Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-08-26, n. 202005223

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-08-26, n. 202005223
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202005223
Data del deposito : 26 agosto 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/08/2020

N. 05223/2020REG.PROV.COLL.

N. 05105/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5105 del 2019, proposto da
A.O.G. S.r.l. e Milleuno S.p.A., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentate e difese dall'avvocato C B, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato R R, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, alla via del Tempio di Giove, n. 21;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II, n. 12319/2018


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2020 il Cons. G G, nessuno essendo comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio A.O.G. s.r.l. e Milleuno S.p.A., titolari di sale bingo di cui al D.M. 29/2000, impugnavano l’ordinanza del Sindaco di Roma Capitale 26 giugno 2018, n. 111 contenente “ disciplina degli orari di funzionamento degli apparecchi di intrattenimento e svago con vincita in denaro di cui all’art. 110, comma 6, del TULPS, installati nelle sale gioco e nelle altre tipologie di esercizi autorizzati ex artt. 86 e 88 del TULPS ”.

Nell’ordinanza era fissato l’orario di funzionamento dei predetti apparecchi di intrattenimento “ dalle ore 9,00 alle ore 12,00 e dalle ore 18,00 alle ore 23,00 di tutti i giorni, festivi compresi ”, con ulteriore previsione di obbligo di spegnimento degli stessi “ tramite l’apposito interruttore elettrico ” nelle ore di sospensione del funzionamento, durante le quali, inoltre, dovevano essere mantenuti “ non accessibili ”.

Per il caso di violazione delle prescrizioni contenute nell’ordinanza, era prevista l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 7 bis , comma 1 bis , d.lgs. n. 267 del 2000 ed il pagamento di una somma da € 150,00 ad € 450,00, nonché, in caso di recidiva, l’applicabilità, ai sensi degli artt. 9 e 10 del TULPS, della sanzione accessoria della “ sospensione del funzionamento di tutti gli apparecchi di intrattenimento e svago ” per un periodo un superiore a cinque giorni, con la precisazione che la recidiva si configurasse “ qualora la violazione delle disposizioni [fosse] commessa per due volte in un anno solare, e per ogni ulteriore violazione successiva alla seconda, anche se il responsabile [avesse] proceduto al pagamento della sanzione mediante oblazione ai sensi dell’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689 ”.

2.- La ricorrente lamentava:

a ) la violazione dell’intesa raggiunta in Conferenza Unificata Stato – Regioni – Enti locali il 7 settembre 2017, cui l’art. 1, comma 936 della l. n. 208 del 2015, aveva demandato il compito di dettare i criteri ai quali le Regioni e gli enti locali avrebbero dovuto attenersi nel fissare i limiti e i divieti al funzionamento degli apparecchi di intrattenimento e svago di cui all’art. 110, comma 6, TULPS, al fine di assicurare una disciplina uniforme per l’intero territorio nazionale;
nell’intesa, infatti, era previsto che le fasce di interruzione quotidiana del gioco non superassero le sei ore giornaliere con conseguente operatività degli apparecchi per le restanti 18 ore;

b ) la sussistenza di gravi vizi istruttori, contraddittorietà e sviamento dell’azione amministrativa, anche in relazione al canone si sussidiarietà e decentramento, oltre alla carenza motivazionale: Roma Capitale aveva assunto l’ordinanza impugnata senza aver prima effettuato una puntuale attività istruttoria rivolta ad accertare l’effettiva esigenza di introdurre misure limitative del gioco in ragione di situazioni emergenziali connesse al c.d. GAP (gioco d’azzardo patologico), diffuse sul territorio comunale e, d’altra parte, senza premurarsi di acquisire dati utili a valutare l’incidenza delle scelte sugli interessi del settore imprenditoriale inciso, così ponendosi in contrasto con le indicazioni giurisprudenziali che, in più occasioni, avrebbero affermato l’indispensabilità di detta attività istruttoria;

c ) la violazione del principio di proporzionalità, perché, mancando dei dati istruttori relativi agli operatori economici incisi, non era stata in alcun modo valutata la congruità e la necessarietà delle misure imposte, come pure la praticabilità di misure alternative (o, comunque, meno restrittive) in grado di contemperare anche le esigenze degli imprenditori, e la disparità di trattamento, per non aver distinto la situazione dei gestori di sale da gioco rispetto ai gestori di esercizi generalisti presso i quali sono collocati anche apparecchi di intrattenimento, e non aver inciso su altre tipologie di gioco, anch’esse in grado di scaturire in forme patologiche;

d ) l’omissione della necessaria fase di acquisizione del parere dell’Osservatorio previsto dagli artt. 13, comma 4 e 24, comma 4, lett. b ) dello Statuto di Roma Capitale;

e ) la violazione del principio di legalità discendente dall’art. 23 Cost., con riferimento alle sanzioni amministrative introdotte a presidio dei precetti recati dall’ordinanza.

3.- Il giudizio di primo grado, nella resistenza di Roma Capitale, era concluso dalla sentenza sez. II, 18 dicembre 2018, n. 12319, di reiezione del ricorso e compensazione tra le parti in causa delle spese di lite.

4.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, A.O.G. S.r.l. e Milleuno S.p.A. impugnano la ridetta statuizione, di cui assumono la complessiva erroneità ed ingiustizia, invocandone l’integrale riforma.

Si è costituita in giudizio, per resistere al gravame, Roma Capitale.

All’udienza del 4 giugno 2020 la causa è stata assunta in decisione.

DIRITTO

1.- L’appello non è fondato e va respinto.

2.- Con il primo motivo, le appellanti lamentano che il primo giudice abbia disatteso la censura, con la quale avevano criticamente evidenziato la mancata preventiva acquisizione, da parte del Sindaco di Roma Capitale, del parere dell’Osservatorio in difformità, da quanto previsto dagli artt. 13, comma 4 e 24, comma 4, lett. b ) dello Statuto di Roma Capitale.

Segnatamente, non costituirebbe ragione sufficiente a giustificare l’omissione il rilievo, valorizzato dalla sentenza appellata, secondo cui l’ordinanza in contestazione avrebbe “ un oggetto del tutto peculiare, rappresentato dalla disciplina gli orari di funzionamento degli apparecchi per il gioco lecito, svolgendo, attraverso la riduzione di tali orari, la funzione di tutela della salute ”: esigenza primaria, che, come tale, non avrebbe dovuto essere “ contemperata con altre della comunità cittadina ”.

A dire delle appellanti, le evocate disposizioni statutarie ricalcherebbero l’art. 50, comma 7 del T.U.E.L., che attribuisce espressamente al Sindaco “ il compito di coordinare e riorganizzare, sulla base degli indirizzi espressi dal Consiglio comunale e nell’ambito di eventuali criteri fissati dalla Regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici ”: onde non si vedrebbe ragion per sottrarre alla relativa logica, così come specificata e concretizzata nelle disposizioni statutarie, le attività di intrattenimento svolte all’interno di sale giochi e degli esercizi in cui siano installati apparecchi di gioco lecito. Né sarebbe rilievo esatto quello per cui “ la funzione di tutela della salute ” non dovrebbe essere “ contemperata con altre della comunità cittadina ”, trattandosi di bilanciamento imposto dalla convergenza conflittuale di una pluralità di interessi generali della comunità locale.

3.- Il motivo non ha pregio.

L’istituzione dell’Osservatorio di cui all’art. 13 dello Statuto comunale ( Tempi e modalità della vita urbana ) è strumentale alla attuazione dei compiti di organizzazione, con riguardo agli orari di apertura e chiusura, dell’attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi, dei servizi pubblici e degli uffici pubblici operanti sul territorio comunale: e ciò sul presupposto che tale organizzazione postuli l’armonizzazione dell’espletamento dei servizi e delle “ esigenze complessive e generali degli appartenenti alla comunità cittadina ”.

L’istituzione dell’osservatorio si giustifica, quindi, alla luce della necessità di valutare le ordinarie esigenze di regolazione dei tempi di apertura e chiusura delle attività, commerciali e non, aperte al pubblico: per contro, l’ordinanza in contestazione ha, dichiaratamente, lo specifico, peculiare e circoscritto obiettivo di intervenire, con misure a salvaguardia della salute pubblica, sul grave e diffuso fenomeno della ludopatia, dettando – con esclusivo riguardo alla attività di gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, r.d. 18 giugno 1931, n. 773 ( T.U.L.P.S. – testo unico delle leggi di pubblica sicurezza ) e alle sale da gioco – speciali regole di limitazione dell’accesso e della fruizione.

Si legittima, perciò, la pretermissione, in fase istruttoria, della acquisizione consultiva, atteso che l’Osservatorio – di là dalla genericità del riferimento al complesso degli interessi operanti sul territorio (cfr. art. 50 TUEL) – non aveva competenza in ordine all’apprezzamento ed alla valorizzazione dei profili di ordine strettamente sanitario.

3.- Con il secondo motivo, si censura la sentenza di primo grado per violazione e falsa applicazione dell’art. 7 d.l. n. 158/2012, dell’art. 1, co. 936 l.n. 208/2015, violazione e falsa applicazione dell’Intesa sancita in sede di Conferenza Unificata il 7.9.2017, contraddittorietà e perplessità dell’azione amministrativa, difetto di motivazione: gli appellanti si dolgono che il giudice di primo grado abbia respinto il motivo di ricorso diretto a far valere la violazione dell’Intesa sancita il 7 settembre 2017 in sede di Conferenza Unificata Stato – Regioni – Enti locali per assenza di valore cogente in quanto non ancora recepita da alcun atto normativo, sebbene tale efficacia sia espressamente riconosciuta dall’art. 1, comma 1049, l. 27 dicembre 2017, n. 205 (ove: “a l fine di consentire l’espletamento delle procedure di selezione di cui ai commi 1047 e 1048, le regioni adeguano le proprie leggi in materia di dislocazione dei punti vendita del giuoco pubblico all’intesa sancita in sede di Conferenza unificata in data 7 settembre 2017 ”) come pure dai pareri resi dal Consiglio di Stato sugli atti funzionali all’affidamento delle concessioni di scommesse e del bingo (4 aprile 2019 nn. 1057 e 1058).

Aggiungono che l’intesa integrava di fatto gli estremi di un accordo tra Stato, Regioni e Comuni, e dunque, anche Roma Capitale, costituendo un vincolo a prescindere dall’attività di recepimento dello stesso.

Assumono, con ciò, errati gli argomenti con i quali il giudice di primo grado ha superato il vizio di contraddittorietà dell’azione amministrativa di Roma Capitale, la quale, da un lato, aveva ritenuto di soggiacere all’intesa, tanto da richiamarla nelle premesse dell’ordinanza (al fine di giustificare l’esercizio del potere limitativo del Sindaco), e ritenuto di dover interpellare l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, ma, poi, in maniera contraddittoria, non aveva rispettato il vincolo dalla stessa fissato della sospensione degli apparecchi di intrattenimento e svago per non più di sei ore.

3.1- Il motivo è infondato.

Come già ritenuto dalla Sezione in fattispecie analoghe (cfr., tra le altre, Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2020, n. 4496), l’intesa alla quale fanno riferimento le società appellanti è prevista dall’art. 1, comma 936, l. 28 dicembre 2015, n. 208 ( legge di stabilità per il 2016 ) in questi termini: “ Entro il 30 aprile 2016, in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definite le caratteristiche dei punti di vendita ove si raccoglie gioco pubblico, nonché i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell'ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età. Le intese raggiunte in sede di Conferenza unificata sono recepite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti ”.

È, dunque, espressamente previsto che l’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata sia recepita in un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze.

Prevedendo l’adozione di un decreto ministeriale che abbia ad oggetto profili di regolamentazione del gioco pubblico, l’amministrazione statale si è attribuita un potere di indirizzo e coordinamento per aver ritenuto che in tale specifico settore (quello del gioco lecito) si incrociano materie attribuite dalla Costituzione alla competenza di diversi livelli di governo, anche regionale, ma si avverte l’esigenza di una regolamentazione unitaria;
ed in effetti, accanto al tradizionale (per il settore dei giochi) riferimento all’ordine pubblico e la pubblica fede, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato per l’art. 117, comma 2, lett. h) Cost., è richiamata anche la tutela della salute, rientrante nelle competenza concorrente (art. 117 Cost.), in cui la Regione può legificare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale, cui la Corte costituzionale ha aggiunto anche il riferimento alla pianificazione e governo del territorio (con la sentenza 18 luglio 2014, n. 220, quanto meno in relazione al potere di fissazione delle distanze minime dai c.d. luoghi sensibili).

In questi casi – quando cioè lo Stato attribuisce per legge a sé stesso un potere di indirizzo e coordinamento in relazione ad un settore che investe in maniera trasversale materie di competenza anche delle Regioni – è dovuta nella legge statale la previsione del previo raggiungimento dell’intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 28, quale strumento tipico di coinvolgimento delle regioni in attuazione del principio di leale collaborazione (da ultimo, in tal senso Corte cost., 2 dicembre 2019, n. 246;
Id., 20 marzo 2019, n. 56).

Il potere di indirizzo e coordinamento non è stato, tuttavia, ancora esercitato perché il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze non è stato adottato, mentre è stata conclusa l’intesa nell’ambito della Conferenza Unificata Stato Regioni Enti locali il 7 settembre 2017.

Per essere prevista quale atto prodromico all’esercizio del potere statale di coordinamento ed indirizzo con finalità di coinvolgimento delle Regioni, all’intesa non può riconoscersi ex se , e senza che i suoi contenuti siano recepiti nel decreto ministeriale, alcuna efficacia cogente.

La sentenza di primo grado merita, pertanto, piena conferma sul punto.

Né porta ad una diversa conclusione la previsione dell’art. 1, comma 1049, l. 27 dicembre 2017, n. 205 ( legge di bilancio per il 2018 ), che, prevede che “ al fine di consentire l'espletamento delle procedure di selezione di cui ai commi 1047 e 1048, le regioni adeguano le proprie leggi in materia di dislocazione dei punti vendita del gioco pubblico all'intesa sancita in sede di Conferenza unificata in data 7 settembre 2017 ” (normativa che, giusto lo specifico profilo considerato, è finalizzata alla “ dislocazione dei punti vendita del gioco pubblico ”, con la precisa finalità di adeguare l’assetto territoriale in vista delle procedure di affidamento della concessione per la raccolta delle scommesse su eventi sportivi e non sportivi).

Non cogente l’intesa, non lo era neppure la previsione ivi contenuta di definire la distribuzione oraria delle fasce di interruzione del gioco nell’arco della giornata in accordo con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, cui pure Roma Capitale, con nota 4 giugno 2018, dava conto di quali sarebbero stati gli orari di utilizzo e funzionamento degli apparecchi di intrattenimento che aveva intenzione di prevedere nell’ambito delle futura regolamentazione.

La circostanza, allora, che l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli non abbia dato riscontro, evidenziando eventuali perplessità per l’eccessiva durata del periodo di sospensione, non può ridondare a vizio dell’ordinanza di Roma Capitale che, infine, ha fissato le fasce orarie di interruzione del gioco.

4.- Sotto distinto profilo censorio, le appellanti contestano la sentenza di primo grado per aver respinto i motivi di ricorso diretti a far valere la carenza di istruttoria alla base dell’ordinanza impugnata.

In tesi, la disciplina finalizzata a limitare l’orario di funzionamento degli apparecchi da gioco lecito di cui all’art. 110, comma 6 T.U.L.P.S. installati presso i pubblici esercizi, imporrebbe, per un verso il rispetto di un canone di ragionevolezza e proporzionalità in relazione agli obiettivi perseguiti e, per altro vero, il radicamento su una istruttoria completa e attendibile: l’esercizio del potere in questione dovrebbe ritenersi consentito soltanto in caso di accertate esigenze di tutela della salute, delle quali l’Amministrazione avrebbe dovuto dare compiuto, specifico e pertinente conto, non potendo fondarsi su un astratto riferimento al generale fenomeno del c.d. “ gioco d’azzardo lecito ” e ai suoi effetti sociali e sanitari, né potendosi prescindere da attendibili indagini e studi correlati allo specifico ambito territoriale attinto dalle misure in concreto adottate.

Nella specie, nessuna rilevanza avrebbe potuto essere ascritta né alle supposte fonti scientifiche, come lo studio curato dal Ministero della salute, né alla documentazione relativa alla Regione Lazio, trattandosi di studi e indagini non pertinenti al territorio di riferimento: così come alcuna rilevanza avrebbe potuto attribuirsi alla comunicazione del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio acquisita al prot. QH9263/2018 (così come “integrata” con la successiva nota QA/2018/31769), richiamata acriticamente dalla sentenza appellata: e ciò in quanto dal tenore della citata nota regionale emergerebbe una realtà ben diversa da quella descritta nell’ambito del provvedimento impugnato.

In essa si afferma, infatti, da un lato, che “ il gioco d’azzardo costituisce una attività

sociale di grande diffusione e, per la maggior parte delle persone, è priva di conseguenze negative

(pag. 2) e, dall’altro, che il fenomeno della c.d. “ludopatia” è “ percepito come estremamente rilevante e diffuso (soprattutto dai media), ma senza darne una dimensione reale e basata sulle persone che afferiscono ai servizi ” (pag. 42).

Di fatto, nella nota de qua , senza riferirsi specificamente al territorio capitolino né tantomeno agli apparecchi da gioco lecito di cui all’art. 110, comma 6 T.U.L.P.S., ci si accontenterebbe semplicemente di dare conto di un tutt’altro significativo aumento del numero delle persone che, nel corso degli anni, si sarebbero rivolte ai servizi sanitari per un preteso disturbo di “ gioco d’azzardo patologico ”, essendosi passati da 82 casi (nell’anno 2012) a 323 casi (nell’anno 2017) su una popolazione residente di 2.872.800 abitanti: con ciò, peraltro, non sarebbe dato indurre dove i non meglio identificati giocatori “patologici” risiedano o dimorino abitualmente, né sarebbe dato sapere se gli stessi soggetti abbiano contratto la c.d. “ludopatia” attraverso l’utilizzo degli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, comma 6, lett. a) e b) T.U.L.P.S. ovvero, piuttosto, mediante l’utilizzo di altri prodotti e servizi di gioco (su “rete fisica” o “a distanza”), che non formano oggetto, a differenza dei primi, di alcuna limitazione oraria.

Non sarebbe, poi, sufficiente a legittimare le misure approntate l’aprioristico richiamo operato alla fantomatica “ cifra oscura ” o “ sommersa ” del fenomeno del “ disturbo da gioco d’azzardo ”, trattandosi, in tesi, di asserzione tautologica e apodittica, oltre che del tutto avulsa dalla concreta realtà territoriale.

Del resto, se è certamente “ notorio ” che il “ gioco d’azzardo patologico ” (“G.A.P.”) può considerarsi una patologia (sociale o sanitaria), non sarebbe invece affatto “notorio”, né tantomeno rientrerebbe nella “ comune esperienza ” che lo stesso sia diffuso nell’ambito dell’intero territorio di Roma Capitale;
così come non costituirebbe fatto “notorio” o di “comune esperienza” che la rigida e indifferenziata disciplina degli orari approntata dall’Autorità sindacale rappresenti un rimedio adeguato e proporzionato al suo contenimento.

Per altro verso, la contestata disciplina regolamentare non sarebbe neppure in linea con gli

orientamenti della giurisprudenza euro-unitaria (CGUE, 28 febbraio 2018, C3/17, Sporting Odds Ltd ., secondo cui “ il diritto dell’Unione non osta ad un regime nazionale nell’ambito del quale un giudice chiamato a pronunciarsi sulla conformità al diritto dell’Unione di una normativa che restringe l’esercizio di una libertà fondamentale dell’Unione sia tenuto a istruire d’ufficio gli elementi della controversia di cui è investito, purché tale regime non abbia come conseguenza che detto giudice sia tenuto a sostituirsi alle autorità competenti dello Stato membro interessato, alle quali incombe fornire gli elementi di prova necessari per consentire ad esso giudice di controllare se la restrizione in parola sia giustificata ”).

Infine, nessuna rilevanza potrebbe essere attribuita all’intervenuta attivazione di “ sportelli

informativi per la prevenzione e il contrasto al gioco d’azzardo ” o di “ percorsi di ascolto ”, vero essendo, piuttosto, che i giocatori c.d. “problematici” si rivolgono alle strutture della prevenzione per mere consulenze – non infrequentemente consigliate da operatori sociali nell’ambito di percorsi riabilitativi relativi a problematiche di altro tipo ovvero di patologie che nulla hanno a che fare con il gioco lecito (alcolismo e tossicodipendenze) – e non già per ricevere trattamenti di tipo sanitario.

4.1.- Il motivo, ampiamente articolato, è tuttavia infondato.

Ribadito, invero, che l’intesa raggiunta in sede di Conferenza Unificata Stato – Regioni – Comuni non ha efficacia cogente e che, come già affermato in giurisprudenza in casi analoghi (Cons. Stato, sez. V, 5 giugno 2018, n. 3382), alla luce dei suoi contenuti “ è corretto affermare che principio generale della materia è la previsione di limitazioni orarie come strumento di lotta al fenomeno della ludopatia ”, va condivisa la sentenza di primo grado per aver escluso il vizio di istruttoria lamentato dalla ricorrente.

La documentazione acquisita da Roma Capitale dimostrava in maniera inequivocabile un aumento del numero di pazienti affetti da GAP trattati nel territorio comunale (e regionale) nel corso degli anni (dal 2012 al 2017), e se è vero che, in termini assoluti, non si trattava di numeri elevati, il dato allarmante consisteva proprio nell’aumento progressivo ed ininterrotto. Per convincersene è sufficiente richiamare i dati contenuti nella nota del 1°giugno 2018 (prot. n. QH/31769) elaborata dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario regionale della Regione Lazio ove al numero di 82 pazienti trattati nel 2012 (165 nella Regione Lazio) corrisponde il numero di 323 del 2017 (613 nell’intera Regione).

In detta situazione l’aumento del numero di esercizi presso i quali risultano collocati gli apparecchi di intrattenimento, come pure l’aumento della raccolta monetaria, non può essere considerato, come assunto dalle appellanti, un dato ininfluente;
esso, invece, dà conto dell’aumento dell’offerta, evidentemente indotta dall’aumento del numero dei giocatori e fa ragionevolmente presumere anche l’aumento tra questi di persone affette da GAP.

Né, infine, merita critica la sentenza per aver riportato una considerazione che sfugge, per se stessa, ad ogni rilevamento statistico, vale a dire l’esistenza di un numero di persone affette da GAP di gran lunga superiore a quello riportato nelle statistiche elaborate da fonti ufficiali per la naturale ritrosia di coloro che versano in tale situazione a manifestare il problema e a ricorrere ai servizi sanitari (o sociali) per aiuto.

In conclusione sul punto, il trend in crescita, non contestato, costituisce un dato correttamente acquisito in sede istruttoria, che vale a sorreggere la decisione di Roma Capitale di un intervento in via precauzionale per arrestare la diffusione del fenomeno della ludopatia;
il numero di ore di spegnimento degli apparecchi da intrattenimento rileva sul piano della proporzionalità della misura, essendo irrilevante, per quanto spiegato in precedenza, che esso sia superiore a quello previsto dall’intesa raggiunta in Conferenza Unificata.

Del resto, la giurisprudenza amministrativa si è occupata in numerose pronunce dell’eventuale contrasto della limitazione oraria del funzionamento degli apparecchi di intrattenimento e di svago con il principio di proporzionalità, esaminando misure che, proprio come quella di Roma Capitale, prevedevano lo spegnimento degli apparecchi per otto ore giornaliere (Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2018, n. 4867;
Id., sez. V,, 13 giugno 2016, n. 2519;
Id., sez. V, 22 ottobre 2015, n. 4861;
Id., sez. V, 20 ottobre 2015, n. 4794;
Id., sez. V, 30 giugno 2014, n. 3271).

Precisato che il principio di proporzionalità impone all'amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato ( ex multis , Cons. Stato, sez. V, 20 febbraio 2017, n. 746;
Id., sez. V, 23 dicembre 2016, n. 5443;
Id., sez. IV, 22 giugno 2016, n. 2753;
Id., sez. IV, 3 novembre 2015, n. 4999;
Id., sez. IV 26 febbraio 2015, n. 964), e che, definito lo scopo avuto di mira, esso è rispettato se la scelta concreta dell'amministrazione è in potenza capace di conseguire l'obiettivo ( idoneità del mezzo ) e rappresenta il minor sacrificio possibile per gli interessi privati attinti ( stretta necessità ), tale, comunque, da poter essere sostenuto dal destinatario ( adeguatezza ), si è ritenuto:

- che la limitazione oraria fosse proporzionata, in primo luogo, poiché in potenza capace di conseguire l'obiettivo: mediante la riduzione degli orari è ridotta l'offerta di gioco (Cons. Stato, sez. V, 5 giugno 2018, n. 3382);

- che l'argomento secondo cui l’amministrazione non abbia tenuto conto di altre forme di gioco verso le quali i soggetti affetti da ludopatia si indirizzerebbero prova troppo poiché dimostra che comunque è opportuno limitare già una delle possibili forme di gioco (le slot machines , appunto) se altre ve ne sono a disposizione;

- che la limitazione oraria di otto ore comporta il minor sacrificio possibile per l'interesse dei privati gestori delle sale da gioco in relazione all'interesse pubblico perseguito: resta consentita l'apertura al pubblico dell'esercizio, che potrà, dunque, continuare a svolgere la sua funzione ricreativa (con eventuale vendita di alimenti, snack, bevande), mentre sono limitati i tempi di funzionamento degli apparecchi per la comprensibile ragione di indurre i soggetti maggiormente a rischio ad indirizzare l'inizio della giornata verso altri interessi, lavorativi, culturali, di attività fisica, distogliendo l'attenzione dal gioco;

- che si tratti, infine, di misura adeguata perché, pur comportando certamente una riduzione dei ricavi, e, in questo senso, un costo per i privati, può essere efficacemente sostenuta mediante una diversa organizzazione dell'attività di impresa.

È solo da aggiungere che, riguardo al dedotto omesso bilanciamento fra gli interessi coinvolti: “ la Sezione ha osservato come le Amministrazioni con l’adozione di ordinanze analoghe a quella qui in esame, abbiano realizzato un ragionevole contemperamento degli interessi economici degli imprenditori del settore con l’interesse pubblico a prevenire e contrastare i fenomeni di patologia sociale connessi al gioco compulsivo, non essendo revocabile in dubbio che un’illimitata o incontrollata possibilità di accesso al gioco accresca il rischio di diffusione di fenomeni di dipendenza, con conseguenze pregiudizievoli sia sulla vita personale e familiare dei cittadini, che a carico del servizio sanitario e dei servizi sociali, chiamati a contrastare patologie e situazioni di disagio connesse alle ludopatie ” (Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2018, n. 4867) e che, anche alla luce delle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione Europea nel settore dell’esercizio dell’attività imprenditoriale del gioco lecito, le esigenze di tutela della salute vengono ritenute del tutto prevalenti rispetto a quelle economiche (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2018, n. 4867;
Id., sez. V, 6 settembre 2018, n. 5237;
Id., sez. VI, 11 marzo 2019, n. 1618), come già statuito dalla giurisprudenza precedente, che aveva posto in rilievo che il Trattato CE “ fa salve eventuali restrizioni imposte dai singoli Stati membri giustificate, tra l’altro, anche da motivi di tutela della salute pubblica e della vita delle persone;
nel territorio di uno stato membro sono ammissibili restrizioni che vadano sino al divieto delle lotterie e di altri giochi a pagamento con vincite in denaro, trattandosi di un divieto pienamente giustificato da superiori finalità di interesse generale
” (Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5251;
Id., sez. VI, 20 maggio 2014, n. 2542).

5.- Con distinto motivo di gravame, si lamenta, in relazione alla appendice sanzionatoria del provvedimento impugnato, violazione del principio di legalità: soltanto una norma di legge (statale o regionale), e non certo un atto proveniente da un organo amministrativo (Sindaco di Roma Capitale), avrebbe potuto individuare ed enucleare le potestà amministrative sanzionatorie in

funzione di prevenzione e contrasto al fenomeno della c.d. “ludopatia”.

5.1.- Il motivo è infondato.

Il Collegio ritiene (cfr., sul punto, ancora, Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2020, n. 4496), che gli argomenti addotti dalle appellanti non inducano ad un ripensamento della legittimità della sanzione di sospensione del funzionamento di tutti gli apparecchi di intrattenimento e svago collocali nel locale (o nel punto di vendita di gioco) irrogabile dal Sindaco in caso di reiterata inosservanza degli orari di funzionamento disposti nell’ordinanza, come affermato da questa Sezione nella sentenza 28 marzo 2018, n. 1933.

Nella richiamata sentenza, infatti, si precisa che con il passaggio dall’autorità di pubblica sicurezza ai Comuni delle funzioni di cui al T.U.L.P.S. per opera dell’art. 19, comma 1, del d.P.R. n. 616 del 1977 ( Attuazione della delega di cui all’art. 1 della l. 22/7/1975, n. 382), tra le quali rientrano “ la licenza per alberghi, compresi quelli diurni, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè ed altri esercizi in cui si vendono o consumano bevande non alcooliche, sale pubbliche per biliardi o per altri giuochi leciti, stabilimenti di bagni, esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture e simili di cui all’art. 86 ”, sono transitati nella competenza dei Comuni anche i poteri sanzionatori, utilizzabili in presenza di violazione delle discipline specifiche che attengono alla tutela degli interessi pubblici diversi da quello dell’ordine e della sicurezza pubblica (anche in ragione della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977 con la sentenza della Corte costituzionale 24 marzo 1987, n. 77).

Tra le misure sanzionatorie l’art. 10 del T.U.L.P.S. prevede proprio la revoca o la sospensione dell’autorizzazione nel caso di abuso della persona autorizzata;
l’abuso consisterebbe anche nella violazione delle disposizioni dirette a garantire il corretto esercizio dell’attività autorizzata, nel caso di specie, proprio, l’orario di funzionamento degli apparecchi di intrattenimento e svago.

Escluso, pertanto, che la misura sanzionatoria della sospensione del funzionamento degli apparecchi di intrattenimento sia riconducibile alle sanzioni amministrative previste dalla l. 689 del 1981 (trattandosi, invece, di potere rientrante nell’ambito del c.d. rapporto amministrativo instauratosi tra amministrazione comunale e privato autorizzato), l’ordinanza impugnata non può ritenersi viziata non solo per aver violato il principio di legalità. ma neanche per aver disciplinato la recidiva in maniera diversa rispetto a quanto previsto dalla richiamata normativa (art. 8 bis l. 689 del 1981), vale a dire ammettendola anche in caso di pagamento della sanzione in misura ridotta.

Né si può dire che sia ivi sancito un principio generale sulla determinazione della recidiva, considerato che disciplina identica a quella fissata dall’ordinanza impugnata si rinviene nella disposizione dell’art. 22 ( Sanzioni e revoca ) d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 ( Riforma della disciplina relativa al commercio ).

Per tal via, la sentenza di primo grado, che ha fatto proprio l’insegnamento della pronuncia del Consiglio di Stato citata nei suoi passaggi rilevanti, merita conferma.

6.- Alla luce del complesso delle considerazioni che precedono, l’appello va, in definitiva, respinto.

La peculiarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese tra tutte le parti in causa.

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