Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-12-09, n. 201008682

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-12-09, n. 201008682
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201008682
Data del deposito : 9 dicembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05354/2005 REG.RIC.

N. 08682/2010 REG.SEN.

N. 05354/2005 REG.RIC.

N. 05891/2005 REG.RIC.

N. 05980/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sui seguenti ricorsi in appello:
1) nr. 5354 del 2005, proposto dai signori L M, A M, P M, O M, G M e G M, rappresentati e difesi dagli avv.ti A B e G Pi, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, viale Giulio Cesare, 14,

contro

- il COMUNE DI CORTINA D’AMPEZZO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Vittorio D, L M, Chiara Cacciavillani, Ivone Cacciavillani e Sergio Dal Prà, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via F. Confalonieri, 5,

nei confronti di

- REGIONE VENETO, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;
- dottor L SAVIO, non costituito;



2) nr. 5891 del 2005, proposto dalla REGIONE VENETO, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alfredo Biagini, Tito Munari ed Ezio Zanon, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via di Porta Castello, 33,

contro

il COMUNE DI CORTINA D’AMPEZZO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Chiara Cacciavillani, Ivone Cacciavillani, Sergio Dal Prà, L M e Vittorio D, con domicilio eletto presso l’avv. L M in Roma, via F. Confalonieri, 5,

nei confronti di

- dottor L SAVIO, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gianni Massaro, Filippo L e Cristiana Massaro, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Aureliana, 63;
- signori L M, A M, P M, O M, G M e G M, rappresentati e difesi dagli avv.ti A B e G Pi, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, viale Giulio Cesare, 14;



3) nr. 5980 del 2005, proposto dal dottor L SAVIO, rappresentato e difeso dagli avv.ti Michele C, Fulvio Lorigiola, Francesco Segantini, Gianni Massaro, Filippo L e Cristiana Massaro, con domicilio eletto presso l’avv. Gianni Massaro in Roma, via Aureliana, 63,

contro

il COMUNE DI CORTINA D’AMPEZZO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Chiara Cacciavillani, Ivone Cacciavillani, Sergio Dal Prà, L M e Vittorio D, con domicilio eletto presso l’avv. L M in Roma, via F. Confalonieri, 5,

nei confronti di

- REGIONE VENETO, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;
- signori L M, A M, P M, O M, G M e G M, rappresentati e difesi dagli avv.ti A B e G Pi, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, viale Giulio Cesare, 14;

tutti per la riforma

della sentenza nr. 976/05 del T.A.R. del Veneto, Sezione Prima, depositata il 15 marzo 2005, che ha accolto il ricorso proposto dal Comune di Cortina d’Ampezzo, annullando, per l’effetto, le delibere di Giunta Regionale 14 novembre 2003, nr. 3534, recante l’approvazione definitiva del P.R.G., e 31 gennaio 2003, nr. 192, ed ha respinto il ricorso incidentale proposto dal dott. L S.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Cortina d’Ampezzo, nonché dell’appellato dott. L S (nel giudizio nr. 5891 del 2005) e degli appellati sig.ri L M e altri (nei giudizi nn. 5891 e 5980 del 2005);

Visti gli appelli incidentali proposti dai signori L M e altri nei giudizi nn. 5891 e 5980 del 2005;

Viste le memorie prodotte dalla Regione Veneto (in data 9 giugno 2010 e 21 ottobre 2010), dal dottor L S (in date 12 febbraio 2010, 22 ottobre 2010 e 30 ottobre 2010) e dal Comune di Cortina d’Ampezzo (in date 11 giugno 2010 e 30 ottobre 2010) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 23 novembre 2010, il Consigliere R G;

Uditi gli avv.ti B e P per i signori L M e altri, gli avv.ti A R d’A, su delega dell’avv. M, e D per il Comune di Cortina d’Ampezzo, gli avv.ti L e C per il dottor L S e l’avv. Biagini per la Regione Veneto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I – I signori L M, Andrea M, Pierluigi M, Oliver M, Gioia M e Gianmaria M hanno impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. del Veneto, in accoglimento del ricorso proposto dal Comune di Cortina d’Ampezzo e respingendo altresì il ricorso incidentale proposto dal dottor L S, ha annullato gli atti con i quali la Regione Veneto aveva dapprima approvato il P.R.G. del predetto Comune con proposte di modifica relative a due aree (una delle quali comprendente terreni di proprietà degli appellanti e l’altra di proprietà del ricorrente incidentale, dott. S), e quindi definitivamente approvato lo strumento urbanistico con l’introduzione delle dette modifiche.

A sostegno dell’impugnazione, gli appellanti hanno dedotto: violazione di legge per violazione e falsa applicazione degli artt. 45 e 46 della legge regionale del Veneto 27 giugno 1985, nr. 61;
eccesso di potere per travisamento dei fatti, nonché per illogicità, contraddittorietà e difetto della motivazione (per avere il T.A.R.

ritenuto che

la Regione non avesse il potere di introdurre le modifiche proposte anche laddove queste, come in effetti avvenuto, non fossero state condivise dal Comune).

Si è costituito il Comune di Cortina d’Ampezzo, replicando analiticamente alle doglianze di parte ricorrente e chiedendo la reiezione dell’appello siccome infondato.

II – Un secondo appello avverso la medesima sentenza del T.A.R. del Veneto è stato presentato dalla Regione Veneto, che ha articolato censure sostanzialmente analoghe a quelle contenute nell’appello dei signori M.

Anche in questo giudizio si è costituito il Comune, opponendosi all’accoglimento dell’appello e chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

Si sono altresì costituiti i signori M, i quali hanno presentato un appello incidentale, riproducendo le doglianze formulate nel proprio autonomo atto d’impugnazione;
si è inoltre costituito il dottor L S, associandosi all’appello della Regione e chiedendone l’accoglimento.

III – Un’ulteriore impugnazione avverso la medesima sentenza è stata poi proposta dal dottor L S, sulla base dei seguenti motivi:

1) erroneità della sentenza appellata per omessa constatazione della inammissibilità e/o irricevibilità del ricorso proposto in primo grado dal Comune di Cortina d’Ampezzo;

2) erroneità della sentenza appellata per omessa considerazione dell’eccezione di inammissibilità svolta in primo grado dal controinteressato appellante dottor L S;

3) violazione ed errata interpretazione dell’art. 46 della l.r. nr. 61 del 1985;
erroneità della sentenza per assoluta carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia (a proposito della già ricordata affermazione dell’insussistenza di un potere regionale di introdurre nel P.R.G. le modifiche per cui è causa, anche in difetto di condivisione da parte del Comune);

4) erroneità della sentenza nella parte in cui ha rigettato il ricorso incidentale presentato dal dottor S;
erroneità della sentenza per carenza assoluta di motivazione sul punto (con riferimento sia alle censure specificamente riferite alla destinazione attribuita al suolo in proprietà dell’appellante, sia a quelle più generalmente rivolte avverso il procedimento di formazione del P.R.G.).

Anche in questo ulteriore giudizio si sono costituiti i signori M, proponendo appello incidentale con integrale riproposizione delle censure contenute nel proprio appello autonomo, e si è altresì costituita l’Amministrazione comunale, opponendosi all’accoglimento dell’appello e concludendo per la conferma della sentenza impugnata.

IV – All’udienza del 23 novembre 2010, le cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1. In via del tutto preliminare, va disposta la riunione dei tre appelli in epigrafe, che sono indubitabilmente connessi in quanto rivolti avverso la medesima sentenza del T.A.R. del Veneto.

2. Per migliore comprensione delle statuizioni che seguiranno, giova premettere una sintetica ricostruzione della vicenda amministrativa e processuale per cui è causa, relativa all’approvazione del P.R.G. del Comune di Cortina d’Ampezzo.

In sede di esame del predetto strumento urbanistico adottato, la Regione Veneto ha emesso la delibera nr. 192 del 2003, di approvazione con talune proposte di modifica ai sensi dell’art. 46 della legge regionale del Veneto 27 giugno 1985, nr. 61, e in particolare:

- per l’area di proprietà dell’odierno appellante, dottor L S, in conformità a un’osservazione dallo stesso formulata, in luogo dell’originaria destinazione agricola è stata proposta la destinazione d’uso “alberghiera”;

- per altra area, denominata “ex Stazione” e comprendente suoli in proprietà degli odierni appellanti signori M, è stata proposta l’introduzione di un regime profondamente diverso da quello connesso alla destinazione “C2” attribuita dal Comune, con sostanziale limitazione degli interventi ammissibili alla sola manutenzione ordinaria e straordinaria.

Il Comune, tuttavia, ha trasmesso all’Amministrazione regionale articolate controdeduzioni, non condividendo le modifiche proposte e ritenendo che il P.R.G. dovesse essere approvato nella sua versione originaria in partibus quibus.

Di poi, con delibera nr. 3534 del 2003, la Regione ha approvato il P.R.G. in questione introducendo d’ufficio le modifiche proposte.

Avverso tali determinazioni il Comune di Cortina d’Ampezzo ha proposto ricorso innanzi al T.A.R. del Veneto, il quale all’esito del giudizio ha annullato le richiamate delibere regionali, ritenendo che l’Amministrazione regionale avesse esorbitato dall’ambito dei poteri spettantile, alla stregua della normativa vigente, in sede di approvazione dello strumento urbanistico generale.

3. Tanto premesso, gli appelli – principali e incidentali – qui riuniti si appalesano infondati e pertanto meritevoli di reiezione.

4. In ordine logico, conviene principiare dai motivi dell’appello del dottor L S con i quali sono riproposte alcune eccezioni preliminari che, sollevate in primo grado, sono state respinte ovvero non esaminate dal T.A.R.

4.1. Con un primo motivo, l’appellante reitera l’eccezione di inammissibilità del ricorso originario del Comune di Cortina d’Ampezzo, per non avere quest’ultimo tempestivamente impugnato la delibera regionale nr. 192 del 2003, di approvazione con modifiche del P.R.G. ex art. 46 della l.r. nr. 61 del 1985.

Il motivo è manifestamente infondato.

Ed invero, con riguardo al meccanismo di approvazione con modifiche di cui al ridetto art. 46 – salvo quanto più approfonditamente appresso si dirà in ordine al “regime” dei poteri attribuiti alla Regione in sede di approvazione del P.R.G. –, è evidente che con esso il legislatore regionale ha inteso introdurre una fase dialettica e collaborativa fra le due Amministrazioni, comunale e regionale, chiamate a concorrere alla formazione dello strumento urbanistico, in ciò differenziandosi tale previsione da quella relativa alle modifiche che, in determinati casi, la Regione può introdurre anche immediatamente e d’ufficio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 2010, nr. 1840;
id., 7 settembre 2006, nr. 5201).

Di conseguenza, è evidente che la ricordata delibera nr. 192 del 2003, avendo avuto il solo effetto di aprire la detta fase procedimentale collaborativa e di imporre al Comune di controdedurre sulle modifiche proposte entro un termine perentorio, non può in alcun modo qualificarsi come immediatamente lesiva, dal momento che le modifiche in questione sarebbero (e sono) state introdotte nel P.R.G. solo all’esito della anzi detta fase ulteriore;
pertanto, correttamente l’Amministrazione comunale ha censurato la delibera de qua solo in una con l’impugnazione della successiva delibera di approvazione definitiva dello strumento urbanistico.

4.2. Privo di pregio è anche il motivo con cui si reitera l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse in capo al Comune istante.

In particolare, si assume che l’Amministrazione comunale, avendo già attribuito la destinazione richiesta dalla Regione ad altre aree in situazione identica a quella dell’odierno appellante, giammai avrebbe potuto in ogni caso assegnare a quest’ultima una destinazione diversa, in quanto così facendo avrebbe adottato un atto certamente illegittimo.

Tuttavia, il Comune contesta tale asserita identità di situazioni, richiamando circostanze peculiari specifiche della proprietà S (p.es. la prossimità a un edificio di valore storico e artistico), di tal che l’eccezione di parte odierna appellante resta ancorata a un presupposto opinabile e – tutto sommato – indimostrato.

5. Può ora passarsi a quello che costituisce il nucleo della presente controversia, e cioè all’esame dei motivi, contenuti in tutti gli appelli qui riuniti, con i quali si lamenta l’erronea applicazione da parte del primo giudice del già citato art. 46 della l.r. nr. 61 del 1985, sotto il profilo dei poteri riconosciuti alla Regione in sede di approvazione dello strumento urbanistico comunale.

5.1. Con riferimento all’assetto normativo vigente all’epoca dell’adozione degli atti impugnati, come già accennato, mentre il precedente art. 45 disciplinava le modifiche che la Regione poteva apportare d’ufficio in sede di approvazione del P.R.G., per le finalità tassativamente indicate dalla norma stessa, l’articolo successivo (“ Approvazione con proposte di modifica ”) così testualmente recitava:

Quando la Regione ravvisa che i criteri informatori e le caratteristiche essenziali del Piano regolatore generale sono conformi a quanto previsto nel Piano territoriale provinciale e nel Piano territoriale regionale di coordinamento, l’introduzione di modifiche diverse da quelle dell’articolo precedente è soggetta al preventivo rinvio del Piano al Comune per l’adeguamento.

In tal caso il Piano è approvato con dettagliate proposte di modifica mediante provvedimento interlocutorio.

Entro 90 giorni dal ricevimento del provvedimento della Regione, il Comune può far pervenire le sue controdeduzioni alla Regione.

Entro 90 giorni dal ricevimento del provvedimento del Comune, la Regione introduce nel Piano regolatore generale le modifiche ritenute opportune fra quelle proposte.

In caso di inerzia del Comune, il decorso del termine di cui al terzo comma comporta l’automatica introduzione nel Piano regolatore generale delle modifiche proposte dalla Regione ”.

5.2. Il contrasto inter partes si incentra sull’interpretazione da dare al comma 4 della norma citata, laddove il riferimento alle “ modifiche ritenute opportune ”, le quali possono essere introdotte nel Piano all’esito delle controdeduzioni comunali, lascia nell’incertezza l’individuazione del soggetto cui compete tale valutazione di “opportunità”: secondo le parti appellanti, il giudizio spetterebbe alla Regione quale Ente approvante (la quale, pertanto, potrebbe decidere di introdurre le modifiche da essa stessa proposte anche qualora il Comune avesse rappresentato di non condividerle);
al contrario, il primo giudice, facendo propria la tesi dell’Amministrazione comunale, ha ritenuto che l’inciso in questione dovesse leggersi nel senso di un richiamo alle sole modifiche condivise dal Comune nelle proprie controdeduzioni.

5.3. Il Collegio, pur senza disconoscere che la formula usata dal legislatore regionale è estremamente ambigua, e quindi sommamente infelice, ritiene che l’interpretazione del giudice di prime cure vada confermata, siccome maggiormente aderente a una moderna concezione dei rapporti tra le due Amministrazioni (comunale e regionale) nell’ambito della procedura di pianificazione.

5.4. Ed invero, come già in passato osservato dalla Sezione sia pure incidentalmente (cfr. la sentenza nr. 1870 del 28 aprile 2008), il sistema ricavabile dal combinato disposto dei citati artt. 45 e 46, imperniato sulla distinzione tra modifiche introducibili d’ufficio e modifiche soggette a controdeduzioni da parte del Comune, definisce in modo esaustivo e tassativo il perimetro e l’oggetto dell’attività provvedimentale riservata ai due Enti territoriali in sede di approvazione del P.R.G.;
con la conseguenza che l’approvazione con proposte di modifica lascia integro e impregiudicato il potere del Comune di riconsiderazione della disciplina urbanistica, costituendo la motivazione della proposta di modifica in fin dei conti una “raccomandazione” dell’Autorità regionale in funzione dell’esercizio dell’attività dell’Ente locale di primo livello e in coerenza con i principi, di rango anche costituzionale, che assegnano la funzione primaria di pianificazione all’Amministrazione comunale.

In altri termini, è condivisibile l’impostazione del primo giudice il quale ha ritenuto di dover dare del più volte citato art. 46 un’interpretazione “ costituzionalmente orientata ”, nel senso del riconoscimento di un ruolo comunque preponderante al Comune, la cui necessaria e ineludibile condivisione delle proposte di modifica segna il limite posto al potere regionale nel procedimento disegnato dalla norma in esame: infatti, è lo stesso principio di sussidiarietà verticale (oggi elevato a rango costituzionale dall’art. 118 Cost.) a comportare che, nelle materie affidate alla copianificazione, la funzione della Regione non possa che essere quella della cura degli interessi affidati al proprio livello di governo, restando circoscritta a casi residuali ed eccezionali la possibilità di una sua “ingerenza” nelle scelte di dettaglio riservate all’Amministrazione comunale.

La ricostruzione qui condivisa trova un’importante conferma positiva, ad avviso della Sezione, nel fatto che lo stesso art. 46 colleghi strettamente le proposte di modifica – ancorché di dettaglio – formulabili dalla Regione alla verifica generale di conformità dei “ criteri informatori ” e delle “ caratteristiche essenziali ” dello strumento urbanistico comunale con i Piani provinciale e regionale: in sostanza, il legislatore ha inteso prendere in considerazione l’ipotesi in cui, una volta accertata la coerenza dell’impianto generale del P.R.G. con la pianificazione di livello superiore, la Regione reputi necessarie modifiche di dettaglio per armonizzare ulteriormente lo strumento urbanistico generale a quelli regionale e provinciale, tale essendo la ratio delle “ proposte di modifica ” di cui qui si discute.

In questa chiave si spiega il logico corollario – non esplicitato dalle norme in commento, ma dato per scontato da tutte le parti del presente giudizio – per cui non è consentito alla Regione stravolgere il P.R.G. con le proprie proposte di modifica, in quanto ciò comprometterebbe il potere di pianificazione primariamente riconosciuto al Comune.

5.5. Né è incoerente con tale ricostruzione la previsione dell’ultimo comma dell’art. 46, laddove è stabilito che, in caso di inerzia del Comune nel trasmettere le controdeduzioni nel termine fissato, le modifiche proposte sono automaticamente introdotte nel Piano.

Tale disposizione infatti, piuttosto che configurare una sorta di “acquiescenza” dell’Amministrazione comunale rispetto alle proposte provenienti dalla Regione, costituisce null’altro che una ulteriore applicazione del principio di sussidiarietà verticale, nel quale è implicita la possibilità di una surrogazione del livello di governo superiore nelle funzioni di quello inferiore;
ed invero, come già altrove si è sottolineato, la previsione de qua nasce da esigenze di celerità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, nonché di definizione chiara delle rispettive responsabilità di ruolo nella copianificazione, in quanto da un lato la salvaguardia del potere primario di pianificazione in capo al Comune non può spingersi fino al punto di consentire a quest’ultimo di paralizzare il procedimento di formazione del P.R.G. omettendo di controdedurre alle proposte regionali, e per altro verso la ricordata ripartizione dei ruoli e dei poteri lascia intatta in capo alla Regione la cogestione degli interessi sovracomunali che possono essere coinvolti nella pianificazione territoriale del Comune (cfr. Cons. Stato, sez. IV, nr. 1870 del 2008, cit.).

5.6. Alla luce dei rilievi che precedono, dovendosi confermare le conclusioni raggiunte sul punto dal primo giudice, vanno respinti gli appelli della Regione Veneto e dei signori M nonché il terzo motivo dell’appello del dottor L S.

6. Resta da esaminare il quarto motivo dell’appello del dottor S, col quale sono reiterate, censurandosene la reiezione da parte del giudice di prime cure, le ulteriori doglianze formulate dinanzi al T.A.R. con ricorso incidentale.

Anche tali censure vanno peraltro disattese, dovendo trovare conferma gli avvisi espressi dal primo giudice.

6.1. Innanzi tutto, possono essere esaminati congiuntamente i motivi (rubricati ai nn. 3 e 4 dell’originario ricorso incidentale), con i quali l’appellante lamenta che l’elaborazione del P.R.G. da parte dell’Amministrazione comunale sarebbe stata ispirata da motivazioni non urbanistiche, ma “politiche”, ossia dalla finalità di scoraggiare l’edilizia privata (e soprattutto la realizzazione di “seconde case”), con ciò favorendo i residenti piuttosto che i non residenti e determinando un sostanziale azzeramento dell’edificabilità privata con conseguente crescita dei prezzi delle abitazioni.

Sul punto, oltre a condividere le argomentazioni esposte dal primo giudice – secondo cui anche siffatta motivazione “politica” appare comunque giustificata, sul piano urbanistico, dall’intento di evitare l’abbandono del patrimonio edilizio e l’eccessiva espansione dell’attività edificatoria – c’è da aggiungere che le critiche di parte appellante impingono ampiamente il merito delle scelte rimesse alla discrezionalità dell’Amministrazione comunale, la quale nell’esercizio della propria potestà pianificatoria ben può prendere in considerazione anche obiettivi di contenimento dell’espansione edilizia e di salvaguardia dei nuclei abitativi esistenti.

6.2. Condivisibile è anche il giudizio di inammissibilità, per genericità, formulato dal giudice di primo grado in ordine alla censura di violazione dell’art. 78 del decreto legislativo 18 agosto 2000, nr. 267, per essere stato il P.R.G. approvato col voto di diversi Consiglieri Comunali i quali, essendo proprietari di suoli compresi nel territorio comunale, ovvero parenti di soggetti proprietari di detti suoli, avrebbero dovuto astenersi dal prendere parte alla votazione.

Infatti, l’istante non ha specificato quanti e quali fossero i Consiglieri versanti in tale situazione di incompatibilità, né come questa abbia in ipotesi inciso sulla destinazione impressa ai suoli in loro proprietà (e ciò a prescindere dall’ulteriore questione se siffatta incompatibilità, ove dimostrata, determinerebbe l’illegittimità dell’intero strumento urbanistico, ovvero solo le parti di esso interessate dalla ventilata situazione di “conflitto d’interessi”).

6.3. Del pari inconsistenti sono le critiche rivolte alla parte della sentenza impugnata in cui si è escluso che il dott. S fosse titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata rispetto a quella della generalità dei proprietari di suoli siti nel territorio comunale, idonea a fondare la sua pretesa a una destinazione urbanistica diversa da quella agricola impressa al suolo de quo.

Al riguardo, è sufficiente richiamare il granitico orientamento giurisprudenziale per cui le scelte effettuate dall’Amministrazione nell’adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, sicché anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nell’impostazione del piano stesso, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni;
in sostanza le uniche evenienze, che richiedono una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali, sono date dal superamento degli standards minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
dalla lesione dell’affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione e, infine, dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 13 ottobre 2010, nr. 7492;
id., 21 dicembre 2009, nr. 8514;
id. 17 luglio 2009, nr. 4477).

Nel caso di specie, appare evidente che non ricorreva alcuna delle predette situazioni, né una aspettativa giuridicamente qualificata poteva discendere, sempre per pacifica giurisprudenza, dalla pregressa destinazione residenziale impressa alla medesima area, come invece vorrebbe parte appellante (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 dicembre 2009, nr. 9006).

6.4. La giurisprudenza appena richiamata rende evidente l’infondatezza anche dell’ulteriore doglianza, riproposta nell’appello del dott. S, con cui si lamenta l’insufficienza e l’inadeguatezza della motivazione posta dall’Amministrazione a base della destinazione agricola imposta al suolo in proprietà dell’appellante.

Detta motivazione, come correttamente sottolineato dal primo giudice, appare immune da profili di manifesta illogicità e irragionevolezza, sfuggendo anche alle ventilate censure di disparità di trattamento con il trattamento riservato dal Comune ad altri terreni dalle caratteristiche asseritamente identiche, atteso che sono state individuate specificità del suolo de quo con riferimento all’esistenza in loco di immobili di pregio da salvaguardare.

6.5. Infine, vanno confermati anche i rilievi con i quali il T.A.R. ha disatteso l’ulteriore doglianza articolata dall’istante con riferimento a precedente ricorso giurisdizionale dallo stesso proposto avverso un diniego opposto dal Comune a una sua richiesta di concessione edilizia.

Infatti, la mera pendenza di un contenzioso giurisdizionale (il ricorso in questione è stato respinto dallo stesso T.A.R. del Veneto, con sentenza avverso la quale pende tuttora appello dinanzi a questo Consiglio di Stato) è circostanza di per sé insufficiente a fondare in capo all’interessato una aspettativa qualificata a una specifica destinazione urbanistica, lasciando dunque impregiudicata l’autonomia e la discrezionalità del Comune nell’esercizio della propria potestà pianificatoria;
senza contare che l’istanza ad aedificandum cui afferisce il predetto contenzioso aveva a oggetto la realizzazione di un edificio per civili abitazioni, mentre nel corso dell’ iter di formazione del P.R.G. per cui è causa lo stesso dott. S ha formulato osservazioni – poi accolte dalla Regione con gli atti qui impugnati - intese a conseguire per l’area di sua proprietà una destinazione “alberghiera”.

7. In conclusione, l’accertamento dell’infondatezza di tutte le censure articolate negli appelli qui riuniti ne impone l’integrale reiezione, con la conferma della sentenza impugnata.

8. La complessità e la parziale novità delle questioni esaminate costituiscono giusto motivo per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

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