Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-05-03, n. 201902888
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 03/05/2019
N. 02888/2019REG.PROV.COLL.
N. 00503/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 503 del 2019, proposto dal signor P A, rappresentato e difeso dagli avvocati N P e R V P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato N P in Roma, via dei Gracchi, n. 60;
contro
Il Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Puglia - Bari, Sezione I, n. 1007/2018, resa tra le parti, concernente la revoca di un trasferimento, in applicazione della legge n. 104 del 1992;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2019 il Cons. Oberdan Forlenza e udito per l’appellante l’avvocato N P;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.1.Con l’appello in esame, il signor Antonio Palmisano impugna la sentenza 5 luglio 2018, n. 1007, con la quale il TAR per la Puglia, Sez. I, ha respinto il suo ricorso n. 559 del 2018, proposto avverso il provvedimento emanato dal Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Direzione generale del personale e delle risorse 15 febbraio 2018, prot. GDAP 0055247.
Con tale provvedimento veniva disposto il rientro immediato dell’attuale appellante alla Casa circondariale di Taranto dalla Casa circondariale di Turi, a seguito del decesso della madre disabile, da lui assistita in applicazione di quanto previsto dalla legge n. 104/1992.
La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso, richiamando la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (in particolare, sez. IV, nn. 4671/2017 e 5206/2017), secondo la quale, nel caso di specie, “si è di fronte ad un movimento non definitivo, ma subordinato ad un presupposto di fatto esterno ed estraneo all’ambito lavorativo, la cui perdurante presenza è condizione non solo per l’iniziale disposizione di trasferimento, ma anche per la sua perdurante efficacia”.
1.2. Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) error in iudicando ;violazione art. 33, comma 5, l. n. 104/1992;violazione artt. 3, 18, 21-quinquies l. n. 241/1990;violazione art. 38 d. lgs. n. 443/1992, art. 19 l. n. 395/1990;art. 55 DPR n. 335/1982;ciò in quanto:
a1) “la sentenza impugnata rende una motivazione erronea ed insufficiente, in quanto si limita a richiamare acriticamente e sbrigativamente il principio espresso, nella materia che ci occupa, da due sentenze del Consiglio di Stato”;soprattutto, la sentenza non ha considerato che i precedenti giurisprudenziali citati “afferiscono a revoche di trasferimenti disposti successivamente all’entrata in vigore della legge n. 183/2010, con conseguente inconferenza rispetto” al caso in esame, dove il provvedimento di trasferimento è stato adottato in data 20 aprile 2002);
a2) “la revoca per cui è causa – integrando un nuovo trasferimento d’ufficio – doveva (e deve) contenere l’espressa motivazione in ordine alle ragioni di interesse pubblico, di natura prettamente organizzativa, che hanno indotto a rimuovere il ricorrente dall’attuale sede di servizio”;
a3) i provvedimenti di trasferimenti adottati prima della l. n. 183/2010 “assurgono al rango di provvedimenti definitivi”, di modo che l’amministrazione, anche in applicazione delle circolari del 16 maggio 2003 n. 3582 e 28 luglio 2006, “era tenuta in ogni caso . . . a convertire il trasferimento disposto con provvedimento del 20 aprile 2002 in trasferimento definitivo”;
b) eccesso di potere per disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta;violazione art. 64, comma 3, C.p.a.;ciò in quanto presso la Casa di reclusione di Turi risultano assegnati soggetti i quali “benché allo stato non siano più in possesso dei requisiti previsti dalla legge . . . non sono stati attinti da provvedimento di revoca del trasferimento originariamente disposto”;e di tale situazione di fatto compete al Giudice procedere all’accertamento attraverso l’esercizio dei propri poteri istruttori;
c) eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, poiché “l’amministrazione è tenuta a valutare i plurimi contrapposti interessi coinvolti nella specifica situazione concreta” e dunque l’interesse dell’amministrazione di provenienza (Taranto), quello dell’amministrazione di destinazione (Turi), quello del ricorrente e del suo nucleo familiare. A fronte di ciò, l’amministrazione ha adottato un provvedimento “parziale”, “manifestamente ingiusto”, “apodittico ed iniquo”, “arbitrario ed irrazionale”.
1.3. Il Ministero della Giustizia non si è costituito in giudizio.
1.4. All’udienza in camera di Consiglio per la trattazione della domanda cautelare, il Collegio, ritenuti sussistenti i presupposti di cui all’art. 60 C.p.a, ha trattenuto la causa in decisione per il merito.
DIRITTO
2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
3.1. Questa Sezione, con la sentenza 18 febbraio 2019 n. 1113, con argomentazioni che si intendono richiamare e confermare nella presente sede, ha ribadito e precisato i principi già espressi dalla giurisprudenza con riguardo al trasferimento disposto in applicazione dell’art. 33, comma 5, l. n. 104/1992.
Con la predetta decisione si è innanzi tutto affermato:
- il trasferimento ex art. 33, comma 5, cit. “coinvolge, per giurisprudenza pacifica, interessi legittimi, e di conseguenza implica un complessivo bilanciamento fra l’interesse del privato e gli interessi pubblici, in esercizio di potere discrezionale da parte dell’amministrazione;e ciò tenendo conto del fatto che il trasferimento è disposto a vantaggio del disabile e non, invece, nell'interesse esclusivo dell'Amministrazione ovvero del richiedente, avendo lo stesso natura strumentale ed essendo intimamente connesso con la persona dell'assistito (Cons. Stato, sez. IV, 27 settembre 2018 n. 5550;sez. IV, 3 gennaio 2018 n. 29;sez. IV, 31 agosto 2016 n. 3526)”;
- “in tale contesto, l'inciso ‘ ove possibile ’, contenuto nella predetta disposizione, comporta che, avuto riguardo alla qualifica rivestita dal pubblico dipendente, deve sussistere la disponibilità nella dotazione di organico della sede di destinazione del posto in ruolo per il proficuo utilizzo del dipendente che chiede il trasferimento (Cons. Stato, sez. III, 11 maggio 2018 n. 2819), nel senso, cioè, che presso la sede richiesta vi sia una collocazione compatibile con lo stato del militare, e che l'assegnazione possa, dunque, avvenire nel limite delle posizioni organiche previste per il ruolo e il grado (Cons. Stato, sez. IV, 16 febbraio 2018 n. 987)”;
- “l’esercizio del potere discrezionale da parte dell’amministrazione – e, dunque, la verifica della compatibilità del trasferimento ex art. 33, comma 5, con le esigenze generali del servizio – deve consistere in una verifica e ponderazione accurate delle esigenze funzionali, la quale deve risultare da una congrua motivazione”;
- come già più volte affermato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez. IV, 9 ottobre 2017, n. 4671, e 6 novembre 2017, n. 5125), essendo il trasferimento disposto a vantaggio e nell’interesse esclusivo non dell’Amministrazione ovvero del richiedente, ma del disabile, “il movimento . . . ha natura strumentale ed è intimamente connesso con la persona dell’assistito”. Si tratta di “un movimento non definitivo, ma subordinato ad un presupposto di fatto esterno ed estraneo all’ambito lavorativo, la cui perdurante presenza è condizione non solo per l’iniziale disposizione del trasferimento, ma anche per la sua perdurante efficacia”.
Da tali osservazioni generali, si è quindi desunto che:
- “la natura funzionalizzata del trasferimento è in re ipsa e non necessita . . . di un’espressa indicazione nel provvedimento che lo dispone, trattandosi di un dato costitutivo, di un tratto genetico, di un carattere consustanziale del movimento”, di modo che “il decesso del disabile, pertanto, svuota ab interno la funzione stessa del provvedimento, irrimediabilmente privato della propria costitutiva ragione d’essere”.
3.2. Con la citata sentenza n. 1113/2019, sviluppando ed ulteriormente precisando le indicazioni già poste a base delle precedenti sentenze nn. 4671/2017 e 5125/2017, si è altresì aggiunto come dall’esame della giurisprudenza è possibile desumere sia la natura “provvisoria” del trasferimento disposto ex art. 33, comma 5, l. n. 104/1992, sia la sua natura strumentale, funzionalizzata all’assistenza alla persona bisognevole, di modo che tale assistenza costituisce aspetto “costitutivo”, “genetico”, del predetto trasferimento.
E ciò con la conseguenza che, come si è innanzi riportato, “il decesso del disabile, pertanto, svuota ab interno la funzione stessa del provvedimento, irrimediabilmente privato della propria costitutiva ragione d’essere”.
Tali aspetti, a tutta evidenza, costituiscono ontologica caratterizzazione del provvedimento di trasferimento e dunque prescindono da quanto affermato dal sopravvenuto comma 7-bis dell’art. 33, che, pertanto, non può che avere valenza chiarificativa ed interpretativa, ma non innovativa, delle disposizioni previgenti.
Ciò comporta che la cessazione dell’espletamento della prestazione lavorativa nella sede individuata dal provvedimento emanato ex art. 33, comma 5, non consegue affatto ad una (più rigida) novellazione normativa, ma è, al contrario, un effetto prodotto dalla natura stessa del provvedimento, anche se emanato prima dell’entrata in vigore della nuova disposizione (e ciò a prescindere da quanto previsto, anche in senso diverso, da eventuali circolari delle amministrazioni).
In virtù della natura e contenuto del provvedimento di trasferimento, si può, dunque, affermare la cessazione del trasferimento medesimo al momento del venir meno del presupposto per il quale lo stesso era stato disposto. E ciò:
- sia nel caso in cui il trasferimento sia stato disposto prima dell’introduzione del comma 7-bis nell’art. 33 e prima di questa vi sia stata anche la cessazione del presupposto;
- sia nel caso in cui il trasferimento sia anteriore e la cessazione del presupposto invece avvenga dopo l’entrata in vigore del citato comma 7-bis;
- sia, infine, nel caso in cui il trasferimento sia successivo all’introduzione del predetto comma 7-bis.
Tanto precisato, appare opportuno (anche in questo caso aderendo alla sent. n. 1113/2019 cit.) svolgere ulteriori precisazioni.
Come si è già affermato, il provvedimento di trasferimento ex art. 33, comma 5, l. n. 104/1992 costituisce atto di natura discrezionale, a fronte del quale sussistono posizioni di interesse legittimo del richiedente.
L’interesse che l’amministrazione deve considerare è quello dell’assistenza al disabile, che è interesse pubblico tanto quanto quello della coerente ed efficiente organizzazione amministrativa (predisposta al fine di svolgere il servizio che essa amministrazione deve istituzionalmente rendere);un interesse pubblico cui si collegano sia la posizione giuridica del disabile ad una migliore ed adeguata assistenza, sia l’interesse legittimo del soggetto (che tale assistenza deve rendere) ad ottenere a tal fine il trasferimento.
L’interesse pubblico alla migliore ed adeguata assistenza ai soggetti disabili, in attuazione degli artt. 3 e 32 Cost., rappresenta la concreta funzionalizzazione del potere discrezionale positivamente esercitato (la “causa” del provvedimento, ove se ne ritenga individuabile l’elemento in relazione al provvedimento amministrativo).
Ciò comporta che la perdurante sussistenza del presupposto (cioè l’assistenza al disabile), in quanto determina il possibile esercizio in concreto del potere astrattamente conferito dalla norma, costituisce un elemento essenziale del provvedimento adottato.
Inoltre, la strumentalità del trasferimento disposto, inscindibilmente collegata ai compiti di assistenza, comporta la temporalità determinata dell’efficacia dell’atto di trasferimento, i cui effetti concreti possono dispiegarsi sino a quando sussistono le esigenze di assistenza (con un termine certus an, incertus quando ).
Il provvedimento di trasferimento, dunque, costituisce un provvedimento ad efficacia non istantanea, ma temporalmente definita, collegata al persistere di un aspetto concreto, rappresentato dalla concreta necessità e possibilità di erogazione di assistenza (il che giustifica il prodursi dell’effetto in relazione alla attualità dell’interesse pubblico perseguito).
L’individuazione di un evento, di cui è certo il prodursi, ancorché non ne sia altrettanto preventivamente precisabile il momento, indica il “confine temporale” di efficacia del provvedimento tanto quanto l’apposizione di una data precisa di cessazione dell’efficacia (come avviene, a titolo di esempio, nelle concessioni cd. traslative per la gestione o lo sfruttamento dei beni pubblici), con la sola differenza che il momento di cessazione dell’efficacia è “ certus quando ” nel primo caso ed “ incertus quando ” nel secondo.
Ciò, a tutta evidenza, non muta l’ontologica struttura del provvedimento (la cui efficacia è comunque annessa ad un termine, individuato ex ante o che si determinerà), e non comporta:
- né che il provvedimento possa essere inteso come sottoposto a condizione risolutiva, poiché il caso di un elemento accidentale dell’atto, apposto come condizione di efficacia del medesimo (e dipendente da un fatto e/o atto ad esso esterno ed incerto: artt. 1353 ss. c.c.) è diverso dalla definizione temporale dell’efficacia del provvedimento come specificamente individuata dalla ponderazione discrezionale della persistenza dell’interesse pubblico: in altre parole, la condizione risolutiva è ben diversa dal termine;
- né che il provvedimento debba essere soggetto ad un contrarius actus di revoca perché si possa ritornare alla situazione ad esso antecedente: se ciò che viene meno è l’efficacia dell’atto (per il verificarsi dell’evento cui era agganciato il limite temporale di questa), si ristabilisce puramente e semplicemente la situazione antecedente all’emanazione del provvedimento la cui efficacia è cessata. In tal senso, gli atti che l’amministrazione deve eventualmente adottare al fine di ripristinare lo status quo ante costituiscono meri atti di organizzazione e di gestione conseguenti al venir meno dell’efficacia del provvedimento.
Alla luce di questa ricostruzione (ed in tal modo precisando quanto in precedenza affermato: Cons. Stato, sez. IV, n. 4671/2017 cit.), non è necessaria l’emanazione di alcun provvedimento di revoca del precedente trasferimento ex art. 33, comma 5, l. n. 104/1992, perché, al venir meno del presupposto assistenziale, il soggetto a tal fine trasferito ritorni alla sede di appartenenza.
Gli eventuali atti a tal fine adottati dall’amministrazione (che sono certamente – come indicato dalla sent. n. 4671/2017 cit. – “doverosi nell’ an e vincolati nel quomodo ”) - hanno natura meramente organizzativa e gestionale del rapporto di impiego (non potendo essere, invece, ricondotti ad una “revoca” che, peraltro – come la stessa sent. n. 4671/2017 afferma - “non presenta tratti di discrezionalità”).
Infine, nessuna argomentazione contraria con le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato può trarsi dal dato temporale della successiva entrata in vigore del comma 7-bis, inserito nell’art. 33 l. n. 104/1992 dalla l. n. 183/2010.
Si è già chiarita la natura interpretativa, in senso chiarificatore della disciplina di settore, propria di tale norma.
Tale considerazione si rafforza esaminando il contenuto della disposizione citata, che si applica in due casi ben distinti, quali “l’insussistenza . . . delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti” e “il venir meno” delle condizioni medesime, così come essa non si riferisce solo al trasferimento ma a tutti “i diritti” ( rectius : tutte le posizioni giuridiche) indicati dall’art. 33.
In ambedue i casi, l’amministrazione “accerta” l’insussistenza o il venir meno delle condizioni, e ciò (cioè il fatto già avvenuto e successivamente accertato) – mentre conferma la non necessità dell’adozione di un provvedimento costitutivo - comporta ex se la cessazione della fruizione dei benefici con il recupero di quanto erogato, ovvero (nel caso del trasferimento) la restituzione del dipendente alla sede di appartenenza, con (eventuali) conseguenze disciplinari e penali.
4.1. Le considerazioni sin qui esposte, che si attagliano pienamente al caso considerato nella presente sede ed alle quali il Collegio si riporta, comportano il rigetto del primo e del terzo motivo di impugnazione (sub lett. a) e c) dell’esposizione in fatto).
4.2. Anche il secondo motivo di impugnazione (sub lett. b) è infondato e deve essere, pertanto, respinto.
Occorre aggiungere che, come costantemente riaffermato dalla giurisprudenza amministrativa, l’emanazione di provvedimenti illegittimi da parte dell’amministrazione, ovvero la sussistenza di situazioni di fatto analoghe a quella sulla quale si è provveduto ma non interessate dall’esercizio di potestà provvedimentale, non possono determinare la sussistenza del vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento, dovendosi invece valutare esclusivamente la legittimità del provvedimento oggetto di impugnazione alla luce dei motivi di ricorso proposti.
E’ pertanto irrilevante verificare se il motivo sia stato sufficientemente specificato.
5. Alla luce di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Il difetto di costituzione dell’amministrazione esime il Collegio dal provvedere in ordine a spese ed onorari del presente grado di giudizio.