Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-01-23, n. 201900578

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-01-23, n. 201900578
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201900578
Data del deposito : 23 gennaio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/01/2019

N. 00578/2019REG.PROV.COLL.

N. 05533/2018 REG.RIC.

N. 05502/2018 REG.RIC.

N. 05627/2018 REG.RIC.

N. 05630/2018 REG.RIC.

N. 05649/2018 REG.RIC.

N. 05676/2018 REG.RIC.

N. 05689/2018 REG.RIC.

N. 05713/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5533 del 2018, proposto da
Comune di Farra di Soligo, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro Lolli e Aristide Police, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti, 11;

contro

P s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati V D, G Z, L M e A M, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L M in Roma, via F. Confalonieri, 5;

nei confronti

Asco TLC s.p.a., Asco Holding s.p.a., Ascopiave s.p.a., Bluenergy Group s.p.a., non costituiti in giudizio;



sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5502 del 2018, proposto da
Comune di Cordignano, Comune di Godega di Sant’Urbano, Comune di Miane, Comune di Moriago della Battaglia, Comune di Orsago, Comune di San Fior, Comune di Sernaglia della Battaglia, Comune di Tarzo, Comune di Vidor, Comune di Cavaso del Tomba, tutti in persona dei Sindaci in carica, rappresentati e difesi dagli avvocati Alessandro Lolli e Aristide Police, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti, 11;

contro

P s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati V D, G Z, L M e A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L M in Roma, via F. Confalonieri, 5;

nei confronti

Comune di Cimadolmo, Comune di Fossalta di Piave, Comune di Gorgo al Monticano, Comune di Meduna di Livenza, Comune di Ponte di Piave, Comune di Salgareda, Comune di San Polo di Piave, Comune di Zenson di Piave, Comune di Altivole, Comune di Crocetta del Montello, Comune di Motta di Livenza, Comune di Paese, Comune di Portobuffolè, Comune di Torre di Mosto, Comune di Cappella Maggiore, Asco TLC s.p.a, Asco Holding s.p.a, Ascopiave s.p.a, Bluenergie Group s.p.a., non costituiti in giudizio;



sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5627 del 2018, proposto da
Comune di Altivole, Comune di Motta di Livenza, Comune di Paese, Comune di Portobuffolé, Comune di Torre di Mosto, Comune di Crocetta del Montello, tutti in persona dei Sindaci in carica, rappresentati e difesi dall'avvocato F V, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F V in Padova, via dei Borromeo, 16;

contro

P s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati V D, G Z, L M e A M, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L M in Roma, via F. Confalonieri, 5;

nei confronti

Comune di Cimadolmo, Comune di Fossalta di Piave, Comune di Gorgo al Monticano, Comune di Meduna di Livenza, Comune di Ponte di Piave, Comune di Salgareda, Comune di San Polo di Piave, Comune di Zenson di Piave, Comune di Cappella Maggiore, Comune di Cordignano, Comune di Godega di Sant'Urbano, Comune di Maserada Sul Piave, Comune di Miane, Comune di Moriago della Battaglia, Comune di Orsago, Comune di San Fioir, Comune di Sernaglia della Battaglia, Comune di Tarzo, Comune di Vidor, Comune di Cavaso del Tomba, Asco TLC s.p.a., Ascopiave s.p.a., Bluenergy Group s.p.a., Asco Holding s.p.a., non costituiti in giudizio;



sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5630 del 2018, proposto da
Comune di Castelfranco Veneto, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato F V, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F V in Padova, via dei Borromeo, 16;

contro

P s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati V D, G Z, L M e A M, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L M in Roma, via F. Confalonieri, 5;

nei confronti

Asco TLC s.p.a., Asco Holding s.p.a., Ascopiave s.p.a., Bluenergy Group s.p.a., non costituiti in giudizio;



sul ricorso iscritto al numero di registro generale 5649 del 2018, proposto da
Comune di Cappella Maggiore, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Pierpaolo Agostinelli e Mario Ettore V, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Mario Ettore V in Roma, via Barnaba Tortolini, 13;

contro

P s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati V D, G Z, L M e A M, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L M in Roma, via F. Confalonieri, 5;

nei confronti

Comune di Cimadolmo, Comune di Fossalta di Piave, Comune di Gorgo al Monticano, Comune di Meduna di Livenza, Comune di Ponte di Piave, Comune di Salgareda, Comune di San Polo di Piave, Comune di Zenson di Piave, Comune di Altivole, Comune di Crocetta del Montello, Comune di Motta di Livenza, Comune di Paese, Comune di Portobuffolè, Comune di Torre di Mosto, Comune di Cordignano, Comune di Godega di Sant'Urbano, Comune di Maserada Sul Piave, Comune di Miane, Comune di Moriago della Battaglia, Comune di Orsago, Comune di San Fior, Comune di Sernaglia della Battaglia, Comune di Tarzo, Comune di Vidor, Comune di Cavaso del Tomba, Asco TLC s.p.a., Asco Holding s.p.a., Bluenergy Group s.p.a., Ascopiave s.p.a., non costituiti in giudizio;



sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5676 del 2018, proposto da
Comune di Colle Umberto, Comune di Fonte, Comune di Revine Lago, Comune di San Biagio di Callalta, Comune di Vazzola, tutti in persona dei Sindaci in carica, rappresentati e difesi dagli avvocati Pierpaolo Agostinelli e Mario Ettore V, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Mario Ettore V in Roma, via Barnaba Tortolini, 13;

contro

P s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati V D, G Z, L M e A M, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L M in Roma, via F. Confalonieri, 5;

nei confronti

Asco TLC s.p.a., Asco Holding s.p.a., Bluenergy Group s.p.a., Ascopiave s.p.a., non costituiti in giudizio;



sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5689 del 2018, proposto da
Comune di Cimadolmo, Comune di Fossalta di Piave, Comune di Gorgo al Monticano, Comune di Meduna di Livenza, Comune di Ponte di Piave, Comune di Salgareda, Comune di San Polo di Piave, Comune di Zenson di Piave, tutti in persona dei Sindaci in carica, rappresentati e difesi dagli avvocati D A, M S e G B, con domicilio digitale come da tratta PEC dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. M S in Roma, viale Parioli, 180;

contro

P s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati V D, G Z, L M e A M, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L M in Roma, via F. Confalonieri, 5;

nei confronti

Asco Holding s.p.a., Asco TLC s.p.a., Ascopiave s.p.a., Comune di Altivole, Comune di Crocetta del Montello, Comune di Motta di Livenza, Comune di Paese, Comune di Portobuffolè, Comune di Torre di Mosto, Comune di Cavaso del Tomba, Comune di Cordignano, Comune di Godega di Sant'Urbano, Comune di Maserada Sul Piave, Comune di Miane, Comune di San Fior (Tv), Comune di Sernaglia della Battaglia, Comune di Tarzo, Comune di Vidor, Comune di Moriago della Battaglia, Comune di Orsago, Comune di Cappella Maggiore, Bluenergy Group s.p.a. non costituiti in giudizio;



sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5713 del 2018, proposto da
Comune di Ceggia, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati D A, M S e G B, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. M S in Roma, viale dei Parioli,180;

contro

P s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati V D, G Z, L M e A M, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L M in Roma, via F. Confalonieri, 5;

nei confronti

Asco Holding s.p.a., Asco TLC s.p.a., Bluenergy Group s.p.a., Ascopiave s.p.a., non costituiti in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 5502 del 2018:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00363/2018

quanto al ricorso n. 5533 del 2018:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00373/2018, resa tra le parti

quanto al ricorso n. 5627 del 2018:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00363/2018, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 5630 del 2018:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00376/2018, resa tra le parti

quanto al ricorso n. 5649 del 2018:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00363/2018, resa tra le parti

quanto al ricorso n. 5676 del 2018:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00408/2018, resa tra le parti

quanto al ricorso n. 5689 del 2018:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00363/2018, resa tra le parti quanto al ricorso n. 5713 del 2018:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00401/2018, resa tra le parti


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto gli atti di costituzione in giudizio di P s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2018 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Alessandro Lolli, A M, Zago, Domenichelli, Volpe, Agostinelli, Anselmi, Bertone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. I Comuni appellanti sono soci di Asco Holding s.p.a., con partecipazioni azionarie che variano da un minimo dello 0,05% del capitale ad un massimo del 2,74%.

Socio di Asco Holding s.p.a. è poi P s.r.l., con partecipazione dell’8,61% del capitale sociale.

1.1. I Comuni, ora azionisti di Asco Holding s.p.a., facevano parte del Consorzio obbligatorio del Bacino imbrifero montano del Piave , istituito nel 1955 per l’impiego dei sovra canoni delle derivazioni elettriche con lo scopo di garantire il riequilibrio economico del territorio. Il Consorzio ha realizzato la “metanizzazione” dei Comuni allo stesso partecipanti e di quelli limitrofi mediante la realizzazione della rete e la vendita del gas metano ai cittadini.

1.2. Successivamente, in attuazione della normativa comunitaria, l’attività di gestione della rete è stata scorporata da quella di vendita del gas ed attribuita ad un nuovo soggetto, denominato A.S.Co. Azienda speciale consorziale del Piave , poi trasformata in Ascopiave s.p.a..

Ascopiave s.p.a., nel tempo, ha esteso l’ambito delle sue attività, con conseguente creazione, per ciascuna delle nuove attività, di altrettante società per azioni;
al termine di tale processo Ascopiave s.p.a. è stata trasformata in Asco Holding s.p.a., società detentrice di partecipazioni azionarie in altre società, tra le quali, per quanto interessa, Asco Piave s.p.a. , operante nel settore dell’energia, controllante, a sua volta, di AP reti gas s.p.a. , società di distribuzione del gas e Asco Trade s.p.a. , società di fornitura di energia, e ASCO TLC s.p.a. , attiva nel settore delle telecomunicazioni.

2. Il d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 ( Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica ), all’art. 24, impone ai soggetti pubblici, detentori di partecipazioni, dirette o indirette, in società di capitali, di procedere all’alienazione ovvero all’elaborazione di un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione anche mediante messa in liquidazione o cessione in presenza di determinate condizioni, ivi dettagliatamente indicate, tra le quali, ai fini che qui interessano, l’assenza di correlazione tra l’attività sociale e le finalità istituzionali dell’ente (art. 20, comma 2, lett. a) che rinvia all’art. 4), nonché la mancanza di dipendenti o la presenza di un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti (art. 20, comma 2, lett. b) ).

A tal fine, è imposto a ciascuna amministrazione pubblica di effettuare, entro il 30 settembre 2017, con provvedimento motivato, la ricognizione di tutte le partecipazioni possedute alla data di entrata in vigore del decreto individuando quelle da alienare;
l’alienazione sarebbe dovuta avvenire entro un anno dalla conclusione della ricognizione. Inoltre l’art. 24, comma 5, prevedeva per il caso di mancata adozione dell’atto ricognitivo (ovvero in caso di mancata alienazione entro i termini previsti dal comma 4) la sospensione dei diritti sociali nei confronti della società, nonché la liquidazione della partecipazione in base ai criteri stabiliti all’art. 2437- ter , secondo comma, Cod. civ..

2.1. Asco Holding s.p.a., all’entrata in vigore del decreto legislativo, era una società priva di dipendenti e con cinque amministratori. I Comuni ad essa partecipanti, con distinte delibere, del settembre 2017, tutte del medesimo tenore, deliberavano, quale misura di razionalizzazione ai sensi dell’art. 20, comma 1, d.lgs. n. 175 del 2016, la fusione per incorporazione in Asco Holding s.p.a. della controllata Asco TLC s.p.a., società operativa e con dipendenti.

3. Con distinti ricorsi P s.r.l. impugnava al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto le delibere dei Comuni, domandandone l’annullamento per cinque motivi.

Nel complesso, P s.r.l contestava la decisione di mantenere le partecipazioni detenute in Asco Holding s.p.a.: a suo dire, dette partecipazioni non erano funzionali alle finalità istituzionali degli enti, considerato l’oggetto sociale delle controllate (attività di distribuzione di gas naturale, vendita del gas e servizi di telecomunicazione), nonché il loro carattere frammentario, che impediva ai Comuni di incidere sulle decisioni societarie;
poteva ritenersi, in breve, che le partecipazioni avessero solo scopo di lucro e, per questo, ne fosse imposta dalla legge la dismissione anziché il mantenimento.

3.1. La ricorrente P s.r.l domandava, altresì, accertarsi il mancato assolvimento degli obblighi posti dal d.lgs. n. 175 del 2016 entro il termine del 30 settembre 2017 con declaratoria della impossibilità di esercizio dei diritti sociali nei confronti della società, come da previsione normativa nonché dichiararsi la nullità e/o inefficacia degli atti di fusione nel frattempo posti in essere da Asco Holding s.p.a. e da Asco TLC s.p.a..

3.2. In ciascun giudizio si costituivano i Comuni. Questi eccepivano, preliminarmente, il difetto di giurisdizione amministrativa a favore della ordinaria, nonché la carenza di legittimazione e di interesse a ricorrere in capo a P s.r.l..

3.3. I giudizi di primo grado erano conclusi da distinte sentenze di identico contenuto. Si tratta delle sentenze impugnate nell’odierno giudizio di appello, e precisamente, la sentenza sez. I, 5 aprile 2018, n. 363, I, 10 aprile 2018, n. 373, I, 11 aprile 2018, n. 376;
I, 17 aprile 2018, n. 408.

3.4. Le sentenze accoglievano solo parzialmente le eccezioni pregiudiziali di rito formulate dai Comuni resistenti: dichiaravano inammissibile per difetto di giurisdizione amministrativa a favore della giurisdizione ordinaria le domande di accertamento dell’impossibilità per i Comuni di esercitare i diritti sociali ex art. 24, comma 5, d.lgs. n. 175 del 2016, come l’improcedibilità del ricorso in relazione alla domanda di accertamento della nullità e/o inefficacia degli atti di fusione nel frattempo posti in essere;
accoglievano il ricorso quanto alla domanda di annullamento delle delibere con conseguente annullamento delle stesse.

4. I Comuni hanno proposto distinti appelli (che hanno assunto distinti numeri di Rg. e precisamente: Rg. 5627/18;
5630/18;
5533/18;
5502/18;
5689/2018;
5676/18;
5649/2018: 5713/2018);
in tutti i giudizi si è costituita P s.r.l..

Le cause sono state chiamate all’udienza pubblica dell’8 novembre 2018, in vista della quale i Comuni avevano depositato memoria e entrambe le parti memoria di replica. La loro trattazione è stata, quindi, rinviata all’udienza pubblica del 13 dicembre 2018, per la quale i comuni hanno depositato ulteriore memoria, ed infine sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

I. La riunione dei giudizi.

1. Preliminarmente è confermata la riunione di tutti gli appelli già disposta in sede cautelare con l’ordinanza 21 settembre 2018, n. 4492, per connessione soggettiva parziale, per essere proposti dai Comuni nei confronti della medesima parte P s.r.l., ed oggettiva, per avere ad oggetto la medesima questione della legittimità delle delibere comunali, di identico tenore, con le quali i Comuni hanno deciso di mantenere le partecipazioni azionarie detenute in Asco Holding s.p.a.

II. Le delibere del settembre 2018 .

2. Va, poi, esaminata l’eccezione di improcedibilità degli appelli per sopravvenuto difetto di interesse sollevata da P s.r.l. nelle memorie di replica.

2.1. Successivamente alle sentenze qui appellate, nel mese di settembre 2018, alcuni comuni hanno assunto nuove delibere che, dato atto dell’annullamento giurisdizionale delle precedenti delibere, hanno disposto il mantenimento delle partecipazioni in Asco Holding s.p.a., per essere ormai superate le criticità individuate dalle sentenze, per virtù delle modifiche statutarie, medio tempore deliberate dall’assemblea di Asco Holding s.p.a.: quali, in particolare, il rafforzamento della “ governance della holding al fine di garantire stabilità e gestione unitaria delle partecipazioni indirette degli enti pubblici e incrementare il coinvolgimento dei soci nelle decisioni strategiche di indirizzo dell’organo amministrativo, prevedendo altresì, iniziative propulsive dei soci nei confronti degli organi sociali ”.

2.2. P s.r.l., nella memoria di replica, ha richiesto a questo giudice di verificare se, a seguito delle nuove delibere, gli appelli non siano divenuti improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse.

I comuni, nell’ultima memoria, si oppongono ad una pronuncia di improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse, per diverse ragioni. Precisato che vi sono molti comuni, soci di Asco Holding s.p.a., che non hanno adottato nuove delibere e per i quali, pertanto, l’interesse alla pronuncia d’appello permarrebbe indiscusso, ribadiscono che le delibere del settembre 2018 rappresentano la seconda fase del processo di razionalizzazione avviato con le delibere del settembre 2017, e non determinazioni sostitutive delle precedenti come è dimostrato dal fatto che si dispone il mantenimento delle partecipazioni in Asco Holding s.p.a., donde l’interesse a che il giudice di appello esamini nel complesso le determinazioni comunali;
in ogni caso, si conclude, le modifiche statutarie disposte dall’assemblea di Asco Holding s.p.a. non sono incompatibili con il procedimento di fusione prefigurato dalle delibere impugnate in primo grado.

2.3. Ritiene il Collegio che, anche a seguito delle delibere del settembre 2018, non sia venuto meno l’interesse alla decisione dell’appello proposto dai comuni che tali delibere hanno poi adottato;
per gli altri, evidentemente, siffatta questione non si pone.

Nel caso di appello proposto dall’amministrazione i cui atti sono stati annullati dal giudice di primo grado, si realizza la sua sopravvenuta carenza di interesse, con improcedibilità dell’appello da essa proposto, solo in ipotesi di sua autonoma adozione di un provvedimento di adeguamento che adotti atti diversi e ulteriori rispetto a quelli di stretta esecuzione della pronuncia ovvero esprima comunque la volontà di un’acquiescenza espressa o tacita, alla sentenza impugnata (cioè un’inequivoca manifestazione di accettazione dell’assetto di interessi definito dalla sentenza di primo grado). Un altro suo provvedimento può incidere sull’interesse a ricorrere del ricorrente antagonista e, può, dar luogo a seconda dei casi a cessazione della materia del contendere (ove la pretesa del ricorrente divenga così integralmente soddisfatta) ovvero a pronuncia di sopravvenuto difetto di interesse a ricorrere (ove il provvedimento impugnato sia stato eliminato, con conseguente cessazione di effetti). Ma la mera circostanza che l’amministrazione soccombente in primo grado abbia poi dato esecuzione a quella sentenza, senza eccedere rispetto ai suoi effetti esecutivi, non rende di suo improcedibile l’appello (es. Cons. Stato, Ad. plen., 27 febbraio 2003, n. 3;
V, 20 agosto 2008, n. 3969;
29 marzo 2011, n. 1926).

2.4. Le delibere del settembre 2018 non sono espressione di acquiescenza, neppure tacita, alle sentenze di primo grado. Taluni comuni, infatti, alla luce di quelle pronunce hanno disposto di mantenere la partecipazione in Asco Holding s.p.a. per ragioni diverse da quelle precedentemente figurate quale, in particolare, l’avvenuta trasformazione, a seguito delle modifiche statutarie, di Asco holding s.p.a. in una “ holding pura ” che gestisca mediante una più efficace governance le partecipazioni in società operative. Quanto, poi, ad Asco TLC s.p.a., nelle delibere si prefigura una possibile alienazione mediante procedura da definirsi da parte degli organi assembleari di Asco Holding s.p.a.

2.5. Le nuove delibere, pertanto, esprimono l’intento di dar attuazione alle sentenze di primo grado, che, per il contenuto caducatorio, comportavano i rilevanti effetti di cui all’art. 24, comma 5, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, alla luce delle modifiche statutarie medio tempore intervenute, accompagnate dalla ribadita volontà, peraltro, di non dismettere le partecipazioni detenute in Asco holding s.p.a.. Ne segue, secondo principi generali, che l’eventuale accoglimento degli appelli proposti, con conseguente reviviscenza delle deliberazioni già annullate, avrebbe effetto su di esse (e non viceversa).

III. Le questioni pregiudiziali riproposte con gli atti d’appello .

3. Disposta la riunione, vanno esaminati i motivi di censura delle sentenze di primo grado per aver respinto le eccezioni pregiudiziali di rito sollevate in relazione alla domanda di annullamento delle delibere comunali.

3.1. In taluni appelli è contestata la reiezione dell’eccezione di difetto di giurisdizione amministrativa.

3.2. Le sentenze di primo grado hanno ritenuto sussistente la giurisdizione amministrativa sulle domande di annullamento delle delibere comunali adottate ai sensi dell’art. 24, comma 1, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175.

In particolare, l’eccezione di difetto assoluto di giurisdizione – le delibere impugnate sono espressione di una scelta di merito, sottratta al sindacato giurisdizionale amministrativo – è respinta per aver qualificato il provvedimento di ricognizione delle partecipazioni di cui all’art. 24, comma 1, d.lgs. n. 175 del 2016 come provvedimento amministrativo, sottoposto, in quanto tale, al sindacato del giudice amministrativo.

3.3. Quanto, invece, alla diversa eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per essere competente a conoscere la controversia il giudice ordinario, è superata con la considerazione del carattere provvedimentale ed autoritativo delle delibere impugnate: rispetto al quale si confronta una situazione soggettiva di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.

Le sentenze rammentano, altresì, come la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione abbia affermato che spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto l’attività unilaterale prodromica alla vicenda societaria, perché di natura pubblicistica, con cui l’ente pubblico delibera di costituire una società, parteciparvi, procedere ad un atto modificativo o estintivo, interferire nella sua vita.

3.4. Negli atti d’appello che ripropongono la questione è nuovamente discussa la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della censura che contesta la scelta dei Comuni di mantenere la partecipazione azionaria. Tale decisione rientrerebbe nel merito amministrativo e sarebbe, perciò sottratta al sindacato del giudice amministrativo. La deliberazione di razionalizzazione delle partecipazioni detenute previsto dall’art. 24, comma 1, d.lgs. n. 175 del 2016, pertanto, pur essendo un atto amministrativo, e come tale sottoposto in linea di principio alla cognizione del giudice amministrativo, non potrebbe essere contestato quanto al merito del contenuto.

4. Le sentenze impugnate hanno riconosciuto la legittimazione a ricorrere di P s.r.l. e il suo interesse a proporre domanda di annullamento delle delibere comunali.

4.1. Le impugnate sentenze individuano, anzitutto, la ragione che aveva indotto il socio privato ad impugnare le delibere comunali per contrastare la fusione tra Asco Holding s.p.a. e Asco TLC s.p.a. e a favore di scelte diverse che avrebbero consentito una maggiore valorizzazione della sua partecipazione azionaria, quali la fusione tra Asco Holding s.p.a. e Ascopiave s.p.a., società quotata in borsa e le cui azioni, dunque, sarebbero state più appetibili sul mercato;
ovvero l’alienazione delle quote di Asco Holding s.p.a., che le avrebbe consentito di concorrere per il loro acquisto e così aumentare la partecipazione nella holding , con assunzione di un ruolo strategico (e non poco rilevante quale era fino a quel momento).

4.2. Ne segue, per le sentenze, la legittimazione a ricorrere di P s.r.l.: le delibere comunali, destinate ad avere seguito nelle decisioni assunte dalle assemblee societarie, avrebbero avuto nella sfera giuridica di P s.r.l. l’effetto immediato e diretto di impedirle, considerata la sua posizione minoritaria all’interno della compagine societaria, la valorizzazione della sua partecipazione azionaria secondo le modalità auspicate, e, in particolare mediante l’alienazione delle azioni.

4.3. Si aggiunge, infine, la qualificazione della situazione soggettiva di P s.r.l. come di interesse legittimo, da intendersi non come interesse alla correttezza dell’azione amministrativa, ma nel senso di interesse alla correttezza e legittimità dell’operato della società partecipata, affinché non si assumano delibere assembleari, in ragione delle precedenti determinazioni comunali, in contrasto ovvero elusive degli obblighi posti dal Testo unico sulle società a partecipazione pubblica , tale evenienza comportando un danno per il socio privato (derivante dall’impossibilità per il socio pubblico di esercitare i diritti sociali secondo la previsione dell’art. 24, comma 5, d.lgs. n. 175 del 2016).

4.4. In più atti di appello è contestata la legittimazione a ricorrere di P s.r.l. e il suo interesse a ricorrere. P s.r.l. non sarebbe legittimato a ricorrere al giudice amministrativo per difetto di titolarità di una situazione soggettiva differenziata rispetto a qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento rispetto alle delibere comunali, che non producono alcun effetto nella sua sfera giuridica;
anche dopo la loro adozione, infatti, la partecipazione societaria di P s.r.l. resta immutata, così come i suoi diritti e le sue prerogative sociali.

Il socio privato di una società mista non sarebbe, dunque, legittimato ad impugnare davanti al giudice amministrativo i provvedimenti del socio pubblico, che precedono le delibere societarie, poiché gli effetti si producono nella sua sfera giuridica solo in maniera indiretta e riflessa, laddove, invece, incidono in maniera diretta nei confronti della società. Il socio privato, dunque, ha interesse all’osservanza della legge nell’adozione delle determinazioni amministrative, ma si tratta di interesse di mero fatto, non tutelabile dinanzi al giudice amministrativo.

4.5. L’argomento è ulteriormente sviluppato con la considerazione per cui P s.r.l. non è toccato dalla decisione di non dismettere le partecipazioni azionarie: se anche la decisione fosse stata di procedere alla dismissione – circostanza non dimostrabile considerata l’ampia discrezionalità dell’amministrazione nella scelta tra le opzioni dell’art. 24 d.lgs. n. 175 del 2016 per la razionalizzazione delle partecipazioni azionarie – sarebbe pur sempre necessaria una procedura di evidenza pubblica cui P s.r.l. parteciperebbe come un qualsiasi interessato, senza vantare alcun diritto di prelazione;
e a diversa conclusione non si potrebbe pervenire neppure a tener conto dell’art. 24, comma 5, d.lgs. n. 175 del 2016, che impone, in caso di mancata ricognizione ed alienazione nel termine di un anno dal 31 ottobre 2017, la liquidazione in denaro delle partecipazione con le modalità previste dal recesso del socio da società per azioni, e, dunque, offrendole agli altri soci, poiché la società potrebbe pur sempre sottrarsi a tale obbligo mediante l’alienazione della partecipazione;
con il che la situazione di P s.r.l. sarebbe qualificabile come una mera aspettativa.

4.6. E’, altresì contestata la sussistenza dell’interesse a ricorrere, per acquiescenza a talune previsioni contenute negli atti impugnati: precisamente, P s.r.l. non ha censurato le delibere comunali nella parte in cui hanno dichiarato funzioni fondamentali dei Comuni ai sensi dell’art. 14, comma 27, d.-l. n. 78 del 2010, anche i servizi di gestione dei tributi, risorse idriche e gestione ambientale svolti da altre società partecipate da Asco Holding s.p.a.;
è così resa inoppugnabile la scelta delle amministrazioni di conservare le partecipazioni azionarie anche solo per lo svolgimento dei predetti servizi.

IV. La giurisdizione amministrativa sulle delibere impugnate. La legittimazione a ricorrere di P s.r.l.

5. Ritiene il Collegio che le sentenze di primo grado meritino conferma nella parte in cui hanno ritenuto la giurisdizione del giudice amministrativo e riconosciuto a P s.r.l. la legittimazione e l’interesse a ricorrere.

5.1. La volontà del soggetto pubblico che è socio di una società mista, analogamente a di quella di ogni soggetto collettivo socio di una società di capitali, e a differenza di quanto accade per il socio persona fisica, non si forma nel foro interno per essere, poi, esternata mediante dichiarazione e il voto in assemblea;
ma all’esito di un evidente procedimento amministrativo, il cui atto principale è deliberato dall’organo competente per legge. Se il soggetto collettivo è un soggetto privato, si tratta di interna corporis rilevanti solo per i partecipanti a quel soggetto stesso;
ma se è ente pubblico, questo è un procedimento amministrativo che rileva per la generalità e rispetto al quale ben vi possono essere posizioni differenziate, sindacabili davanti al giudice amministrativo quale giudice del legittimo esercizio del potere pubblico.

5.2. V’è, dunque, una fase pubblicistica che precede la fase privatistica interna alla società e che si conclude con l’adozione delle delibera da parte degli organi societari. Il socio pubblico, infatti, agisce prima come autorità e, poi, come socio: per così dire, come autorità determina e come socio delibera.

La determinazione amministrativa precede ed è prodromica alla delibera societaria, secondo l’usuale schema dell’atto amministrativo prodromico all’adozione di un atto negoziale, ampiamente praticato in tema di contratti stipulati da una pubblica amministrazione (sul quale cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 5 maggio 2014, n. 13: “ Affinché una determinazione amministrativa possa assumere la natura dell’atto prodromico, nel senso tecnico considerato dalla giurisprudenza, occorre che sia individuabile nell’atto stesso il compimento di un processo decisionale ossia la formazione della volontà di compiere un atto di diritto privato, di cui l’ente abbia valutato ed approvato il contenuto, e che ciò risulta verificabile in base al procedimento seguito. In tal caso, l’atto assume dignità provvedimentale e può essere autonomamente valutato sul piano della legittimità e formare oggetto di impugnazione in sede giurisdizionale ovvero di autotutela ”;
v. altresì, ad es., Cass., SS.UU., 12 marzo 2007 n. 5593;
10 ottobre 2002, n. 14474). Il rappresentante del socio pubblico in assemblea manifesta la volontà dell’ente quale inveratasi nella determinazione amministrativa.

5.3. La volontà del socio pubblico si forma nella prodromica determinazione amministrativa, e va a produrre i suoi reali effetti nei confronti della società, come nei confronti degli altri soci. Gli altri soci, specie se detentori di una partecipazione minoritaria, sanno che la delibera assembleare darà seguito alla determinazione amministrativa, riprendendone il contenuto, con ogni conseguenza, positiva o negativa, sul loro patrimonio azionario e sui diritti sociali.

La posizione del socio di fronte all’esercizio del potere pubblico che riguarda la successiva condotta dell’ente all’interno della società non è, pertanto, come assumono gli appellanti, indifferenziata e assimilabile a quella di un quisque de populo estraneo al capitale sociale: ma è una situazione soggettiva particolare e differenziata. Su di essa, infatti, l’esercizio del potere pubblico va a esplicare effetti, seppure attraverso l’intermediazione formale dell’atto infrasocietario del rappresentante dell’ente che porta ad effetto la determinazione amministrativa nel contesto della società. Il che di suo concretizza per il socio un interesse diretto e immediato all’uso legittimo di quel potere pubblico orientato a rifluire sulla sua propria situazione societaria, cioè un autentico interesse legittimo (in modo sostanzialmente non dissimile – riguardo al ricordato schema – dalla posizione del potenziale concorrente alla gara rispetto all’atto amministrativo prodromico che stabilisce e configura la gara stessa e, si intende, per vizi propri del solo provvedimento amministrativo). Diversamente, nei confronti del socio privato la partecipazione societaria del socio ente pubblico varrebbe quanto la partecipazione di un altro socio privato: ma vi è la differenza che un altro socio privato, nelle sue scelte e manifestazioni societarie, non esprime la supremazia di un potere pubblico, concernente la generalità dei cittadini;
ma una sua privata autodeterminazione, rimessa alla sua propria interna valutazione di rischio imprenditoriale, come tale insindacabile e coperta dal diritto di impresa dell’art. 41 Cost. in posizione paritaria con il socio privato in questione. Né la vicenda si esaurisce nel contesto infrasocietario con riguardo alla mera manifestazione di volontà in quel successivo contesto, perché già sorge in sede amministrativa propria: e il contesto infrasocietario non è uno schermo isolante la vicenda al suo ultimo tratto e - contro l’art. 113, primo comma, Cost. – preclusivo della tutela giurisdizionale amministrativa davanti al giusto giudice del provvedimento, che è quello amministrativo.

5.4. Le sentenze di primo grado hanno, dunque, ben qualificato la situazione soggettiva del socio come di interesse legittimo , specificando che va “ inteso non già come interesse alla correttezza dell’azione amministrativa (secondo una risalente impostazione dottrinale), ma come interesse alla correttezza e legittimità dell’operato della società di cui si detengono le quote, al fine del mantenimento e dell’aumento del valore delle quote stesse (bene della vita sostanziale) ”, ovvero .- si può aggiungere - secondo una concezione dell’interesse legittimo come aspirazione al conseguimento o al mantenimento di un bene o di una utilità in conseguenza dell’azione amministrativa.

5.5. Nel processo amministrativo, la legittimazione a ricorrere (titolo o possibilità giuridica dell'azione) coincide con la titolarità di una situazione giuridica soggettiva qualificata e tutelata dall'ordinamento (cfr. Cons. Stato, V, 25 giugno 2018, n. 3923;
IV, 4 dicembre 2017, n. 5713;
IV, 19 luglio 2017, n. 3563;
VI, 2 maggio 2017, n. 2004;
VI, 21 marzo 2016, n. 1156).

Il socio privato, azionista minoritario di una società mista, per essere titolare di una situazione di interesse legittimo, è senz’altro legittimato ad impugnare le delibere comunali, prodromiche alle decisioni assunte in sede societaria (in tal senso, espressamente, sulla legittimazione ad impugnare dell’azionista minoritario, cfr. Cass., SS.UU., 3 novembre 2011, n. 23200).

5.6. Inoltre il socio privato che intenda contestare la determinazione amministrativa dovrà adire il giudice amministrativo, per essere devolute alla giurisdizione amministrativa, ex art. 7, comma 1, Cod. proc. amm. «…le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni» .

5.7. In tal senso è orientata la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato a partire da Cons. Stato, Ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10: “ Conclusivamente, la giurisdizione amministrativa sussiste per gli atti che, incidendo sulla organizzazione dell’ente, sono espressione di potestà pubblica, atti tra i quali rientrano certamente quelli di costituzione, modificazione ed estinzione della società, ivi compresa, evidentemente, la scissione, che comporta la costituzione di una nuova società. Per converso, resta fermo il modello privatistico, e la conseguente giurisdizione ordinaria, sugli atti societari a valle della scelta di fondo di utilizzo o meno del modello societario (e salve specifiche espresse attribuzioni di giurisdizione al giudice amministrativo, come nel caso di cui all’art. 2 d.l. 332/04): in tal caso, infatti, l’ente pubblico esercita i poteri ordinari dell’azionista che si traducono in atti societari sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, coerentemente con i principi di diritto comunitario che non ammettono poteri speciali da parte dell’azionista pubblico ”. (ma già Cass., SS.UU., 20 settembre 2013, n. 21588).

5.8. Per gli effetti sull’odierna controversia: le deliberazioni dei consigli comunali adottate ex art. 24, comma 1, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 si collocano, in una sequenza complessa, quali atti prodromici alle delibere degli organi societari di Asco Holding s.p.a. e delle sue controllante. Infatti riguardano la decisione di quei soci pubblici circa il futuro assetto societario e, dunque, definiscono gli atti infrasocietari che dovranno essere adottati per darvi attuazione. A fronte di un tale esercizio del pubblico potere, P s.r.l., socio privato, è titolare di una situazione di interesse legittimo e, per questo, legittimato ad impugnare dinanzi al giudice amministrativo i detti atti.

5.9. Resta da precisare che, alla legittimazione a ricorrere, si accompagna l’interesse a ricorrere, che è condizione dell’azione;
si sostanzia nell’utilità o nel vantaggio (materiale e morale) che il ricorrente può ricavare dall’accoglimento della domanda proposta in giudizio (cfr. ad es. Cons. Stato, V, 21 febbraio 2018, n. 1100;
III, 10 aprile 2017, n. 1678;
III, 8 settembre 2016, n. 3829).

Spetta al giudice valutare in limine se dall’accoglimento della domanda di annullamento può conseguire una qualche utilità o un vantaggio a favore del privato ricorrente. È verifica in astratto, poiché l’effettivo conseguimento (o meno) dell’utilità (per questo, qualificata come “sperata” o “attesa”) appartiene al merito del giudizio dipendendo dall’accoglimento o meno della domanda.

5.10. P s.r.l. ha interesse ad impugnare le deliberazioni consiliari non tanto per l’interesse (strumentale) alla riattivazione del procedimento amministrativo, con conseguente possibilità che i Comuni addivengano a scelte diverse – e per questo specifico profilo la sentenza di primo grado va corretta poiché sembra profilare l’interesse a ricorrere in forma indiretta ed eventuale – quanto per evitare la conseguenza, essa sì diretta ed immediata, che l’incorporazione per fusione comporta, del rafforzamento della posizione dei soci pubblici nel capitale sociale come composto all’esito del processo di fusione.

In ragione di ciò, va respinta la censura rivolta a contestare la carenza di interesse a ricorrere per non aver P s.r.l. contestato ogni statuizione contenuta nella deliberazioni comunali e, segnatamente, la qualificazione del servizio di gestione dei tributi, risorse idriche e gestione ambientale come funzionali all’interesse del Comune.

5.11. I limiti del sindacato del giudice amministrativo sulle domande di annullamento, oggetto di specifica censura in uno degli appelli proposti, vanno esaminate unitamente agli ulteriori motivi di appello.

V. Il merito del giudizio. La sentenza e i motivi di appello .

6. Le sentenze di primo grado hanno annullato le delibere impugnate per essere le partecipazioni azionarie dei Comuni in Asco Holding s.p.a. non coerenti con il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente e, per questo motivo, secondo la previsione dell’art. 24, comma 1, d.lgs. 175 cit., non suscettibili di conservazione, ma necessariamente oggetto di alienazione, ovvero, in altro modo, di cessione.

6.1. Il giudice di primo grado perviene a questa conclusione per due ragioni:

a) per la forma, definita pulviscolare, della partecipazione detenuta da ciascun Comune nel capitale di Asco Holding s.p.a. (in nessun caso superiore al 2,74%): dando seguito a talune considerazioni contenute nella delibera della Corte dei conti della Lombardia sezione controllo del 21 dicembre 2016, n. 398, si afferma che, in caso di partecipazione minoritaria, ed in assenza di patti parasociali, di sindacato o altre previsioni statutarie che consentano ai soci di maggioranza di controllare la vita e l’attività della holding, il soggetto pubblico non è in grado di influire sulle decisioni strategiche della società e, dunque, di garantire l’accesso dei cittadini al servizio con le modalità e nelle forme proprie di un servizio di interesse economico generale, ovvero con continuità non discriminazione, qualità e sicurezza del servizio;
in questi casi, il servizio espletato non è da ritenere, in senso oggettivo (prima ancora che nella valutazione dell’ente) “servizio di interesse generale”, e la partecipazione dell’ente pubblico assume le caratteristiche di un semplice sostegno finanziario ad attività d’impresa;

b) per l’oggetto dell’attività societaria: se l’attività di distribuzione del gas può farsi rientrare tra i “ servizi di interesse generale ”, non altrettanto può dirsi né per l’attività di vendita del gas né per i servizi di telecomunicazione svolti da Asco TLC s.p.a., “ aventi carattere puramente commerciale ”, con conseguente assenza del requisito dell’esclusività richiesto dall’art. 4, comma 2, d.lgs. 175 cit. per la conservazione delle partecipazioni pubbliche in società.

6.2. La conclusione del ragionamento è l’accertamento dell’illegittimità delle delibere comunali nella parte in cui, attraverso la fusione per incorporazione di Asco TLC s.p.a. in Asco Holding s.p.a., consentono di conservare le partecipazioni azionarie pur in assenza delle condizioni previste dal 24, comma 1, d.lgs. 175 del 2016: cioè che si tratti di società riconducibili ad una delle categorie di cui all’articolo 4, vale a dire società che svolgono un “ servizio di interesse generale ” in coerenza con il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente locale.

Da ciò l’illegittimità delle delibere per inadeguatezza delle motivazioni addotte a sostegno dell’operazione di ricognizione delle partecipazioni.

6.3. Gli appellanti contestano entrambe le ragioni poste a fondamento della sentenza.

6.4.Quanto alla forma della partecipazione detenuta dai Comuni in Asco Holding s.p.a. l’assunto degli appellanti è che, da un lato, ed in via generale, l’entità minoritaria della partecipazione azionaria non è di per sé sola, ragione sufficiente ad imporne l’alienazione: infatti sia l’art. 2, lett. f) che l’art. 4, comma 1, d.lgs. 175 cit. espressamente prevedono che la partecipazione pubblica ad una società di capitali possa essere “di minoranza” , così implicitamente ammettendo che le finalità istituzionali dell’ente possono essere perseguite anche con partecipazioni minoritarie (e senza indicare un tetto minimo di partecipazione) in società di capitali;
e, dall’altro, che, nel caso specifico, pur in mancanza di patti parasociali ovvero di altri strumenti negoziali di direzione della società, il controllo dei soci pubblici sulla vita e l’attività della holding avveniva in via di fatto, come dimostrato dal carattere coordinato delle scelte assunte dai consigli comunali, e dal contenuto sostanzialmente sovrapponibile delle delibere impugnate.

6.5. Quanto, poi, alla qualificazione delle attività svolte dalla società, gli appellanti contestano l’esclusione dal novero dei “ servizi di interesse generale ” con varietà di argomenti, ma, sostanzialmente, perché si tratta di attività soggette ad obblighi di servizio pubblico, come è dato evincere dal quadro normativo di riferimento costituito, per l’attività di vendita del gas dal d.lgs. n. 164 del 2000, e per le telecomunicazioni dal d. lgs. n. 295 del 2003. Si aggiunge poi che, per quanto liberalizzate, le predette attività sono soggette a controllo e regolamentazione di autorità amministrative indipendenti e, dunque, non possono svolgersi in maniera completamente libera.

VI. La qualificazione dell’attività societaria come “servizio di interesse generale” .

7. I motivi di appello sono parzialmente fondati. Ad essi, tuttavia, non segue l’accoglimento dell’appello con conseguente rigetto del ricorso di primo grado, ma la sola diversa motivazione della decisione;
e nei sensi di seguito esposti.

7.1. Preliminarmente, va precisato che la questione in giudizio non è quella della facoltà, in seguito all’emanazione del Testo unico sulle società a partecipazione pubblica , per un soggetto pubblico (in specie, un ente pubblico locale) di acquisire ovvero, se già possedute, conservare partecipazioni in una holding . Infatti con le delibere impugnate i Comuni hanno scelto di mantenere le partecipazioni nella holding col particolare mezzo della trasformazione della partecipata Asco Holding s.p.a. in una società operativa: e ciò attraverso la fusione per incorporazione con Asco TLC s.p.a.. Oggetto di esame qui dev’essere, in breve, non il precedente assetto societario – la holding che detiene partecipazioni in società controllate operative – ma il nuovo assetto societario quale risulterebbe dall’attuazione, mediante i conseguenti atti societari, delle decisioni assunte con le delibere.

Occorre allora valutare se il nuovo assetto societario non risulti – come prospettato da P s.r.l. sin dal primo grado di giudizio – elusivo degli obblighi imposti ai soggetti pubblici che detengono, direttamente o indirettamente, partecipazioni societarie dagli artt. 20 e 24 d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, o, comunque, se le delibere impugnate non siano illegittime per altri profili, quale, in particolare, il difetto di motivazione.

7.2. Nelle delibere del settembre 2018 la scelta di mantenere le partecipazioni nella holding è motivata con la trasformazione di Asco Holding s.p.a. in holding pura;
ma, come si è precisato nell’esame dell’eccezione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse formulata da P s.r.l., si tratta di nuove determinazioni assunte – peraltro solo da alcuni comuni – in dichiarata esecuzione delle sentenze di primo grado: destinate, dunque, a subire gli effetti della sentenza conclusiva del presente giudizio.

8. L’art. 24 ( Revisione straordinaria delle partecipazioni ), comma 1, d.lgs. n. 175 del 2016 prevede: “ Le partecipazioni detenute, direttamente o indirettamente, dalle amministrazioni pubbliche alla data di entrata in vigore del presente decreto in società non riconducibili ad alcuna delle categorie di cui all’articolo 4, ovvero che non soddisfano i requisiti di cui all’articolo 5, commi 1 e 2, o che ricadono in una delle ipotesi di cui all’articolo 20, comma 2, sono alienate o sono oggetto delle misure di cui all’articolo 20, commi 1 e 2. A tal fine, entro il 30 settembre 2017, ciascuna amministrazione pubblica effettua con provvedimento motivato la ricognizione di tutte le partecipazioni possedute alla data di entrata in vigore del presente decreto, individuando quelle che devono essere alienate ”.

Il precedente art. 20 ( Razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche ) al comma 1 prevede: “ Fermo quanto previsto dall'articolo 24, comma 1, le amministrazioni pubbliche effettuano annualmente, con proprio provvedimento, un'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano i presupposti di cui al comma 2, un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 17, comma 4, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, le amministrazioni che non detengono alcuna partecipazione lo comunicano alla sezione della Corte dei conti competente ai sensi dell'articolo 5, comma 4, e alla struttura di cui all'articolo 15. ”;
il comma 2 individua l’oggetto dei piani di razionalizzazione: “ I piani di razionalizzazione, corredati di un'apposita relazione tecnica, con specifica indicazione di modalità e tempi di attuazione, sono adottati ove, in sede di analisi di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche rilevino:

a) partecipazioni societarie che non rientrino in alcuna delle categorie di cui all'articolo 4;

b) società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;

c) partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali;

d) partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro;

e) partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d'interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti;

f) necessità di contenimento dei costi di funzionamento;

g) necessità di aggregazione di società aventi ad oggetto le attività consentite all'articolo 4 .”.

Le delibere impugnate costituiscono, pertanto, i provvedimenti di ricognizione straordinaria delle partecipazioni previsti dall’art. 20, comma 1, con contestuale determinazione sulla sorte delle partecipazioni stesse.

9. L’art. 24 impone alle amministrazioni pubbliche di alienare o di trasferire in altro modo le partecipazioni se detenute in società “ non riconducibili ad alcuna delle categorie di cui all’articolo 4 ”.

L’art. 24 - cioè la norma che prevede la razionalizzazione straordinaria delle partecipazioni già possedute, che è diversa da quella periodica, cioè a regime, dell’art. 20 - fa dunque, analogamente all’art. 20, comma 2, un rinvio all’art. 4 ( Finalità perseguibili mediante l’acquisizione o la gestione di partecipazioni pubbliche ) d.lgs. n. 175 del 2016. Questo art. 4 è la norma che, sulla base del criterio della “stretta necessità” rispetto al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente, perimetra l’abilitazione delle partecipazioni pubbliche, dando definizione e consistenza agli obiettivi genericamente indicati dall’art. 1, comma 2 ( “[…] efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, […] tutela e promozione della concorrenza e del mercato, […] razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica”). In questi termini, è stato rilevato, l’art. 4 pone limiti alla capacità generale delle amministrazioni pubbliche di costituire o acquisire partecipazioni in società di capitali, in ragione delle finalità perseguibili mediante le stesse.

9.1. L’art. 4, infatti, stabilisce, al comma 1: “ Le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società ”.

È così posto un vincolo di scopo : possono essere costituite società ovvero acquisite o mantenute partecipazioni solo se l’oggetto dell’attività sociale – la produzione di beni e servizi – è strettamente necessaria al perseguimento delle finalità istituzionali del soggetto pubblico.

L’art. 4, comma 2, precisa poi che, “ nei limiti di cui al comma 1 ” e, dunque, nel rispetto del vincolo di scopo, possono essere costituite società o acquisite o mantenute partecipazioni in primo luogo in società “ di produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi dell’articolo 4, lett. a) , sul quale si concentra l’attenzione poiché nella vicenda in esame è questa la tipologia di società in rilievo.

La definizione di “ servizi di interesse generale ” è quella contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. h) ;
si tratta delle “ attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell'ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l'omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale ”.

E’ da notare che anche nella definizione di “ servizi di interesse generale ” (locuzione di derivazione comunitaria recepita nell’ordinamento interno essenzialmente in luogo della tradizionale formula del “servizio pubblico”), v’è un richiamo alle finalità dell’attività di produzione e fornitura di beni o servizi. Questa dev’essere necessaria “ per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento ” per garantire “ l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale ”.

9.2. In dottrina si è rilevato come l’introduzione nell’ordinamento interno della locuzione comunitaria di “ servizi di interesse generale ” abbia comportato un superamento delle tradizionali concezioni, soggettive o oggettive, di servizio pubblico , a favore di una concezione funzionale, tale per cui è servizio di interesse generale quel che sia considerabile rispondente alla soddisfazione di un bisogno di interesse generale dal soggetto pubblico che decida di assumerne la gestione.

Del resto, osserva il Collegio, nella definizione di “ servizio di interesse generale ” v’è il riferimento alla necessità che il servizio, a differenza di quanto avverrebbe ove fosse lasciato al mercato senza un intervento pubblico, sia svolto in condizioni “ differenti di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza ”. Si tratta dei cc.dd. obblighi di servizio pubblico .

Gli obblighi di servizio compongono, nel loro insieme, la disciplina cui è sottoposta una data attività di erogazione di un servizio (o produzione di un bene) se, per stima di un’amministrazione pubblica, la stessa è considerata necessaria ad assicurare la soddisfazione di bisogni della collettività di riferimento. Al contempo, la soddisfazione di questi bisogni costituisce il fine pubblico dell’impresa gestita da una società a partecipazione pubblica che svolga servizi di interesse generale : la ragione, cioè, per la quale l’amministrazione pubblica decide di intervenire a modo di imprenditore.

9.3. Il combinato disposto degli articoli 4, comma 1, 2, comma 1, lett. a) e2 , comma 1, lett. h) conduce a concludere che la decisione di costituire una società, ovvero di conservare o mantenere una partecipazione societaria, forma anzitutto oggetto di una valutazione non automatica, ma naturalmente variabile, perché di ordine eminentemente politico–strategico in rapporto al contingente indirizzo politico–amministrativo fatto responsabilmente proprio – nell’esercizio del potere rappresentativo – dall’amministrazione pubblica riguardo, in primo luogo, ai “ bisogni della collettività di riferimento ” che spetta ad essa identificare: cioè, in rapporto alla necessità del loro soddisfacimento a mezzo dell’erogazione di un certo servizio o della produzione e fornitura di un certo bene. E sempre che la soddisfazione dei detti bisogni non sia già rimessa alla competenza di un’altra amministrazione pubblica.

È in questo senso che va inteso il riferimento, contenuto nell’articolo 2, comma 1, lett. h) , all’assunzione del servizio “ nell’ambito delle rispettive competenze ” e nell’art. 4, comma 1, al perseguimento delle “ finalità istituzionali ” cui dovrà rispondere l’attività societaria;
nei limiti del travalicamento della competenza a danno di altre amministrazioni pubbliche è sindacabile la valutazione dei bisogni della collettività di riferimento.

9.4. Il Comune, ente autonomo a fini generali (cfr. art. 3, comma 2, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 - Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali e così considerato, tra le tante, da Cons. Stato, V, 23 novembre 2018, n. 6644, e da Cass., V, 30 ottobre 2018, n. 27572) e primo livello di allocazione delle funzioni amministrative, è il soggetto pubblico cui spetta, salva diversa scelta legislativa (giustificata con la necessità di assicurare l’esercizio unitario, secondo i principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, dell’art. 118, primo comma, Cost.), la ricognizione dei bisogni della collettività di riferimento e le loro qualificazione come obiettivi di interesse pubblico da perseguire, nonché scelta delle modalità per la loro soddisfazione. Ciò anche, per quanto interessa in questa sede, mediante l’erogazione di un servizio ovvero la produzione e la fornitura di un bene (come previsto dall’art. 13, comma 1, TUEL, per il quale: “ Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale, regionale, secondo le rispettive competenze ”). In assenza di potestà legislativa, la scelta dell’amministrazione comunale è compiuta in atti amministrativi politico-discrezionali, sindacabili dal giudice amministrativo nei limiti indicati.

9.5. In conclusione sul punto, il rinvio – quanto alle società già partecipate - dell’art. 24 d.lgs. n. 175 del 2016 all’articolo 4 non è casuale: come già in sede di costituzione di società o di acquisizione di partecipazioni societarie, anche al momento della loro dismissione (seppur in via di principio imposta dal legislatore nel quadro di un riassetto straordinario), la scelta dell’amministrazione pubblica non è unitaria, ma è logicamente articolata in due fasi successive, dove solo l’esaurimento in termini negativi della prima consente di passare alla seconda: una prima fase in cui viene effettuata dall’amministrazione interessata la preliminare valutazione politico–strategica nei termini appena detti ;
e poi una seconda fase in cui viene effettuata la seconda valutazione, che riguarda le condizioni e i mezzi mediante i quali dar seguito all’attuazione del servizio;
quest’ultima non ha caratteri politico-discrezionali ed dunque in giustizia è normalmente sindacabile, come si avrà modo di chiarire.

10. Ritiene il Collegio che le delibere dei comuni in questione si collocano nel quadro descritto e siano rispettose dei limiti legislativi;
il primo e quinto motivo dei ricorsi, accolti dal giudice di primo grado nelle sentenze impugnate, sono infondati e vanno respinti.

10.1. La valutazione – espressione dell’indirizzo politico amministrativo e, in questo, senso appartenente al merito amministrativo – dell’attività di distribuzione e fornitura del gas, come quella di erogazione di servizi di telecomunicazione, quale attività rispondente ai bisogni della collettività di riferimento, contenuta negli atti impugnati, si sottrae a censura.

10.2. Erra l’appellata sentenza ad escludere (non l’attività di distribuzione del gas, ma) l’attività di vendita del gas e i servizi di telecomunicazioni, già svolti da Asco TLC s.p.a. e che saranno della società derivante dalla sua fusione per incorporazione in Asco Holding s.p.a, dai “ servizi di interesse generale ” poiché “ aventi carattere puramente commerciale ”, ovvero, se ben si intende, rivolte alla sola produzione di un vantaggio economico (per questo attività lucrative).

10.3. Il punto merita approfondimento: le predette attività sono riconducibili alla categoria dei “ servizi di interesse generale ” denominata “servizi di interesse economico generale ” definiti, dall’art. 2, comma 1, lett. i) d.lgs. n. 175 del 2016 come “ i servizi di interesse generale erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato ”.

L’attività nella quale consistono detti servizi è idonea ad essere qualificata, quanto all’oggetto – la produzione di beni e servizi – in un’attività di impresa ex art. 2082 Cod. civ.;
il servizio è erogato dietro un corrispettivo ed è dunque, in grado di produrre di ricavi. In tal senso le società a partecipazione pubblica che svolgono servizi di interesse economico generale sono società lucrative poiché risultano per loro natura dirette alla produzione di un lucro.

Cionondimeno, occorre distinguere lo scopo della società da quello del soggetto pubblico che vi detiene le partecipazioni: se lo scopo della società è e non può non essere la produzione di un lucro, quello dell’amministrazione pubblica resta diverso, perché non si tratta di un soggetto economico. È anzi ben altro, precede e supera ove occorra la valutazione strettamente economica e va a identificarsi con il c.d. fine pubblico dell’impresa in precedenza esposto: così, in primo luogo, con l’intento di sottoporre l’attività e la sua offerta a condizioni di accessibilità che il privato giudicherebbe non vantaggiose (altri ve ne sono, ma in questa sede non interessa approfondire).

10.4. Se le medesime attività sono svolte anche da soggetti privati, la conseguenza sarà che in un medesimo settore di mercato potranno trovarsi a concorrere società a partecipazione pubblica e società interamente private;
entrambe indirizzate a uno scopo di lucro, ma la titolarità pubblica delle prime sarà orientata a garantire il servizio senza l’obiettivo precipuo di ricavarne un diretto e esclusivo vantaggio economico.

Il diritto eurounitario ha una norma di principio per questa evenienza.

L’art. 106, para. 2, TFUE – Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea , stabilisce, al riguardo, il principio fondamentale: “ Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata ”.

10.5. In conclusione: il rilievo che la vendita del gas o i servizi di telecomunicazione costituiscano attività commerciali non è affatto risolutivo per escluderle dai servizi (di interesse economico generale) erogabili a mezzo di società a partecipazione pubblica.

VII. Le modalità organizzative del servizio. Il caso della partecipazione c.d. pulviscolare .

11. Si giunge, così, ad affrontare l’ulteriore questione delle modalità organizzative di un servizio già ritenuto necessario alla soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento;
scelta, questa sì, sindacabile dal giudice amministrativo nei termini in cui è non politica ma discrezionale e sottoposta al consueto vaglio di legittimità dell’esercizio della funzione amministrativa, ivi inclusa la verifica della rispondenza del mezzo allo scopo.

11.1. Il legislatore certamente consente al soggetto pubblico di ritenere modalità organizzativa adeguata la società nella quale l’amministrazione pubblica detenga una partecipazione minoritaria. In tal senso depone l’art. 4, comma 1, d.lgs. 175 cit. che ammette (a condizione della rispondenza delle attività elencate al secondo comma alle finalità istituzionali dell’ente) l’acquisizione o il mantenimento di una “ partecipazione… anche di minoranza ” e, in generale, la previsione delle società a partecipazione mista pubblico – privata (art. 17) senza definire una partecipazione minima del socio pubblico (ma solo quella del socio privato: art. 17, comma 1, secondo cui “ Nelle società a partecipazione mista pubblico-privata, la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento ”).

Il caso in esame presenta una peculiarità: i comuni appellanti sono titolari di una partecipazione che è stata efficacemente definitiva pulviscolare: nessuno di essi raggiunge una partecipazione al capitale sociale superiore al 2,74%, cosicché il socio di maggioranza è un soggetto privato, P s.r.l., nonostante la componente pubblica dei soci detenga una parte di capitale molto maggiore.

11.2. La sentenza appellata ha escluso che, in tali situazioni, l’amministrazione pubblica sia in grado di influire sulle decisioni strategiche della società e, dunque, di garantire l’accesso dei cittadini al servizio con le modalità e nelle forme proprie di un servizio di interesse economico generale, ovvero con continuità non discriminazione, qualità e sicurezza del servizio;
è giunto, per questa via, ad affermare che, in questi casi, il servizio espletato dalla società non è da ritenere, in senso oggettivo (prima ancora che nella valutazione dell’ente) “ servizio di interesse generale ”.

12. Il Collegio condivide tale posizione: l’accoglimento del terzo motivo di ricorso va confermata sia pure con alcune necessarie precisazioni.

12.1. Preliminarmente, occorre considerare che, sulla base di quanto in precedenza esposto, la qualificazione di un’attività come “ servizio di interesse generale ” prescinde dalle modalità organizzative con le quali è svolta;
non convince, per questo, la conclusione dell’appellata sentenza per la quale a una partecipazione a dimensione quantitativa pulviscolare non può per definizione seguire lo svolgimento un servizio di interesse generale.

Si tratta in realtà di profili differenti, l’uno relativo alla finalità dell’attività, l’altro alla dimensione della sua organizzazione, che occorre tenere distinti.

12.2. Va condivisa invece la considerazione per la quale una partecipazione pulviscolare è in principio inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di effettivamente incidere sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa (come in precedenza ricostruito) in presenza di interessi contrastanti e, in ultimo, impeditivi. La particolare modestia della partecipazione al capitale normalmente si riflette infatti in una debolezza sia assembleare sia, di riflesso, amministrativa (la quale può di fatto essere compensata solo in situazioni eccezionali dove altri equilibri refluiscano a compensare questa debolezza).

Ciò avviene in modo difficilmente rimediabile nei casi in cui, per fronteggiare questa debolezza, tra i vari enti pubblici così partecipanti in termini minimali non siano stati previsti strumenti negoziali – ad es., patti parasociali – che possano dar modo alle amministrazioni pubbliche di coordinare e dunque rinforzare la loro azione collettiva e, in definitiva, di assicurare un loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l’attività della società partecipata.

A tal fine, ad evitare tali inconvenienti si rende nei fatti necessario, in casi come quello in esame, la stipulazione di adeguati patti parasociali ovvero anche la previsione, negli atti costitutivi della società, di un organo speciale, che, al pari delle assemblee speciali di cui all’art. 2376 Cod. civ. (ovvero dell’assemblea degli obbligazionisti, di cui all’art. 2415 Cod. civ.), sia deputato ad esprimere la volontà del soci pubblici: i quali, dunque, si troveranno a intervenire con rinforzata voce unitaria negli ordinari organi societari.

12.3. E’ peraltro vero che qui l’identico contenuto delle delibere impugnate dimostra che, nel caso in esame, sembra esservi stata di fatto una forma di coordinamento tra le amministrazioni pubbliche che detengono partecipazioni nel capitale di Asco Holding s.p.a.. Si tratta tuttavia di un coordinamento non istituzionalizzato, che non sottrae pertanto le delibere impugnate alla censura del vizio dell’eccesso di potere, quale sviamento dell’atto dallo scopo assegnato dal legislatore al potere amministrativo di cui è esplicazione.

Se, infatti, nel caso in esame lo scopo assegnato dalla legge, per la via mediata della previa valutazione politico–strategica dell’amministrazione pubblica, è di acquisire o mantenere partecipazioni in società di capitali per lo svolgimento di un servizio valutato come necessario a soddisfare i bisogni della collettività di riferimento, una partecipazione pulviscolare priva di adeguati strumenti di coordinamento con le partecipazioni di altri soggetti pubblici, non consente o mette in discussione il raggiungimento di tale obiettivo.

12.4. In conclusione, i comuni appellanti non potranno dar seguito al processo di fusione per incorporazione prefigurato dalle delibere impugnate senza prevedere, all’interno della nuova compagine societaria, adeguati e tendenzialmente stabili (e comunque trasparenti e responsabili) strumenti negoziali di coordinamento delle decisioni tra tutti i soci pubblici: così da poter davvero orientare, in lineare coerenza con le determinazioni degli enti pubblici, al fine pubblico l’esercizio dell’attività d’impresa.

12.5. Si rende necessaria un’ultima considerazione: restano estranee all’odierno giudizio altre questioni che pur sono state evocate negli scritti difensivi per le particolari caratteristiche delle amministrazioni detentrici delle partecipazioni: in particolare, l’attività extra moenia della società, o la diversa questione della partecipazione al capitale sociale di comuni le cui popolazioni non sono interessate dall’erogazione dei servizi sociali. Si tratta di questioni che non possono essere esaminate da questo giudice d’appello poiché non veicolate con precisi motivi di impugnazione.

13. La conferma della sentenza in relazione all’accoglimento del terzo motivo di ricorso rende superfluo l’esame dei motivi di appello con cui è contestato l’accoglimento del secondo motivo per inadeguatezza della motivazione contenuta nella delibera impugnata;
tutti i motivi riproposti restano assorbiti dalla conferma del rigetto del ricorso di primo grado.

VIII. Le questioni di legittimità costituzionale

14. In alcuni atti di appello sono riproposte, in via meramente subordinata, e per il caso di rigetto dell’appello, le questioni di legittimità costituzionale delle norme rilevanti del Testo unico delle disposizioni in materia di società a partecipazione pubblica , già respinte dalle sentenza impugnate.

14.1. In particolare, una prima questione di legittimità costituzionale è prefigurata in relazione all’art. 24, nei commi da 1 a 5, per violazione dell’art. 119 Cost. in quanto v’è definito un intervento sul “ patrimonio comunale ” che non avviene con disposizione di principio come richiesto dalla norma costituzionale (per la quale: “ i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato ”), ma con disposizione di dettaglio, di carattere straordinario ed eccezionale.

Una seconda questione di legittimità costituzionale è posta in relazione alle conseguenze previste dall’art. 24, comma 5, per la mancata attuazione nei termini previsti dal comma 1, della ricognizione delle partecipazioni detenute con conseguente adozione delle misure ivi previste (alienazione ovvero razionalizzazione mediante fusione, soppressione, messa in liquidazione o cessione), vale a dire la paralisi dei diritti sociali e la nullità degli atti compiuti dai soci pubblici in seno alla compagine societaria. Si afferma, in particolare, che vi sarebbe contrasto di tale previsione normativa con l’art. 41 Cost. in quanto in grado di determinare sulla capacità operativa della società partecipata, e, per questa via, sulla sua autonomia negoziale.

Infine, l’art. 24 è, nel suo complesso, ritenuto in contrasto con l’art. 3 Cost. in combinato disposto con l’art. 41 Cost., poiché la prefigurata dismissione in massa delle partecipazioni pubbliche è in grado di determinare una riduzione dei prezzi di scambio con conseguente possibilità per gli investitori privati di far proprie partecipazioni societarie redditizie con investimenti non proporzionati al loro valore, a danno dei soggetti pubblici che subiranno una diminuzione del loro patrimonio. Se ne assume la violazione dei principi di ragionevolezza e di parità delle condizioni di mercato.

14.2. I dubbi prospettati dagli appellanti sulla legittimità costituzionale dell’art. 24 d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 sono irrilevanti e comunque infondate. Sono irrilevanti, come già esposto dal giudice di primo grado, le questioni poste in relazione alle norme che definiscono gli effetti derivanti dalla mancata adozione dell’atto di ricognizione delle partecipazioni (e degli ulteriori provvedimenti per la dismissione delle partecipazioni), per essere la giurisdizione su tale profilo rimessa, con statuizione non censurata con specifico motivo di appello incidentale da P s.r.l. – unico soggetto legittimato a farlo in quanto soccombente su tale specifica questione per aver esso proposto la domanda al giudice amministrativo – al giudice ordinario. In ogni caso, come ben espresso dal giudice di primo grado, le conseguenze derivanti dalla dismissione delle partecipazioni, con possibile arricchimento dei privati investitori a discapito dei soggetti pubblici, sono estranee al presente giudizio e agli effetti conformativi che da esso potranno conseguire.

14.3. La questione di legittimità costituzionale prospettata in relazione all’art. 119 Cost. è manifestamente infondata poiché solo indirettamente le disposizioni censurate incidono sul patrimonio dei comuni, rispondendo, invece, ad esigenze di riordino complessivo della materia delle società a partecipazione pubblica (cfr. Corte cost., 25 novembre 2016, n. 251) rimessa dall’art. 117, secondo comma, lett. e) Cost. alla competenza legislativa esclusiva dello Stato con possibilità di incidere anche solo in via indiretta sul patrimonio dei comuni.

IX. Conclusione .

15. In conclusione, per le ragioni esposte, gli appelli proposti devono essere respinti e le sentenze di primo grado confermate nei sensi di cui in motivazione.

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