Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-11-21, n. 202210230
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Testo completo
Pubblicato il 21/11/2022
N. 10230/2022REG.PROV.COLL.
N. 03953/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3953 del 2016, proposto da
H H e S M, rappresentati e difesi dagli avvocati G L M, R P, S P, D W e H W, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via di Porta Pinciana, n. 4;
contro
Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati F C e L G, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, via Po, n. 22;
nei confronti
Karl Her e Stefan Her, rappresentati e difesi dagli avvocati Massimo Colarizi e Manfred Natzler, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Giovanni Antonelli, n. 49;
Isolde Her, Josef Her, Georg Tötsch, Angelika Volgger, Peter Volgger, Urban Volgger, Karl Hofer, Helmut Her, Josefine Kerer, Priska Messner, Josef Tötsch e Stefan Volgger, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. - Bolzano n. 00055/2016, resa tra le parti, concernente determinazione dei compartecipanti e delle relative quote di spettanza dell’interessenza S. Giacomo – Vizze.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia Autonoma di Bolzano e di Karl Her e Stefan Her;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2022 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati G L M e L G;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso al T.R.G.A. – Bolzano i sig.ri H H e S M, unitamente ad altri ricorrenti, hanno impugnato la delibera 26/8/2013, n. 1183, con cui la Giunta provinciale di Bolzano ha respinto il ricorso gerarchico dai medesimi proposto contro la decisione 4/4/2013, n. 2033 con la quale la Commissione provinciale per i masi chiusi ha individuato i partecipanti all’interessenza San Giacomo – Vizze e ha determinato le rispettive quote di compartecipazione alla stessa, ai sensi della L. P. 7/1/1959, n. 2.
L’adito Tribunale, con sentenza 11/2/2016 n. 55, ha respinto il ricorso.
Avverso la sentenza hanno proposto appello i sig.ri H H e S M.
Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio la Provincia Autonoma di Bolzano e i sig.ri Karl Her e Stefan Her.
Con successive memorie le parti hanno ulteriormente argomentato le rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 10/11/2022 la causa è passata in decisione.
Col primo motivo si deduce che il Tribunale avrebbe errato a dichiarare inammissibili “alcune censure” del terzo, quinto, sesto e settimo motivo, in quanto non proposte col ricorso gerarchico.
La decisone sarebbe, infatti, sul punto immotivata, poiché non specificherebbe quali sarebbero le doglianze nuove e, quindi, inammissibili, e, in ogni caso, non sarebbe stato proposto alcun motivo ulteriore rispetto a quelli prospettati in sede gerarchica.
La doglianza non merita condivisione, in quanto, per consolidato orientamento giurisprudenziale, gli eventuali vizi della motivazione della sentenza restano assorbiti dall’effetto devolutivo dell’appello, che consente al giudice di secondo grado di correggere e integrare eventuali deficit motivazionali od omissioni della pronuncia gravata ( ex plurimis , Cons. Stato, Sez. VI, 3/11/2022, n. 9656;23/11/2021, n. 7840;3/11/2021, n. 7345).
Col secondo motivo si censura l’appellata sentenza nella parte in cui ha respinto i primi due motivi di ricorso con i quali era stata dedotta la violazione dell’art. 5, comma 2, della citata L.P. n. 2/1959, per avere la Commissione provinciale per i masi chiusi provveduto senza sentire il rappresentante della Commissione locale per masi chiusi e i singoli compartecipanti.
E invero, in base alla richiamata norma, la Commissione provinciale avrebbe dovuto interloquire con gli interessati, o, in ogni caso, motivare sulla ritenuta superfluità delle audizioni.
La sentenza non sarebbe, inoltre, condivisibile laddove afferma che, comunque, non occorreva sentire gli interessati, essendo questi ultimi intervenuti nel procedimento con apposite memorie.
Infatti, la partecipazione orale e quella scritta non sarebbero equivalenti.
La lagnanza è priva di pregio.
Il secondo comma dell’art. 5 della L.P. n. 2/1959, stabilisce che:
“ In caso di mancato accordo fra i compartecipanti delle comunità, la commissione provinciale per i masi chiusi, sentiti - se del caso - un rappresentante della commissione locale per i masi chiusi di cui al comma 1 e i singoli compartecipanti, nonché esaminati tutti i mezzi di prova presentati, fissa le quote di compartecipazione. Il relativo provvedimento costituisce titolo per l'iscrizione tavolare ”.
La norma è, quindi, sufficientemente chiara nel prevedere che l’audizione del rappresentante della Commissione locale per i masi chiusi e dei singoli compartecipanti, è meramente facoltativa.
Né l’organo procedente è tenuto a esplicitare le ragioni per le quali ritenga superfluo acquisire l’avviso del rappresentante della Commissione locale e dei singoli interessati.
Come correttamente rilevato dal Tribunale, questi ultimi, hanno, in ogni caso, partecipato al procedimento attraverso proprie memorie, modalità partecipativa, quest’ultima, che può considerarsi equivalente a quella orale, anche perché la menzionata norma non contiene alcuna indicazione circa la forma in cui debba avvenire l’audizione, ove ritenuta necessaria.
Col terzo motivo si deducono le seguenti censure.
1) Il Tribunale avrebbe errato a ritenere corretta e motivata la scelta della Commissione provinciale di considerare, ai sensi dell’art 1101, comma 1, cod. civ., uguali le quote di partecipazione all’interessenza dei vari compartecipanti, stante l’assenza di prove circa l’entità delle stesse.
Infatti, si sarebbe dovuto utilizzare il criterio di ripartizione che fa riferimento al c.d. “ bisogno della casa e della tenuta ”, il quale costituirebbe un criterio di oggettivo casato sul bisogno dei masi, la cui applicazione prescinderebbe dall’esistenza di titoli o di altri mezzi di prova idonei a dimostrare l’entità della quota.
2) Sarebbe stata omessa qualunque pronuncia sul motivo, qui riproposto, con cui era stata dedotta la immotivata violazione della prassi, costantemente seguita, di determinare le quote di partecipazione all’interessenza secondo il suddetto criterio “ del bisogno della casa e della tenuta ”.
3) Il giudice di prime cure non avrebbe scrutinato la doglianza, anch’essa riproposta, con la quale era stato dedotto che, se dovesse applicarsi l’art. 1101 cod. civ. tutte le volte in cui l’entità della quota di compartecipazione non sia comprovata da un titolo, l’art. 5 della L.P. n. 2/1959, che demanda ad appositi organi amministrativi, il potere di individuare la detta quota, non troverebbe quasi mai applicazione, dato che sarebbe rarissimo rinvenire siffatti titoli.
D’altra parte il rinvio alle norme generali sulla comunione, previsto dall’art. 1 della L.P. n. 2/1959, per quanto non disposto dalla medesima legge, non riguarderebbe la determinazione delle quote di compartecipazione, risultando tale aspetto già specificamente disciplinato dalla L.P. n. 2/1959.
4) La tesi di parte appellante sarebbe, peraltro, condivisa dall’Ufficio Economia Montana della Provincia Autonoma di Bolzano.
5) La pronuncia non sarebbe, infine, condivisibile laddove ha ritenuto manifestamente infondata la prospettata questione di costituzionalità della L.P. n. 2/1959, nella parte in cui, introducendo nuovi soggetti giuridici ( ovvero le interessenze, le vicinie, e le altre comunità e associazioni agricole comunque denominate o costituite ), con uno statuto del tutto particolare, avrebbe legiferato in materia di ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva dello stato.
L’art. 5 sarebbe, inoltre, irragionevole, in quanto, non prevedendo criteri per la determinazione dei compartecipanti e delle quote di partecipazione, consentirebbe all’amministrazione di disporre di diritti reali in modo discrezionale e arbitrario e addirittura di provvedere a un’espropriazione senza indennizzo e in assenza di motivi di interesse generale, in palese violazione dell’art. 42 cost.
La menzionata disposizione provinciale sarebbe, inoltre, irragionevole nella parte in cui richiede la presentazione di elementi di prova da parte degli interessati, senza specificare cosa debba essere provato.
Nessuna delle censure in cui si articola il motivo in esame merita accoglimento.
Occorre premettere che, ai sensi dell’art. 1 della L.P. n. 2/1959, “ Le interessenze, vicinie e le altre comunità e associazioni agrarie, comunque denominate e costituite, sia per la proprietà, sia per l'esercizio di altri diritti reali sulle terre esistenti nell'ambito della provincia soggette all'esercizio di usi civici ai sensi dell'articolo 1 della legge 16 giugno 1927, n. 1776, sono comunioni private di interesse pubblico e sono regolate dalle disposizioni della presente legge. Per quanto non è disposto dalla presente legge, trovano applicazione le disposizioni del Codice Civile ”.
Il successivo art. 5 della medesima legge provinciale dispone, poi, nei primi due commi che:
“ 1. Se le quote di compartecipazione alle vicinie, interessenze o alle altre comunità e associazioni agrarie, comunque denominate o costituite, non risultano dal libro fondiario, la commissione locale per i masi chiusi competente per territorio, esaminati tutti gli elementi di prova presentati dai singoli interessati, tenta una conciliazione sull'entità delle quote di compartecipazione. La conciliazione è sottoposta all'approvazione dell'assessore provinciale competente in materia. Il relativo decreto costituisce titolo per l'iscrizione tavolare.
2. In caso di mancato accordo fra i compartecipanti delle comunità, la commissione provinciale per i masi chiusi, sentiti - se del caso - un rappresentante della commissione locale per i masi chiusi di cui al comma 1 e i singoli compartecipanti, nonché esaminati tutti i mezzi di prova presentati, fissa le quote di compartecipazione. Il relativo provvedimento costituisce titolo per l'iscrizione tavolare ”.
Dal trascritto quadro normativo emerge che, se i vari partecipanti all’interessenza non riescono a provare l’entità della propria quota di compartecipazione, e non trovano un accordo sulla quota di rispettiva spettanza, quest’ultima è determinata dalla Commissione provinciale per i masi chiusi.
La legge provinciale non determina il criterio che il detto organo deve utilizzare per l’individuare le quote di compartecipazione, per cui, tenuto conto del disposto dell’art. 1 della detta legge provinciale, che impone di applicare il codice civile, per quanto in essa non previsto, e che assegna alle interessenze natura di “ comunioni private di interesse pubblico ” (Corte Cost. 8/6/1963, n. 87), il criterio non può che trarsi, ex art. 12, comma 2, delle preleggi, dalle norme in materia di comunione ordinaria (artt. 1100 e segg. cod. civ.), istituto che maggiormente si avvicina a quello della “ comunione privata di interesse pubblico ”, quale, appunto, è l’interessenza agraria (Cass. Civ., Sez. III, 19/1/2018, n. 1263).
Trova, quindi, applicazione l’art. 1101 del cod. civ., secondo cui, salvo prova contraria, “ Le quote dei partecipanti alla comunione si presumono uguali ”.
Correttamente, pertanto, la Commissione provinciale per i masi chiusi, considerato che nella specie non era stata dimostrata l’entità della quota di compartecipazione spettante a ciascun interessato, ha stabilito di applicare il criterio di cui all’art. 1101 cod. civ., suddividendo le quote di partecipazione in parti uguali.
Poiché, per effetto del rinvio operato dall’art. 1 della L.P. n. 2/1959, quello stabilito dall’art. 1101 del codice civile diviene, nell’illustrata fattispecie, un criterio legale necessitato, a nulla vale opporre l’esistenza di una prassi con esso contrastante, quale quella fondata sul c.d. “ bisogno della casa e della tenuta ”, posto che la stessa, risultando palesemente contra legem , è inidonea a fondare legittime aspettative di un agere amministrativo a essa conforme (Cons. Stato, Sez. V, 9/10/2013, n. 4968).
Nessuna rilevanza, ai fini di causa, possono, poi, avere le opinioni espresse dall’Ufficio Economia Montana della Provincia Autonoma di Bolzano, in ordine al criterio da applicare, in casi come quello che occupa, per la determinazione delle quote di compartecipazione degli interessati, sia perché, giusta quanto sopra rilevato, contrarie alla disciplina applicabile alla fattispecie, sia perché, comunque, inidonee a condizionare le valutazioni del giudice in ordine all’interpretazione del dato normativo.
Va, infine, dichiarato inammissibile il motivo con cui si censura la sentenza nella parte in cui non ha positivamente valutato la prospettata questione di costituzionalità dell’art. 5 della L.P. n. 2/1959.
Il Tribunale ha, infatti, dichiarato inammissibile la detta questione
rilevando come i ricorrenti avessero mancato “ di indicare esplicitamente quali fossero le norme costituzionali asseritamente violate ” e siffatta motivazione non è stata censurata dalla parte appellante che ha, quindi, violato la norma contenuta nell’art. 101, comma 1, c.p.a. che fa espresso obbligo, all’appellante, di dedurre “ specifiche censure contro i capi della sentenza gravata ”.
In ogni caso, la proposta questione di costituzionalità è manifestamente infondata.
La L.P. n. 2/1959, infatti, non ha introdotto nell’ordinamento un nuovo soggetto giuridico invadendo la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile stabilita dall’art. 117 cost., ma, nell’ambito della propria potestà legislativa primaria, attribuitale dall’art. 11, n. 8, della L. Cost. 26/2/1948, n. 5, in materia di usi civici, ha dettato norme in tema di comunità agrarie, senza travalicare i limiti al suo potere legislativo rinvenibili “ soltanto nella Costituzione, nei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, negli obblighi internazionali e negli interessi nazionali, nonché nelle norme fondamentali delle riforme economiche e sociali della Repubblica (art. 4 del medesimo Statuto) ” (cfr. citata sent. della Corte Cost. n. 87/1963;sul tema della personalità giuridica delle vicinie si veda Cass. Civ., Sez. II, 12/2/1993, n. 7465).
Nessuna manifesta irragionevolezza è, poi, rinvenibile nell’art. 5 della medesima L.P. n. 2/1959, per non aver determinato, secondo quanto afferma parte appellante, i criteri da seguire per la determinazione delle quote di compartecipazione, atteso che, al contrario, la norma, da leggere congiuntamente al precedente art. 1, fornisce la regola per l’attribuzione delle quote, stabilendo che, in carenza di titolo e di accordo fra le parti, le stesse si presumono uguali.
Col quarto motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel respingere la doglianza con cui erano stati dedotti, nei confronti della deliberazione della Commissione provinciale per i masi chiusi, qui impugnata, i vizi di difetto di istruttoria e violazione degli artt. 7 e 13 della L.P. 22/10/1993, n. 17 e dei principi in tema di affidamento, buona fede e correttezza.
Con tale deliberazione, infatti, il detto organo provinciale, nel riprovvedere in ordine alla determinazione delle quote di compartecipazione all’interessenza San Giacomo – Vizze, a seguito della sentenza del T.R.G.A. – Bolzano 19/12/2012, n. 293, che aveva annullato l’analogo provvedimento precedentemente adottato dalla medesima Commissione, avrebbe utilizzato un criterio, quello della identità delle quote, differente da quello, basato sul “ bisogno della casa e della tenuta ”, in precedenza seguito, senza che, sul punto, la sentenza n. 293/2013 avesse obiettato alcunché, dato che l’annullamento sarebbe stato determinato unicamente dal fatto che, nell’adottare il criterio in questione, non si fosse tenuto conto degli aggravi derivanti dai diritti di pascolo a favore di terzi.
Conseguentemente la Commissione provinciale, nel riprovvedere, non avrebbe potuto riprendere da capo il procedimento, abbandonando il criterio precedentemente adottato, ma avrebbe dovuto limitarsi a emendare i pregressi errori sulla base di quanto statuito dal giudice.
Col quinto motivo si censura l’impugnata sentenza per aver ritenuto insussistenti i dedotti vizi di violazione e falsa applicazione degli artt. 5 della L.P. n. 2/1959 e 7 della L.P. n. 17/1993 e di eccesso di potere.
Infatti, diversamente da quanto in essa si legge, con la precedente sentenza n. 293/2012 non sarebbe stato ritenuto illegittimo il criterio di determinazione delle quote fondato sul “ bisogno della casa e della tenuta ”, ma sarebbe stata ritenuta soltanto inadeguata l’istruttoria compiuta.
Le due doglianze, entrambe infondate, si prestano a una trattazione congiunta.
In termini generali occorre rilevare che in sede di remand , non è precluso all’amministrazione riprendere da principio il procedimento, atteso che, anche dopo la pronuncia di annullamento, essa conserva il potere precedentemente esercitato, con l’unico limite di non replicare le illegittimità già rilevate dal giudice.
Nel caso che occupa, il giudicato di cui alla citata sentenza n. 293/2012 non imponeva di utilizzare il criterio del “ bisogno della casa e della tenuta ”, invocato dagli appellanti, in quanto, per quanto qui rileva, l’annullamento era stato pronunciato per difetto d’istruttoria, derivante dal fatto che “ per il calcolo delle superfici di pascolo, … non è stato considerato l’aggravio dei diritti di pascolo in favore di terzi … e non ne è stata nemmeno accennata una motivazione ”.
Correttamente, pertanto, la Commissione provinciale, appurato che non era possibile stabilire l’entità delle quote di compartecipazione sulla base di idonei titoli, si è orientata, peraltro in piena conformità al quadro normativo di riferimento, per l’utilizzo di un differente criterio di suddivisione, ovvero quello stabilito dall’art. 1101 comma 1, del codice civile.
Col sesto motivo si deduce che il Tribunale avrebbe errato a ritenere che per vincere la presunzione iuris tantum posta dall’art. 1101 del codice civile, sarebbe necessario un titolo documentale contrario, Infatti, per i diritti, come quelli di specie, esistenti da antica data non esisterebbe documentazione.
Del resto la stessa provincia avrebbe affermato che l’intavolazione del diritto di proprietà in favore dell’interessenza San Giacomo – Vizza sarebbe avvenuta per usucapione e sarebbe da escludere che i masi facenti parte dell’interessenza abbiano usucapito in quote uguali.
La doglianza è inammissibile in quanto, contrariamente a quanto afferma parte appellante, non prospettata col ricorso gerarchico.
In ogni caso essa è infondata nel merito, atteso che, per vincere la presunzione semplice posta dall’art. 1101 del codice civile, è necessaria la prova, di qualunque tipo essa sia, che le quote dei partecipanti non sono identiche e tale prova dev’essere fornita dall’interessato (cfr art. 5 della L.P. n. 2/1959).
Sennonché nella specie, parte appellante non ha assolto il proprio onere probatorio.
Col settimo motivo si lamenta che l’appellata sentenza sarebbe erronea anche laddove si volesse ritenere corretto l’utilizzo del criterio di cui all’art. 1101 del cod. civ.
La suddivisione delle quote, infatti, avrebbe dovuto riguardare direttamente i quindici masi che compongono l’interessenza, attribuendo, a ciascuno di essi, una quota pari a 1/15, mentre, invece, la Commissione provinciale avrebbe, suddiviso (in parti uguali) le quote di compartecipazione prima fra le cinque vicinie facenti parte dell’interessenza e successivamente, all’interno di ciascuna di esse, fra i relativi partecipanti.
Tale criterio di attribuzione delle quote risulterebbe, però, illegittimo in quanto le vicinie, essendo nella specie composte da meno di cinque unità economiche, non costituirebbero associazioni agrarie ai sensi della L.P. n. 2/1959.
Peraltro, dall’atto 22/3/1960, n. 179, risulterebbe inclusa, nell’elenco ufficiale delle associazioni agrarie, un'unica e indivisa interessenza denominata San Giacomo – Vizze, e non un’interessenza composta da vicinie.
Sarebbe fallace anche l’affermazione del giudice di prime cure secondo cui la suddivisione per vicinie deriverebbe dalla menzionata sentenza n. 293/2012.
Il Tribunale avrebbe, inoltre, errato a ritenere che gli odierni appellanti abbiano prestato acquiescenza alla prima delibera di ripartizione delle quote adottata dalla Commissione provinciale, nella quale il maso Martin veniva indicato come appartenente alla vicinia T.
E invero, nella prima decisione della Commissione provinciale l’appartenenza di un maso a una o a un’altra vicinia sarebbe stata priva di rilevanza, per cui sarebbe mancato l’interesse ad agire.
In ogni caso, il maso Martin non apparterrebbe alla vicinia T, ma a quella K/Quinzo.
Il mezzo di gravame non merita accoglimento.
Occorre premettere che, diversamente da quanto gli appellanti sostengono, le vicinie non costituiscono mere indicazioni geografiche prive di rilevanza giuridica, ma vere e proprie associazioni agrarie, come risulta, incontestabilmente, dall’art. 1 della L.P. n. 2/1959.
Siffatta natura resta immutata anche laddove la vicinia risulti composta dai proprietari di non più di cinque unità economiche, atteso che tale dato numerico, come si ricava dall’art. 2, comma 2, della citata L.P. n. 2/1959, rileva all’unico scopo di rendere applicabile, nei rapporti relativi alla detta comunione agraria, il solo codice civile, anche laddove questa sia sorta antecedentemente all’impianto del libro fondiario.
Ciò premesso, il criterio di attribuzione delle quote di compartecipazione, qui contestato, basato sulla suddivisione, in parti uguali, prima tra le vicinie facenti parte dell’interessenza, e, successivamente, tra i componenti delle stesse, risulta corretto.
E invero, il giudice di prime cure ha, esattamente, rilevato la coerenza di tale criterio con la situazione tavolare.
Infatti, “ la P.T. 151/II dall’impianto nel libro fondiario (verbale d’impianto n. 311) era formata dalle Vicinie S, H, A, K e T ”.
E, in base all’art. 5 della L.P. n. 2/1959, ai fini della ripartizione delle quote, occorre far riferimento a quanto emerge dal libro fondiario.
Per cui, ancorché quest’ultimo, nella specie, non contenesse informazioni circa la ripartizione delle quote di compartecipazione, così da rendere necessaria l’applicazione del criterio stabilito dall’art. 1101 del codice civile, non poteva, comunque, prescindersi dalle indicazioni in esso contenute, con la conseguente necessità di procedere, prioritariamente, alla suddivisione delle quote per vicinie.
E invero, il diverso criterio invocato dagli appellanti, secondo cui la suddivisione sarebbe dovuta avvenire prendendo in considerazione unicamente i singoli masi facenti parte dell’interessenza, si sarebbe posto in contrasto con le emergenze del libro fondiario, nel quale l’interessenza San Giacomo - Vizze risulta suddivisa in cinque vicinie.
Nemmeno la contestazione concernente l’appartenenza del maso Martin alla vicinia T coglie nel segno.
Come, infatti, ben rilevato dal Tribunale, l’inclusione del suddetto maso nella vicinia T risulta attestata dal libro tavolare (P.T. 787 del 31 luglio 1909). Né, contro le risultanze ufficiali di tale libro, può rilevare la documentazione, da cui si ricaverebbe l’appartenenza del maso in questione alla vicinia K/Quinzo, invocata da parte appellante, ovvero mappa storica, ortofoto, libro sulla storia di Vizze, verbale dell’assemblea dell’interessenza in data 24/6/2008 e copia del catasto di Vipiteno del 1781 (quest’ultima, peraltro, inammissibilmente, prodotta solo in questo grado di giudizio).
L’appello va, pertanto, respinto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Sussistono eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e onorari di giudizio.