Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-06-14, n. 202104614
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 14/06/2021
N. 04614/2021REG.PROV.COLL.
N. 04041/2014 REG.RIC.
N. 04042/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4041 del 2014, proposto da
F A, rappresentata e difesa dall’avvocato A A, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla Via degli Avignonesi, n. 5
contro
- A.S.L. BN 1, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato C C, elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Coppola di Musitani, n. 26, presso lo studio dell’avvocato A S;
- Regione Campania, in persona del Presidente
pro tempore
della Giunta Regionale, non costituita in giudizio;
- Ministero della Salute, in persona del Ministro
pro tempore,
rappresentato e difeso
ex lege
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12;
sul ricorso numero di registro generale 4042 del 2014, proposto da
F A, rappresentata e difesa dall’avvocato A A, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla Via degli Avignonesi, n. 5;
contro
- A.S.L. BN 1, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato C C, elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Coppola di Musitani, n. 26, presso lo studio dell’avvocato A S;
- Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale, non costituita in giudizio;
- Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
quanto al ricorso n. 4041 del 2014:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, n. 5202 del 20 novembre 2013, resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 4042 del 2014:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, n. 5203 del 20 novembre 2013, resa tra le parti.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Salute e di A.S.L. BN 1;
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 giugno 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, richiamato dall’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con legge 18 dicembre 2020, n. 176) il Cons. R P;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Espone l’appellante che, con delibera n. 424 del 13 settembre 1988, la U.S.L. n. 8 di M decideva di attivare un servizio di assistenza specialistica di tipo ambulatoriale per la branca di biologia, per un monte orario di 60 ore.
La Regione Campania, con nota del 6 giugno 1989, richiamava l'attenzione della predetta U.S.L. sulle previsioni di cui al D.P.R. n. 457 del 1987 e sulla diretta imputazione al bilancio della Unità Sanitaria Locale della spesa del personale.
Con deliberazione n. 393 del 17 settembre 1991, la U.S.L. n. 8 conferiva, in via precaria e provvisoria, alle dott.sse C e R, gli incarichi nell’ambito delle attività ambulatoriali di analisi cliniche a rapporto orario;disponendosi, con successivo atto n. 110 del 1992, il conferimento di ulteriore incarico, sempre in via precaria e provvisoria, all’odierna appellante dott.ssa F, per 18 ore settimanali.
A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs n. 517/1993 ed in presenza dei chiarimenti di cui alla circolare del Ministero della Sanità n. 100/SCPS/15/47682 del 24 marzo 1994 (che indicava i presupposti per la prosecuzione dei rapporti in atto), con provvedimento n. 306 del 29 giugno 1994, il Commissario Straordinario deliberava la risoluzione dei rapporti convenzionali in essere (compreso quello intrattenuto con la dott.ssa F), in quanto i relativi incarichi erano stati attribuiti in assenza dei requisiti prescritti dall'art. 8 del D.Lgs n. 502/1992, come modificato dal D.Lgs n. 517/1993.
2. Con ricorso N.R.G. 2039 del 1994, la dott.ssa F impugnava dinanzi al T.A.R. Campania la delibera della U.S.L. n. 8 di M, n. 56 del 9 dicembre 1993, recante revoca dell’incarico alla medesima conferito.
Il giudizio di prime cure veniva definito – in ragione della rilevata natura di para-subordinazione del rapporto intrattenuto dall’Amministrazione sanitaria con i medici convenzionati – con sentenza di inammissibilità, per carenza di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo.
3. Avverso tale pronunzia, parte appellante ha proposto – con l’epigrafato ricorso N.R.G. 4041 del 2014 – i seguenti argomenti di censura:
3.1) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833. Violazione dell’art. 45, comma 17, del D.Lgs. n. 80 del 1998, in connessione con l’art. 7 c.p.a.
Nel sostenere che l’intrattenuto rapporto con l’appellata A.S.L. BN 1 (subentrata alla U.S.L. n. 8 di M) si sia svolto in regime di convenzionamento, assume la dott.ssa F che l’adito T.A.R. abbia erroneamente declinato la propria giurisdizione sulla controversia innanzi ad esso proposta.
Inoltre, l’oggetto dell’impugnazione era rappresentato da un atto (revoca del rapporto in essere;e non mera risoluzione contrattuale) avente carattere autoritativo, con riveniente conferma dell’appartenenza della relativa cognizione in capo al giudice amministrativo.
3.2) Error in iudicando. Violazione di legge. Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 45, comma 17, del D.Lgs. n. 80 del 1998. Violazione dell’art. 69, comma 7, del D.Lgs. n. 165 del 2001, in connessione con l’art. 7 c.p.a.
Avrebbe inoltre errato il giudice di prime cure nell’assumere che la controversia, quantunque riguardante la materia dell’impiego pubblico, non rientrasse nella propria cognizione giurisdizionale, ancorché relativa ad atto adottato in epoca nella quale la definizione di tali giudizi era affidata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Ripropone, poi, parte appellante, i motivi di ricorso già dedotti in primo grado, così riassumibili:
3.3) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per violazione del giusto procedimento di legge. Violazione del principio di partecipazione del privato al procedimento amministrativo. Sviamento
L’esercizio del potere di autotutela – sostanziatosi nella revoca dell’atto di affidamento di incarico in favore dell’odierna appellante – non sarebbe stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, con riveniente vulnerazione delle prerogative di partecipazione previste dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
3.4) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per difetto di motivazione. Travisamento dei fatti. Errore del presupposto.
Nel disporre l’annullamento d’ufficio dell’atto di conferimento di incarico, l’Amministrazione avrebbe violato la regola del contrarius actus, omettendo di annettere alla scelta operata congruo apparato motivazionale.
3.5) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del D.P.R. n. 457 del 1987. Violazione dell’art. 6, comma 10, del D.P.R. n. 262 del 1992. Difetto del presupposto. Eccesso di potere per travisamento dei fatti. Difetto di motivazione. Violazione del giusto procedimento di legge. Violazione dell’art. 97 della Costituzione.
Premesso che nell’atto di conferimento dell’incarico di che trattasi, l’Amministrazione aveva specificato che lo stesso sarebbe stato disciplinato dalle prescrizioni di cui al D.P.R. n. 457 del 1987, rileva la dott.ssa F come l’art. 6 di tale testo normativo abbia previsto, alla scadenza del termine da esso indicato, la trasformazione delle convenzioni in incarichi a tempo indeterminato: per l’effetto, escludendosi che tale rapporto sia stato contraddistinto, come sostenuto dalla parte appellata, da carattere di perdurante “provvisorietà”.
4. Con successivo ricorso N.R.G. 13407 del 1994, parimenti proposto innanzi al T.A.R. Campania, l’odierna appellante ha chiesto l’annullamento della delibera della U.S.L. 8 di M, n. 306 del 29 giugno 1994, recante risoluzione del rapporto convenzionale in essere.
Anche con riferimento a tale controversia, il Tribunale – con sentenza n. 5203 del 20 novembre 2013 – ha declinato la propria giurisdizione.
5. Avverso l’anzidetta pronunzia, la dott. F ha interposto appello (N.R.G. 4042 del 2014), recante motivi di censura affatto sovrapponibili, rispetto a quelli articolati con la precedente impugnativa (ed all’esposizione dei quali, conseguentemente, si rinvia).
6. Per entrambe le impugnative, come sopra proposte, la parte ha conclusivamente chiesto l’accoglimento;e, in riforma delle sentenze con esse gravate, dei ricorsi di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.
7. In data 17 luglio 2014, il Ministero della Salute si è costituito in giudizio per entrambi i gravami, con memoria di mero stile, chiedendone la reiezione.
Per il solo appello N.R.G. 4041 del 2014, con memoria depositata il 23 gennaio 2020, la predetta Amministrazione ha analiticamente confutato le argomentazioni dalla parte appellante esposte con l’atto introduttivo.
8. Si parimenti costituita, per le controversie all’esame, la A.S.L. BN 1;la quale, con memorie depositate il 30 luglio 2014, ha sostenuto la carenza di giurisdizione del giudice amministrativo, con riveniente conferma delle appellate sentenze di primo grado.
9. Gli appelli vengono trattenuti entrambi per la decisione alla pubblica udienza telematica dell’8 giugno 2021.
DIRITTO
1. Evidenti ragioni di connessione, di carattere sia oggettivo che soggettivo, consentono di procedere alla riunione dei proposti appelli NN.R.G. 4041 e 4042 del 2014;e di procedere, a fronte della sovrapponibilità del thema decidendum con essi proposto, ad una unitaria trattazione degli stessi.
2. Giova, preliminarmente alla disamina dei proposti motivi di appello, procedere ad una ricognizione degli essenziali tratti motivazionali delle gravate sentenze del T.A.R. Campania.
Con tali pronunzie, identicamente motivate, il giudice di prime cure ha affermato il difetto di giurisdizione del giudice amministrative, quanto alla cognizione delle controversie al medesimo sottoposte, in quanto:
- “secondo l'orientamento consolidato delle Sezioni unite della Corte di Cassazione … , condiviso dalla giurisprudenza amministrativa … anche di questo Tar Campania … , dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsene, i rapporti tra i medici convenzionati esterni e le Unità sanitarie locali, disciplinati dall’art. 48 l. 23 dicembre 1978 n. 833 e dagli accordi collettivi nazionali stipulati in attuazione di tale norma, pur se costituiti in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali del Servizio sanitario nazionale, dirette a tutelare la salute pubblica, sono rapporti di lavoro libero-professionali “parasubordinati”, che si svolgono su un piano di parità, non esercitando gli enti pubblici nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, all’infuori di quello di sorveglianza, e non potendo tali enti incidere unilateralmente sulle posizioni di diritto soggettivo nascenti, per il professionista, dal rapporto di lavoro autonomo, limitandole o degradandole ad interessi legittimi”;
- con la conseguenza che, “una volta costituito il detto rapporto di lavoro, come accaduto nel caso di specie, le controversie che hanno oggetto i diritti dei quali il medico lamenti la lesione da parte della USL appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, la quale non trova deroga a favore del giudice amministrativo per il fatto che la domanda del professionista denunci, quale mezzo al fine della tutela dei diritti scaturenti dal detto rapporto, l’illegittimità di atti o provvedimenti emessi dalla pubblica amministrazione, spettando al giudice ordinario la loro eventuale disapplicazione”.
3. Quanto alla natura del rapporto intrattenuto dall’odierna appellante con la U.S.L. di M, giova sottolineare come il conferimento dell’incarico in capo alla dott.ssa F, secondo quanto indicato nella delibera n. 110 del 1992, risultava “definito dalle norme di cui agli artt. 2230 e seguenti del codice civile”; soggiungendosi come il detto incarico fosse “ disciplinato dalla regolamentazione dei rapporti con biologi specialisti ambulatoriali di cui all’accordo del D.P.R. 457/87”.
È, in proposito, opportuno sottolineare che l’art. 1 del D.P.R. 17 settembre 1987, n. 457 (recante “Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i biologi ambulatoriali, ai sensi dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833”), prevedeva che “il presente accordo regola, in conformità all’art. 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, il rapporto di lavoro libero-professionale che si instaura nell'ambito del Servizio sanitario nazionale tra le UU.SS.LL. e i biologi – di seguito denominati “professionisti” – ai quali siano conferiti incarichi per l'esecuzione a livello ambulatoriale delle prestazioni professionali proprie della categoria (art. 3 legge n. 396 del 1967;decreto ministeriale 27 marzo 1976, e successive modificazioni e integrazioni), anche ai fini della promozione e della salvaguardia della salubrità e dell’igiene dell’ambiente naturale di vita e di lavoro per la prevenzione delle malattie e degli infortuni, nonché ai fini dell’igiene degli alimenti, delle bevande, dei prodotti e avanzi di origine animale che attengono alla salute dell’uomo”.
Stabiliscono, poi, i commi 8 e 10 del successivo art. 6 che:
- “l’U.S.L., verificata l'inesistenza di incompatibilità e l'eventuale sussistenza di altre attività svolte dal professionista interpellato che possano comportare limitazioni di orario, provvede al conferimento dell'incarico a tempo determinato per tre mesi, con lettera raccomandata A.R. in duplice esemplare”;
- “allo scadere del terzo mese, ove da parte della U.S.L. per mezzo di raccomandata A.R., non venga ratificata al professionista la mancata conferma, l'incarico si intende conferito a tempo indeterminato. Contro il provvedimento di mancata conferma, entro il termine perentorio di dieci giorni dalla data di ricezione della comunicazione, l'interessato può proporre istanza di riesame al comitato di gestione della U.S.L. che decide in via definitiva entro i successivi venti giorni”.
Va, al riguardo, osservato come l’incarico di che trattasi sia stato conferito, in favore della dott.ssa F, “a tempo indeterminato [per] n. 18 ore settimanali per la branca di Analisi cliniche con decorrenza 11/5/1992”.
4. Impregiudicata la difformità rilevabile, quanto al sopra riportato atto, relativamente alla durata del rapporto posto in essere nei confronti dell’odierna appellante, rispetto alle previsioni dettate dal D.P.R. n. 457 del 1987, rileva il Collegio che il sottoposto thema decidendum, come correttamente osservato dal giudice di prime cure, esula dal perimetro della cognizione rimessa al giudice amministrativo.
Viene infatti in considerazione un rapporto tra sanitario convenzionato esterno ed Unità Sanitaria Locale, disciplinato dall’art. 8 del D.Lgs. n. 502 del 1992 e dagli accordi collettivi nazionali in attuazione di tale norma.
Un condivisibile orientamento giurisprudenziale, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, ha precisato che detti rapporti, pur se costituiti in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali del Servizio sanitario nazionale, dirette a tutelare la salute pubblica, corrispondono a rapporti libero-professionali “parasubordinati” che si svolgono di norma su un piano di parità, non esercitando l’ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, all’infuori di quello di sorveglianza, né potendo incidere unilateralmente, limitandole o degradandole a interessi legittimi, sulle posizioni di diritto soggettivo nascenti, per il professionista, dal rapporto di lavoro autonomo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 marzo 2011, n. 1736).
Ne consegue che le controversie ad essi inerenti spettano alla cognizione del giudice ordinario, la cui giurisdizione non resta esclusa, in favore di quella di legittimità del Giudice amministrativo, per il fatto che la domanda del professionista denunci, quale mezzo al fine della tutela dei diritti scaturenti dal suddetto rapporto, l’illegittimità di atti e provvedimenti adottati dall'Amministrazione, tenuto conto dell’inidoneità di tali atti e provvedimenti a degradare le posizioni di diritto soggettivo costituite con il menzionato rapporto privatistico e della conseguente sindacabilità dei medesimi da parte del Giudice ordinario, sia pure al limitato fine della loro eventuale disapplicazione.
In altre parole, la natura privatistica dei rapporti di lavoro parasubordinati intercorrenti tra le Aziende Sanitarie Locali ed i medici convenzionati esterni comporta la assoggettabilità alla giurisdizione ordinaria delle relative controversie.
Anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione (SS.UU., 8 aprile 2008, n. 9142;21 ottobre 2005, n. 20344;4 agosto 1995, n. 8547;Sez. Lav., 29 luglio 2008, n. 20581;9 giugno 2009, n. 13236), ha costantemente sostenuto che “i rapporti tra i medici convenzionati esterni e le unità sanitarie locali, disciplinati dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48 e dagli accordi collettivi nazionali in attuazione di tale norma, pur se costituiti in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali dei servizio sanitario nazionale, dirette a tutela la salute pubblica, corrispondono a rapporti libero professionali ‘parasubordinati’ che si svolgono di norma su un piano di parità, non esercitando l'ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, all'infuori di quello di sorveglianza, né potendo incidere unilateralmente, limitandole o degradandole a interessi legittimi, sulle posizione di diritto soggettivo nascenti, per il professionista, dal rapporto di lavoro autonomo”.
Conseguentemente, “anche la presenza di alcuni tratti astrattamente tipici del rapporto di lavoro subordinato non è sufficiente a trasformare il rapporto convenzionale in rapporto di pubblico impiego (Cons. Stato, Sez. V, 16 settembre 1994, n. 1522), tanto più che nella parasubordinazione è implicita la presenza (Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio 2009, n. 3239) di alcuni degli elementi che caratterizzano il rapporto di lavoro subordinato, come l’inserimento nella organizzazione dell’ente, l'osservanza di vincoli d'orario ed il pagamento periodico” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 marzo 2011, n. 1736).
Le controversie relative ai rapporti di lavoro autonomo con le Pubbliche Amministrazioni rimangono, dunque, assoggettate alla giurisdizione del giudice amministrativo, ove attengano alla fase che precede la stipula del contratto e si riferiscano all’esercizio di un potere discrezionale, rispetto al quale gli aspiranti vengano a trovarsi in una posizione di interesse legittimo, come nelle controversie che investono la valutazione dei titoli e la formazione delle graduatorie;mentre quelle attinenti, una volta stipulata la convenzione, allo svolgimento (o alla risoluzione) del rapporto di lavoro autonomo rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario (cfr. Cass. Civ., SS.UU., 15 settembre 2010, n. 19550;Cons. Stato, Sez. V, 24 luglio 2014, n. 3927).
5. A quanto sopra esposto, accede la conferma delle appellate sentenze, quanto alla declinata cognizione del giudice amministrativo a fronte delle proposte controversie.
Né a conclusioni difformi è dato pervenire con riferimento:
- alla natura asseritamente autoritativa degli atti gravati, inidonea a radicare la giurisdizione in capo al giudice amministrativo, trattandosi, comunque, di determinazioni regolative del rapporto;
- alla richiamata immanenza, all’epoca dell’adozione degli atti gravati, della cognizione giurisdizionale del G.A. quanto alle controversie in materia di rapporto di pubblico impiego (vertendosi, nel caso di specie, di rapporto a quest’ultimo non assimilabile);
- e, da ultimo, alla (eventuale) inquadrabilità degli atti, come sopra avversati, nel novero delle determinazioni di carattere organizzativo (o macro-organizzativo).
Sotto tale ultimo profilo, giova rammentare come la giurisprudenza di questo Consiglio:
- nel rilevare come, “di regola, la cognizione degli atti di macro-organizzazione delle Pubbliche Amministrazioni rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo (in quanto nell'emanazione di atti organizzativi di carattere generale viene esercitato un potere di natura autoritativa e non gestionale, cosicché non trova applicazione la riserva di giurisdizione del giudice ordinario di cui all'art. 68, del d.lgs. 29/1993, poi trasfuso nell'art. 63, del d.lgs. 165/2001)”,
- ha, nondimeno, osservato che “diversa è la disciplina dell’attività organizzativa del S.S.N. Ai sensi dell’art. 3, del d.lgs. 502/1992, come modificato dal d.lgs. 229/1999, le USL (cui sono succedute con analoga disciplina le Aziende Sanitarie) si costituiscono in aziende con personalità giuridica pubblica e ‘autonomia imprenditoriale’. Per una scelta legislativa che il giudice amministrativo non può sindacare, la loro organizzazione e il loro funzionamento sono disciplinati non con provvedimenti aventi natura pubblicistica (come dovrebbe essere sulla base dei principi sottesi all'art. 97 Cost.), ma con ‘atti aziendali di diritto privato’: le aziende agiscono mediante atti che il legislatore ha consapevolmente qualificato come ‘di diritto privato’ proprio – tra l'altro – per escludere la sussistenza di posizioni tutelabili di interesse legittimo e della giurisdizione amministrativa. In base all’attuale sistema, il direttore generale emana l’atto aziendale di organizzazione, è responsabile della gestione complessiva e nomina i responsabili delle strutture operative dell'azienda”.
Pertanto, “diversamente da quanto avviene per le amministrazioni pubbliche in genere, gli atti di macro-organizzazione delle aziende sanitarie sono adottati con atti che il legislatore ha inteso qualificare ‘di diritto privato’, con una disciplina che ha inteso prendere innanzitutto in considerazione il loro carattere ‘imprenditoriale strumentale’, pur se si tratta di attività nelle quali non rileva lo scopo di lucro e … sono coinvolti valori costituzionali, inerenti allo svolgimento di un servizio pubblico, che la Costituzione considera indefettibile” (cfr. Sez. III, 26 maggio 2017 n. 2511, 10 ottobre 2016, n. 4172 e 28 aprile 2016, n. 1631).
6. Per effetto delle considerazioni in precedenza svolte, i proposti appelli vanno respinti, con riveniente conferma delle sentenze di primo grado con essi gravate.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.