Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-04-29, n. 201402202
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N. 02202/2014REG.PROV.COLL.
N. 00789/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 789 del 2008, proposto da:
C Sas, rappresentata e difesa dagli avv. P S, A C, con domicilio eletto presso P S in Roma, via F. Paulucci de' Calboli n. 9;
contro
Asl Na/3, rappresentata e difesa dall'avv. S G D R, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;Comune di Arzano;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE III n. 07409/2007, resa tra le parti, concernente il risarcimento dei danni in seguito alla chiusura dell’attività di deposito delle automobili sequestrate;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Asl Na/3;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre 2013 il Cons. A P e uditi per le parti gli avvocati Trillo' su delega di Sandulli e Pafundi su delega di Gravina Di Ramacca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato il 20.7.1998 C s.a.s. di Giuseppe Crispino, esercente fin dal 1983 in Arzano (NA), alla Quarta Traversa di via Volpicelli, su un’area di mq 19.700 condotta in affitto, l’attività di custodia di beni sottoposti a sequestro amministrativo e penale o rinvenuti sulla pubblica via dagli organi accertatori, adiva il T.A.R. Campania al fine di ottenere l’annullamento, previa sospensione, dell’ordinanza n. 41/98 del 18.5.1998, con la quale il Comune di Arzano aveva a lui ordinato di chiudere l’attività di deposito delle automobili in quanto non munita (asseritamente) della prescritta autorizzazione comunale.
2. Con sentenza n. 4187 del 2000 il T.A.R. Campania annullava l’ordinanza comunale, accertando l’esistenza delle prescritte autorizzazioni sanitarie per il sito all’interno del quale C svolgeva la propria attività, tanto per l’area di via Volpicelli, n. 2, quanto per l’area alla Quarta Traversa di via Volpicelli e rilevando, altresì, come l’atto fosse viziato da eccesso di potere per erroneità dei presupposti, sia per essere fondato sul falso assunto che l’attività fosse stata intrapresa senza le prescritte autorizzazioni sia per la pretesa interdipendenza tra le due autorizzazioni, dalle quali era stata fatta discendere la inidoneità di una sola delle due aree a sorreggere il provvedimento positivo.
3. In ottemperanza a tale sentenza, passata in giudicato, il Comune di Arzano revocava il provvedimento, peraltro già annullato dal T.A.R., con ordinanza n. 28/01 del 4.4.2001.
4. La C lamentava, però, che il lungo lasso di tempo trascorso tra l’avvenuta chiusura dell’attività di rimessa dei veicoli e il successivo annullamento dell’ordinanza aveva comportato l’esclusione della C dall’elenco ricognitivo prefettizio di cui all’art. 8 del D.P.R. 571/82, con conseguente perdita di entrate economiche per la società, non disgiunta dagli ingenti costi di gestione che essa lamentava di dover continuare a sostenere, non potendo neppure dismettere la custodia dei beni già detenuti, per non incorrere nelle inadempienze sanzionate civilmente e penalmente.
La società, quindi, si determinava a richiedere con separato autonomo giudizio il risarcimento dei danni conseguenti all’ordinanza sindacale sia al Comune di Arzano che all’A.S.L. n. 3 di Napoli.
Assumeva infatti che all’adozione dell’illegittimo provvedimento del Comune avesse concorso anche l’ordinanza di contravvenzione elevata il 6.5.1998 nei suoi confronti dalla predetta A.S.L. n. 3. Con ricorso proposto avanti al T.A.R. Campania la C s.a. domandava quindi, nei confronti del Comune di Arzano e dell’A.S.L. n. 3 di Napoli, il risarcimento del danno subito per l’illegittima chiusura della propria attività di deposito di automobili sequestrate in Arzano (NA), alla Quarta Traversa Volpicelli e, in particolare, la condanna, in solido o per quanto di ragione, delle predette Amministrazioni al pagamento della somma di € 2.582.285,00 o di quella ritenuta dal Tribunale di giustizia, anche in via equitativa, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
5. Si costituiva in giudizio il Comune resistente, eccependo, in rito, l’inammissibilità del ricorso in quanto depositato oltre il termine di 30 giorni previsto dalla l. 1034/1971 e, nel merito, la scusabilità del proprio errore, in quanto il provvedimento sindacale annullato era stato emesso in seguito agli accertamenti istruttori eseguiti dall’A.S.L. sotto il profilo igienico ed ambientale, sicché l’attività dell’ente, doverosamente conseguente a tali accertamenti, sarebbe dovuta andar esente da ogni responsabilità diretta, con conseguente obbligo risarcitorio in capo alla sola A.S.L.
6. Si costituiva in resistenza anche l’A.S.L., eccependo l’inammissibilità e l’improcedibilità dell’azione promossa nei suoi confronti e il proprio difetto di legittimazione passiva, per la sua totale estraneità al giudizio che aveva condotto all’annullamento dell’ordinanza del Comune e, comunque, per l’assenza di un nesso causale tra il verbale di contravvenzione elevato da essa in data 6.5.1998 e l’ordinanza suddetta.
7. Il T.A.R., con sentenza n. 7409 dell’8.8.2007, respingeva il ricorso, sulla scorta del rilievo che non fosse possibile, sulla base della documentazione acquisita in primo grado, accertare la colpa in capo alle singole amministrazioni resistenti, non potendo il giudice della pretesa risarcitoria fondarsi acriticamente sulla sentenza che aveva annullato il provvedimento lesivo.
8. Avverso tale sentenza ha proposto appello C, lamentandone l’erroneità, ed ha chiesto l’accoglimento del ricorso di primo grado.
9. Si è costituita l’appellata A.S.L., eccependo l’irricevibilità, l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza dell’appello.
10. Questa Sezione all’udienza pubblica del 7 giugno 2013 ha adottato la ordinanza istruttoria n. 3906 nella quale si osserva che, sulla base della documentazione versata in atti, non è possibile al Collegio accertare quale sia stato, nelle sue fasi salienti, l’iter procedimentale che ha condotto all’emanazione dell’ordinanza del Comune di Arzano n. 41 del 18.5.1998, annullata dal T.A.R. Campania con sentenza n. 4187 del 13.11.2000. Pertanto, al fine di ricostruire con esattezza e completezza l’istruttoria del suddetto procedimento e le eventuali responsabilità dell’A.S.L. e/o del Comune di Arzano nell’emanazione della citata ordinanza, si disponeva il deposito di tutta la documentazione in possesso delle parti, relativa a tale procedimento, nonché della documentazione prodotta nel giudizio n. 9128/1998, definito con sentenza n. 4187 del 13.11.2000 dal T.A.R. Campania.
Il comune di Arzano ha tempestivamente adempiuto all’ordinanza trasmettendo i documenti richiesti in data 23 settembre 2013.
11. All’udienza pubblica del 28 novembre 2013, la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione.
12. L’appello non è fondato.
12.1. - L’istruttoria svolta nell’ambito del giudizio di appello consente di giungere a confermare le conclusioni della sentenza impugnata sulla base di un diverso percorso motivazionale e alla luce della più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato.
12.2. – Il Collegio aderisce al prevalente orientamento giurisprudenziale in base al quale, dopo l’accertamento della illegittimità dell’atto, spetta alla parte che ha subito il danno provare quanto rientra nella sua sfera e cioè la esistenza e la entità del danno, ma non quanto rientra nella sfera propria dell’Amministrazione e cioè la inesistenza di errore scusabile, la colpa o altro presupposto di responsabilità. La sentenza del TAR va quindi superata quanto alla motivazione riferita alla mancata dimostrazione della colpa delle Amministrazioni coinvolte. Al privato, che assume di essere stato danneggiato da un provvedimento illegittimo dell’Amministrazione, non è richiesto infatti un particolare impegno per dimostrare la colpa della stessa, potendo egli limitarsi ad allegare l’ errore compiuto e la illegittimità dell’atto unitamente alla mancanza di diligenza che è lecito arguirne sulla base delle regole di comune esperienza (Consiglio di Stato, sez. III, 18 ottobre 2013 n. 5051;sez. III 19 aprile 2013, n. 2227;sez. V 12 febbraio 2013, n. 798, sez. III 28 novembre 2011, n. 6274 etc ).
12.3. – Nel caso in esame, avendo la precedente sentenza dello stesso T.A.R. Campania n. 4187/2000, con statuizione ormai coperta dal giudicato, accertato che l’ordinanza di revoca del Comune di Arzano era stata adottata sul presupposto rivelatosi falso della mancanza di una distinta autorizzazione per ciascuna delle due aree interessate ed in particolare per quella residua cui la ordinanza si riferiva, questa Sezione ha disposto lo svolgimento di una specifica istruttoria volta ad individuare le eventuali responsabilità dell’ASL o del Comune di Arzano, richiedendo alle due Amministrazioni appellate di depositare tutta la documentazione in loro possesso.
12.4. - La sequenza dei documenti trasmessi consente di ricostruire un iter procedurale ordinato e apparentemente coerente di formazione dell’atto di cui è stata dichiarato la illegittimità anche se adottato sulla base di un presupposto rivelatosi falso. In particolare appare validamente motivato nel merito dalle circostanze puntualmente indicate il parere espresso dalla ASL, che spiega in dettaglio le ragioni per le quali l’area residua situata nella IV traversa non è dotata delle caratteristiche per il ricovero delle autovetture danneggiate e potenzialmente inquinanti in quanto priva di una vasca per la raccolta dei liquidi e di un ambiente protetto per il ricovero di pezzi di autoveicoli che presentassero il rischio di perdita liquidi. Dato il carattere oggettivo e concreto di questi rilievi, che non risultano puntualmente contestati dalla parte appellante neppure nel precedente giudizio, il parere espresso dalla ASL risulta ben motivato - salva la erronea affermazione che la precedente autorizzazione fosse condizionata – e comunque privo di elementi da cui far scaturire aspetti di colpa o di responsabilità per danno, mentre il Comune ha da parte sua allegato nel giudizio di primo grado l’errore scusabile in quanto ha agito sulla base del parere dell’ASL appena citato.
12.5. – Dagli atti depositati nel corso del presente giudizio, si può dedurre quindi l’assenza di significativi elementi di colpa imputabili alle due pubbliche amministrazioni coinvolte salvo il mancato riscontro delle autorizzazioni già esistenti e la mancata verifica della inesistenza in esse del collegamento tra le aree, che ha hanno motivato l’annullamento. Tale errore è tuttavia assai meno grave di quello che, per quello che si può presumere dagli atti ed in particolare alla stregua del circostanziato parere ASL, potrebbe essere stato compiuto in passato da parte delle medesime autorità amministrative, nella fase precedente quando le due autorizzazioni sono state autonomamente rilasciate senza connessione tra loro. Alla luce della ordinanza della ASL risulta evidente che le due autorizzazioni, se non erano connesse, avrebbero dovuto esserlo e quindi in tal caso il ricorrente e attuale appellato non avrebbe potuto chiudere l’area autosufficiente e continuare a mantenere attiva l’area che non aveva tutte le attrezzature necessarie per tutte le evenienze. Il rilascio delle due autorizzazioni, secondo la ricostruzione che si può presumere in via induttiva, sarebbe stato quindi indebito e l’errore delle Amministrazioni si sarebbe quindi risolto in un evidente ed improprio vantaggio per la parte appellante, che ora richiede invece un risarcimento danni.
12.6. - Il Collegio ha su queste basi maturato la convinzione che, per quanto attiene all’adozione dell’atto di cui nel presente giudizio si discute, non solo non siano riscontrabili forme di negligenza grave e cioè in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede ovvero un contesto tale da palesare l’ imperizia, ma anche che manchi – nella ricostruzione della complessiva vicenda sulla base della sequenza degli atti esaminati - un valido presupposto per richiedere il risarcimento danni in capo all’appellante, che invece si sarebbe avvantaggiato rispetto a quanto sarebbe avvenuto nel caso di un più coerente comportamento delle due Amministrazioni nelle diverse fasi.
12.7. - Tale ricostruzione della vicenda - quale risulta dagli atti acquisiti attraverso istruttoria - si riflette quindi sul secondo presupposto necessario ai fini del presente giudizio a configurare un diritto al risarcimento del danno e cioè la dimostrazione di esistenza oltre che di entità del danno.
12.8. – Sotto questo secondo profilo, C non ha neppure provato nel presente giudizio - come invece era suo preciso onere fare - l’esistenza dei danni in concreto risentiti dal provvedimento di chiusura del deposito, annullato dal T.A.R. con la sentenza n. 4187/2000.
12.9. - Nel ricorso di primo grado essa si è limitata a lamentare, assertivamente, l’esistenza di un danno consistente nello smistamento altrove dei beni da custodire, nella rottamazione degli stessi, ove necessaria, nel licenziamento dei dipendenti con corresponsione della liquidazione, nel recesso dai contratti di locazione delle aree di deposito, nell’immane lesione di immagine. Di tali danni, tuttavia, la ricorrente in primo grado non ha offerto una sufficiente dimostrazione, anche in via indiziaria, né dell’an né del quantum, ma ha affermato, in modo apodittico, l’esistenza di un danno ingente, quantificato in € 2.582.285,00 nelle conclusioni del ricorso in primo grado, senza produrre alcuna documentazione e nemmeno una perizia di parte che giustificasse la richiesta . C ha invece richiesto in via istruttoria al T.A.R. di disporre, se del caso, una consulenza tecnica d’ufficio.
12.10. - Nemmeno la documentazione prodotta in questo grado, al di là di ogni questione inerente alla sua ammissibilità, offre migliori elementi di apprezzamento circa l’esistenza, in concreto, del danno lamentato.
12.11. - Per ogni ipotesi di responsabilità della pubblica amministrazione per i danni causati per l’illegittimo esercizio o mancato esercizio dell’attività amministrativa, infatti, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, allegando circostanze di fatto precise. Non si può neppure invocare la valutazione equitativa del danno ex art. 1226 perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito, circostanza che in questo caso certamente non ricorre. Né può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio che, nel caso di specie, avrebbe carattere esplorativo perché diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato (v., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 15.12.2011, n. 6598).
12.12. – In conclusione, sotto entrambi i profili da considerare – la sussistenza di colpa ai fini della responsabilità per danno in capo alle pubbliche amministrazioni e la dimostrazione dell’esistenza e dell’entità del danno – la richiesta di risarcimento del danno si dimostra priva di sufficienti presupposti.
13. In base alle considerazioni ampiamente svolte, l’appello deve essere respinto e la sentenza del TAR deve essere confermata con diversa motivazione.
14. Sussistono giusti motivi, considerate le complesse ragioni della decisione, per dichiarare interamente compensate le spese del presente giudizio tra le parti.