenza, è stato espressamente introdotto, nel processo civile, prima per il giudizio di cassazione con la novella apportata all'art. 384, comma 3, c.p.c. dall'art. 12 d. lgs, 2 febbraio 2006, n. 40, poi in via generale con la novella apportata all'art. 101, comma 2, c.p.c. dall'art. 45, comma 13, l. 18 giugno 2009, n. 69 - con effetto dal 4 luglio 2009 per i giudizi instaurati dopo tale data -, ma già in precedenza era ricavabile in via sistematica dalla garanzia costituzionale del giusto processo (v. Cass. Civ., Sez. III, 5 agosto 2005, n. 16577;
Cass. Civ., Sez. II, 9 giugno 2008, n. 15194). Detto obbligo, correlato al potere-dovere del rilievo d'ufficio delle questioni non riservate all'eccezione di parte, quale espressione di un principio generale del processo, doveva ritenersi operante - quantomeno dopo l'entrata in vigore delle novelle apportate al c.p.c. - anche nel processo amministrativo già nella disciplina previgente l'entrata in vigore del nuovo cod. proc. amm., ove risulta ormai codificato dall'art. 73, comma 3”.

4.2.2 Con tale arresto è stato ampliato il tema delle conseguenze della violazione in primo grado del principio del contraddittorio, e si è affermato il principio della nullità della sentenza affetta da un simile vizio e, quale corollario del detto principio l’obbligo di annullare la decisione con rinvio al primo giudice (per consentire l’effettivo dispiegarsi della garanzia del doppio grado di giurisdizione) con ciò superandosi il principio in passato affermato secondo il quale” il giudice amministrativo, prima di decidere una questione rilevata d'ufficio (nella specie, il difetto di giurisdizione), deve indicarla alle parti, per consentirne la trattazione, in attuazione del principio del contraddittorio;
la violazione di questo principio, però, non consente al giudice d'appello di annullare la decisione restituendo gli atti al giudice di primo grado, ma comporta che il giudice d'appello debba comunque decidere la causa, eventualmente rimettendo in termini le parti per svolgere le difese sulla questione rilevata d'ufficio. “(Consiglio Stato , sez. IV, 14 aprile 2010 , n. 2079).

4.2.3. Orbene, nel caso di specie, ritiene il Collegio che occorra in primo luogo interrogarsi in ordine alle conseguente della applicabilità del superiore orientamento della Corte di Cassazione –che il Collegio condivide e fa proprio- alla controversia oggetto della odierna delibazione.

4.2.4. Il Collegio ritiene che la risposta (condizionata però al ricorrere di una effettiva violazione del disposto di cui all’art. 112 cpc, il che costituirà oggetto di disamina di qui a poco) debba essere in senso favorevole alla astratta possibilità di accoglimento della doglianza fondata sull’omesso rispetto del principio consacrato sub art. 73 comma 3 del cpa avuto riguardo alla legge vigente al momento di proposizione della domanda giudiziale di primo grado (id est: al momento della notifica del ricorso di primo grado).

Va infatti rilevato che il ricorso di primo grado è stato notificato dopo la entrata in vigore dell’art. 45, comma 13, l. 18 giugno 2009, n. 69 che ha modificato l’art. 101 cpc (si ribadisce: il ricorso di primo grado venne passato alla notifica il 6 e depositato il 28 luglio 2009).

E’ noto, in proposito, che la Corte di Cassazione ha ritenuto applicabile la “novella” di cui alla legge n. 69/2009 soltanto alle controversie instaurate successivamente alla data in cui essa è entrata in vigore (Cassazione civile , sez. trib., 26 marzo 2010 , n. 7241).

Ciò in aderenza a quanto espressamente previsto dal legislatore ai sensi dell’art. 58 della legge n. 69/2009 citata (“Fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. Ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano gli articoli 132, 345 e 616 del codice di procedura civile e l'articolo 118 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, come modificati dalla presente legge. Le disposizioni di cui ai commi quinto e sesto dell'articolo 155 del codice di procedura civile si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data del 1º marzo 2006. La trascrizione della domanda giudiziale, del pignoramento immobiliare e del sequestro conservativo sugli immobili eseguita venti anni prima dell'entrata in vigore della presente legge o in un momento ancora anteriore conserva il suo effetto se rinnovata ai sensi degli articoli 2668-bis e 2668-ter del codice civile entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Le disposizioni di cui all'articolo 47 si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.”).

Il Collegio condivide tale approdo e da esso non ha intenzione di discostarsi.

Ne consegue che al momento della pronuncia della gravata decisione già poteva e doveva ravvisarsi in capo al primo giudice l’obbligo di “avvertimento alle parti” oggi consacrato nell’art. 73 comma 3 del cpa in quanto allorchè era stato notificato il ricorso di primo grado(a seguito di trasposizione di ricorso straordinario al Capo dello Stato notificato il 4 settembre 2009) era già entrata in vigore la “novella” modificativa dell’art. 101 cpc (e ciò rende superflua la considerazione che al momento in cui la causa fu assunta in decisione -21 ottobre 2010 – non era ancora entrato in vigore il cpa e la previsione di cui all’art. 73 comma 3 ivi contenuta , che era invece già vigente al momento della pubblicazione della sentenza).

4.3.Va quindi affermata la teorica possibilità di accoglimento della doglianza incentrata sulla possibile ricorrenza del vizio discendente dall’omesso rispetto del principio oggi consacrato ex art. 73 del cpa: deve a questo punto di essere scandagliato l’argomento che si pone quale profilo centrale della sollevata eccezione di extrapetizione.

4.3.1. L’argomento assume a questo punto valenza nodale: se si accerta che extrapetizione sussiste, non potrebbe applicarsi il granitico orientamento della giurisprudenza amministrativa (oggi confermato ex art. 105 del cpa che non menziona il vizio ex art. 112 cpc quale causa di annullamento della sentenza con rinvio al primo giudice) secondo cui nella ipotesi di “semplice” omessa pronuncia su una o più censure il giudice di appello elimina il vizio integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo del merito della causa.

Ciò in quanto –non solo sussisterebbe il vizio ex art. 112 cpc, emendabile in appello, ma, per quanto si è prima chiarito – ricorrerebbe anche la violazione del principio oggi consacrato ex art. 73 comma 3 del cpa, che non consentirebbe “sanatorie” in appello ed imporrebbe l’annullamento con rinvio ex art. 105 del cpa della gravata decisione.

4.4. Tanto premesso, occorre quindi soffermarsi sulla effettiva ricorrenza del vizio ex art. 112 cpc.

4.4.1. Il Collegio non ritiene esso si ravvisabile, nel caso di specie: la parte originaria ricorrente aveva avversato il PUG proponendo critiche anche in termini generali, ipotizzando il vizio di violazione di legge, ed aveva contestato il quomodo della perequazione urbanistica effettuata dolendosi dell'inserimento dei terreni di pertinenza della odierna appellata in un comparto perequativo.

L' impugnata decisione amplia e sviluppa tematiche già affrontate -sia pure, è bene riconoscerlo, in modo assai più embrionale e limitato - nel mezzo di primo grado: non si ravvisa, nel caso di specie, una generalizzata violazione alla regola della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 cpc;
la sentenza, salvo quanto verrà sul punto meglio in merito precisato in prosieguo, potrebbe in teoria essere contestata in rito per extrapetizione laddove, ampliando al massimo la contestazione di parte appellata perviene all'affermazione secondo cui il Pug, in quanto strumento non attuativo non avrebbe potuto direttamente disporre l'inserzione dei suoli di parte in distretti/comparti perequativi.

La circostanza che il denunciato vizio potrebbe forse attingere soltanto una modesta parte dell'iter motivazionale della citata decisione e che, perdipiù, avverso il capo della sentenza affetto dal detto vizio siano state articolate dall'appellante Regione puntuali censure (che come di qui a poco si chiarirà, peraltro, il Collegio considera fondate) esonera dal disporre la regressione del procedimento annullando la sentenza, e consente (in ossequio al principio di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 della Costituzione che impone di non disporre la regressione allorchè la violazione alle regole processuali - pur riscontrabile - non arrechi danno alla posizione di chi ha ragione) di ritenere la causa decidendo il merito.

4.4.2. Quanto sinora rilevato, implica altresì la reiezione del connesso profilo della affermata violazione del contraddittorio (principio, come prima si è chiarito, che è oggi consacrato ex art. 73 del cpa,) :il modesto scostamento dalle censure articolate nel mezzo di primo grado non ha condotto il giudice ad esaminare argomenti sui quali mai la parte ricorrente in primo grado aveva sollecitato il vaglio, di guisa che nessuna concreta lesione può essere riscontrata.

5. Può a questo punto essere vagliato il merito della controversia (trattasi delle censure contenute ai punti 2-8 dell’appello della Regione, pagg.

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