Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-03-01, n. 202101704

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-03-01, n. 202101704
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202101704
Data del deposito : 1 marzo 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/03/2021

N. 01704/2021REG.PROV.COLL.

N. 07802/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7802 del 2019, proposto da
M P &
C. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati M F, P G e D G, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Comune di Vietri di Potenza, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato L B, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
Regione Basilicata, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato N P, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata 15 luglio 2019, n. 614, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Vietri di Potenza e della Regione Basilicata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 luglio 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84, comma 5, d.l. n. 18 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2020, con le modalità di cui al comma 6 dello stesso art. 84 come da verbale, il consigliere Angela Rotondano, uditi per le parti alla discussione da remoto gli avvocati M F e L B, e data la presenza dell’avvocato N P ai sensi dell'art. 4, comma 1, ultimo periodo, D.L. 28/2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La società M P &
C S.r.l. (di seguito anche solo “la società Macellaro” o “l’appellante” ), conduttrice di una cava di sedimenti carbonatici in località “Pedali” del Comune di Vietri di Potenza, di proprietà comunale, era autorizzata all’esercizio di cava, previo parere favorevole di compatibilità ambientale sul progetto presentato, con delibera di Giunta della Regione Basilicata n. 1105 del 1 luglio 2008, per la durata di dieci anni decorrente dalla data di effettivo inizio dell’attività estrattiva (avvenuto il 23 settembre 2009), con espressa previsione (nel punto 14 della citata delibera) che tale autorizzazione avrebbe potuto “essere prorogata su istanza degli interessati aventi diritto, previa verifica dei requisiti richiesti dalla legislazione vigente in materia di estrazione mineraria ed ambientale”.

Il progetto autorizzato dalla Regione prevedeva un volume complessivo di materiale da estrarre di 2.604.505 mc., di cui circa 114.000 mc. da riutilizzare per il ripristino della continuità morfologica nella fase di sistemazione finale della cava e 250.000 mc. annui per la vendita.

2. In data 9 marzo 2009 veniva rinnovato, tra il Comune proprietario e la società, il contratto di affitto del terreno per l’estrazione del materiale, per una durata di quattro anni, prorogabili, su semplice richiesta della concessionaria, sino alla scadenza dell’autorizzazione regionale, al canone annuo minimo di € 150.000,00 (da corrispondere in tre rate di eguale importo, con possibilità di effettuare il pagamento della terza “previa verifica dei quantitativi effettivamente estratti” e anche di rideterminarla per cause di forza maggiore non imputabili al concessionario, tra cui anche “particolari condizioni di congiuntura economica ascrivibili a concause che possano implicare una imprevedibile contrazione della commercializzazione dei materiali estratti” ).

3. Con nota del 20 gennaio 2017 la società Macellaro manifestava al Comune l’intenzione di ampliare l’area di estrazione della cava con le contestuali opere di bonifica e ripristino ambientale e con nota del 28 marzo 2017 chiedeva anche un pre – parere di massima sul nuovo progetto per il successivo inoltre alla Regione.

Il Comune con nota del 30 marzo 2017, a firma del Responsabile del Settore Tributi e Patrimonio, esprimeva un pre – parere di massima favorevole sul progetto di ampliamento della coltivazione mineraria e di contestuale recupero ambientale, formalizzato con delibera di Giunta Comunale n. 34 del 21 aprile 2017.

Quest’ultima era tuttavia revocata con delibera n. 149 del 14 novembre 2018.

Con nota prot. n. 477 del 16 gennaio 2019, a firma del Responsabile dell’Area tecnica, il Comune, riscontrando la relativa richiesta dell’amministrazione regionale, diffidava quest’ultima dal procedere all’istruttoria della domanda della società di proroga dell’autorizzazione regionale alla coltivazione della cava, in considerazione della revoca dell’originario pre – parere di massima favorevole e delle vertenze in corso tra l’ente e la società.

4. La società Macellaro chiedeva al TAR della Basilicata l’annullamento della delibera di G.M. n. 149 del 2018 e della nota comunale n. 477/2019 (ricorso NRG. 98/2019), lamentando la violazione della art. 7 l. 7 agosto 1990, n. 241, per omessa comunicazione di avvio del procedimento;
l’eccesso di potere per difetto di motivazione, per omessa valutazione comparativa degli interessi in conflitto e per errore nei presupposti, essendo tuttora pendenti le indicate vertenze giudiziarie;
l’ incompetenza della Giunta Municipale nella materia de qua, appartenente esclusivamente all’ente regionale;
la violazione e falsa applicazione della normativa regionale in materia di cave e torbiere, richiamata dal provvedimento impugnato, normativa che riguardava solo l’autorizzazione all’attività estrattiva e non anche il prelievo e la lavorazione del materiale già estratto e depositato.

5. Con altro ricorso (NRG. 182/2019) la predetta società chiedeva al TAR per la Basilicata l’annullamento anche della nota del Dirigente dell’Ufficio Geologico della Regione dell’11 aprile 2019 (che, a riscontro della richiesta della ditta di essere comunque autorizzata, nelle more del rilascio della proroga, al prelievo e alla successiva lavorazione del materiale già abbattuto e depositato nella zona di stoccaggio dell’area di cava, precisava che le attività di coltivazione mineraria, compresa quelle relative al materiale già abbattuto, dovevano cessare alla data di scadenza dell’autorizzazione regionale di cui alla d.G.R. n. 1105/2008, fissata al 23 aprile 2019), deducendo l’illegittimità per eccesso di potere sub specie di difetto di istruttoria, manifesta illogicità, carenza di motivazione e incompetenza del Dirigente dell’Ufficio Geologico Regionale.

6. Con motivi aggiunti la ricorrente deduceva anche violazione dell’art.1 bis , comma 4, secondo periodo della legge regionale 27 marzo 1979, n. 12, ribadendo che fino alla definizione della lite civile pendente era da considerarsi legittima la detenzione della cava in questione, anche in virtù di accordo transattivo stipulato con il Comune.

7. L’adito tribunale, nella resistenza delle amministrazioni intimate, con la sentenza indicata in epigrafe, riuniti i ricorsi, li ha respinti, rilevando, da un lato, che il contratto di affitto tra il Comune e la società ricorrente si era risolto (sulla base delle statuizioni, passate in giudicato, di cui alla precedente sentenza 8 settembre 2014, n. 618) e, dall’altro, che nelle more era comunque intervenuta la scadenza sia del contratto di concessione che dell’autorizzazione all’attività di coltivazione, con conseguente obbligo di cessazione di tutte le attività svolte all’interno dell’area di cava, comprese le ulteriori lavorazioni indicate dalla ricorrente nell’istanza di proroga.

In particolare il predetto tribunale:

a) quanto all’impugnazione della delibera giuntale di revoca e della nota comunale di diffida al prosieguo dell’istruttoria sulla richiesta di proroga dell’autorizzazione regionale, ha: a1) respinto la censura di incompetenza;
a2) ritenuto infondate le censure di eccesso di potere per difetto di motivazione ed errore nei presupposti, in quanto l’amministrazione comunale aveva adeguatamente esternato le finalità di interesse pubblico incompatibili con il richiesto ampliamento della coltivazione della cava, evidenziando anche la necessità di indire, alla scadenza contrattuale, un procedimento di evidenza pubblica per la scelta del concessionario, mentre non erano inconferenti i richiami alla pendenza di una lite civile;
a3) ritenuto parimenti infondate le censure formali sulla dedotta violazione dell’art. 7 L. n. 241/1990, in quanto ai sensi dell’art. 21 octies , comma 2, secondo periodo, della stessa legge, il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato dall’Amministrazione comunale;
a4) respinto anche la domanda risarcitoria, anche per l’assenza di prova dei danni asseritamente subiti per spese di progettazione e di investimento;

b) quanto al ricorso e ai motivi aggiunti avverso la nota del Dirigente dell’Ufficio Geologico Regionale, ha: b1) respinto la censura di incompetenza del Dirigente dell’Ufficio Geologico regionale;
b2) ritenuto infondate le censure di eccesso di potere per difetto di istruttoria e manifesta illogicità, in quanto il contratto di affitto si era comunque risolto per inadempimento della società nel pagamento delle rate di canone, prima dell’istanza dell’8 aprile 2019;
b3) ritenuto insussistente la censura di difetto di motivazione, giacché la nota impugnata risultava sufficientemente motivata con il riferimento alla scadenza contrattuale;
b4) ritenute non meritevoli di favorevole considerazione le censure di violazione della L.R. n. 12/1979, anche con riferimento alla doglianza formulata con i motivi aggiunti, stante l’inapplicabilità alla cava in oggetto dell’art. 1 bis osservando, tra l’altro, che il comma 4, secondo periodo di tale norma, stabilisce l’obbligatoria rimozione “dei manufatti, degli impianti e di ogni altra opera collegata all’attività della cava” alla scadenza dell’autorizzazione regionale, salva la possibilità di utilizzo degli stessi solo per altre attività economiche diverse dalla coltivazione mineraria, se conformi agli strumenti urbanistici.

8. Di tale sentenza la società Macellaro ha chiesto la riforma, in quanto ingiusta ed errata, per i seguenti motivi (articolati “secondo una sequenza logica e di presupposizione nonché in relazione all’interesse prioritario dell’appellante di proseguire l’attività principale” ):

“A- Sulla mancata risoluzione del contratto di affitto della cava:

I. Error in iudicando - Violazione di legge (L.R.B. n. 12/1979. Artt. 3 e ss. L. n. 241/1990- art. 97 Cost.) eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto- di istruttoria- erroneità manifesta;

B- Sul diritto al recupero del materiale estratto anche all’esito dell’eventuale scadenza dell’autorizzazione alla coltivazione della cava;

II. Error in iudicando - Violazione di legge (L.R.B. n. 12/1979- Artt. 3 e ss. L. n. 241/1990- art. 97 Cost.) - Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto- di istruttoria-erroneità manifesta);

C- Sull’illegittimità della revoca del parere di massima all’ampliamento della cava (ricorso R.G. n. 98/2019).

III- Error in iudicando- Violazione di legge (L.R.B. n. 12/1979-Artt. 3 e ss. l. n. 241/1990-art. 97 Cost.) - eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto- di istruttoria-erroneità manifesta);

IV. Error in iudicando - Violazione di legge (L.R.B. n. 12/1979. Artt. 3 e ss. L. n. 241/1990- art. 97 Cost.) – Eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto- di istruttoria-erroneità manifesta).

9. Hanno resistito al gravame il Comune (che ha riproposto le eccezioni, sollevate nel giudizio di primo grado, di inammissibilità del ricorso introduttivo per difetto di allegazione della procura speciale alle liti ex art. 40, comma 1, lett. d) Cod. proc. amm. e per carenza della firma digitale del difensore della ricorrente, con conseguente nullità del ricorso per violazione degli artt.136, comma 2 bis , del c.p.a. e dell’art. 9, comma 1, del D.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40) e la Regione (che ha eccepito, sempre in via preliminare, l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse, stante l’intervenuto rigetto, nelle more, dell’istanza di proroga formalizzata dalla società con le note del Dirigente dell’Ufficio Compatibilità ambientale del 17 giugno e del 6 agosto 2019, anch’esse impugnate dinanzi allo stesso Tribunale amministrativo, con ricorso iscritto al n. 505/2019 R.G.).

10. Tutte le parti hanno prodotto memorie e repliche a sostegno delle proprie rispettive tesi difensive;
in particolare l’appellante ha sottolineato che il tribunale ordinario, in accoglimento del suo reclamo, avesse respinto il ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto dal Comune per il rilascio del bene ed ha ribadito la permanenza dell’interesse alla decisione del gravame.

11. E’ stata accolta la domanda cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, giusta ordinanza n. 5413 del 25 ottobre 2019, per la riscontrata sussistenza del “…danno per l’appellante…dell’impossibilità di asportare la materia già estratta ed accumulata al di fuori della cava”.

12. All’udienza del 30 luglio 2020, tenuta ai sensi e con le modalità dell’art. 84, commi 5 e 6, d.l. n. 18 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2020, udita la discussione da remoto dei difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

13. È oggetto di appello la sentenza del Tribunale amministrativo della Basilicata, segnata in epigrafe, che ha ritenuto infondate le censure sollevate con due ricorsi, il secondo integrato anche da motivi aggiunti, dalla ditta Macellaro, affittuaria di una cava di proprietà del Comune di Vietri di Potenza, avverso gli atti del predetto Comune e della Regione Basilicata di riscontro negativo della sua domanda di ampliamento della cava e di autorizzazione al prelievo del materiale estratto.

I tre articolati motivi di gravame possono essere così sintetizzati.

13.1. Con il primo motivo l’appellante sostiene l’erroneità della sentenza impugnata per aver affermato che il contratto di affitto della cava si sarebbe risolto per inadempimento, laddove invece: la relativa scadenza era legata all’efficacia dell’autorizzazione regionale alla coltivazione della cava (giusta art. 2 del contratto di locazione);
l’autorizzazione poi era- ed è- oggetto di istanza di proroga (giusta punto 14 della autorizzazione originaria);
le parti avevano comunque sottoscritto un accordo, determinando il relativo canone, fino alla definizione del giudizio civile pendente dinanzi al Tribunale di Potenza.

Anche il richiamo alla precedente sentenza dello stesso tribunale amministrativo n. 618 del 8 settembre 2014 era errato, giacché: tale sentenza aveva soltanto dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso avverso gli atti di indizione della procedura di evidenza pubblica bandita dal Comune per la selezione del nuovo concessionario della cava, così che, trattandosi di una pronuncia meramente processuale, le considerazioni di merito in essa contenute erano prive di qualsiasi valore vincolante, tanto più che la declaratoria di nullità delle clausole contrattuali (che avevano previsto la proroga del contratto fino alla scadenza dell’autorizzazione regionale, declaratoria fondata proprio su quelle irrilevanti considerazioni) era avvenuta malgrado l’assenza di qualsiasi domanda di parte sul punto.

Lo stesso Comune avrebbe poi ritenuto non risolto il contratto, essendosi limitato, dapprima, con delibera di G.C. n. 114/2012, a demandare al Sindaco di sostenere in giudizio le sue ragioni e poi a chiedere al Tribunale di Potenza, in principalità, di accertare l’inadempimento contrattuale della ditta e condannarla al pagamento della terza rata e, in subordine, di rideterminare la rata effettivamente dovuta;
inoltre era stata omessa ogni considerazione circa l’intervenuta sottoscrizione tra le parti di un accordo transattivo sul pagamento dell’importo di € 106.000,00 annuo, a titolo di canone di occupazione e sfruttamento delle aree di cava, da versare, “per tutto il tempo necessario alla definizione del giudizio” , in due rate di pari importo: il che confermava la vigenza del contratto (almeno fino alla definizione del giudizio innanzi al giudice ordinario) e del resto lo stesso Comune aveva emesso le relative fatture con il riferimento alla causale (“rate … canone concessorio per la coltivazione cava comunale Pedale” ) e, nell’approvare i successivi bilanci di competenza, aveva modificato la previsione di entrata, riportando il minor importo dovuto.

Infine quel contratto di affitto dell’area di cava di cui si discute era assoggettato alle sole regole civilistiche di cui alla l. n. 392 del 1978, le quali prevedono anche il rinnovo tacito: l’intera vicenda era di natura esclusivamente privatistica, senza alcun esercizio di potere autoritativo, con conseguente validità della clausola espressa di rinnovo del contratto su domanda della concessionaria per la durata corrispondente dell’autorizzazione regionale.

13.2. Con il secondo articolato motivo di gravame l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza per aver ritenuto legittimo il diniego regionale di autorizzazione al prelievo del materiale abbattuto nella cava oggetto di causa, diniego invece macroscopicamente viziato da difetto di motivazione ed istruttoria e carenza assoluta del presupposto: l’amministrazione regionale si era infatti limitata ad affermare che la scadenza dell'(originaria) autorizzazione regionale comportava la cessazione immediata di tutte le attività di coltivazione mineraria, compresa la lavorazione del materiale già abbattuto, laddove quella scadenza non poteva limitare il diritto al recupero e alla lavorazione del materiale già estratto in vigenza dell’autorizzazione regionale.

Rispetto a tale ultima attività infatti non veniva in rilievo una vero e proprio titolo autorizzatorio, trattandosi piuttosto di un mero adempimento preliminare al fine di individuare il materiale estratto in costanza di autorizzazione da utilizzare per le successive lavorazioni, mente l’autorizzazione regionale atteneva (ed attiene) in definitiva soltanto alla coltivazione della cava, intesa come attività estrattiva del materiale, ma non anche alle successive operazioni di lavorazione e commercializzazione del materiale estratto e collocato in apposito sito di stoccaggio, giusta quanto disposto dall’art. 1 della citata L.R. n. 12/1979.

La sentenza aveva attribuito inopinatamente rilievo alla asserita risoluzione contrattuale che invece mai si era verificata e tanto meno era stata accertata in sede giudiziale ed alla quale la stessa Regione nel diniego impugnato neppure aveva fatto riferimento (richiamando soltanto la sola scadenza dell’autorizzazione regionale).

Il diniego era illegittimo anche per contraddittorietà con precedenti determinazioni dell’amministrazione regionale di rilascio di analoghe autorizzazioni al prelievo del materiale e viziato da manifesta illogicità proprio per non aver considerato che l’attività industriale di lavorazione e successiva commercializzazione del materiale estratto non poteva rientrare (e non rientrava) nell’autorizzazione regionale che riguarda la sola coltivazione mineraria, tanto più che la lavorazione degli inerti ben può essere svolta anche per conto terzi o avere ad oggetto approvvigionamenti di materiali carbonatici provenienti da altri giacimenti.

Sussisteva quindi il vizio di carenza assoluta di motivazione che inficiava il diniego espresso dall’Ufficio Geologico Regionale, a tanto non potendo supplire il generico richiamo alla legge regionale n. 12/1979;
così come era erroneo il richiamo operato dalla sentenza appellata al d.P.R. n. 128 del 1959 che disciplina essenzialmente la sicurezza nell’ambito delle cave e torbiere ovvero le attività svolte nell’ambito delle stesse, prescrivendo l’autorizzazione regionale per “i lavori di frantumazione, vagliatura, squadratura e lizzatura dei prodotti delle cave ed alle operazioni di caricamento di tali prodotti dai piazzali” , senza tuttavia vietare il recupero del materiale già estratto e depositato.

Sotto tale profilo l’appellante lamenta che la sentenza impugnata ha malamente apprezzato ed ingiustamente respinto con motivazione erronea e affatto convincente le censure di cui al primo motivo aggiunto, con cui era stato dedotto che l’art. 1, comma 1 bis , della citata legge regionale aveva previsto l’utilizzazione autonoma degli impianti, attinenti alla sola (successiva) fase di lavorazione, che ben poteva riguardare anche materiali di provenienza esterna alla cava, a prescindere dall’efficacia e vigenza dell’autorizzazione regionale alla coltivazione, limitata all’attività estrattiva;
ugualmente erroneo era anche il rigetto del secondo motivo aggiunto, con cui era stata invece contestata l’illegittimità del diniego regionale siccome viziato da eccesso di potere nelle forme sintomatiche del difetto di motivazione ed illogicità: poiché la società aveva manifestato la volontà di avvalersi di una facoltà prevista ex lege (dall’art. 1 bis , n. 4, della l.r. Basilicata cit.), ovvero di utilizzare gli impianti di frantumazione e vagliatura originariamente a servizio dell’attività estrattiva, anche in modo indipendente da questa, nel rispetto delle vigenti norme urbanistiche, nulla ostava a tale utilizzo, anche in assenza di autorizzazione regionale.

Inoltre, anche a prescindere dall’ingiustificato ed imputabile ritardo con cui la Regione aveva concluso col diniego impugnato il procedimento di proroga e rinnovo dell’originaria autorizzazione, secondo l’appellante, la sentenza, ritenendo erroneamente inapplicabile al caso di specie l’art. 1 bis della legge regionale, aveva pure omesso di valutare la conformità dell’utilizzo degli impianti con gli strumenti urbanistici, conformità che discendeva proprio dagli stessi titoli abilitativi rilasciati dal Comune, per la realizzazione dell’impianto di frantumazione e per il successivo ampliamento, ai quali era seguita l’autorizzazione all’emissione in atmosfera. Anche a ritenere la necessaria rimozione dell’impianto, sarebbe stato comunque consentito il prelievo e la lavorazione del materiale estratto, secondo quanto previsto anche dall’ art. 1 ter della stessa legge regionale, a mente del quale "... il recupero dell'area e la rimozione delle strutture e degli impianti esistenti può essere procrastinato fino al completo esaurimento del potenziale giacimentologico esistente e comunque autorizzato" .

13.3. Con il terzo motivo di gravame l’appellante critica la sentenza per non aver dichiarato illegittima la revoca da parte del Comune del (pre)parere di massima favorevole all’ampliamento della cava, reiterando le censure sollevate con il primo ricorso, tutte respinte.

In particolare è ribadita: l’indispensabilità della omessa comunicazione di avvio del procedimento, che avrebbe consentito la partecipazione procedimentale ed evitato l’adozione del provvedimento impugnato;
il difetto di motivazione di quella revoca, erroneamente ritenuta congruamente motivata, giacché l’area oggetto dell’istanza di ampliamento era destinata ad attività estrattiva e non ne risultava modificata la destinazione d’uso ad attività turistiche, né era stato adottato alcun provvedimento o compiuta istruttoria a tal fine;
la insussistenza di una qualsiasi incompatibilità tra il nuovo progetto (la realizzazione di un punto vendita di prodotti tipici del territorio denominata “Porta della Lucania”), da realizzarsi nell’area prossima alla cava, e il progetto di ampliamento dell’attività estrattiva, tanto più che vi era previsto anche il recupero ambientale dell’intera zona.

Erroneo rilievo il tribunale aveva dato alla circostanza che, alla scadenza contrattuale, il Comune avrebbe dovuto avviare un procedimento di evidenza pubblica per la scelta del concessionario, giacché non solo detta scadenza non era intervenuta, per quanto l’appellante vantava il diritto alla proroga fino al compimento del progetto di coltivazione;
così come inconferenti erano i riferimenti alla vertenza giudiziaria pendente dinanzi al Tribunale civile di Potenza per l’accertamento della risoluzione contrattuale.

L’appellante ha poi riproposto talune censure (di cui al secondo e terzo motivo del ricorso di primo grado) asseritamente non esaminate dalle sentenza circa l’asserito cattivo ed illegittimo esercizio del potere di autotutela per l’assenza di ogni necessaria attività istruttoria, per difetto di convincente e adeguata motivazione, per omessa valutazione della consistenza e dell’intensità dell’interesse pubblico, per la mancata di ponderazione degli interessi pubblici e privati contrapposti.

13.4. La società Macellaro ha infine reiterato la domanda risarcitoria per i danni subiti e le spese di progettazione ed investimento sostenute, evidenziando che la sentenza impugnata non aveva considerato che era stato chiesto l’indennizzo ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990, illegittimamente non previsto dalla delibera di revoca.

14. I motivi di appello, che per la loro connessione possono essere trattati unitariamente, sono infondati, il che consente di prescindere dall’esame delle eccezioni di inammissibilità sollevate dalle parte appellate.

15. Occorre premettere in punto di fatto quanto segue.

15.1. La società Macellaro, assumendo che nel triennio 2009-2010 aveva estratto meno del quantitativo annuo stabilito (pari a 100.000 mc.), non corrispondeva la terza rata del canone contrattuale (da versare entro l’undicesimo mese dell’anno di riferimento, in base alle previsioni contrattuali): ne seguiva l’introduzione di un giudizio dinanzi al Tribunale civile di Potenza per la debenza della rata, nel cui ambito veniva siglato un accordo transattivo, con il quale si stabiliva il versamento di €. 106.000 da parte della società, a titolo di canone annuo, fino alla conclusione del giudizio.

Nelle more il Comune avviava anche una procedura di evidenza pubblica, demandando al Sindaco il potere di promuovere le iniziative per la rideterminazione della terza rata e la risoluzione del contratto. Avverso tali atti la predetta società proponeva ricorso al TAR della Basilicata: il giudizio era definito con la sentenza n. 618 del 2014, passata in giudicato, che, pur dichiarando improcedibile per difetto di interesse il ricorso (in quanto la procedura era andata deserta per carenza di offerte valide), con ulteriori statuizioni (non costituenti mero obiter dictum e perciò idonee a passare in giudicato), anche a fini conformativi dell’eventuale successiva determinazione dell’amministrazione di indire una gara, dichiarava la nullità delle clausole contrattuali che prevedevano il rinnovo tacito del contratto “sino alla scadenza dell’autorizzazione regionale, su semplice richiesta del concessionario” e riteneva che legittimamente il Comune avesse risolto il rapporto di concessione, non essendosi verificata, nella specie, alcuna delle cause di forza maggiore che legittimavano la società a non pagare la terza rata.

15.2. Quanto alla delibera di Giunta Municipale n. 149 del 14 novembre 2018, con cui il Comune di Vietri di Potenza, aveva revocato la propria precedente delibera n. 34 del 21 aprile 2017 (recante un pre – parere di massima favorevole all’estensione dell’attività di cava), essa veniva adottata “sulla base di una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico” , evidenziando che: a) non si palesavano nel predetto atto (revocato) le motivazioni che avevano giustificato il pre-parere favorevole concesso;
b) nei programmi e negli intendimenti dell’amministrazione era prevalente la scelta politica di ridurre l’impatto ambientale della cava, al fine di utilizzare l’area di san Vito (presso cui è collocata la cava in argomento) “in maniera prioritariamente turistica, intenzione concretizzata nell’approvazione del progetto e nell’avvio della realizzazione della “Porta della Lucania”, quale vetrina espositiva dei prodotti del territorio” ;
c) tale orientamento non era “compatibile con la previsione di ampliamento della cava” ;
d) comunque, “l’eventuale continuazione della coltivazione della cava alla scadenza dell’attuale rapporto contrattuale” doveva essere “oggetto di procedura di evidenza pubblica” ;
e) il pre-parere espresso non costituiva “elemento di alcun procedimento amministrativo formalizzato dall’attuale normativa” e non poteva costituire “fondamento di aspettative giuridicamente tutelate da parte della ditta Macellaro, che lo ha richiesto” .

16. Ciò premesso, la sentenza impugnata non merita censure per aver respinto le doglianze sulla asserita incompetenza all’adozione dei relativi atti in materia di coltivazione della cava.

16.1. Ai sensi dell’art. 22 e 23 della più volte citata legge regionale n. 12 del 1979 “la vigilanza su quanto previsto dal provvedimento di autorizzazione” e “le funzioni amministrative di vigilanza sull’applicazione delle norme di polizia delle cave e torbiere ai sensi del D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128 e successive modifiche ed integrazioni” spettano al Presidente della Giunta Regionale che le esercita tramite dipendenti regionale appositamente delegati.

16.2. Non può di conseguenza revocarsi in dubbio che il Dirigente dell’Ufficio Regionale Geologico fosse effettivamente competente all’adozione dell’atto gravato, in quanto a questi spettano i compiti di vigilanza in virtù di specifica delega (giusta delibera di G.R. n. 689 del 22 maggio 2015, che aveva attribuito all’Ufficio Geologico regionale la competenza in materia di cave e di polizia mineraria, e decreto n. 43 dell’1 marzo 2015 del Presidente della Giunta Regionale).

17. Non è poi suscettibile di favorevole considerazione la tesi dell’appellante secondo cui la necessità dell’autorizzazione regionale, prevista dall’art. 1 della legge regionale, sarebbe circoscritta alla sola coltivazione della cava, intesa come mera estrazione del materiale, e non si estenderebbe alla successiva lavorazione del prodotto già collocato nel sito di stoccaggio, al relativo prelievo e alla sua commercializzazione.

17.1. Secondo il combinato disposto degli artt. 1, 2 e 5 della menzionata L.R. 27 marzo 1979, n. 12, la coltivazione di cave e torbiere nel territorio della Regione Basilicata, intesa quale “attività estrattiva finalizzata alla commercializzazione dei prodotti di cava” , è infatti soggetta ad autorizzazione da parte della Regione. Le richiamate norme così testualmente dispongono:

- “ La coltivazione di cave e torbiere nel territorio della Regione Basilicata, intesa quale attività estrattiva finalizzata alla commercializzazione dei prodotti di cava, è disciplinata dalle norme della presente legge, allo scopo di assicurare un ordinato svolgimento di tale attività in coerenza con gli obiettivi della programmazione economica e territoriale della Regione e nel rispetto e tutela del paesaggio” (art. 1);

- “La coltivazione delle cave e torbiere nel territorio della Regione è soggetta ad autorizzazione da rilasciarsi secondo le norme della presente legge. L'autorizzazione viene rilasciata dalla Giunta regionale sentiti il Comune o i Comuni interessati. La Giunta regionale verifica l'interesse pubblico al rilascio dell'autorizzazione, avendo riguardo in modo particolare:

a) alla situazione geologica, geomorfologica ed idrogeologica della zona interessata dal giacimento, anche con riferimento alle colture agrarie ed arboree esistenti;

b) alle esigenze di tutela ambientale, di ricettività del territorio e di tutela dagli inquinamenti;

c) alle necessità obiettive di impiego del materiale estrattivo ricavabile dal giacimento, in rapporto alla produzione;

d) alle caratteristiche ed alla consistenza del giacimento nonché al piano di utilizzazione proposto dal richiedente e alla durata presunta della coltivazione;

e) alle opere necessarie al recupero ambientale della zona, durante e al termine della coltivazione, in relazione agli impegni assunti dal richiedente;

f) alle capacità tecniche ed economiche del richiedente con riferimento al piano di utilizzazione del giacimento” (art. 2);

- “La Giunta Regionale, entro 60 giorni dal completamento dell’istruttoria, dispone con proprio provvedimento, sentito il Comitato di cui all’articolo 31, l’autorizzazione con le prescrizioni e le modalità di utilizzazione del giacimento minerario, conseguenti alle esigenze di cui all’articolo 2, nonché quanto necessario alla sistemazione finale dell’area” (art. 5).

17.2. L’intero impianto della normativa regionale ha l’espressa finalità di assicurare un ordinato svolgimento dell’attività di coltivazione delle cave in coerenza con gli obiettivi di programmazione economica e territoriale della Regione e della tutela del paesaggio e dell’ambiente.

Ad ulteriore conferma che l’intera attività estrattiva “finalizzata alla commercializzazione del prodotto” , in tutte le sue fasi (compresa quella della lavorazione e vendita del materiale già cavato), necessita dell’autorizzazione regionale di cava, soccorrono anche le previsioni di cui all’art. 3, lett. c), che richiede, a corredo dell’istanza di autorizzazione, “una relazione tecnico-economica del giacimento, comprendente il piano di coltivazione e la produzione media annua preventivata, con specificazione dei relativi sistemi e fasi, macchinari da impiegarsi, durata della coltivazione, impegni finanziari previsti, unità lavorative impiegate, potenzialità degli impianti di lavorazione e di trasformazione dei materiali estratti” , precisando che: “Tale piano dovrà inoltre contenere particolari riferimenti alla sistemazione degli eventuali residui di lavorazione e delle discariche, nonché al recupero ambientale dei luoghi” .

17.3. Sulla base del delineato quadro normativo è da ritenersi che l’appellante era stata autorizzata all’attività estrattiva finalizzata alla commercializzazione del prodotto sulla base di un progetto corredato da una relazione tecnico-economica e che l’utilizzo dell’impianto di frantumazione era stato previsto per la lavorazione del solo materiale proveniente dall’area di cava in concessione e ad esclusivo servizio della cava stessa.

E’ priva pertanto di qualsiasi fondamento la pretesa dell’appellante di poter continuare, anche dopo la scadenza dell’autorizzazione regionale e a prescindere dalla stessa, la lavorazione all’interno dell’area di materiale estratto anche in altri siti e pure per conto terzi, utilizzando e mantenendo in esercizio gli impianti di frantumazione ivi esistenti su suolo comunale e a servizio della cava.

Del resto, la medesima istanza di nulla osta all’ampliamento della società specificava che essa “interessa e interesserà suolo comunale, nell’ambito dell’area di coltivazione della cava” e che l’ampliamento sarebbe consistito nell’integrazione dei macchinari mediante opere mobili e “smontabili all’occorrenza” , nel caso di mancato rinnovo della concessione;
la provenienza dall’esterno del materiale e la sua eventuale lavorazione anche per conto terzi, oltre a costituire apodittica allegazione (rimasta sfornita di qualsiasi concreto elemento probatorio, anche solo a livello indiziario), è argomento ininfluente e non idoneo a confutare o solo a mettere in discussione le ragionevoli conclusioni dell’amministrazione e del primo giudice.

Né argomentazioni utili alla prospettazione dell’appellante possono trarsi da provvedimenti autorizzatori (all’ampliamento dell’esercizio di cava, per la sostituzione dell’impianto di frantumazione e per le emissioni in atmosfera), rilasciati dagli enti competenti durante la vigenza del contratto di concessione e dell’autorizzazione regionale all’esercizio di cava, non potendo sottacersi che finanche in essi è riportata l’espressa dicitura che il detto impianto è “a servizio della cava autorizzata con D.G.R. n. 1105 del 1 luglio 2008” e che pertanto lo stesso “non costituisce né sostituisce in alcun modo ogni altro parere o autorizzazione” rilasciata con la detta delibera.

A ciò si aggiunga poi che l’impianto di frantumazione è pertinenza dell’area di cava per la sua ubicazione su suolo comunale, come si evince chiaramente dalla descrizione dei dati catastali indicati nella richiesta di nulla osta all’ampliamento.

17.4. In definitiva non può ragionevolmente dubitarsi quindi che l’ampliamento dell’impianto di frantumazione degli inerti fosse ricollegato ad un’attività estrattiva condotta esclusivamente nell’area di cava e non anche alla lavorazione di inerti estranei a detta area (anche per conto terzi) e che tale impianto fosse perciò destinato alla rimozione alla scadenza della concessione comunale e dell’autorizzazione regionale.

La trasformazione del suolo e dello stato dei luoghi conseguita all’esercizio dell’attività di cava non era irreversibile, dovendo essere rimosse, alla scadenza e alla correlata perdita di efficacia del titolo autorizzatorio, tutte le strutture presenti, nell’ambito del recupero ambientale previsto nel progetto, al termine dell’attività di coltivazione, con rinaturalizzazione dell’area e restituzione ai precedenti usi, essendo le costruzioni finalizzate all’attività estrattiva e quelle ad essa complementari intrinsecamente provvisorie;
tant’è che dagli elaborati grafici si evinceva che, alla fine dei lavori, l’impianto non sarebbe stato più esistente.

Non ha pertanto fondamento la pretesa dell’appellante di continuare a prelevare il materiale estratto, abbattuto e depositato nel sito di stoccaggio, pur in assenza di autorizzazione regionale e dopo la sua scadenza;
tanto più ove si consideri che detto sito non è ubicato al di fuori dell’area di cava e che anzi tutte le attività, comprese lo stoccaggio e la lavorazione del materiale, si svolgono all’interno del suo perimetro.

18. Alla stregua delle osservazioni svolte è corretta la sentenza appellata che ha ritenuto infondate le censure di eccesso di potere per carenza di motivazione appuntate alla nota del Dirigente dell’Ufficio Geologico regionale dell’11 aprile 2019: una volta appurato che l’autorizzazione regionale aveva (ed ha) ad oggetto l’attività estrattiva finalizzata alla commercializzazione del prodotto di cava, è da ritenere sufficiente ai fini dell’assolvimento dell’obbligo motivazionale il mero riferimento alla scadenza dell’autorizzazione stessa, al verificarsi della quale tutte le attività (comprese quelle attinenti alla lavorazione e alla vendita del materiale già estratto e stoccato) non possono certamente essere più esercitate.

E’ appena il caso di aggiungere che la legittimità di un provvedimento non è inficiata dal fatto che in altre situazioni (peraltro meramente asserite, ma non provate) la stessa amministrazione abbia agito diversamente.

Anche le giurisprudenza richiamata dall’appellante (di cui alle decisioni di Cons. Stato, Sez.V, n. 2103/ 2012 e n. 6301/2014) non è pertinente al caso oggetto di giudizio, avendo quelle sentenze ad oggetto fattispecie del tutto differenti.

19. Quanto alla questione della risoluzione del contratto stipulato con il Comune si osserva quanto segue.

19.1. L’art. 2 bis della più volte citata legge regionale stabilisce che “Al fine di permettere la completa realizzazione del progetto di coltivazione e in particolare la realizzazione delle opere di ripristino ambientale autorizzate dalla Regione Basilicata, i titoli di possesso legittimo delle aree su cui insiste l’attività estrattiva devono avere la stessa durata dell’autorizzazione rilasciata dalla Regione Basilicata”.

Tali previsioni da un lato smentiscono ulteriormente le deduzioni dell’odierna appellante sulla possibilità di espletare attività industriali o commerciali all’interno dell’area di cava anche oltre i termini previsti nel provvedimento di autorizzazione regionale, dall’altro escludono che dalla mera vigenza dell’autorizzazione regionale (la cui scadenza era fissata al 23 aprile 2019) possa desumersi la perdurante validità ed efficacia del titolo di possesso legittimo ( id est : il contratto di affitto del suolo): se è vero, infatti, che il contratto stipulato con il Comune prevedeva la possibilità di proroga della durata della concessione fino alla scadenza dell’autorizzazione regionale, poiché costituiva presupposto di quest’ultima il titolo legittimante la detenzione, è anche vero che ciò non vale a inferirne di per sé il rinnovo automatico della concessione dell’area, posto che l’autorizzazione all’attività estrattiva e il titolo concessorio della cava (di proprietà comunale), pur presupponendo ex lege la contemporanea vigenza, operano su piani diversi.

Mentre infatti soltanto il Comune, proprietario della cava, poteva conferire alla ditta che intendeva esercitare l’attività estrattiva un titolo che la legittimasse alla detenzione, l’autorizzazione regionale consentiva, sotto il profilo tecnico, l’esercizio dell’attività estrattiva finalizzata alla commercializzazione del materiale estratto: pertanto le vicende relative a tali titoli, pur strettamente correlati per la loro necessaria coesistenza, non possono dunque che connotarsi in termini di assoluta autonomia.

19.2. Peraltro non può dimenticarsi che, come correttamente rilevato dal Tribunale, il rapporto contrattuale instauratosi tra le parti si era risolto da tempo: dal che l’inesistenza di un titolo valido a giustificare la detenzione della cava e, a maggior ragione, il suo ampliamento.

Al riguardo infatti, come già rilevato al par. 15.1., lo stesso TAR della Basilicata con la sentenza n. 618 del 2014, passata in giudicato, ha dichiarato effettivamente risolto il contratto de quo , dichiarando la nullità delle clausole contrattuali che prevedevano il rinnovo tacito del contratto “ sino alla scadenza dell’autorizzazione regionale, a semplice richiesta ”.

E’ pur vero che detta sentenza ha dichiarato in realtà improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (essendo nelle more andata deserta la gara indetta dall’amministrazione per la selezione del nuovo concessionario dell’area), ma la declaratoria di risoluzione contrattuale e di nullità della ricordata clausola contrattuale, lungi da costituire un obiter , è un effettivo dictum giudiziale, che affonda le sue radici nel potere giurisdizionale (il TAR aveva dichiarato preliminarmente di essere fornito di giurisdizione, trattandosi di una controversia in materia di concessione), e che è giustificata dall’intento conformativo, cioè di indirizzare la successiva attività dell’amministrazione in caso di nuova indizione della gara.

Non può pertanto negarsi l’effetto preclusivo di tali statuizioni.

19.3. A smentita della tesi dell’appellante sulla perdurante vigenza del titolo concessorio, che neppure il Comune avrebbe considerato risolto, deve rilevarsi che anche nel “preparere di massima favorevole” sull’istanza di ampliamento e ripristino ambientale, era espressamente confermata la posizione processuale del Comune “in tema di interpretazione del contratto stipulato tra le parti in data 09.03.2009, rep. n. 1396, pendente presso il Tribunale Civile di Potenza (R.G. 584/2013)" .

Pertanto, pur tenendo conto della circostanza, dimostrata con il deposito delle relative fatture, che la ricorrente ha continuato a pagare al Comune le prime due rate di € 50.000,00 anche negli anni 2016, 2017 e 2018, ma non anche la terza, non può dubitarsi che il contratto di affitto si è comunque risolto e che prima dell’istanza della ricorrente dell’8 aprile 2019, di autorizzazione regionale al prelievo ed alla lavorazione del materiale già abbattuto e depositato nella zona di stoccaggio della cava in questione, il Comune con atto dell’8 febbraio 2019 aveva pure diffidato la ricorrente a rilasciare entro 15 giorni la cava.

Nessun rilievo sulla questione oggetto di giudizio ha l’accordo transattivo intervenuto tra le parti nella pendenza della causa civile (e la conseguente modifica del capitolo di bilancio, con riconoscimento della somma annuale corrisposta dalla società): esso infatti obbliga soltanto la debitrice a effettuare il pagamento di quanto concordato, ma non la autorizza certamente al prosieguo dell’attività estrattiva né costituisce o sostituisce il titolo legittimo di detenzione della cava.

20. Non è fondata neanche l’ulteriore doglianza con cui è contestato che il Tribunale, nel respingere il quarto motivo di ricorso, non avrebbe considerato che la legge regionale non si occupa della disciplina del prelievo e della lavorazione del materiale già abbattuto e che il d.P.R. 9 aprile 1959, n. 128 ( Norma di Polizia delle miniere e delle cave ) non prescrive alcuna autorizzazione regionale per i lavori di frantumazione, vagliatura, squadratura e lizzatura dei prodotti delle cave e per le operazioni di caricamento di tali prodotti dai piazzali.

Come bene rilevato dalla sentenza impugnata, l’art. 23, comma 1, della legge regionale prevede, infatti, “le funzioni amministrative di vigilanza sull’applicazione delle norme di polizia delle cave e torbiere ai sensi del DPR n. 128/1959” .

Ciò posto, in primo luogo, deve evidenziarsi che le norme di cui al d.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, che espressamente mirano a “garantire il buon governo dei giacimenti minerari appartenenti al patrimonio dello Stato” , si applicano, tra l’altro, come testualmente indicato dall’art. 1, comma 2, lett. d), ai “lavori di frantumazione, vagliatura, squadratura e lizzatura dei prodotti delle cave ed alle operazioni di caricamento di tali prodotti dai pizzali” .

In secondo luogo, smentiscono l’assunto le previsioni di cui all’art. 24 del citato d.P.R., in base al quale “I lavori che hanno luogo nelle attività estrattive devono essere denunciati all'autorità di vigilanza competente almeno otto giorni prima dell'inizio o della ripresa. La denuncia è fatta dal titolare o da un suo procuratore con lettera raccomandata con avviso di ricevimento e deve indicare, per ogni luogo di lavoro: a) gli estremi del titolo minerario o dell'autorizzazione di cava”.

Non può allora dubitarsi che ogni lavorazione all’interno del sito di cava presuppone la previa autorizzazione regionale che si estende ai lavori di frantumazione, vagliatura, squadratura e lizzatura dei prodotti delle cave ed alle operazioni di caricamento di tali prodotti dai piazzali.

21. Non meritano censura neppure le statuizioni della sentenza che hanno respinto i motivi aggiunti proposti in primo grado.

A tale riguardo si osserva che l’art. 1 bis della legge regionale n. 12 del 1979 (inserito dall’art.42 della L.R. 29 giugno 2018, n.11 Collegato alla legge di stabilità regionale 2018 ) dispone che: “1. Nelle more dell'approvazione del piano regionale del settore estrattivo, al fine di avviare le azioni di recupero ambientale delle aree di cave abbandonate o dismesse, è istituito presso il settore cave della Regione Basilicata un apposito elenco contenente il censimento e l'individuazione dei perimetri delle suddette cave. 2. Per cava abbandonata si intende la cava, regolarmente autorizzata, la cui autorizzazione non è ancora scaduta e la cui attività è cessata senza dar corso, anche parzialmente, al previsto recupero ambientale. Per cava dismessa si intende la cava la cui attività è cessata e la cui autorizzazione regionale è scaduta e per la quale non si è dato corso, anche parzialmente, al prescritto recupero ambientale.

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