Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-03-16, n. 202001864

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-03-16, n. 202001864
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202001864
Data del deposito : 16 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/03/2020

N. 01864/2020REG.PROV.COLL.

N. 04278/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4278 del 2018, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati M S e F V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M S in Roma, viale Parioli, 180;

contro

Ministero dell’economia e delle finanze;
Comando generale della Guardia di finanza, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania – Napoli, Sezione Sesta, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il provvedimento di inflizione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2020 il consigliere Luca Lamberti e uditi per le parti l’avvocato M S e l’avvocato dello Stato Fabio Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso avanti il T.a.r. per la Campania – Napoli il sig. -OMISSIS-, all’epoca luogotenente della Guardia di finanza, ha impugnato il provvedimento del Comandante interregionale del Corpo del 22 luglio 2015, con cui gli è stata inflitta la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.

1.1. Il provvedimento è conseguito alla sentenza emanata, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., dal G.i.p. presso il Tribunale di Napoli in data 10 giugno 2014, con cui l’odierno ricorrente è stato condannato alla pena della reclusione di anni uno, mesi undici e giorni venticinque per i reati di concussione e falsità ideologica in concorso con terzi.

1.2. In ricorso sono state articolate le seguenti censure:

a) tardività dell’instaurazione del procedimento disciplinare;

b) difetto di motivazione;

c) erronea applicazione di disposizioni normative (in particolare, l’art. 867 del codice dell’ordinamento militare), in tesi non riferibili al Corpo della Guardia di finanza;

d) assenza di autonoma valutazione dei fatti;

e) mancata considerazione dei precedenti di carriera e del complessivo stato di servizio del ricorrente;

f) erronea iscrizione nel ruolo dei militari di truppa dell’Esercito Italiano, anziché in quello della Guardia di finanza come finanziere semplice.

1.3. L’adito T.a.r. ha respinto l’istanza cautelare con ordinanza n. -OMISSIS-, recante la seguente motivazione: “ Ritenuto che il ricorso, ad un primo sommario esame proprio della fase cautelare, non si presenta assistito da sufficiente fumus avuto riguardo, da un lato, alla diffusa motivazione del provvedimento impugnato (che fa riferimento alla estrema gravità della condotta tenuta dall’interessato, alla consistenza degli elementi di prova emersi nel corso del procedimento penale conclusosi con una sentenza di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p. come pure all’obiettivo pregiudizio all’immagine del Corpo) espressione di un autonomo apprezzamento della vicenda qui in rilievo, dall’altro, alla circostanza che le censure formulate in ricorso in ordine ai presunti vizi di natura procedimentale, siccome riferite solo all’astratto modello procedimentale applicabile, non evidenziano in concreto specifiche e documentate violazioni in grado di incidere, a cagione di un’effettiva e concreta lesività, nella sfera giuridica del ricorrente

1.4. Il Consiglio di Stato, adito in appello cautelare, ha confermato il decisum cautelare di prime cure con ordinanza di questa Sezione n.-OMISSIS-, ritenendo che “ ad un sommario esame, l’ordinanza impugnata appare congruamente motivata ed immune dalle censure prospettate dall’appellante ”.

2. Con la sentenza in questa sede impugnata, quindi, il T.a.r. ha respinto il ricorso.

3. L’interessato ha interposto appello, riproponendo criticamente le censure svolte in prime cure ad eccezione di quella supra riportata sub f).

3.1. Si sono costituite in resistenza le intimate Amministrazioni.

3.2. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 30 gennaio 2020, in vista della quale le parti hanno versato in atti scritti difensivi.

4. Il ricorso in appello non è fondato.

5. Con riferimento all’ordine delle censure articolato dal ricorrente, il Collegio osserva quanto segue.

5.1. L’art. 1392, comma 1, codice ordinamento militare (d’ora in avanti, codice) stabilisce, per quanto qui di interesse, che il procedimento disciplinare di stato deve essere iniziato entro novanta giorni dalla data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza irrevocabile che lo definisce.

Nella specie, risulta che la sentenza, pronunciata in data 10 giugno 2014 e divenuta irrevocabile in data 1 ottobre 2014, sia stata acquisita dall’Amministrazione in copia conforme munita dell’attestazione di irrevocabilità in data 28 novembre 2014;
il procedimento disciplinare è stato, quindi, avviato in data 15 gennaio 2015 (dunque entro i termini di legge) con l’ordine di inchiesta formale recante contestazione degli addebiti e nomina dell’ufficiale inquirente (cfr., in merito al momento in cui il procedimento disciplinare può dirsi instaurato, Cons. Stato, Sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484).

Orbene, il dato dell’acquisizione della sentenza in forma integrale da parte dell’Amministrazione in data 28 novembre 2014 non è contestato dal ricorrente con argomentazioni fondate su elementi oggettivi e concreti;
al contrario, la data in questione (oltre che essere apposta, a penna, sulla copia della sentenza prodotta dall’Amministrazione in prime cure) è verosimile, posto che in data 5 ottobre 2014 la Compagnia di -OMISSIS- trasmise al Comando provinciale una copia della sentenza “ non ancora munita degli estremi di irrevocabilità ”, elemento, questo, ex lege necessario al fine del decorso del termine per l’instaurazione del procedimento.

E’, dunque, del tutto ragionevole concludere che la copia conforme munita dell’attestazione di irrevocabilità sia stata acquisita dal competente Comando in un momento posteriore.

Non hanno pregio, in proposito, le osservazioni del ricorrente, secondo cui il termine de quo decorrerebbe dalla pubblicazione delle motivazioni della sentenza e, comunque, non potrebbe non tenersi conto del ritardo dell’Amministrazione nell’acquisire la sentenza stessa.

E’ sufficiente, in proposito, rilevare:

- da un lato, che la disposizione in commento è chiara nel fissare il dies a quo del termine per l’instaurazione del procedimento disciplinare non alla data di pubblicazione della sentenza, bensì alla successiva data in cui l’Amministrazione ha avuto (documentata e specifica) conoscenza integrale della stessa, mediante acquisizione di copia conforme munita dell’attestazione di irrevocabilità da parte della competente cancelleria;

- dall’altro, che, a tacere di ogni altra considerazione, l’incolpato non ha, in termini generali, un oggettivo interesse a contestare un ritardo dell’Amministrazione nell’acquisire la sentenza, posto che, nelle more dell’acquisizione, permane in servizio, con la conseguente fruizione del relativo trattamento economico;
nella specie, per di più, un tale ritardo neanche sussiste.

5.2. Il provvedimento è analiticamente motivato con la puntuale descrizione dei fatti oggetto dell’incolpazione e con l’esplicazione delle ragioni ostative al mantenimento, in capo all’incolpato, dello status di militare del Corpo.

In particolare, premesso che l’illecito disciplinare non sottostà al rigido criterio di tassatività previsto per la materia penale, la condotta accertata in sede penale (v., sul punto, infra § 5.4) è stata ritenuta, con diffusa motivazione, frontalmente collidente con i doveri di un appartenente alla Guardia di finanza, fra cui, in primis , vi è evidentemente quello di non abusare dei poteri di ufficio, di non concutere i contribuenti, di non confezionare atti falsi.

5.3. Questo Consiglio ha già avuto modo di precisare (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 486) che:

- in base al combinato disposto degli artt. 1, comma 2, del codice e 10, l. n. 189 del 1959, al personale della Guardia di finanza continuano ad applicarsi automaticamente tutte le disposizioni in materia di disciplina previste per gli appartenenti all’Esercito Italiano (e ciò per il carattere strutturalmente militare del Corpo e per la sua sottoposizione alla disciplina militare – cfr. Corte cost. n. 35 del 2000 e n. 30 del 1997);

- l’art. 2149, comma 8, del codice detta una disciplina di coordinamento che presuppone logicamente proprio l’applicazione, tra l’altro, anche dell’art. 867 del codice (sebbene non espressamente richiamato);

- la novella apportata dal d.lgs. n. 126 del 2018 (che ha incluso nell’art. 2136 il richiamo, tra l’altro, anche all’art. 867) non ha avuto valenza innovativa, ma semplicemente ricognitiva, in ossequio a ragioni di chiarezza e di qualità della regolazione.

Più in generale, peraltro, l’abrogazione “secca”, senza alcun distinguo o precisazione, della l. n. 599 del 1954 da parte dell’art. 2268 del codice, con la conseguente definitiva espunzione dall’ordinamento giuridico delle disposizioni recate da tale legge, rende oggettivamente inoperante il rinvio ad essa operato dalla l. n. 260 del 1957.

Tale rinvio, del resto, è, per le evidenti ragioni di simmetria regolatoria tra Guardia di finanza ed Esercito Italiano sottese alla previsione, riferito non alla legge nella sua individualità normativa (cd. rinvio “statico”), con conseguente irrilevanza delle successive modificazioni ed integrazioni, bensì alla relativa disciplina (cd. rinvio “recettizio”) e deve, pertanto, intendersi adesso naturaliter riferito al corpus normativo (appunto, il codice) che ha sostituito la legge n. 599.

Non hanno, quindi, pregio le opposte considerazioni svolte in un isolato arresto di questo Consiglio (Cons. Stato, Sez. IV, 21 marzo 2017, n. 1279).

5.4. Il Collegio, sul punto, osserva che:

- ai sensi dell’art. 653, comma 1- bis , c.p.p. “ la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso ”;

- la disposizione non si riferisce alle sole sentenze emanate a seguito di dibattimento, ma genericamente a “ tutte le sentenze penali irrevocabili di condanna ”, locuzione ampia che prescinde dal rito seguito ed in cui rientrano, dunque, anche le sentenze di condanna rese ai sensi dell’art. 444 c.p.p.;

- del resto, l’art. 445, comma 1- bis , c.p.p., anche nel testo vigente ratione temporis , sanciva che “ salve diverse disposizioni di legge [nella specie non ricorrenti], la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna ” e, comunque, espressamente escludeva le previsioni dell’art. 653 c.p.p. dalla generale inefficacia della sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. nei “ giudizi civili o amministrativi ”;

- il compimento, da parte dell’incolpato, di una condotta concussiva, seguita dalla confezione di un atto falso, era, dunque, per l’Amministrazione un dato di fatto accertato ed indiscutibile;

- sulla base di tale oggettivo ed insuperabile dato di fatto, l’Amministrazione ha condotto un’autonoma valutazione dei riflessi disciplinari di siffatta condotta dell’incolpato, stimandola, con valutazione non inficiata da macroscopici profili di illogicità (del resto, non specificamente censurati dal ricorrente), incompatibile con il mantenimento dello status di appartenente alla Guardia di Finanza.

5.5. La menzionata condotta è stata ritenuta ex se radicalmente incompatibile con il mantenimento dello status di appartenente del Corpo, in quanto di gravità tale da recidere integralmente il necessario affidamento che l’Amministrazione militare deve in ogni momento poter nutrire circa la persona, la moralità e la professionalità dei membri del Corpo.

Del resto, il compimento di atti delittuosi, oltretutto nel corso dello svolgimento di attività d’ufficio, disvela un’oggettiva ed incomponibile distonia fra il militare e l’Istituzione.

Non hanno né possono avere alcun rilievo, conseguentemente, i precedenti di servizio dell’incolpato, che, per quanto buoni, non sono strutturalmente in grado di elidere la gravità della successiva condotta delittuosa, che assorbe ogni valutazione disciplinare.

6. Per le esposte ragioni, pertanto, il ricorso in appello va integralmente rigettato.

7. Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

8. Poiché il rigetto del ricorso si fonda su ragioni manifeste, sono integrati i presupposti per applicare, nella misura di cui al dispositivo, la sanzione di cui all’art. 26, comma 2, c.p.a., così come interpretato dalla giurisprudenza di questo Consiglio (per tutte, Cons. Stato, Sez. IV, 18 febbraio 2020 n. 1234 e 28 dicembre 2016 n. 5497), cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d], c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della sanzione, in conformità ai principi di massima elaborati, in termini generali, dalla Corte di cassazione ( ex multis , Sez. VI, 12 maggio 2017 n. 11939 e 2 novembre 2016 n. 22150).

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