Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-05-30, n. 201402820
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N. 02820/2014REG.PROV.COLL.
N. 07790/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7790 del 2012, proposto da:
Comune di Grottaferrata, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Dell' Unto, con domicilio eletto presso Maurizio Dell'Unto in Roma, via Dora N°2;
contro
M P, rappresentato e difeso dall'avv. P C P, con domicilio eletto presso Valerio Valeri in Roma, via G. Mazzini N.11;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II BIS n. 05577/2012, resa tra le parti, concernente diniego permesso in sanatoria per cambio destinazione d'uso
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di M P;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 maggio 2014 il Cons. S D F e uditi per le parti gli avvocati Gianluca Calderara per delega dell'avvocato Dell'Unto e l'avvocato Perrotti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio P M agiva per l’annullamento del provvedimento di rigetto dell’istanza di cambio di destinazione d’uso adottato dal Comune di Grottaferrata.
Il ricorrente, proprietario nel Comune di Grottaferrata di un locale al piano terra del fabbricato, edificato anteriormente al 1940, sito in via del Fosso Mariano n. 18-20 (già via Valle della Noce n. 5);assumeva di avere installato sin dal settembre del 1968 un'officina meccanica, esercitandovi l'attività artigianale di riparatore di auto regolarmente autorizzata dall'Amministrazione.
Egli esponeva che nel 1970 il fabbricato aveva formato oggetto di un intervento di ristrutturazione ed ampliamento che, peraltro, non aveva interessato l'officina posta al piano terra;tuttavia, nel progetto sottoposto all'approvazione dell'Amministrazione Comunale, e da questa assentito, il locale utilizzato come officina era stato impropriamente ed erroneamente indicato come "garage" (licenza edilizia n. 63/1970);esponeva anche che nel 1983 l'intero fabbricato era stato diviso tra i due fratelli M P (odierno ricorrente) e Angelo P, con conseguente ripartizione anche del locale artigianale al piano terra.
Successivamente, il ricorrente, attuale appellato, aveva presentato al Comune di Grottaferrata in data 16 giugno 2006 istanza prot. n. 25502, ai sensi dell'art. 36 del Testo Unico in materia edilizia emanato con D.P.R n. 380/2001 (ex art. 13 legge n. 47/1985), allo scopo di ottenere il permesso in sanatoria per la modifica della destinazione d'uso del locale officina al piano terra.
L’istanza veniva stata respinta dall' Amministrazione con il provvedimento prot. n. 32111 in data 31.7.2006, indicato in epigrafe, avverso il quale veniva proposto ricorso giurisdizionale, affidato ai motivi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili, deducendo violazione dell'art. 10 bis L. 241/90, introdotto dalla L. 15 del 2005, per mancata comunicazione delle ragioni ostative all'accoglimento dell'istanza, comunicazione tanto più necessaria nella fattispecie considerata l'ormai quasi quarantennale utilizzazione artigianale del locale de quo.
Inoltre, il ricorrente lamentava soprattutto che non era in discussione la conformità della destinazione artigianale del locale alla disciplina vigente al momento in cui l'attività aveva avuto inizio poiché l'officina meccanica era stata installata nel settembre del 1968, e dunque anteriormente alla approvazione (19 dicembre del 1972) ed anche alla adozione (21 ottobre del 1968) dell'attuale P.R.G. del Comune resistente, sicchè sarebbe errato il giudizio dell’amministrazione circa un presunto contrasto della destinazione artigianale con le norme che disciplinano la zona estensiva D l, nella quale ricade l'immobile di proprietà del ricorrente in base al P.RG. di cui il Comune si è successivamente dotato.
Infatti, la zona suddetta è disciplinata dall'art. 7 delle N.T.A. che si limita a dettare gli indici e i parametri per le costruzioni da realizzare senza prevedere alcun divieto per gli insediamenti artigianali, mentre la specifica disciplina dell' attività artigianale è contenuta nel successivo art. 15 delle N. T. A. il quale, dopo aver premesso che "solo in questa zona potranno essere costruiti edifici per l'attività artigianale o di piccola industria", aggiunge poi che gli edifici artigianali esistenti in altre zone "non potranno essere ampliati e l'amministrazione comunale, qualora siano molesti o nocivi, potrà prescriverne il trasferimento”, sanando in tal modo le situazioni preesistenti in questione.
Ne emergerebbe quindi l’illogicità e contraddittorietà dell' operato della P.A. che ha negato il cambio della destinazione d'uso per un locale nel quale l'attività artigianale era stata autorizzata sin dal 1968 ed era poi proseguita ininterrottamente sino ai giorni odierni, con la piena consapevolezza e conoscenza da parte del Comune dell'esistenza ed esercizio legittimo di un'officina meccanica nel locale in questione;d’altra parte, lo stesso Comune con ordinanza n. 24534 del 2005 aveva già sanzionato l' Officina per contrasto con la normativa sanitaria ed ambientale in ragione dell’avvenuta separazione dei locali che precludeva il rilascio dell’agibilità e il ricorrente affermava di aver ripristinato l’idoneità igienico sanitaria dei locali, senza essere smentito sul punto dall’Amministrazione.
Il giudice di prime cure riteneva che la violazione di cui all’art. 10 bis dovesse risultare assorbita dalla più grave censura di eccesso di potere, riscontrata, a suo giudizio, in relazione alla mancata verifica, in contraddittorio fra le parti, dell’idoneità tecnica dei locali nella loro attuale consistenza, ai fini della prosecuzione di un’attività produttiva artigianale già autorizzata presso la medesima sede e priva di tratti innovativi tali da richiedere un rinnovo del titolo, ovvero del maggior grado di molestia o nocività dell’attività – secondo le prescrizioni urbanistiche - in relazione al nuovo assetto dei locali ovvero in relazione al mutato contesto urbano residenziale, con un grado di intensità tale da giustificare l’attivazione della prevista possibilità di trasferimento della sede.
In tali sensi, quindi, per eccesso di potere e difetto di istruttoria, veniva accolto il ricorso originario, salvi restando gli eventuali ulteriori provvedimenti adottati dall’Amministrazione in conformità alle predette considerazioni.
Avverso la sentenza di primo grado propone appello il Comune di Grottaferrata, esponendo quanto segue riguardo alle vicende fattuali.
L’amministrazione appellante espone che: a) con istanza del 24 marzo 2004 l’appellato in realtà aveva chiesto ai sensi della legge n.326 del 2003 condono degli illeciti edilizi consistenti nella chiusura di un portico, nell’ampliamento del fabbricato preesistente con cambio di destinazione d’uso da garage e ripostiglio a officina e nella costruzione di una tettoia;tali opere, come emergeva dall’istanza, erano state realizzate dal signor M P nel mese di gennaio 2003;b) nonostante la palese abusività dell’uso del locale – da garage ripostiglio adibito ad officina meccanica – con istanza dell’8 marzo 2005 il signor P M aveva chiesto al Comune il rilascio dell’autorizzazione sanitaria per l’esercizio della sua attività di officina, richiesta che veniva rigettata con atto del 24 maggio 2005, mai impugnato;c) in seguito, veniva emessa ordinanza che, preso atto del diniego e della mancanza di autorizzazione sanitaria, ordinava la cessazione dell’attività di officina meccanica (tale atto è stato impugnato dinanzi al giudice di primo grado con ricorso 481 del 2011 in attesa di fissazione di udienza pubblica e la richiesta cautelare è stata respinta con ordinanza n.1295 del 2011);d) in data 27 gennaio 2006 la Polizia Municipale eseguiva sopralluogo con il quale constatava la realizzazione, in assenza di permesso di costruire, di ampliamento con mutamento di destinazione d’uso del preesistente manufatto originariamente costituito da garage, ripostiglio e portico, delle dimensioni di mq.70,51;veniva quindi emessa ordinanza di sospensione dei lavori e ingiunta la demolizione dei lavori (atti impugnati con ricorso al Tar Lazio n.8043 del 2006 la cui udienza pubblica è stata tenuta in data 18 ottobre 2012);e) nonostante la presentazione di istanza di condono edilizio, a sua volta respinta, il privato presentava richiesta di permesso di attuare in sanatoria il cambio di destinazione d’uso dei locali a piano terreno ai sensi dell’art. 13 della legge n.47 del 1985 da garage –ripostiglio a locale artigianale.
La richiesta di mutamento di destinazione d’uso veniva respinta in quanto la destinazione artigianale richiesta contrasterebbe con le norme del Piano Regolatore Generale del Comune di Grottaferrata, che prevede esclusivamente destinazioni residenziali.
Tale ultimo provvedimento di diniego sul mutamento di destinazione d’uso è quello impugnato dinanzi al primo giudice, che ha definito il giudizio con la sentenza n.5577 del 18 giugno 2012, oggetto di esame in appello.
L’amministrazione comunale rappresenta altresì che, in ordine al condono edilizio, il provvedimento di rigetto era stato motivato dalla circostanza che le opere abusive realizzate ricadevano in zona soggetta a vincolo paesaggistico e che quindi sussisteva l’insanabilità dell’abuso (avverso tale rigetto veniva proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, non definito allo stato degli atti).
Con altro giudizio instaurato su istanza di cittadini residenti in quella strada, il Tribunale di primo grado aveva accolto il ricorso per silenzio-inadempimento rispetto al dovere del Comune di intervenire perché in quella zona è vietato l’insediamento di attività commerciale o artigianale. A causa della inottemperanza all’ordine di cessazione dell’attività, il Comandante della Polizia Municipale diffidava il privato P a cessare la relativa attività, avvertendo che si sarebbe proceduto d’ufficio;rilevato l’ulteriore inadempimento, previa trasmissione della notitia criminis ex art. 650 c.p. alla Procura della Repubblica di Velletri, in data 24 novembre 2010 la Polizia Municipale procedeva coattivamente a chiudere l’attività mediante apposizione di sigilli alla porta d’ingresso del locale.
In data 19 novembre 2010 il Comune ingiungeva la demolizione dell’ampliamento realizzato abusivamente mediante la chiusura del portico esistente, di ripristinare l’uso garage e ripostiglio della porzione immobiliare a piano terra abusivamente utilizzata a locale artigianale (officina meccanica) e di demolire la tettoia adiacente l’edificio di circa mq.24,28 (avverso tale ordinanza veniva proposto ricorso al Tar Lazio n.1061 del 2011).
Quindi, come detto e come riporta il Comune nel suo appello, in primo grado l’attuale appellato impugnava il diniego del permesso di sanatoria del cambio di destinazione d’uso deducendo di essere proprietario di un locale, posto al piano terra di un fabbricato, ove esercita attività di officina meccanica in virtù di un’autorizzazione rilasciata dal Comune nel lontano 1968, sostenendo che la destinazione artigianale è anteriore al PRG approvato nel 1972 e che solo con tale strumento tale zona è divenuta estensiva D1, che il fabbricato sarebbe stato ampliato e ristrutturato nell’anno 1970 e il progetto assentito con licenza edilizia n.63/1970 e che solo per errore il locale veniva indicato come “garage”.
In sostanza, affermava che, solo per scrupolo tuzioristico, per tutto il locale veniva presentata richiesta di permesso in sanatoria, ma non vi era mai stata un’effettiva modifica dell’originaria destinazione artigianale ma solo un’erronea qualificazione del locale come garage nel progetto approvato con la citata licenza di costruzione n.63 del 1970.
Avverso la sentenza di accoglimento di primo grado il Comune propone i seguenti motivi di appello.
Con un primo motivo si deduce il sopravvenuto difetto di interesse a ricorrere, in quanto è stata definitivamente rigettata l’istanza di condono con riferimento agli illeciti consistenti nella chiusura di un portico, nell’ampliamento del fabbricato con cambio di destinazione d’uso da garage e ripostiglio a officina e nella costruzione di una tettoia e si tratta di insanabilità assoluta perché in zona vincolata.
L’eventuale annullamento del rigetto dell’istanza di cambio di destinazione d’uso non apporterebbe quindi alcun vantaggio all’attuale appellato, poiché l’opera in questione andrebbe comunque demolita o acquisita al patrimonio comunale e andrà ripristinato l’uso a garage-ripostiglio, al di là della circostanza che l’ordinanza di demolizione del 9 novembre 2010 non è stata sospesa.
Con riguardo al merito – in relazione al riscontrato eccesso di potere secondo la sentenza erronea – il Comune appellante rileva che l’appellato ha omesso di riferire che aveva eseguito abusivamente ulteriori opere di ampliamento e cambio di destinazione d’uso consistenti in chiusura portico, ampliamento, cambio di destinazione da garage e ripostiglio, il tutto destinato ad officina, inoltre costruzione di tettoia, opere per le quali dichiarava che nel gennaio 2003 erano terminati i lavori.
Al contrario, sostiene il Comune, il locale nel gennaio 2003 aveva subito una trasformazione edilizia senza titolo abilitativo, per cui si era chiesto condono edilizio, che non poteva essere concesso attesa la destinazione solo residenziale di quella zona;né vale richiamare la norma dell’art. 15 delle NTA al PRG, che salvaguarda le destinazioni gli edifici artigianali preesistenti realizzati in zone diverse da quelle artigianali, perché nella specie non si tratta di edificio artigianale esistente, ma di un garage ripostiglio.
La richiesta di condono, relativa sia all’ampliamento del locale che al cambio di destinazione d’uso da garage e ripostiglio ad officina meccanica, dimostra che si è dinanzi ad un palese abuso edilizio realizzato nell’anno 2003.
Con altro motivo di appello si contesta la fondatezza del motivo di cui al ricorso originario, dichiarato assorbito, consistente nella violazione dell’art. 10 bis della legge n.241 del 1990, trattandosi di attività vincolata su abusi edilizi.
Si è costituito l’appellato chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.
Con memoria apposita, la parte appellata ha eccepito il deposito tardivo, da parte del Comune appellante, di nuova documentazione, mentre il Comune appellante sostiene che non si tratti di altro che della documentazione attinente agli atti oggetto della impugnativa giurisdizionale, che debbono essere acquisiti al giudizio.
Alla udienza pubblica del 13 maggio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con riguardo alla documentazione prodotta in giudizio, deve soltanto osservarsi che il Comune, non costituito in primo grado, ha depositato i provvedimenti relativi al procedimento amministrativo oggetto di causa.
La parte appellata, peraltro in modo generico (senza cioè in alcun modo indicare i documenti nuovi che sarebbero stati depositati irregolarmente) ha eccepito l’irritualità del deposito in appello.
Al riguardo, condivisibilmente, secondo questo Collegio, l’appellante Comune afferma di aver provveduto al deposito degli atti oggetto della impugnativa originaria, che per definizione debbono essere considerati indispensabili nell’ambito del processo.
Infatti, (tra tanti, Consiglio di Stato sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6497, Cons. Stato, n.2738 del 9 maggio 2011) nel processo amministrativo di primo grado, l'Amministrazione resistente ha l'onere di depositare il provvedimento impugnato e gli atti e documenti del relativo procedimento amministrativo e gli altri ritenuti utili. Se l'Amministrazione non provvede a tale adempimento, il giudice ordina anche d'ufficio l'esibizione dei documenti . Se ne desume che il provvedimento impugnato e gli atti del procedimento amministrativo relativo sono per definizione "indispensabili" al giudizio e la mancata produzione da parte dell'Amministrazione non comporta decadenza, sussistendo il potere dovere del giudice di acquisirli d'ufficio.
Se ne ricava l'ulteriore conseguenza che la mancata acquisizione d'ufficio da parte del giudice può essere ben supplita con i poteri ufficiosi del giudice di appello atteso che l'art. 46 comma 2, c.p.a. è senz'altro applicabile in grado di appello senza che si incontri la preclusione ai nova in appello recata dall'art. 104 comma 2, c.p.a., essendovi per definizione un'indispensabilità, sotto il profilo probatorio, del provvedimento impugnato e degli atti del relativo procedimento.
Con un primo motivo di appello, il Comune di Grottaferrata deduce il sopravvenuto difetto di interesse a ricorrere del ricorrente di prime cure, in quanto è stata definitivamente rigettata l’istanza di condono con riferimento agli illeciti consistenti nella chiusura di un portico, nell’ampliamento del fabbricato con cambio di destinazione d’uso da garage e ripostiglio a officina e nella costruzione di una tettoia e si tratta di insanabilità assoluta, perché in zona vincolata.
L’eventuale annullamento del rigetto dell’istanza di cambio di destinazione d’uso non apporterebbe alcun vantaggio all’attuale appellato, poiché l’opera in questione andrebbe comunque demolita o acquisita al patrimonio comunale e andrà ripristinato l’uso a garage-ripostiglio, al di là della circostanza che la consequenziale ordinanza di demolizione del 9 novembre 2010 non è stata sospesa.
Il motivo è infondato.
In teoria, essendo stata definitivamente rigettata l’istanza di condono edilizio relativamente alle opere abusive, non avrebbe alcun senso contraddire in relazione alla possibilità di mutamento di destinazione d’uso, per il quale è stata ugualmente chiesta la sanatoria.
Il Collegio osserva, tuttavia, che nella specie l’interesse al mutamento di destinazione d’uso non è connesso necessariamente in realtà agli abusi perpetrati, per i quali è stato chiesto condono ai sensi dell’art. 32 del decreto legge n.269 del 30 settembre 2003, convertito in legge n.326 del 2003.
Una cosa è la destinazione d’uso effettiva del locale, che si sostiene risalente nel tempo e corrispondente alla attività di officina esercitata da oltre quaranta anni;altra cosa è la destinazione d’uso quale conseguenza che sarebbe derivata dalle ulteriori opere abusive (tettoia, portico e ampliamento del fabbricato).
Emerge infatti, e ciò vale anche quale considerazione ai fini della decisione di merito, che il cambio di destinazione d’uso – pur richiesto dalla parte istante anche in occasione della richiesta di condono delle opere abusive – consisteva in parte in realtà nel chiarimento e accertamento della originaria destinazione ad officina.
La richiesta riguardava quindi la reale e originaria destinazione, come tale risalente ad anni addietro, se si considera che l’attività artigianale risultava già autorizzata nel lontano 1968 e che su tale circostanza il Comune nulla ha controdedotto, così come non è contestato che altra ordinanza comunale (n.24534 del 2005), implicitamente ammettendo l’esercizio legittimo di quella attività, interveniva soltanto per sanzionare l’avvenuta separazione dei locali, perché comprometteva l’agibilità sanitaria e ambientale.
Nel merito, è infondato l’appello del Comune.
E’ vero che la richiesta di condono ha riguardato sia l’ampliamento che il cambio di destinazione;tuttavia, come detto, per questo secondo aspetto, cioè sul ripristino della destinazione del locale, non è mai stata in discussione la effettiva destinazione artigianale dell’immobile al momento di inizio dell’attività di officina anteriormente all’epoca di adozione e approvazione del PRG esistente (1968 e 1972), che poi ha stabilito la destinazione solo residenziale.
Lo stesso Comune contesta alla parte privata di avere preteso il mutamento ( rectius , il chiarimento sul mutamento) di destinazione d’uso in occasione della richiesta di condono edilizio attinente ad altri e ulteriori abusi edilizi, ma non smentisce i fatti e gli atti che comprovano, come osservato dal primo giudice, la destinazione effettiva illo tempore .
Sulla base delle sopra esposte considerazioni, va respinto l’appello, con conseguente conferma dell’appellata sentenza.
La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza;le spese sono liquidate in dispositivo.