Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2017-10-23, n. 201704878

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2017-10-23, n. 201704878
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201704878
Data del deposito : 23 ottobre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/10/2017

N. 04878/2017REG.PROV.COLL.

N. 08735/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero di registro generale 8735 del 2016, proposto da:
F C, rappresentata e difesa dall'avvocato A C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, al viale Regina Margherita, n. 290;

contro

Comune di Catanzaro, in persona del Sindaco in carica pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato U F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F L in Roma, al via Monte Zebio, n. 37;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 1167 del 22 marzo 2016, resa tra le parti, concernente l’accertamento della formazione del silenzio assenso su istanza di legittimazione e affrancazione di un terreno;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Catanzaro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2017 il Cons. G G e uditi per le parti gli avvocati A C e, su delega dell'avv. Ferrari, F L;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Con ricorso notificato il 16 dicembre 2013, F C adiva il T.A.R. della Calabria, sezione di Catanzaro, invocando l'accertamento dell'avvenuta formazione del silenzio-assenso sull'istanza presentata in data 2 ottobre 2008 al Comune di Catanzaro (unitamente ai germani Rosa, Adriana, Giuseppe ed Ida Antonia), avente ad oggetto la richiesta di legittimazione ed affrancazione in via semplificata (ai sensi dell'art. 27 della legge della Regione Calabria 21 agosto 2007 n. 18, come modificata dall'art. 1 dell'allora vigente legge regionale 27 marzo 2008 n. 7) delle aree gravate da usi civici di complessivi mq. 274,07 con entrostanti fabbricati, ubicate in località Santa Maria ed censite in catasto al foglio 79, rispettivamente part. 209, sub. 1, 2, 6, 7, 10, e part. 224 sub. 2.

A sostegno del ricorso precisava che il Comune intimato non aveva comunicato, nel termine di 120 giorni dalla presentazione dell’istanza, alcuna determinazione di rigetto, né aveva rappresentato esigenze istruttorie o richiesto integrazioni documentali (ai sensi dell’art. 27, comma 4, della rammentata legge regionale n. 18/2007): di tal che la domanda doveva ormai ritenersi come accolta, essendosi sulla stessa formato il silenzio assenso, con conseguente obbligo dell'amministrazione (ai sensi dell’art. 15 della legge) di adottare l'atto finale del procedimento, così riconoscendo l'avvenuta legittimazione ed affrancazione degli usi civici gravanti sui beni de quibus .

Aggiungeva in ogni caso che, nonostante il suo precedente atto di diffida notificato il 9 settembre 2013, il Comune di Catanzaro, con nota n. 78653 in data 10 ottobre 2013, a firma del dirigente del settore, richiamando due altre analoghe istanze inoltrate (a sua asserita insaputa ancorché anche per suo conto), aveva (espressamente) rigettato anche l'iniziale domanda del 2 ottobre 2013, sul presupposto che anche relativamente a questa non ricorressero i presupposti voluti dalla legge regionale n. 18/2007.

2.- Il ricorso veniva respinto dal primo giudice con sentenza n. 1294 in data 30 luglio 2014, confermata in seconde cure – a definizione dell’appello interposto dalla Casalenuovo – dalla sentenza n. 1167 in data 22 marzo 2016 di questo Consiglio di Stato.

3.- Avverso quest’ultima statuizione la Casalenuovo ha proposto ricorso per revocazione, lamentando un duplice errore di fatto ex art. 395 n. 4 c.p.c., avuto riguardo:

a ) per un verso, ai presupposti della formazione del silenzio-assenso sulla propria istanza (in ordine ai quali la rappresentazione emergente della impugnata sentenza divergerebbe da quella risultante dai fatti di causa);

b ) per altro verso, alla qualificazione della domanda proposta e del sotteso interesse (in tesi ancorato, giusta gli atti di causa, alla liquidazione e non già, come ritenuto in sentenza, alla affrancazione e/o alla legittimazione degli immobili oggetto di controversia).

4.- Nella resistenza del Comune appellato, intesa ad argomentare l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza nel merito del gravame, alla pubblica udienza del 5 ottobre 2017 la causa è stata riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- Il ricorso per revocazione è inammissibile.

2.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia il preteso errore revocatorio che si sarebbe manifestato « sotto forma di contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti l'una dalla sentenza e l'altra dagli atti di causa »: la sentenza impugnata avrebbe travisato il dato dell’utile decorso del tempo ai fini della formazione del tacito assenso sulla formalizzata istanza, con ciò riconoscendo all’amministrazione il potere di adottare un tardivo atto di diniego, senza i formalismi, i limiti e le salvaguardie dell’autotutela.

2.1.- Il motivo, così come formulato, è del tutto inammissibile.

Come è noto (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 28 settembre 2016, n. 4008), l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività di acquisizione e percezione degli atti e dei documenti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale , senza coinvolgere la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento: esso non ricorre, perciò, nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo, semmai, ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento.

Nella specie, si imputa alla sentenza non già un travisamento delle emergenti circostanze di fatto (l’ incontestato decorso del tempo, a partire dalla presentazione dell’istanza per cui è causa), ma la qualificazione giuridica dello stesso (nella sua argomentata idoneità ad integrare, a fronte del relativo paradigma normativo di riferimento , una fattispecie di silenzio significativo, con preteso valore di tacito assenso): quand’anche di errore si potesse parlare, si tratterebbe, perciò, al più di errore di diritto , come tale involgente il giudizio ed insuscettibile di fondare il rimedio revocatorio.

Per giunta, sotto distinto e concorrente profilo, il fatto suscettibile di revocazione non deve aver costituito “ un punto controverso sul quale la sentenza si è pronunciata ” (Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2015, n. 3852), laddove – nel caso di specie – la questione della maturazione del silenzio per factum costituiva proprio e specificamente l’oggetto del giudizio.

3.- Con il suo secondo motivo, la ricorrente denuncia un distinto errore revocatorio della sentenza impugnata « laddove si suppone un fatto (interesse della ricorrente alla affrancazione e/o legittimazione ) che [sarebbe] invece incontestabilmente escluso dagli alti di causa (e non [avrebbe] formato un punto controverso, oggetto di pronuncia) »: ciò in quanto, a suo dire, dagli stessi atti emergerebbe che l'interesse della ricorrente era, in realtà, quello « alla liquidazione » (che, in quanto tale, avrebbe dovuto trovare utile riscontro nel titolo di proprietà anteriore al 30 giugno 2007 (art. 24, comma 4, della legge regionale 18/2007) anziché, come ritenuto in sentenza, al 30 giugno 1997 (art. 24, comma 3, della stessa legge).

3.1.- Anche tale motivo è inammissibile.

In disparte il rilievo (di per sé inerente all’effettiva esistenza dell’errore denunziato) che sin dal giudizio introduttivo di prime cure l’oggetto della controversia si è incentrato sull’accertamento della formazione del silenzio-assenso sull'« istanza di legittimazione e affrancazione assunta al protocollo comunale n. 85913 del 2.10.2008 », è un fatto che la sentenza del TAR aveva respinto il ricorso proprio sulla argomentata insussistenza dei presupposti per la legittimazione e l’affrancazione.

Ne discende che, quand’anche, a tutto concedere, si fosse trattato di errore revocatorio, lo stesso avrebbe dovuto, comunque, essere fatto necessariamente valere con l’appello (cfr. art. 106, 3° comma cod. proc. amm.): in difetto di che, la relativa questione deve ritenersi, allo stato, in ogni senso preclusa.

4.- Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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