Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-02-17, n. 201700730

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-02-17, n. 201700730
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201700730
Data del deposito : 17 febbraio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/02/2017

N. 00730/2017REG.PROV.COLL.

N. 09944/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9944 del 2010, proposto da:
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Luciana Fama', rappresentata e difesa dall'avvocato A P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Sistina 121;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00813/2010, resa tra le parti, concernente ritardo nell'assunzione - risarcimento danni


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Luciana Fama';

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2017 il Cons. F M e uditi per le parti gli avvocati dello stato Pio Marrone e Petretti per delega di Panuccio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con sentenza n. 813/2010 del 14-7-2010 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Sezione Staccata di Reggio Calabria accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla signora Luciana F, inteso ad ottenere la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni per mancata assunzione.

In particolare, il giudice di primo grado, in relazione al periodo in cui la ricorrente aveva affermato di essere rimasta priva di occupazione, ordinava all’Amministrazione, ai sensi dell’articolo 35 del d.lvo n. 80/1998, di proporre il pagamento di una somma da quantificare secondo i seguenti criteri: -ammontare delle retribuzioni, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, che sarebbero maturate ove la ricorrente fosse stata assunta in servizio dal 20 febbraio 1993;
- ammontare delle contribuzioni pensionistiche che in relazione a dette retribuzioni l’Amministrazione statale avrebbe dovuto versare all’ente di previdenza obbligatoria;
- abbattimento, in via equitativa, del 50% della somma complessiva quantificata come sopra;
- maggiorazione della somma effettivamente proposta degli interessi legali e della rivalutazione monetaria come per legge (ossia dal gennaio 1995, con il regime limitativo introdotto dall’art. 22 comma 36, l. n. 724 del 1994).

La prefata sentenza esponeva in fatto quanto segue.

Luciana F, orfana di padre caduto per servizio, espone che con telegramma del 20 febbraio 1993 il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale le aveva comunicato l’emissione del decreto di assunzione presso l’Ispettorato Provinciale del Lavoro di Reggio Calabria, non ancora esecutivo in attesa del visto della Corte dei Conti e della verifica della sussistenza dei requisiti ai sensi della legge sul collocamento obbligatorio. In data 6 luglio 1993, il Direttore Generale degli Affari Generali e del Personale del Ministero le comunicava l’impossibilità di procedere all’assunzione, ostandovi le disposizioni in materia di collocamento obbligatorio delle categorie protette introdotte dal D.Lvo 3 febbraio 1993 n. 29, entrato in vigore il 22 febbraio 1993 ed applicabile al caso di specie per essere pervenuta la documentazione il 23 febbraio 1993. Avverso tale provvedimento la F proponeva ricorso innanzi al Tar del Lazio sostenendo che, essendo stato il provvedimento di assunzione già adottato alla data del 20 febbraio 1993, come risultante dalla comunicazione telegrafica inviatale, avrebbe dovuto trovare applicazione la normativa di cui all’art. 16 della legge 2-4-1968, n. 482. Con sentenza n. 1251 del 17 luglio 1995 il Tar respingeva il ricorso. Tale pronuncia veniva annullata dal Consiglio di Stato, che, con decisione n. 1315 del 29 settembre 1998, sanciva l’illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione di dar corso agli ulteriori adempimenti per l’assunzione della F, già disposta in data anteriore al 22 febbraio 1993. Con ricorso notificato in data 17 – 18 novembre 2006 la F, premesso che il Ministero aveva dato esecuzione alla sentenza in data 24 maggio 1999, provvedendo all’assunzione presso la Direzione Provinciale del Lavoro di Reggio Calabria, e che a seguito di raccomandata del 29 gennaio 2001 vi era stato articolato ma infruttuoso tentativo di conciliazione innanzi al Collegio di Conciliazione, chiedeva, a titolo di risarcimento danni, il pagamento della somma equivalente all’ammontare degli stipendi, indennità, accessori ed interessi che avrebbe avuto diritto di percepire tra il 20 febbraio 1993 ed il 24 maggio 1999… ” .

Avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo ha proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, deducendone l’erroneità e chiedendone l’annullamento.

Ha dedotto: 1) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 della legge n. 1034/1971;
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 69 comma 7 del D.Lgs. n. 165 del 2001;
3) Infondatezza della pretesa risarcitoria;
4) Erroneità del criterio di liquidazione del danno.

Si è costituita in giudizio la signora F, rilevando l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.

La stessa ha depositato, altresì, memoria conclusionale.

La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 26-1-2017.

DIRITTO

Con il primo motivo di appello il Ministero lamenta: violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 1034/1971.

Contesta la sentenza di primo grado nella parte in cui essa ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’amministrazione, ritenendo trattarsi di azione di risarcimento di danni consequenziali, per i quali la giurisdizione del giudice amministrativo resta ferma ai sensi dell’articolo 7 l. Tar.

Ha in proposito richiamato giurisprudenza della Corte di Cassazione (SS.UU. sent. n. 799 del 19-11-1999), secondo cui, in caso di proposizione di domanda di risarcimento danni proposta per tardività dell’assunzione, la relativa domanda, commisurata alle differenze tra le retribuzioni perdute per la mancata assunzione e l’aliunde perceptum , rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. La Suprema Corte evidenzia, infatti, che va applicato il criterio del petitum sostanziale e, dunque, l’oggetto della controversia non è una situazione nascente da un rapporto di impiego in atto, ma si fonda sulla assenza della tempestiva costituzione, restando in tal modo estraneo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo già esistente in materia di pubblico impiego.

Sarebbe, pertanto, erronea la statuizione del giudice di primo grado il quale ha ritenuto la giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di azione di risarcimento danni consequenziali e, in particolare, di azione di risarcimento derivante dal giudicato discendente dalla sentenza del Consiglio di Stato del 29 settembre 1998.

Ritiene preliminarmente la Sezione che il motivo di appello è ammissibile.

Invero, l’articolo 9 del c.p.a. dispone che “ Il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche di ufficio. Nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione ”.

Ai fini della corretta introduzione della questione di giurisdizione in appello è, dunque, sufficiente che sia stato proposto specifico motivo di censura avverso la sentenza di primo grado che abbia statuito sulla giurisdizione, a prescindere dalla circostanza che l’appellante in primo grado non abbia sollevato la relativa eccezione.

Tale principio è stato reiteratamente affermato da questo Consiglio ( cfr. Cons. Stato, III, 23-11-2016, n. 4924;
III, 13-6-2014, n. 3027), laddove si è ritenuto che, pur non essendo stata sollevata in primo grado una eccezione di difetto di giurisdizione, il motivo di appello è ammissibile, giacchè, ai sensi dell’articolo 9, il difetto di giurisdizione può essere rilevato, sulla base di uno specifico motivo di impugnazione della sentenza che, anche implicitamente, abbia ritenuto la giurisdizione del giudice amministrativo.

Il motivo, peraltro, è infondato.

La Sezione ritiene in proposito condivisibile la statuizione del giudice di primo grado, fondandosi nella specie la giurisdizione del giudice amministrativo sul disposto dell’articolo 7, comma 3, della legge 6-12-1971, n. 1034.

Tale norma, invero, dispone che “ Il Tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali ”.

Nella specie, la sig.ra F aveva proposto ricorso giurisdizionale inteso ad ottenere l’annullamento della nota con la quale il Direttore Generale del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale aveva deciso di non dar corso alla sua assunzione quale orfana di caduto in servizio, già deliberata dal Ministro pro tempore in data 20-2-1993.

Respinto il ricorso in primo grado, il suddetto provvedimento era stato annullato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1315/98 del 29-9-1998, la quale aveva evidenziato l’illegittimità del rifiuto di dare corso agli ulteriori adempimenti per l’assunzione dell’appellata, già disposta in data anteriore al 22 febbraio 1993.

La domanda risarcitoria proposta consegue, dunque, a tale illegittimo rifiuto e si collega, pertanto, alla mancata assunzione a far data dal 20-2-1993.

Essa trova fondamento nel giudicato formatosi con la suddetta pronuncia del Consiglio di Stato, onde trattasi di domanda di risarcimento del danno connessa al giudizio sul rifiuto dell’assunzione (conclusosi con la prefata decisione del giudice amministrativo), in relazione alla quale la giurisdizione, ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 1034 del 1971, appartiene al giudice amministrativo.

Con il secondo motivo il Ministero lamenta: violazione e falsa applicazione dell’art. 69, comma 7 del d.lgs. n. 165 del 2001.

Evidenzia che tale norma precisa che le controversie di cui all’articolo 63 del predetto decreto relative a questioni attinenti al rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000.

Aggiunge che nel caso in esame: il provvedimento lesivo è del 1993(nota prot. 2406 del 6-7-1993, con la quale l’amministrazione aveva comunicato alla interessata che la sua assunzione non si era resa possibile vista l’entrata in vigore del d.lgs. n. 29/93);
la sentenza del Consiglio di Stato che ha definito il giudizio è del 1998;
il nuovo giudizio risarcitorio dinanzi al TAR Calabria è stato proposto solo nel 2006.

Censura, pertanto, la decisione di primo grado, la quale ha ritenuto irrilevante la proposizione del ricorso oltre il 15 settembre 2000, in quanto è decisiva, ai fini della giurisdizione, la circostanza che trattasi di questione risarcitoria consequenziale la quale si fonda sul primo periodo del terzo comma dell’art. 7 della legge TAR, che non contiene preclusioni temporali, mentre si collega solo mediatamente alla giurisdizione in materia di pubblico impiego esercitata con la pronuncia precedente.

Lamenta, invero, che, così facendo, il Tribunale ha stravolto il limite temporale segnato dall’articolo 69, comma 7, del d.lgs. n. 165, mantenendo la giurisdizione su di una questione di pubblico impiego pur quando il giudice amministrativo l’aveva perduta.

Il motivo di appello non è condiviso dalla Sezione per le ragioni che di seguito si svolgono.

Il Collegio ritiene, invero, che nella fattispecie in esame non sia applicabile l’invocato comma 7 dell’articolo 69 del decreto legislativo n. 165 del 2001.

Tale disposizione prevede che “ Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’articolo 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000 ”.

L’articolo 63 dispone, al comma 1, che “ Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni…incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro… .”.

Ciò posto, osserva la Sezione che la previsione di cui al comma 7 dell’articolo 69 prevede un termine decadenziale per la proposizione dei giudizi dinanzi al giudice amministrativo, con la conseguenza che, in relazione alle rilevanti conseguenze derivanti dalla sua mancata osservanza, essa costituisce norma di stretta interpretazione.

Dalla lettura combinata dei citati articoli 63 e 69 del decreto legislativo emerge che l’inciso “ questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro ” va riferito a controversie concernenti il “ rapporto di lavoro ” e, dunque, concerne fattispecie che presuppongono instaurato tale rapporto. L’articolo 63 vi fa rientrare anche le “ controversie concernenti l’assunzione al lavoro ”.

Orbene, l’azione risarcitoria proposta dalla signora F concerne un periodo nel quale il rapporto di lavoro con l’amministrazione non risultava essere stato instaurato.

Né la stessa può essere ricondotta alla fattispecie delle “ controversie concernenti l’assunzione al lavoro ”, considerandosi che tale qualificazione può essere attribuita solo al giudizio di annullamento del rifiuto di assunzione, conclusosi con la richiamata sentenza del Consiglio di Stato del 1998, ma non certamente all’azione di risarcimento del danno, la quale non riguarda direttamente l’assunzione al lavoro, ma il ristoro dei danni patiti a seguito della illegittima determinazione dell’Amministrazione di non dar corso alla sua assunzione.

Sotto tale profilo e in un’ottica di doverosa lettura restrittiva della disposizione per le ragioni sopra esposte, deve ritenersi condivisibile l’assunto del giudice di primo grado, nella parte in cui ha affermato che non “ rileva il fatto che l’odierno ricorso è stato proposto successivamente alla data del 15 settembre 2000, perché risulta sempre decisiva, al riguardo, la circostanza che la giurisdizione sulla questione consequenziale trova la propria fonte diretta nel nuovo testo del primo periodo del terzo comma dell’articolo 7 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, che non contiene preclusioni temporali, mentre si ricollega mediatamente alla giurisdizione in materia di pubblico impiego esercitata con la pronuncia precedente. Deve, infatti, ribadirsi la necessità di interpretare restrittivamente la disposizione che prevede il termine decadenziale, fornendone una lettura conforme ai principi costituzionali relativi alla tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive dei privati ”.

Per le ragioni sopra esposte, dunque, è infondato anche il secondo motivo di appello.

Con il terzo motivo il Ministero lamenta: infondatezza della pretesa risarcitoria.

Censura la sentenza di primo grado in quanto erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto sussistente l’elemento della colpa in capo all’amministrazione.

Questa si configura solo se l’adozione dell’atto impugnato è avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede e quando essa sia connotata da gravità, mentre va esclusa quando l’indagine conduca al riconoscimento di un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.

Afferma in buona sostanza che l’illegittimità dell’atto è solo un indice presuntivo di colpa, la quale non sussisterebbe nel caso di specie, considerandosi il contrasto giurisprudenziale verificatosi tra il giudice di primo grado (che aveva rigettato il ricorso) e quello di appello (che lo aveva accolto).

La pronuncia del giudice di primo grado e la considerazione che la mancata assunzione è dipesa dall’applicazione di una normativa sopravvenuta escluderebbe, inoltre, in radice l’elemento della colpa.

Il motivo di appello non è meritevole di favorevole considerazione, dovendosi sul punto condividere la determinazione assunta dal giudice di primo grado.

Invero, la colpa dell’amministrazione nel non dar corso all’assunzione dell’appellata sussiste certamente in relazione alla omessa considerazione della circostanza, evidenziata nella citata sentenza del Consiglio di Stato n. 1315/1998, che il decreto di nomina aveva efficacia retroattiva al 20 febbraio 1993.

Trattasi di dato incontestabile, espressamente riportato nel decreto ministeriale (“a decorrere dalla data del presente decreto”, concretamente ricavabile dal telegramma di comunicazione della sua adozione del 20-2-1993 ), il quale non poteva, utilizzando l’ordinaria diligenza, essere omesso ai fini della positiva conclusione del procedimento di assunzione.

Invero, il giudice di appello ha ritenuto che “ erroneamente l’amministrazione…ha affermato che la procedura di assunzione si era perfezionata alla data (23 febbraio 1993) di ricevimento della documentazione inviata dall’interessata, dal momento che, una volta fissata , ad opera del decreto di cui trattasi, la decorrenza della nomina, la dimostrazione positiva della sussistenza dei requisiti non poteva che comportare, alla stregua dei principi generali, l’instaurazione del rapporto di impiego con effetto retroattivo. D’altra parte, atteso che il provvedimento impugnato in prime cure ha fondato il rifiuto di dar corso all’assunzione su tale erroneo assunto e che, in base ad esso, ha individuato la normativa applicabile in quella (ostativa) del sopravvenuto d.l.vo n. 29/93, il provvedimento stesso si rivela, per ciò solo, illegittimo, in quanto fa travisato richiamo al principio tempus regit actum ”.

La citata omessa considerazione della retroattività del decreto di nomina esclude, poi, che possa avere rilevanza di errore scusabile la circostanza della sopravvenuta normativa ostativa, evidenziandosi che essa risulta comunque successiva alla fissata data di decorrenza della nomina.

Né l’assenza di colpa può essere desunta dal fatto che il giudice di primo grado aveva, invece, respinto il ricorso.

Risulta, invero, in proposito pienamente condivisibile l’affermazione contenuta nella sentenza del Tribunale Amministrativo, oggetto del presente appello, secondo cui “ Appare opportuno anche evidenziare che non esclude la colpa la circostanza che il giudice di primo grado avesse dato ragione all’amministrazione, con decisione poi riformata in appello, in quanto si concluderebbe per dare rilevanza ad un fatto successivo a quello che ha generato l’illecito e, inoltre, aderendo a tale impostazione, la sussistenza della colpa sarebbe ravvisabile nelle sole ipotesi in cui il privato ottenga ragione in entrambi i gradi del giudizio, finendo così il giudizio di primo grado per essere sempre quello decisivo ai fini del risarcimento del danno, con grave compromissione del diritto di difesa (in termini Cons.St., V, 17 ottobre 2008, n. 5100;
VI, 11 maggio 2007, n. 2306;
id., 9 marzo 2007 n. 1114)
”.

Le considerazioni sopra svolte evidenziano, pertanto, l’infondatezza anche del terzo motivo di appello.

Con il quarto motivo il Ministero lamenta: erroneità del criterio di liquidazione del danno.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui non pretende la dimostrazione, a carico del privato, della prova del mancato svolgimento di qualsiasi altra attività.

Nel caso di specie non sussisterebbero i presupposti per ricorrere alla liquidazione equitativa del danno, in quanto non vi è esonero della parte dall’onere di offrire gli elementi probatori circa la sussistenza del danno stesso e i dati di fatto per consentire che l’apprezzamento equitativo sia ricondotto alla sua caratteristica di colmare le lacune ai fini di una precisa determinazione del danno.

La censura non è condivisa dal Collegio.

Si osserva, invero, che la mancata percezione di retribuzioni, da parte della signora F, durante il periodo intercorrente tra la data dell’originario decreto di nomina e l’effettiva assunzione, può dirsi comprovata agli atti del giudizio.

Va in proposito richiamata la nota prot. n. 3035 del 7 maggio del 2001, a firma del direttore della Direzione Provinciale del Lavoro di Reggio Calabria.

In essa si attesta che “la signora F Luciana è stata iscritta presso la Sezione decentrata del Lavoro di Palmi, come disoccupata, con la qualifica di impiegata dal 19-8-1991 e di dattilografa dal 18-2-1997” ed, inoltre, che “dagli atti in possesso del Servizio di collocamento obbligatorio dell’Amm.ne Provinciale di Reggio Calabria, risulta che la signora F ha chiesto ed ottenuto, in data 17-10-91, l’iscrizione, ai sensi della legge 482/68, negli elenchi provinciali degli Orfani di Caduti per Servizio, con titolo di studio di ragioniere e perito commerciale e con qualifica di Impiegata. Da detti elenchi è stata cancellata in data 24-5-99 per assunzione presso la Direzione Provinciale del Lavoro di Reggio Calabria”.

Orbene, il citato documento, risalente al 7 maggio 2001, nell’indicare l’iscrizione presso la Sezione Decentrata di Palmi come disoccupata e la cancellazione in data 24-5-99 a seguito di assunzione (nella specie, avvenuta in esecuzione del giudicato del Consiglio di Stato di cui alla sentenza sopra richiamata) costituisce prova sufficiente della circostanza che la stessa non avesse percepito retribuzioni per lo svolgimento di altra attività lavorativa per il periodo oggetto della richiesta di risarcimento del danno.

L’esistenza del danno risulta in tal modo dimostrata.

Correttamente, poi, a giudizio della Sezione, il Tribunale Amministrativo ha utilizzato lo strumento della liquidazione dello stesso in via equitativa, atteso che esso, pur in presenza di un danno dimostrato nella sua esistenza, non poteva essere provato nel suo preciso ammontare e che la misura liquidata, in percentuale inferiore a quella richiesta (corrispondente alla misura delle retribuzioni non percepite), ha correttamente tenuto conto, in sede di liquidazione, del fatto che nel predetto periodo l’appellata non aveva comunque svolto attività lavorativa in favore dell’amministrazione che avrebbe dovuto assumerla.

In conclusione, pertanto, l’appello deve essere rigettato in quanto infondato, con conseguente conferma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Quanto alle spese del grado, la Sezione ritiene, in considerazione della peculiarità della controversia e delle questioni giuridiche affrontate, che le stesse debbano essere integralmente compensate tra le parti costituite.

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