Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-01-20, n. 201700256
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Pubblicato il 20/01/2017
N. 00256/2017REG.PROV.COLL.
N. 06443/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6443 del 2014, proposto dal Ministero dell'Interno, dall’U.T.G. - Prefettura di Caserta, dal Ministero della Difesa, in persona dei legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
contro
Il signor -O-, in proprio e in qualità di legale rappresentante della -O-, rappresentato e difeso dagli avvocati A C (C.F. CLRNGL48P06H703Z) e -O- Ricciardelli (C.F. RCCLGU56E05B963H), con domicilio eletto presso l’avvocato A C in Roma, via Principessa Clotilde, n. 5;
per la riforma
della sentenza del T.AR. Campania, sede di Napoli, Sezione Prima, n. 495 del 2014, resa tra le parti, concernente l’informativa interdittiva antimafia.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor -O-, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della -O-;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° dicembre 2016 il Cons. S S e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Maria Vittoria Lumetti e l'avvocato A C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. - La -O-, affidataria di lavori in subappalto provenienti dal Ministero della Difesa ed il sig. -O-, quest’ultimo già amministratore unico della società, hanno impugnato con ricorso n. 8871 del 2013, proposto dinanzi al TAR per la Campania, sede di Napoli, l’informativa interdittiva della Prefettura di Caserta n. 1843/12b.16/ANT/AREA 1^ del 17 luglio 2012, e gli atti della relativa serie procedimentale (alcuni dei quali emessi successivamente all’interdittiva).
1.1. - La contestata informativa poggia essenzialmente sulle seguenti circostanze ritenute significative del pericolo di infiltrazioni mafiose per la società ricorrente, tratte da rapporti informativi realizzati prima e dopo l’emissione della stessa informativa:
a) prima dell’informativa, è stato redatto il verbale del G.I.A della Prefettura di Caserta del 13 luglio 2012, da cui risulta che il già amministratore unico (fino all’11 luglio 2012) ed appellante signor -O- (in seguito AC.) è stato tratto in arresto nel luglio 2011 in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere, perché ritenuto responsabile di estorsione continuata in concorso (artt. 81 cpv, 110 e 629 c.p.), con l’aggravante del fine di favorire l’organizzazione camorristica del “-O-”;
b) dopo l’informativa, è stata redatta la nota del Comando Provinciale Carabinieri di Caserta n. 270934/1-5 di prot. “P” del 28 novembre 2012, relativa al periodo di osservazione 1999-2003, da cui si evince che il padre del signor AC. è stato contiguo al “-O-” alla luce dei rapporti intercorsi con un capo zona del Comune di -O-;il medesimo è stato presidente e consigliere di tre società, riconducibili al proprio gruppo familiare, che hanno fatto parte di consorzi nei quali operavano soggetti vicini al predetto clan;lo stesso, infine, insieme a tre figli (tra cui AC.) è stato denunciato dalla DIGOS di Frosinone per concorso in associazione delinquere di stampo camorristico, in ordine ai lavori per la realizzazione della linea ferroviaria dell’alta velocità nella tratta Roma-Napoli;
c) dopo l’informativa, è stata altresì redatta la nota della Questura di Caserta CAT.Q2/2/ANT/B.N. del 13 ottobre 2012, da cui emerge che il suddetto genitore è stato controllato nel gennaio 2012 dai Carabinieri, mentre si accompagnava con un soggetto pregiudicato per traffico di stupefacenti ed estorsione.
2. - Il primo giudice ha accolto il ricorso, richiamando le proprie precedenti decisioni, n. 1901 del 10 aprile 2013 e n. 5086 del 13 novembre 2013, che avevano annullato i provvedimenti interdittivi antimafia della Prefettura di Caserta del 17 luglio 2012 e del 13 dicembre 2012, basati sui medesimi profili di controindicazione posti a sostegno della gravata informativa.
2.1 - Il TAR per la Campania ha rilevato, in particolare, che l’istruttoria svolta dall’Amministrazione non aveva considerato che il signor AC., dopo essere stato tratto in arresto, era stato scarcerato con una ordinanza di riesame pronunciata in data 15 luglio 2011 (antecedentemente al verbale del Gruppo Ispettivo Antimafia del 13 luglio 2012, nel quale non si fa cenno a tale provvedimento).
L’organo del riesame, nell’annullare la misura cautelare in precedenza adottata, aveva ritenuto insufficienti gli elementi raccolti a supporto del quadro indiziario posto a base dell’accusa per il mancato riscontro dei fatti denunciati, anche in relazione al grado di attendibilità del denunciante, tale M. P., coindagato in procedimento connesso. Neppure risultava valutato il fatto che quest’ultimo M.P. era stato rinviato a giudizio con decreto del GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in data 7 febbraio 2012, in relazione al delitto di cui all’art. 368 c.p., per avere falsamente denunziato lo smarrimento di due assegni, per un importo complessivo di € 11.000,00, ed incolpato il giratario (ossia il già nominato signor AC.) pur sapendolo innocente.
2.2 - Per il TAR, i rilevati vizi istruttori non erano stati superati neppure dopo l’ordinanza di riesame pronunciata dalla Sezione in sede cautelare, in quanto anche l’ultima nota prefettizia (del 13 dicembre 2012) gravata con l’ultima serie di motivi aggiunti, lungi dall’operare un’effettiva rivalutazione degli elementi sopra segnalati, si era limitata a confermare il precedente esito, valorizzando fatti non attuali (accaduti nel periodo 1999-2003), riferiti a un soggetto diverso (il signor -O-, padre di AC.) e privi, pertanto, di concreta significatività circa possibili tentativi di infiltrazione della criminalità aventi lo scopo di condizionare le scelte dell'impresa.
2.3 - Inoltre, ad avviso del primo giudice sarebbero stati scarsamente consistenti anche i profili indiziari discendenti dalla pendenza del procedimento penale per associazione di stampo camorristico originato dalla denuncia della DIGOS di Frosinone, essendo pacifico e comprovato dalle emergenze processuali che già prima dell’agosto 2000 tale procedimento era stato definito con richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero.
2.4 - Né avrebbe potuto sostenere il provvedimento interdittivo l’unico controllo di polizia emesso nei confronti del padre del signor AC., in considerazione della sua episodicità.
2.5 – Il TAR ha poi rilevato che tutti gli elementi addotti dopo l’emanazione dell’informativa non avrebbero potuto integrare la motivazione dell’atto, né avrebbero potuto rilevare le circostanze evidenziate dalla difesa dell’Avvocatura dello Stato in merito alla vicinanza della famiglia -O- con un clan camorristico, ed il fitto intreccio di cointeressenze economiche tra i figli ed il padre, testimoniato dalla comune partecipazione a svariate società, sussistendo ancora una volta un’inammissibile integrazione postuma della motivazione dell’interdittiva.
2.6 - In conclusione, ritenendo la informativa impugnata affetta dai denunciati vizi di carenza di istruttoria e di motivazione, il TAR ha annullato gli atti impugnati.
3. - Avverso tale decisione ha proposto appello il Ministero dell’Interno, chiedendone l’integrale riforma.
3.1 - Si è costituita in giudizio la parte appellata, che ha controdedotto in merito alle censure proposte, chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado.
La parte appellata - nella memoria di replica depositata il 10 novembre 2016 – ha ribadito che il provvedimento impugnato in primo grado si baserebbe esclusivamente sull’ordinanza di custodia cautelare del GIP del 26 giugno 2011, che al momento dell’adozione del provvedimento interdittivo era stata già annullata da anno (il 15 luglio 2011), mentre tutti gli altri elementi addotti dalla difesa del Ministero sarebbero ad esso successivi, e dunque non potrebbero sorreggere il provvedimento, la cui legittimità deve essere valutata alla stregua del principio del tempus regit actum .
4. - All’udienza pubblica del 1° dicembre 2016 l’appello è stato trattenuto in decisione.
5. - L’appello è fondato e va dunque accolto.
5.1 - Ritiene il Collegio di non doversi discostare da quanto già ritenuto dalla Sezione nella sentenza n. 3208 del 2014, emessa sull’appello avverso la decisione dello stesso TAR Campania n. 1901 del 2013, alla quale il primo giudice si è riportato nella motivazione della sentenza appellata nel presente giudizio (l’appello avverso l’altra sentenza richiamata in motivazione dal TAR, e cioè la n. 5086 del 2013, è stato invece dichiarato inammissibile con sentenza n. 2035 del 2015, per nullità della notifica dell’atto di appello).
La Sezione si è pronunciata in conformità alla decisione n. 3208 del 2014 anche con la successiva sentenza n. 4450 del 2014, emessa sull’appello avverso la sentenza del TAR per la Campania n. 387 del 2014.
6. - Nell’atto di appello il Ministero ha innanzitutto evidenziato che la sentenza ha attribuito rilievo preponderante all’avvenuto annullamento, in sede di riesame, del provvedimento di custodia cautelare, senza tener conto degli ulteriori elementi sui quali si fondava l’informativa, considerati non attuali, e senza valutare il contenuto dello stesso provvedimento di riesame, dal quale si evinceva la contiguità dell’odierno appellato a soggetti appartenenti alla criminalità organizzata.
In particolare le Amministrazioni appellanti hanno rilevato che:
- l’avvenuto annullamento della misura cautelare - disposta in sede di riesame da parte del Tribunale di Napoli - non sarebbe stata di per sé decisiva, tenuto conto dell’esistenza di un procedimento penale, nel quale il signor AC. rivestiva la qualità di persona sottoposta ad indagini, e considerato, inoltre, che dalla motivazione dell’ordinanza di riesame del Tribunale di Napoli risultava che i componenti della famiglia -O-, e soprattutto quelli che si occupano - dal punto di vista imprenditoriale - della gestione dei rifiuti, erano vicini al -O-;
- lo stesso provvedimento di riesame avrebbe costituito, quindi, un ulteriore riscontro indiziario della contiguità della società appellata con la criminalità organizzata;
- il signor -O-, padre di AC., come era emerso dalle indagini nel procedimento penale n.36856/2001 del Tribunale di Napoli, risultava contiguo all’associazione malavitosa “-O-”, e tale elemento, sia pure risalente, non era stato in un primo momento evidenziato nel provvedimento impugnato per rispetto del segreto istruttorio;
- la contiguità con il “-O-” investiva la intera famiglia di AC., circostanza rilevata anche dal giudice del riesame nell’ordinanza del Tribunale di Napoli del 15 luglio 2011, in relazione alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia;
- -O-figlio di -O-era stato sottoposto nel 2003 al regime detentivo degli arresti domiciliari per il reato di associazione a delinquere in concorso finalizzata alla perpetrazione di reati connessi al settore dei rifiuti;
- fino al novembre 2008, amministratore unico della società odierna appellata era il signor AC., mentre all’epoca dell’introduzione del giudizio era amministratore la signora -O--, mentre il capitale sociale della società (fino al dicembre 2010) era ripartito tra -O- (madre), -O-, -O-, -O--, -O--O--.
Il quadro indiziario presentava quindi – secondo l’appellante - elementi di una qualificata probabilità di pericolo di infiltrazione mafiosa tale da giustificare i provvedimenti interdittivi impugnati.
7. – Ritiene la Sezione che occorre preventivamente richiamare taluni principi consolidati della giurisprudenza amministrativa e rilevanti nel caso di specie:
- l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata, impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;
- trattandosi di una misura a carattere preventivo, l’interdittiva prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;
- tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità, che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
- essendo il potere esercitato, espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;
- anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;
- di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), ma occorre che l’informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti;
- gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata (cfr, tra le tante, Cons. Stato, Sez. III, n. 2742 del 2016).
8. - Alla stregue delle suddette coordinate interpretative, le doglianze proposte dall’Amministrazione sono fondate.
8.1 - Possono quindi richiamarsi le conclusioni rese dalla Sezione nella sentenza n. 3208 del 2014 secondo cui « occorre avere riguardo, contrariamene a quanto sostenuto dagli appellati, alle risultanze della istruttoria considerate unitariamente e, conseguentemente, non solo a quanto dichiarato nella interdittiva del 17.7.2012, ma anche agli elementi indiziari di cui il Prefetto ha potuto tenere conto al momento della sua adozione, sia pure nella stessa interdittiva non evidenziati per esigenze di segretezza o di segreto istruttorio. In concreto, tralasciando il procedimento penale instaurato nei confronti di --O- e risoltosi con l’archiviazione, a torto il giudice di prime cure non ha attribuito rilievo a quanto emerso nel corso delle indagini relative al procedimento penale n.36856/2001 R.G.N.R., mod. 21 della D.D.A del Tribunale di Napoli, in cui era emersa la contiguità di -O-, padre di --O-, con il “-O-” in relazione ai rapporti intercorsi con -O-, capo zona nel comune di -O- e zone limitrofe.
Tale elemento, pure preso in considerazione dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta ai fini della emissione della informativa di cui è causa, veniva rivelato solo con la nota del 28.11.2012, redatta all’esito della ordinanza cautelare del Tar, pure riguardando, si ripete, fatti antecedenti alla emissione del provvedimento interdittivo impugnato.
Nella nota del 28.11.2012 il Comando Provinciale di Caserta dei Carabinieri evidenzia che:
- --O-, figlio di -O- veniva sottoposto il 24.11.2003 al regime detentivo degli arresti domiciliari per il reato di associazione a delinquere in concorso, finalizzata alla perpetrazione di reati connessi al settore dei rifiuti;
-il collaboratore di giustizia -O-, affiliato al “-O-”, fazione -O-, aveva riferito che -O-, capo dell’omonimo clan camorristico operante a -O- (condannato nel processo penale c.d. Spartacus II) aveva definito -O- “proprio compare”;
- il collaboratore di giustizia -O- aveva dichiarato che in seno ai consorzi -O- e -O- operavano soggetti contigui al “-O-”;la società -O- aveva aderito al consorzio -O- sin dal 1991 ed il suo cda era composto da -O- e da suo figlio -O- mentre l’altro figlio -O-, odierno appellato, ne era il presidente.
-quanto al consorzio -O-, ad essa aveva aderito la -O- il cui cda era composto sempre da -O- insieme a suo cognato-O-
- -O-, insieme ai figli -O-, -O- e -O-, erano stati denunziati dalla Digos di Frosinone alla Procura della Repubblica di Roma per “l’acquisizione e consolidamento del controllo egemonico del territorio da parte della associazione di tipo mafioso denominata -O-».
8.2 - Gli appellati contestano tali circostanze ed in specie si soffermano sulla risalenza nel tempo delle indagini, contestano il valore da attribuire alla affermazione del collaboratore di giustizia che il signor -O- fosse un ‘compare’ del capo clan locale, essendo prive di peso indiziario, contestano il valore da attribuire alla denunzia alla Digos di Frosinone alla Procura della Repubblica di Roma, in quanto in quella vicenda la denunzia era stata archiviata su richiesta dello stesso PM e del Questore di Caserta. Gli appellati evidenziano ancora che i rapporti con i Consorzi di cui sopra erano stati approfonditi e ritenuti di nessun peso indiziario, mentre il provvedimento di custodia cautelare nei confronti di --O- non aveva alcuna relazione con l’attività della società appellata e di --O-. Mancherebbe quindi il requisito dell’attualità e della riferibilità dei fatti contestati alle parti attinte dalla informativa interdittiva.
Gli appellati deducono, inoltre, che i fatti riportati nel rapporto del Comando Provinciale dei Carabinieri del 28 novembre 2012 sarebbero stati già noti e non secretati.
8.4 - Rileva tuttavia la Sezione che, per quanto la circostanza emerga da elementi di carattere meramente indiziario, la famiglia -O-, nel corso della sua attività imprenditoriale, risulta in vario modo accomunata, vicina, se non contigua, con la realtà criminale gravitante nell’orbita di controllo del “-O-” e che tali indizi provengono da elementi diversificati ed eterogenei, comunque concordanti.
La -O- è un’impresa a base sociale essenzialmente familiare, come può evincersi dalla stessa compagine sociale, sicchè non è né illogico né irragionevole - secondo il principio del più probabile che non – la valutazione dell’Amministrazione secondo cui le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla criminalità organizzata attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con un congiunto (per affermazioni di principi rilevanti in materia, cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 1743 del 2016).
Inoltre, per la natura degli intrecci del fenomeno mafioso nel contesto geografico particolarmente difficile in cui opera la società, il semplice decorso del tempo non assume un ruolo significativo e determinante per ritenere risolto ogni collegamento con ambienti malavitosi, tanto più tenuto se riguarda i legami di sangue con soggetti pregiudicati o inseriti nella medesima consorteria camorristica.
Inoltre la Sezione (cfr. sentenza n. 3208 del 2014) ha ritenuto che le circostanze riportate nel rapporto del Comando Provinciale dei Carabinieri fossero coperte da segreto istruttorio, come peraltro emerge dello stesso rapporto (cfr. §1, pag. 1).
9. In conclusione l’appello va accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza del TAR, vanno respinti il ricorso di primo grado ed i successivi motivi aggiunti.
10. - Quanto alle spese del doppio grado di giudizio, tenuto conto dell’andamento e della peculiarità della vicenda contenziosa, può disporsene la compensazione tra le parti.