Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-05-31, n. 201103298
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N. 03298/2011REG.PROV.COLL.
N. 01262/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1262 del 2010, proposto da:
A S, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Staato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Societa' Anonima Bari - Barletta S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. C V, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via Laura Mantegazza .24;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE III n. 02906/2009, resa tra le parti, concernente QUANTIFICAZIONE RISARCIMENTO DANNI
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Societa' Anonima Bari - Barletta S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 febbraio 2011 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati C V e Giustina Noviello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame l’ANAS impugna la sentenza 25 novembre 2009 n. 2906, con la quale il TAR Puglia, sez. III, (a seguito della propria precedente sentenza n. 1067/2009, con la quale aveva accertato l’illegittimità dell’espropriazione operata dall’ANAS di un immobile di proprietà della “Società anonima Bari – Barletta” s.p.a., ricorrente in I grado, altresì disponendo CTU per la quantificazione delle somme dovute a titolo risarcitorio), la ha condannata al versamento in favore di detta società della somma di Euro 447.315,76, oltre interessi fino all’effettivo soddisfo, previa adozione di provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 DPR n. 327/2001.
Avverso tale sentenza (richiamati i motivi di appello proposti con il ricorso n. 5540/2009, avverso la precedente sentenza n. 1067/2009), vengono proposti i seguenti motivi di impugnazione:
sovrastima del risarcimento;illogicità ed irragionevolezza della decisione del TAR con riguardo al quantum;poiché la sentenza ha acriticamente aderito alle conclusioni cui è pervenuta la disposta CTU. Quest’ultima, “nell’eseguire la quantificazione del quantum debens ha fatto applicazione di criteri stabiliti nell’art. 43 del d. lgs. n. 327/2001, che . . . non è applicabile al caso di specie”. Inoltre, con specifico riguardo alle stime effettuate:
- il fabbricato esistente prima della realizzazione dell’opera pubblica (valutato in Euro/mq 2.150,74 al momento della scadenza della occupazione legittima avvenuta nel 1982), è stato sovrastimato rispetto ad identico, adiacente immobile già di proprietà dell’ANAS ed oggetto della medesima procedura ablativa”;
- gli immobili espropriati e destinati ad attività agricola sono stati sovrastimati, stante l’attribuzione di un valore di euro/mq 2,40, in confronto al valore (Euro/mq 1,0) determinato nel 2005 dall’Agenzia del territorio di Bari per immobili adiacenti a quello oggetto della presente controversia.
Si è costituita in giudizio l’appellata “Società anonima Bari – Barletta. Ecccepita preliminarmente l’irricevibilità dell’appello per tardività, sia in relazione all’applicazione del termine dimidiato di cui all’art. 23-bis l. n. 1034/1971, sia perché comunque notificato al 61° giorno dalla notifica della sentenza di I grado, la società appellata ha in ogni caso concluso per il rigetto dell’appello stante la sua infondatezza.
Con memoria del 8 gennaio 2011, l’appellata, ribadite le proprie difese, ha esaminato gli effetti della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 43 DPR n. 327/2001, di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 293/2010. L’appellata ritiene che tale pronuncia “impedisca di tenere fermi gli effetti della sentenza di I grado, che ne aveva fatto applicazione, e imponga l’accoglimento della domanda di restituzione dell’immobile nella sua interezza”, così come formulata nel ricorso introduttivo del giudizio di I grado.
Chiede, pertanto, la condanna alla restituzione dell’immobile e al risarcimento del danno derivante dalla privazione del godimento dell’immobile.
All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato e deve essere, pertanto, rigettato, rendendosi conseguentemente
superfluo esaminare l’eccezione di irricevibilità del medesimo.
L’amministrazione lamenta, innanzi tutto, che la sentenza ha acriticamente aderito alle conclusioni cui è pervenuta la disposta CTU. Quest’ultima, secondo l’appellante, “nell’eseguire la quantificazione del quantum debens ha fatto applicazione di criteri stabiliti nell’art. 43 del d. lgs. n. 327/2001, che . . . non è applicabile al caso di specie”.
Sul punto, occorre innanzi tutto notare che tale criterio è stato stabilito, nel pronunciare sull’an del diritto al risarcimento, dalla sentenza TAR Puglia, sez. III, 15 maggio 2009 n. 1067, ed è in sede di impugnazione della medesima che deve essere più propriamente proposto ed esaminato.
In ogni caso, questo Consiglio di Stato ha anche di recente riaffermato il principio – dal quale in questa sede non si ravvisa ragione per discostarsi, e sul quale non incide la declaratoria di incostituzionalità del citato art. 43 – secondo cui la procedura di acquisizione in sanatoria di un’area occupata sine titulo, prevista dall’art. 43 del d.P.R. nr. 327 del 2001, trova una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dell’entrata in vigore della norma, come testualmente si ricava anche dal successivo art. 57 che, richiamando i “procedimenti in corso”, ha introdotto norme transitorie unicamente per individuare l’ambito di applicazione della riforma in relazione alle diverse fasi fisiologiche del procedimento sostanziale, mentre l’atto di acquisizione ex art. 43 è emesso ab externo del procedimento espropriativo e non rientra, pertanto, nell’ambito di operatività della normativa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011 n. 676 e 26 marzo 2010, nr. 1762).
Quanto agli ulteriori motivi, con i quali si lamenta, in sostanza, una “sovrastima” da parte del CTU, e quindi da parte della sentenza appellata, degli immobili oggetto del procedimento ablatorio, a fronte di altri immobili ad essi rapportabili, il Collegio ritiene che gli stessi siano infondati, sia in quanto non è sufficiente la mera evocazione della stima effettuata per altro immobile ad inficiare (e rendere quindi illegittima) la valutazione dell’immobile in esame, sia in quanto non si sono in sé evidenziate le ragioni concrete che – anche in virtù di comparazione con altre valutazioni effettuate – rendono le prime errate.
Quanto all’esame delle conseguenze che la società appellata evince dalla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 43 DPR n. 327/2001, il Collegio rileva che, per un verso, esse non costituisco motivo di appello incidentale, per altro verso, non rilevano ai fini della presente decisione, avente ad oggetto una sentenza di I grado che si è limitata – a seguito di diversa sentenza sull’an debeatur - ad accertare il quantum dovuto dall’amministrazione a titolo risarcitorio al proprietario del bene, con conseguente condanna di quest’ultima.
Per le ragioni esposte, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.