Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-11-20, n. 201305504

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-11-20, n. 201305504
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201305504
Data del deposito : 20 novembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08871/2012 REG.RIC.

N. 05504/2013REG.PROV.COLL.

N. 08871/2012 REG.RIC.

N. 00909/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8871 del 2012, proposto dal Ministero dell'istruzione, dell'Universita' e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Universita' degli Studi di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

G C D R, rappresentato e difeso dall'avvocato Carlo Alberto Franchi, con domicilio eletto presso Goffredo Gobbi in Roma, via Maria Cristina, 8;



sul ricorso numero di registro generale 909 del 2013, proposto dall’Azienda Ospedaliera di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lietta Calzoni, con domicilio eletto presso Luigi Medugno in Roma, via Panama, 58;

contro

G C D R, rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Alberto Franchi, Fabio Buchicchio, Daniela Franchi, con domicilio eletto presso Goffredo Gobbi in Roma, via Maria Cristina, 8;

nei confronti di

Universita' degli Studi di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
G A;

per la riforma

quanto al ricorso n. 8871 del 2012:

della sentenza del T.a.r. Umbria - Perugia: Sezione I n. 207/2012, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 909 del 2013:

della sentenza del T.a.r. Umbria - Perugia: Sezione I n. 206/2012, resa tra le parti;


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di G C D R e dell’Universita' degli Studi di Perugia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2013 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Cristina Gerardis, l’avvocato Gobbi per delega degli avvocati C.A. e D. Franchi, l’avvocato Calzoni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il prof. Giancarlo D R, professore associato confermato di Medicina e Chirurgia dell’Università di Perugia, convenzionato con l’Azienda ospedaliera di Perugia, strutturato come Dirigente medico a rapporto di lavoro esclusivo con l’incarico di Direttore della struttura complessa universitaria di Clinica ostetrica e ginecologica, con il ricorso n. 513 del 2010 proposto al Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, ha chiesto l’annullamento:

-del provvedimento di cui alla nota del Direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Perugia, prot. ris. n. 7 del 17 novembre 2011, con cui gli è stata irrogata, nella sua qualità di professore universitario strutturato nell’attività assistenziale della detta Azienda, la sanzione della sospensione dal convenzionamento e conseguentemente da tutti i benefici economici per la durata di tre mesi, a decorrere dal 22 novembre 2010, per avere detenuto, fino al 6 luglio 2010, una quota societaria della Euromedica s.r.l., e per avere rivestito, dal 5 giugno 2006 al 6 luglio 2010, la carica di presidente del Consiglio di amministrazione, con conferimento di firma sociale e poteri di rappresentanza della predetta società e, dal 6 luglio 2006 al 6 luglio 2010, quella di Amministratore delegato munito di ampi poteri autonomi di amministrazione;

- di ogni altro atto presupposto, conseguenziale e comunque connesso o collegato, ivi compresi, in particolare, tutti gli atti del procedimento disciplinare nonché il provvedimento di cui alla nota aziendale del 22 novembre 2011, prot. n. 23444, con cui il dr G A è stato incaricato delle funzioni di direttore della struttura complessa di clinica Ostetrica e Ginecologica per tutto il periodo di sospensione, e di ogni altro atto, ancorché non conosciuto, del procedimento di irrogazione della sanzione contestata.

2. Il Tribunale adito, con la sentenza n. 206 del 2013, ha accolto il ricorso e ha annullato il provvedimento sanzionatorio impugnato. Ha compensato tra le parti le spese del giudizio.

3. Con l’appello in epigrafe, n. 909 del 2013, si chiede l’annullamento della detta sentenza di primo grado n. 206 del 2010, in via pregiudiziale dichiarando il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a favore del giudice ordinario quale giudice del lavoro e, in subordine nel merito, l’accoglimento dei motivi 2 e 3 di impugnazione.

4. Il prof. Giancarlo D R ha proposto appello incidentale.

5. Il prof. D R (in seguito “ricorrente”), con il ricorso n. 531 del 2010 proposto al Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, ha chiesto l’annullamento del decreto del Rettore dell’Università degli Studi di Perugia, n. 2533 del 25 novembre 2010, comunicato in allegato alla nota del medesimo Rettore del 29 novembre successivo, prot. n. 52174, recante irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dall'ufficio e dallo stipendio per due mesi (per i medesimi fatti oggetto della sanzione irrogata dall’Azienda ospedaliera), nonché di ogni altro atto e provvedimento presupposto, consequenziale e comunque connesso o collegato a quello sopraindicato, ivi compresi in particolare tutti gli atti afferenti al procedimento disciplinare nonché il provvedimento del Direttore del Dipartimento di Specialità Medico Chirurgiche e sanità Pubblica del 1° gennaio 2010 prot. n. 2843, con cui vengono impartite istruzioni sulla sostituzione del ricorrente nello svolgimento di alcune funzioni, e di ogni altro atto, operazione, verbale e provvedimento del procedimento disciplinare celebrato a carico del ricorrente.

6. Il Tribunale adito, con la sentenza n. 207 del 2012, ha accolto il ricorso e ha annullato la sanzione disciplinare impugnata. Ha compensato tra le parti le spese del giudizio.

7. Con l’appello in epigrafe, n. 8871 del 2012, è chiesto l’annullamento della detta sentenza di primo grado n. 207 del 2012, con domanda cautelare di sospensione dell’esecutività la cui trattazione è stata abbinata al merito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2013.

8. All’udienza del 15 ottobre 2013 le cause sono state trattenute per la decisione.

DIRITTO

1. Il Presidente del Consiglio di Stato, con decreto dell’8 aprile 2013, ha disposto l’assegnazione a questa Sezione dell’appello n. 909 del 2013, dapprima assegnato alla Sezione III, vista la connessione oggettiva con la causa di cui all’appello n. 8871 del 2012 e l’esigenza quindi della trattazione congiunta delle due cause, tenuto anche conto della priorità cronologica dell’appello n. 8871 del 2012.

Gli appelli in epigrafe sono pertanto trattati e decisi congiuntamente.

2. Nella sentenza di primo grado, n. 206 del 2012, si afferma anzitutto che l’Azienda ospedaliera è dotata di autonomo potere disciplinare rispetto al rapporto instaurato con essa dai professori universitari, per cui, pur radicando la giurisdizione amministrativa la prevalenza del rapporto lavorativo con l’Università, tale rapporto non assorbe quello con l’Azienda;
possono perciò incardinarsi due distinti procedimenti disciplinari se la condotta del ricorrente sia risultata plurioffensiva rispetto ai due ordinamenti.

Nel merito è accolto il terzo, assorbente motivo di ricorso recante violazione del termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare, stabilito dall’art. 55- bis , comma quarto, del d.lgs. n. 165 del 2001, decorrente dall’acquisizione della prima notizia dell’infrazione. Nella specie, afferma il primo giudice, tale acquisizione risulta avvenuta il 1° giugno 2010, data in cui, essendo stata peraltro già verificata il 28 maggio precedente l’appartenenza del ricorrente alla compagine della Euromedica s.r.l., è stato accertato non trattarsi di un caso di omonimia, essendo di conseguenza trascorsi 162 giorni fino alla data del 10 novembre 2010.

3. Si esamina anzitutto la questione di giurisdizione riproposta con l’appello n. 909 del 2013 dall’Azienda ospedaliera di Perugia avverso la sentenza n. 206 del 2012, già sollevata in primo grado.

Nell’appello si censura la sentenza per insufficienza della motivazione al riguardo e si richiama la pronuncia della Corte di Cassazione (Sezioni unite, ordinanza n. 3370 del 2007), in cui è chiarito che nella posizione del docente universitario in convenzione con la struttura sanitaria convergono due ordini di rapporti del docente stesso, con l’Università e con la struttura sanitaria convenzionata, ciascuno disciplinato da regole proprie;
le controversie relative al primo rapporto rientrano perciò nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi del comma quarto dell’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, mentre quelle relative al secondo rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, disponendo l’art. 5 del d.lgs. n. 517 del 1999 l’inquadramento dei docenti universitari nell’organico della struttura sanitaria, l’applicazione ad essi delle norme stabilite per il personale del servizio sanitario nazionale e che essi rispondono dell’adempimento dei compiti assistenziali al Direttore generale con l’applicazione della disciplina della dirigenza medica.

Si soggiunge che convergono con tale conclusione le clausole pattizie di cui al Protocollo d’intesa fra la Regione Umbria e l’Università degli Studi di Perugia (art. 11, commi 4 e 11).

4. Nell’appello incidentale la medesima sentenza di primo grado è censurata in quanto vi è affermata la legittimità dell’esercizio di due distinte azioni disciplinari a carico del ricorrente mentre con ciò, si deduce, è stato violato il principio del ne bis in idem con l’irrogazione di due sanzioni per la medesima condotta, neppure avendo considerato, il primo giudice, che la potestà disciplinare sui docenti universitari spetta soltanto al Collegio di disciplina insediato presso il CUN ai sensi dell’art. 3 della legge 16 gennaio 2006, n. 18, a presidio dell’autonomia universitaria e della libertà d’insegnamento e di ricerca.

Non vale in contrario la citata pronuncia della Cassazione, n. 3370 del 2007, poiché non riferita alla duplice valenza del rapporto di lavoro del docente medico e relativa, comunque, al diverso caso dell’assegnazione di un incarico dirigenziale, mentre l’impossibilità per l’Azienda ospedaliera di irrogare la sanzione disciplinare è provata dalla disciplina posta con il Protocollo d’intesa tra la Regione e l’Università (art. 11, commi 4 e 11), nonché dalla normativa in materia di procedimento disciplinare di cui agli articoli da 55 a 55-octies del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificati dagli articoli 67 e 68 del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, la cui applicazione è esclusa per i dipendenti non contrattualizzati.

Risulterebbe da tutto ciò, da un lato, la spettanza della giurisdizione al giudice amministrativo e, dall’altro, l’illegittimità del potere sanzionatorio esercitato dall’Azienda.

5. Sulle questioni sollevate il Collegio ritiene quanto segue.

5.1. Le attività dei docenti universitari medici, di assistenza ospedaliera e didattico-scientifica, pur compenetrate per la “ natura necessariamente teorico-pratica dell’insegnamento medico ” (Corte Costituzionale, sentenza n. 71 del 2001), devono esser considerate distintamente per il profilo delle organizzazioni in cui si svolgono, le università da un lato e le strutture del Servizio sanitario nazionale dall’altro, essendo il docente dipendente delle prime e, al contempo, “strutturato” presso le seconde in relazione alle prestazioni che rende in entrambe, prevedendo la normativa che “ fermo il loro stato giuridico ” ad essi si applicano “ per quanto attiene all’esercizio dell’attività assistenziale, al rapporto con le aziende e a quello con il direttore generale, le norme stabilite per il personale del Servizio sanitario nazionale ” e le norme sulla dirigenza medica (art. 5, commi 2 e 3, del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, recante “ Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università ”).

Di conseguenza è legittima l’ipotesi dell’attivazione rispetto allo stesso docente di distinti procedimenti disciplinari nell’ambito dei due ordinamenti se il suo comportamento sia ritenuto lesivo di norme proprie di ciascuno di essi, essendo diversi i valori tutelati da tali norme riguardo allo status e ai doveri del docente universitario in quanto operi nell’insegnamento universitario e in quanto svolga attività assistenziale nelle strutture del Servizio sanitario nazionale.

Ciò risulta nel caso di specie in cui i procedimenti disciplinari sono stati attivati, nell’ambito ospedaliero, per la situazione di incompatibilità all’esercizio di altra attività da parte dell’impiegato pubblico di cui all’art. 60 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 ( Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato ), cui rinvia l’art. 53 del d.gs. n. 165 del 2001 (contestazione di addebiti del 9 agosto 2010, prot n. 2/Ris.) e, nell’ambito universitario, per violazione dell’art. 11, comma 5, lett. a), del d.P.R. n. 382 del 1980 (recante “ Riordinamento della docenza universitaria ”), anche di divieto dello svolgimento di altra attività, in questo caso rispetto all’impegno universitario ma, ulteriormente, ritenendosi il comportamento dell’incolpato “ suscettibile di recare pregiudizio all’immagine dell’Ateneo…anche nelle fattispecie di cui alle lettere b), c) e d) dell’art. 89 del R.D. 1592 del 1933 ” ( Testo unico delle leggi sull’istruzione superiore ”), relative alla “ abituale mancanza ai doveri di ufficio ”, alle “ abituali irregolarità di condotta ” e “ ad atti in genere, che comunque ledano la dignità e l’onore del professore ” (contestazione di addebiti del 18 agosto 2010), venendo concluso, ciascun procedimento, con l’irrogazione di una diversa sanzione, della sospensione del convenzionamento e relativi benefici economici, con il primo, dall’ufficio e dallo stipendio con il secondo.

Non si verifica perciò un’ipotesi di bis in idem , che si configura in questo ambito quando lo stesso datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro, esercita una seconda volta per gli stessi fatti il potere ormai consumato (Cass. civ. sez. lav.: n. 21760 del 2010;
n. 7253 del 2009), trattandosi nella specie di due distinti datori di lavoro che, pur riguardo al medesimo comportamento, attivano il proprio potere disciplinare a causa della ritenuta lesione di norme dei rispettivi ordinamenti, ciò che, peraltro, non avrebbero potuto non fare.

Si osserva infine che: a) l’articolo 55, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 dispone che le previsioni del medesimo articolo, fino all’articolo 55- octies , “ si applicano ai rapporti di lavoro di cui all’art. 2 comma 2 ” precisando anche che si tratta dei rapporti “ alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, ” che annovera tra le amministrazioni pubbliche “… le aziende …del Servizio sanitario nazionale ”, ferma la non contrattualizzazione dei docenti universitari di cui all’art. 3 del medesimo d.lgs.;
b) non risultano in contrasto con quanto sopra esposto i commi 4 e 11 dell’art. 11 del Protocollo d’intesa fra la Regione e l’Università, in quanto norme che determinano la sussistenza di uno specifico rapporto del docente in attività assistenziale con il direttore generale dell’azienda, cui egli risponde dell’adempimento dei doveri assistenziali (comma 4), potendo il direttore attivare uno specifico procedimento sanzionatorio per i relativi inadempimenti (comma 11) “ ferme restando le sanzioni e i provvedimenti disciplinari, da attuare in base alle vigenti disposizioni di legge ” e, perciò, quelle comunque previste per tali inadempimenti.

5.2. Ciò rilevato il Collegio è consapevole della giurisprudenza che attribuisce al giudice ordinario la giurisdizione sul procedimento disciplinare svolto a carico del docente per suoi comportamenti nell’esercizio dell’attività assistenziale, poiché “ la qualifica di professore universitario funge da mero presupposto del rapporto lavorativo e l’attività svolta si inserisce nei fini istituzionali e nell’organizzazione dell’azienda ” (Cass. civ., sez. un., 6 maggio 2013, n. 10406).

Si pone però la peculiarità del caso in esame in cui non figura il solo procedimento disciplinare condotto dall’azienda ospedaliera ma, insieme, quello svolto dall’Università, entrambi motivati con il medesimo comportamento del ricorrente assunto per i suoi profili plurioffensivi, dovendosi ritenere che la compenetrazione dell’attività assistenziale con quella didattica e di ricerca, in quanto originata dall’esigenza di assicurare il nesso teorico-pratico necessario per lo svolgimento dell’insegnamento medico, e perciò di rapportare l’attività assistenziale al fine del migliore svolgimento di quella universitaria, porti, come correttamente affermato dal primo giudice, ad individuare nello status giuridico di professore universitario il profilo di prevalenza atto, nel caso specifico, a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 63, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001.

6. L’appello principale e l’appello incidentale devono essere quindi respinti, il primo nella parte in cui eccepisce la questione di giurisdizione, il secondo in quanto deduce la violazione del principio del ne bis in idem , anche rispetto agli asseriti effetti sulla questione della giurisdizione.

7. Si esaminano ora i profili di merito della controversia.

Al riguardo nell’appello principale, n. 909 del 2013, si censura la sentenza impugnata, per non aver considerato il primo giudice:

- che l’art. 63 del d.P.R. n. 3 del 1957, da applicare nella specie, prevede la diffida all’interessato a proseguire nella situazione di incompatibilità vietata dall’art. 60 del d.P.R., con la sua decadenza decorsi 15 giorni dalla diffida se non ottemperi, fermo restando, se ottemperi, l’avvio del procedimento disciplinare;
nella specie ciò ha comportato necessariamente la comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento ai sensi della legge n. 241 del 1990, cui è seguita la comunicazione da parte del ricorrente della cessazione della situazione di incompatibilità in data 23 luglio 2010, che è perciò il dies a quo del decorso del termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento;

- che, pur non accogliendo questa tesi, l’unico superiore gerarchico del ricorrente è il Direttore sanitario dell’azienda ospedaliera e che questi ha avuto conoscenza dell’infrazione contestata al ricorrente soltanto in data 13 luglio 2010 (essendo stati condotti i precedenti accertamenti dalla Direzione affari generali), decorrendo perciò comunque da tale data il termine del procedimento con la sua conclusione entro il 10 novembre successivo;
data questa in cui è stata comunicata al ricorrente la proposta di avvio della procedura conciliativa (da lui ricevuta l’11 novembre), con la conseguente espressa sospensione del decorso dei termini procedimentali, cui non è seguita alcuna comunicazione da parte del ricorrente nei prescritti 5 giorni successivi alla ricezione (in scadenza il 16 novembre), avendo quindi provveduto il Direttore generale all’emanazione del provvedimento disciplinare il giorno dopo tale scadenza, il 17 novembre, cioè il 120° giorno.

8. Il prof. D R, con le memorie depositate in giudizio, ribadita l’asserita violazione del principio del ne bis in idem e contestate le deduzioni dell’appellante, ha riproposto in via subordinata i motivi di ricorso assorbiti in primo grado.

9. L’appello principale è infondato anche nella parte sintetizzata nel precedente punto 7, per le ragioni che seguono.

Come più sopra chiarito al caso di specie si applica il d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2009, che, negli articoli 55 e seguenti regola compiutamente, tra l’altro, il procedimento disciplinare, risultando perciò abrogata la normativa antecedente per intera regolazione della materia.

Rispetto in particolare alle forme e termini del procedimento l’art. 55-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 prevede che “… la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione ” (comma 4).

L’art. 53, comma 1, del medesimo d.lgs dispone a sua volta che “ Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, …”, dovendosi ritenere che il rinvio normativo riguardi, per quanto sopra detto, la fattispecie dell’illecito e non il relativo procedimento disciplinare.

Si osserva comunque che, anche ritenendo vigente l’art. 63 del d.P.R. n. 3 del 1957, non ne deriva che il procedimento disciplinare deve essere iniziato soltanto se siano scaduti i 15 giorni della diffida. Il detto articolo prevede infatti che “ La circostanza che l’impiegato abbia ubbidito alla diffida non preclude l’eventuale azione disciplinare ” (comma 2) significando ciò che il procedimento può essere avviato anche contestualmente alla diffida (nel procedimento disciplinare condotto dall’Università, esaminato nei successivi punti da 11 in poi, la diffida è stata fatta alla stessa data della contestazione degli addebiti, il 3 agosto 2010, sulla base dell’art. 15 del d.P.R. n. 382 del 1980 di contenuto identico al citato art. 63, comma 2, del d.P.R. n. 3 del 1957).

In questo quadro risulta che, nella specie, la prima notizia dell’infrazione è stata per certo acquisita dall’Amministrazione il 1° giugno 2010 poiché, nella “segnalazione disciplinare” (prot. n. 2/Ris) fatta all’Ucpd dalla Direzione generale dell’azienda ospedaliera in data 9 agosto 2010 (rectius il 9 settembre dello stesso anno), si afferma espressamente che l’incrocio dei dati anagrafici del prof. D R, acquisiti il 1° giugno, ha fatto “emergere una evidente situazione di incompatibilità che interessa il prof. D R”.

Su questa base si conferma la correttezza dell’affermazione del primo giudice sulla tardività della conclusione del procedimento.

10. Per le ragioni esposte l’appello n. 909 del 2013 è infondato e deve essere perciò respinto, ciò che preclude l’esame dei motivi di primo grado riproposti in via subordinata dalla parte appellata.

11. Si passa ora all’esame dell’appello n. 8871 del 2012 avverso la sentenza primo grado n. 207 del 2012.

Nella detta sentenza è accolto il primo, assorbente motivo di ricorso, recante la violazione dell'art. 89, ultimo comma, R.D. 31 agosto 1933 n. 1592 e dei principi in tema di contraddittorio e giusto procedimento non essendo stato rispettato l'onere della previa contestazione degli addebiti con connessa impossibilità dell'incolpato di fornire adeguate giustificazioni.

Il primo giudice afferma che: a) la nota di contestazione degli addebiti del 3 agosto 2010, in cui era assegnato all’incolpato il termine di dieci giorni per le giustificazioni (fino al 13 agosto 2010), è stata ricevuta dal ricorrente il 17 agosto 2010, essendo perciò scaduto il termine per le controdeduzioni prima della ricezione della lettera con la conseguente presentazione da parte del ricorrente di giustificazioni tardive. L’Università ha inoltre trasmesso al Consiglio Universitario Nazionale (CUN) gli atti del procedimento disciplinare con lettera del 5 agosto 2010, neppure rispettando il detto termine del 13 agosto 2010;
b) pur non fissando l’art. 89 del R.D. 1952 del 1939, e successive modifiche, la durata del termine da assegnare all’incolpato per le controdeduzioni, è indubbio che il termine deve essere ragionevole nonché osservato dall’Amministrazione, non risultando tale il termine di dieci giorni e contrastando con i principi generali in materia di notificazione, sia degli atti giudiziari sia del procedimento disciplinare, la non fissazione del suo decorso dal giorno della ricezione della contestazione, peraltro inviata in pieno periodo estivo;
né ha rilevanza l’avvenuta sottoposizione al CUN delle controdeduzioni del ricorrente essendo stato questi costretto a predisporle tardivamente e in soli due giorni.

12. Nell’appello la sentenza è censurata deducendo che nel procedimento de quo il principio del contraddittorio è stato rispettato.

La normativa in materia non dispone infatti che la contestazione degli addebiti fatta dal rettore debba essere preceduta dalla concessione di un termine per le controdeduzioni, né che questo termine debba scadere prima della trasmissione degli atti al collegio di disciplina del Cun, essendo questo l’unico obbligo incombente sul rettore che vi deve provvedere entro trenta giorni dalla notizia del fatto affinché il contraddittorio si svolga davanti al collegio, come nella specie avvenuto.

Ciò emerge dall’art. 3 della legge 14 gennaio 2006, n. 18 ( Riordino del Consiglio universitario nazionale ), che, integrando la disciplina dell’art. 89 del R.D. n. 1592 del 1933, ha disposto che “ Il procedimento disciplinare si svolge nel rispetto del principio del contraddittorio. Le funzioni di relatore sono assolte dal rettore dell'università interessata o da un suo delegato. L'azione disciplinare innanzi al collegio spetta al rettore competente, al termine di un'istruttoria locale per ogni fatto che possa dar luogo all'irrogazione di una sanzione più grave della censura …entro trenta giorni dalla notizia di tali fatti…La sanzione è inflitta dal rettore, su conforme parere del collegio, entro trenta giorni dalla ricezione del parere. ”, conseguendone che, se si dovesse svolgere un contraddittorio preliminare con le connesse difficoltà pratiche (ritardi postali o volontaria dilazione del ritiro della comunicazione), il detto termine di trenta giorni non verrebbe in concreto mai osservato.

Nella specie comunque l’Università, nel contestare l’illecito all’incolpato (insieme con l’avviso della trasmissione degli atti al Cun), gli ha concesso termine per controdedurre, che però non può essere considerato perentorio, dato l’art. 89 del R.D. n. 1592 del 1933, per il quale “ All’incolpato deve essere fatta la contestazione degli addebiti e prefisso un termine per la presentazione delle sue deduzioni. Egli ha diritto di essere sentito personalmente dalla Corte di disciplina ” (comma 6), da leggere in raccordo con l’art. 3 della legge n. 18 del 2006;
di conseguenza il procedimento non risulta invalido per l’assegnazione di un termine ridotto né è corretto qualificare tale termine come irragionevole, poiché ciò renderebbe aleatorio l’intero schema procedimentale, così come sono inconferenti i riferimenti al periodo feriale e alla notificazione degli atti giudiziari.

13. La parte appellata, con la memoria depositata in giudizio il 9 gennaio 2013, contestate le deduzioni dell’appellante ha riproposto in via subordinata i motivi di ricorso assorbiti in primo grado.

14. L’appello è infondato per le ragioni che seguono.

Il Collegio non ritiene di soffermarsi sulla questione del coordinamento tra gli articoli art. 89, comma 6, del R.D. n. 1592 del 1933 e l’art. 3 della legge n. 18 del 2006, pur dovendosi annotare che questa legge non ha abrogato il detto articolo, salva la limitata modifica di una parte del comma secondo, e che la contestazione degli addebiti è di certo uno degli adempimenti essenziali e tipici del procedimento disciplinare con la conseguente, necessaria fissazione di un termine per le controdeduzioni.

Nella specie in fatto alla contestazione degli addebiti si è correttamente proceduto, in data 3 agosto 2010, dando luogo così alla conseguente fase delle controdeduzioni per le quali è stato assegnato il termine del 13 agosto successivo.

In questo quadro non rileva primariamente la questione della perentorietà o meno del termine assegnato per le controdeduzioni ma, come osservato dal primo giudice, quella della mancata individuazione, quale dies a quo per il suo decorso, del giorno della ricezione della contestazione, insieme con l’avvenuta trasmissione al Cun degli atti del procedimento soltanto due giorni dopo la data della contestazione, senza perciò l’acquisizione di alcuna deduzione difensiva da parte dell’incolpato.

Il Collegio ritiene che il primo giudice correttamente abbia ritenuto tale svolgimenti procedimentali lesivi del principio del giusto procedimento, dovendosi considerare che la fase della contestazione degli addebiti assolve alla fondamentale funzione di determinare l’ipotesi di illecito, che ciò è essenziale per consentire all’incolpato appropriate deduzioni difensive e che questi deve perciò essere posto in grado di provvedervi in quanto il termine assegnato decorra dalla conoscenza della contestazione;
né vale in contrario l’ipotesi della possibile, capziosa dilazione della ricezione da parte del destinatario ben potendo l’Amministrazione ricorrere a strumenti idonei per la certezza del perfezionamento della comunicazione o notificazione della contestazione.

Né appare improprio il riferimento fatto al riguardo dal primo giudice al principio consolidato in materia di notificazioni, pur se definito per gli atti processuali, per cui esse si ritengono perfezionate nei confronti del destinatario soltanto con la legale conoscenza dell’atto, poiché espressivo del principio generale per cui la difesa avverso quanto dedotto con un atto può svolgersi soltanto se vi è garanzia della sua conoscenza.

A ciò si aggiunge che gli atti del procedimento sono stati trasmessi al Cun appena due giorni dopo la contestazione (come si deduce dal documento n. 9 del fascicolo del ricorrente in primo grado), senza il corredo perciò di alcuna deduzione difensiva dell’incolpato, dovendosi concludere, dall’insieme di quanto così rilevato, che la determinante fase dell’avvio del procedimento disciplinare risulta nella specie viziata per non essere stata assicurata l’adeguata partecipazione dell’incolpato.

15. Per le ragioni esposte l’appello n. 8871 del 2012 è infondato e deve essere perciò respinto, ciò che preclude l’esame dei motivi di primo grado riproposti in via subordinata dalla parte appellata.

16. Sulla base di quanto sopra esposto, in conclusione, gli appelli principali, n. 909 del 2013 e n. 8871 del 2012, riuniti, sono respinti, ed è respinto altresì l’appello incidentale proposto nel giudizio sull’appello n. 909 del 2013.

La particolare articolazione dei profili giuridici della controversia giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente grado del giudizio.

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