Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-08-03, n. 202004886

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-08-03, n. 202004886
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202004886
Data del deposito : 3 agosto 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/08/2020

N. 04886/2020REG.PROV.COLL.

N. 05824/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5824 del 2019, proposto dalla Bigatton s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A T, M E V e F Z, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M E V in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 13;

contro

Il Comune di Portogruaro, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati R B e F F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F F in Roma, piazza Paganica, n. 13;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sezione prima, n. 462 dell’11 aprile 2019, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Portogruaro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore - nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2020 svoltasi in video conferenza ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, d.l. n. 18 del 2020 - il consigliere M C e uditi per le parti l’avvocato F Z, che ha chiesto il passaggio in decisione con tutti gli effetti di legge, e l'avvocato Luca Maria Petrone su delega dichiarata dell’avvocato F F, che partecipa alla discussione orale ai sensi dell'art. 4 D.L. 28/2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso di primo grado, n.r.g. 1221 del 1998, la società in epigrafe ha impugnato la deliberazione di Giunta comunale, n. 88 del 16 febbraio 1998, con la quale il Comune di Portogruaro ha disposto la pubblica utilità di un progetto finalizzato alla realizzazione di una pista ciclabile e l’occupazione di urgenza di un’area di sua proprietà, già precedentemente occupata (si tratta dell’area individuata al foglio n. 27, part. 323).

1.1. La società ha dunque dedotto l’illegittimità del provvedimento, domandandone l’annullamento, per:

a) la violazione dell’art. 5 bis del d.l. n. 333 del 1992, poiché “ il Comune ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio ha tenuto conto del costo della mera superficie e non della potenzialità edificatoria del bene da espropriare ”: l’erronea determinazione dell’indennizzo vizierebbe il provvedimento;

b) l’eccesso di potere, in quanto, con la delibera adottata, il Comune ha inteso sanare, a posteriori , un’occupazione intrapresa sine titulo .

1.2. Con un secondo ricorso, n.r.g. 1000 del 2000, la società ha impugnato, per i medesimi motivi di ricorso già proposti in precedenza, una seconda deliberazione che ha esteso ad una ulteriore particella la determinazione già adottata con il provvedimento emanato l’anno precedente.

1.3. Il Comune intimato, costituitosi in giudizio, ha resistito alla domanda di annullamento deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza.

2. Con una prima sentenza, n. 9 del 18 dicembre 2017, Tribunale amministrativo regionale ha respinto i ricorsi, statuendo il suo difetto di giurisdizione:

a) relativamente alla prima censura, in quanto la questione è deducibile innanzi al Giudice ordinario in sede di opposizione alla stima;

b) relativamente alla seconda censura, poiché, con essa, la ricorrente avrebbe censurato innanzi al Giudice amministrativo l’occupazione senza titolo perpetrata dall’amministrazione.

3. Nel giudizio d’appello, tuttavia, questo Consiglio, con sentenza n. 6601 del 22 novembre 2018, ha accolto parzialmente l’appello, evidenziando che, con le censure proposte il ricorrente, da un lato, ha inteso contestare il provvedimento ritenendolo un’illegittima sanatoria ex post dell’occupazione del bene immobile, avvenuta inizialmente sine titulo , e, dall’altro, l’illegittimità dei provvedimenti per violazione delle norme sulla regolarità e sulla copertura finanziaria, rinviando pertanto al Tribunale amministrativo la questione.

4.Il giudizio è stato dunque riassunto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto.

Quest’ultimo, dopo aver assorbito le eccezioni pregiudiziali formulate dal Comune sulla base della “ ragione più liquida ” ed aver respinto l’eccezione di difetto di jus postulandi formulato dalla società nei confronti della difesa del Comune, ha respinto il ricorso.

4.1. Circa la censura relativa alla violazione della regolarità finanziaria, si è statuito che tale profilo, secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, non costituisce un elemento essenziale del provvedimento adottato, sicché un’eventuale violazione, anche laddove venisse riscontrata, non ne determinerebbe l’illegittimità.

Viene peraltro rilevato come i provvedimenti impugnati, laddove hanno espressamente previsto l’indennità di esproprio a favore del proprietario dei beni, hanno anche previsto, in misura corrispondente, la relativa copertura finanziaria, impregiudicato ogni profilo relativo alla sua corretta determinazione, in quanto non attribuito alla giurisdizione del giudice amministrativo.

4.2. Quanto alla censura attinente alla dedotta natura “ in sanatoria ” dei provvedimenti adottati, si è respinta la censura, perché non sarebbe stata raggiunta la prova che l’occupazione sia avvenuta prima dell’emanazione delle due deliberazioni adottate.

5. La società ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado, con ricorso notificato in data 2 luglio 2019 e depositato in data 8 luglio 2019.

5.1. Con il primo motivo, la società si duole della circostanza che non sarebbe stata accolta l’eccezione con la quale si è lamentato il difetto di jus postulandi da parte dell’avvocatura della Città metropolitana di Venezia, sia perché il mandato conferito dal Sindaco travalicherebbe l’autorizzazione a resistere in giudizio deliberata dalla Giunta, sia perché sarebbe illegittimo affidare all’ufficio di avvocatura di un Comune i contenziosi di altro Comune, in quanto si concreterebbe la violazione dell’art. 23 L. n. 247 del 2012.

5.2. Con il secondo motivo di appello, si deduce che l’erronea quantificazione dell’indennità di espropriazione avrebbe una valenza in punto di legittimità del provvedimento, perché la quantificazione, ove fosse stata correttamente effettuata, avrebbe determinato la quantificazione di un importo ben maggiore e, secondo l’appellante, avrebbe portato il Comune a non concudere il procedimento espropriativo.

5.3. Con il terzo motivo di appello, si contesta la sentenza per non aver ritenuto provato, da parte della società, la circostanza che l’occupazione è stata intrapresa antecedentemente all’emanazione dei due provvedimenti impugnati.

Si evidenzia che si tratta di una circostanza non smentita in primo grado, comunque comprovata dalla proposizione di un giudizio possessorio innanzi al giudice civile e, infine, attestata, inconfutabilmente, da un documento depositato dal Comune di Portogruaro, nel quale si attesterebbe l’esistenza di una situazione di occupazione dei predetti beni (doc. n. 5, datato 20 ottobre 1997, prot. 25571/A ALP).

Non sussisterebbe, dunque, il difetto di prova in considerazione del quale è stato respinto il ricorso di primo grado.

5.4. Con il quarto motivo, si censura la sentenza nella parte in cui afferma che non sarebbe stata dimostrata la mancata emanazione del decreto di esproprio.

6. Si è costituito in giudizio il Comune, il quale, con la memoria del 23 giugno 2020, ha pregiudizialmente riproposto le eccezioni di inammissibilità non esaminate in primo grado e ha poi provveduto a controdedurre su ciascuno dei motivi di appello, concludendo per il rigetto del ricorso.

7. La società appellante, a sua volta, ha ulteriormente illustrato la propria posizione con memoria del 19 giugno 2020 e con repliche del 26 giugno 2020, nelle quali ultime ha rilevato l’inammissibilità dell’eccezioni pregiudiziali proposto in primo grado e non esaminate dal Tribunale amministrativo, per la loro mancata riproposizione nel termine decadenziale previsto dell’art. 101 c.p.a.

8. All’udienza del 9 luglio 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.

9. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità delle censure riproposte dal Comune appellato, poiché avvenuta in violazione dell’art. 101, comma 2, c.p.a.

A fronte di un appello notificato in data 2 luglio 2019, il Comune ha provveduto alla riproposizione delle censure con la memoria depositata in data 26 giugno 2020, e dunque dopo il superamento del termine di decadenza posto dalla norma suindicata.

10. Può ora procedersi all’esame dei motivi di appello proposti dalla società appellante.

11. Va dapprima esaminata la prima delle censure in cui si articola il primo motivo di appello, ossia il gravame con il quale si lamenta l’assenza di jus postulandi della difesa comunale.

11.1. Essa è infondata.

11.1.1. Costituisce, infatti, jus receptum l’orientamento di questo Consiglio che ritiene sufficiente, ai fini del conferimento del mandato difensivo, la volontà espressa dal Sindaco quale organo di rappresentanza dell'ente, salva diversa previsione dello statuto comunale o dei regolamenti a cui il medesimo faccia espresso rinvio (Cons. Stato Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1954;
Sez. V, 19 luglio 2013, n. 3936;
Sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1700).

11.1.2. È vero che nel caso di specie l’art. 46, lett. e), dello Statuto comunale prevede che “ la rappresentanza legale dell’ente in giudizio è esercitata dal Sindaco mediante autorizzazione deliberata dalla Giunta Comunale ”, ma tale norma fa riferimento alla decisione di agire o resistere in giudizio e non anche, invece, al conferimento del mandato al difensore dell’ente, che, in quanto conferito dal legale rappresentante dell’ente locale, è giuridicamente valido ed efficace anche in difetto della detta autorizzazione, così come correttamente statuito nella sentenza di primo grado.

11.1.3. La censura esaminata va dunque respinta.

11.2. Può ora procedersi all’esame della seconda censura contenuta nel primo motivo di appello, relativa all’invalidità della convenzione per la gestione del contenzioso stipulata dal Comune.

11.2.1. In primo grado, con la memoria del 4 marzo 2019, la società ha prospettato un difetto di jus postulandi della difesa comunale per un preteso contrasto con l’art. 23 della Legge n. 247 del 2012.

Secondo la deducente società il Comune di Portogruaro non avrebbe formato insieme ad altri comune “ una struttura nuova e comune ”, bensì si sarebbe fatta assistere dai legale della città metropolitana di Venezia.

11.2.2. Il Tribunale amministrativo regionale ha tuttavia ritenuto generica questa censura.

11.2.3. Ritiene il Collegio che la statuizione del primo Giudice meriti conferma.

Giova procedere dalle statuizioni espresse dal precedente di questo Consiglio (Sez. V, 7 giugno 2017 n. 2731), nel quale si è avuto modo di statuire: “ non appare di suo necessaria la “messa in comune”, tra i diversi enti locali convenzionati, del personale dagli stessi già dipendente e dotato della qualifica di avvocato: ciò, infatti, verrebbe a contraddire in concreto la ragione della innovazione legislativa, perché precluderebbe l’accesso al servizio a quei comuni cui la norma appare precipuamente diretta, ossia a quelli di dimensioni minori, che finora non hanno potuto avvalersi per ragioni di bilancio di siffatto servizio.

La convenzione tra i comuni interessati, dunque, ben potrebbe prevedere che solo i comuni che già dispongono del relativo personale provvedano a “conferirlo” al costituendo “ufficio comune”, gli altri potendo apportare, in tutto o in parte, personale amministrativo e dotazioni materiali della struttura. Ma ciò che appare insuperabile – ai sensi della riforma – è che l’ufficio (proprio perché “unico”) di avvocatura sia “nuovo” e realmente “comune” ai vari enti territoriali consorziati. Il che comporta, per riflesso, la simultanea cessazione ad ogni effetto dell’ufficio del comune conferente quando sorge l’ufficio comune.

In breve, non pare possa trattarsi – come invece pare avvenuto nel caso di specie – dell’utilizzo promiscuo di un ufficio legale (o, per meglio dire, del relativo personale) già esistente di uno o più comuni determinati. Gli enti consorziati debbono creare ex nihilo un ufficio nuovo, posto nell’integrale e promiscua e pari contitolarità degli stessi sotto ogni punto di vista (tanto sotto il profilo organizzativo e logistico, quanto sotto quello del rapporto di servizio del relativo personale, non [più] dipendente da una singola amministrazione consorziata, bensì dalla nuova struttura comune – o, per meglio dire, dalla totalità delle amministrazioni costituenti).”.

11.2.4. Ebbene, al di là di mere affermazioni, peraltro smentite dall’amministrazione comunale, non è stato provato che l’ufficio istituito sia, in realtà, una struttura amministrativa riconducibile alla sola città metropolitana di Venezia, dal quale dipenderebbe in via esclusiva ed organica, e del quale si servirebbero gli altri comuni come in una specie di “appalto di servizi”.

Tali affermazioni sono rimaste allo stadio di mere prospettazioni generiche, come tali inidonee a fondare una declaratoria nel senso auspicato dalla società e l’accoglimento della presente censura d’appello.

11.2.5. Il Collegio ritiene dunque non raggiunta la prova che l’ufficio in questione non sia “nuovo” e realmente “comune” ai vari enti territoriali consorziati.

11.2.6. Anche questa censura non può pertanto essere accolta.

11.3. Il primo motivo di appello va pertanto respinto.

12. Può procedersi all’esame del secondo motivo di appello.

12.1. La doglianza è inammissibile.

12.2. Le deduzioni contenute ed articolate nel presente motivo di appello non sono state in realtà neppure accennate nell’equivalente doglianza formulata in primo grado.

In primo grado, infatti, la ricorrente si è limitata a prospettare che l’errata “ determinazione dell’indennità di esproprio… si riverbera sulla legittimità della deliberazione impugnata ”, poiché verrebbe a “ difettare la copertura finanziaria, in violazione dell’art. 55 L.

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