Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-06-24, n. 202004027
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Pubblicato il 24/06/2020
N. 04027/2020REG.PROV.COLL.
N. 07319/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7319 del 2019, proposto dal signor U M, rappresentato e difeso dagli avvocati S M e G C P Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G C P Z in Roma, via Emilia, n. 81;
contro
Il Ministero dell'Interno, in persona del Ministero
pro tempore
, non costituito in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 887 del 2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore - nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2020 svoltasi in video conferenza ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, d.l. n. 18 del 2020 - il consigliere Michele Conforti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Giunge alla decisione di questo Consiglio la domanda di revocazione per errore di fatto (art. 395, n. 4, c.p.c.) e per contrasto fra giudicati (art. 395, n. 5, c.p.c.) della sentenza n. 887 del 6 febbraio 2019 della Sezione Quarta di questo Consiglio di Stato.
2. Con la sentenza de qua , è stato respinto l’appello incidentale proposto dall’odierno ricorrente ed è stato accolto in parte l’appello principale proposto dal Ministero dell’Interno.
3. Per una compiuta comprensione dei fatti di causa, giova premettere che la presente vicenda origina da un provvedimento di esclusione dal concorso per agenti di Polizia di Stato, bandito con d.m. del 31 maggio 1990, subita dall’interessato per un’asserita inidoneità fisica, riscontrata dalla competente commissione medica e tempestivamente impugnata innanzi al T.A.R. competente, il quale, tuttavia, respingeva la domanda di annullamento.
4. All’esito del giudizio di impugnazione, concluso dalla sentenza n. 702 del 2011 di questo Consiglio di Stato, l’interessato è stato ammesso “ora per allora” a seguire il corso per allievi della polizia di Stato (182 corso, in data 30 marzo 2011).
La sentenza in questione, espressamente, riconosceva all’odierno ricorrente “ la stessa decorrenza giuridica delle nomine disposte per gli altri vincitori all’esito del medesimo concorso, con esclusione di ogni ulteriore conseguenza di carattere economico …”.
5. Egli, pertanto, è stato successivamente inquadrato nei relativi ruoli, con decreto del 12 ottobre 2012, che ha provveduto altresì alla ricostruzione di carriera, riconoscendogli, in ottemperanza della sentenza di questo Consiglio, il riconoscimento della sola anzianità giuridica.
Il decreto, in particolare, riconosceva l’anzianità giuridica a far data dal 23 dicembre 1994 e quella economica a far data dal 12 ottobre 2012.
6. Avverso quest’ultimo provvedimento ha proposto ricorso l’interessato, domandandone l’annullamento e domandando altresì il risarcimento del danno per l’illegittima esclusione dall’originario corso di formazione, nonché il riconoscimento dell’anzianità di servizio e la decorrenza degli assegni pensionistici dal 23 dicembre 1994, oltre al risarcimento del danno non patrimoniale da determinarsi previa consulenza tecnica d’ufficio.
6.1. Con motivi aggiunti, del 9 luglio 2014, egli ha inoltre gravato il diniego di riconoscimento dello straordinario svolto in occasione della frequenza del corso di formazione.
6.2. Con motivi aggiunti, del 14 novembre 2015, egli ha impugnato il provvedimento con cui è stato disposto il conferimento, a modifica del precedente decreto, delle qualifiche di carriera riconosciute ai soli fini giuridici, chiedendo anche il riconoscimento dell’anzianità assoluta ed il risarcimento del danno non patrimoniale e di quello patrimoniale.
6.3. Con motivi aggiunti del 29 ottobre 2015, egli ha impugnato la nota del Ministero che negava la ricostruzione previdenziale e il danno per equivalente, domandando altresì l’accertamento del diritto alla piena ricostruzione della posizione previdenziale dalla data dell’illegittima esclusione e, in subordine, il risarcimento del relativo danno.
7. In prime cure, il Tribunale amministrativo:
a) ha accolto parzialmente il ricorso principale e i motivi aggiunti del 14 novembre 2015 e, per l’effetto, ha condannato l’amministrazione al pagamento dei danni patrimoniali, respingendo l’istanza formulata per quelli non patrimoniali;
b) ha rigettato i motivi aggiunti del 9 luglio 2014;
c) ha accolto in parte i motivi aggiunti del 8 marzo 2016 e, per l’effetto, ha ordinato all’amministrazione di formulare una proposta risarcitoria, respingendoli per il resto.
8. Avverso questa sentenza, hanno proposto appello principale il Ministero e appello incidentale l’interessato.
9. Questo Consiglio ha dapprima scrutinato l’appello incidentale, rispetto al quale ha statuito:
a) il rigetto del motivo di appello concernente la pretesa dell’intera retribuzione non percepita, facendo applicazione del principio di sinallagmaticità che correla la sua percezione all’effettivo svolgimento del servizio;
b) il rigetto del motivo di appello concernente lo straordinario, evidenziando che non poteva definirsi tale la frequenza del corso di formazione e che, per poter essere pagato, lo straordinario deve essere prima essere autorizzato dall’amministrazione;
c) il rigetto della domanda di restitutio in integrum del danno previdenziale, dovendosi fare applicazione, anche in questo caso, del principio di sinallagmaticità;
d) il rigetto della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, atteso il suo difetto di prova.
9.1. Con riferimento all’appello principale, proposto dal Ministero, la sentenza ha statuito:
a) il rigetto della censura con la quale si lamentava la violazione dell’art. 30 c.p.a. e la decadenza del ricorrente dal risarcimento del danno, evidenziandosi, a tale riguardo, che il danno lamentato non si è configurato, come sostiene l’appellante, dalla sentenza di questo Consiglio del 2011, che ha annullato l’esclusione dal concorso, bensì dal provvedimento del Capo della Polizia, del 12 ottobre 2012, che ha inquadrato l’interessato nei termini sopra sintetizzati;
b) il rigetto della censura con la quale si lamentava l’erroneità delle sentenza per aver ravvisato la colpa dell’amministrazione;
c) l’accoglimento della censura con la quale si è lamentata la mancata considerazione della condotta del ricorrente, al fine di escludere o ridurre la responsabilità del Ministero.
Secondo la sentenza de qua , benché sussistano i profili di colpa ravvisati dal primo Giudice, sarebbero altresì riscontrabili profili di colpa anche in capo al privato, alla luce dei quali va diminuita la quantificazione del danno, per aver tenuto quest’ultimo una condotta “ attendista e sostanzialmente passiva ”.
L’interessato non avrebbe infatti presentato istanza cautelare per la sospensione del provvedimenti di esclusione impugnato né nel ricorso introduttivo della lite, né all’atto della riassunzione e neppure, infine, innanzi al Consiglio di Stato;inoltre, nel corso dell’intero iter giudiziario presentava soltanto due istanze di prelievo.
9.2. In ragione del parziale accoglimento dell’appello principale è stata dunque disposta la quantificazione del danno patrimoniale nella misura del 25% della retribuzione netta, in luogo del 50%, accordato dal T.A.R.
10. Con ricorso per revocazione notificato in data 2 agosto 2019, l’odierno ricorrente ha impugnato la sentenza di appello, individuando due possibili profili revocatori:
a) il primo, correlato all’art. 395 n. 4 c.p.c., per errore di fatto, costituito dal non aver considerato questo Consiglio le seguenti circostanze:
a.1) la domanda cautelare è stata proposta innanzi al T.A.R. originariamente adito ed accolta da quest’ultimo con l’ordine all’amministrazione di sottoporre nuovamente a visita l’interessato;
a.2) a seguito della declaratoria di incompetenza del T.A.R. adito, da parte di questo Consiglio, in sede di regolamento di competenza, dalla domanda introduttiva del giudizio alla riassunzione sono trascorsi 26 mesi, non imputabili alla parte;
a.3) le istanze di prelievo si sarebbero potute presentare anche dal Ministero intimato, sicché la durata del processo addebitata al privato andava in realtà ascritta anche al Ministero.
b) il secondo, correlato all’art. 395 n. 5 c.p.c., per contrasto fra la sentenza gravata e il decreto pronunciato dalla Corte di Appello di Torino, n.r.g. 52513 del 2004, del 20 dicembre 2005, con il quale si è riconosciuto l’equo indennizzo per irragionevole durata del processo all’interessato, statuendosi così l’esclusiva colpa dell’amministrazione statale nella causazione del danno occorso.
11. Il Ministero dell’Interno non si è costituito in giudizio.
12. All’udienza del 11 giugno 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.
13. Prima di esaminare la prima delle doglianze articolate dal ricorrente, giova ribadire i principi più volte espressi in materia di revocazione.
Questo Consiglio ha avuto modo di affermare che:
a) l’errore di fatto, idoneo a costituire un vizio revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., è identificabile con l’errore di percezione sull’esistenza o sul contenuto di un atto processuale, che si traduca nell’omessa pronuncia su una censura o su un’eccezione (per lo meno a far tempo da Cons. Stato, Ad. plen., 22 gennaio 1997, n. 3, ribadita da Ad. Plen., 24 gennaio 2014, n. 5;successivamente cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099;sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5347;sez. IV 28 ottobre 2013, n. 5187;6 agosto 2013, n. 4156;sez. III 29 ottobre 2012, n. 5510;sez. VI, 2 febbraio 2012, n. 587);
b) conseguentemente, non costituisce motivo di revocazione per errore di fatto la circostanza che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni proposte dalla parte a sostegno delle proprie censure (Cons. Stato, Ad. plen., 27 luglio 2016, n. 21);
c) non può giustificare la revocazione, inoltre, una contestazione sull’attività di valutazione del giudice, perché essa riguarderebbe un profilo diverso dall’erronea percezione del contenuto dell’atto processuale, in cui si sostanzia l’errore di fatto (Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2015, n. 3852;sez. V 12 maggio 2015, n. 2346;sez. III 18 settembre 2012, n. 4934);di conseguenza, il vizio revocatorio non può mai riguardare il contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono «fatti» ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. e perché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa ed interpretativa del giudice (Cass. 22 marzo 2005, n. 6198);
d) non può giustificare la revocazione, altresì, una contestazione concernente il mancato esame di un qualsivoglia documento (come, ad es., di un allegato a una relazione istruttoria) o di qualsiasi altra prova offerta dalle parti, dal momento che in casi del genere si potrebbero configurare soltanto errores in iudicando, non contemplati dall’art. 395 c.p.c. quale motivo di ricorso per revocazione (Cons. Stato, Ad. plen., 11 giugno 2001, n. 3);
e) affinché possa dirsi sussistente il vizio revocatorio contemplato dalla norma è inoltre necessario che l’errore di fatto si sia dimostrato determinante, secondo un nesso di causalità necessaria, nel senso che l’errore deve aver costituito il motivo essenziale e determinante della decisione impugnata per revocazione. È stato puntualizzato che il nesso causale non inerisce alla realtà storica, ma costituisce un nesso logico-giuridico, nel senso che la diversa soluzione della lite deve imporsi come inevitabile sul piano, appunto, della logica e del diritto, e non degli accadimenti concreti (Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2015, n. 826);la falsa percezione della realtà processuale deve dunque riguardare un punto decisivo, anche se non espressamente controverso della causa (Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099);
f) l’errore deve poi essere caduto su un punto non espressamente controverso della causa e in nessun modo deve coinvolgere l’attività valutativa svolta dal giudice circa situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività (Cons. Stato, Ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5).
14. Alla luce dei suesposti principi, quanto ai pretesi errori di fatto in cui sarebbe incorso questo Consiglio, va evidenziato quanto segue.
15. Relativamente alla mancata considerazione dell’avvenuta proposizione della tutela cautelare innanzi al Tribunale amministrativo originariamente adito, trattasi di censura inammissibile.
15.1. In primo luogo, tale profilo non può essere qualificato come “ determinante ”, nel senso poc’anzi chiarito, poiché, di per sé, la mancata considerazione della circostanza che una prima volta l’interessato ha domandato la tutela cautelare e che essa è stata concessa non elide tutte le altre argomentazioni che la motivazione sviluppa per argomentare la sussistenza di un concorso di colpa.
Si consideri, infatti, che la doglianza del Ministero è stata accolta, rimarcandosi che la tutela cautelare non sarebbe stata riproposta in tutti i successivi gradi o fasi processuali, e valorizzandosi al contempo il mancato esperimento di altri rimedi sollecitatori (quale la proposizione di istanze di prelievo anche successivamente alle due uniche depositate).
La mancata considerazione della prima istanza cautelare non potrebbe dirsi connotata di quella valenza deterministica circa il diverso esito del giudizio che i precedenti di questo Consiglio richiedono per il riconoscimento della tutela revocatoria e che invece gli assegna il ricorrente in revocatoria.
15.2. Va inoltre evidenziato a tale riguardo che l’errore di fatto rappresentato è, in realtà, anche non congruente con quanto specificamente osservato dal Giudice di appello, il quale non si è limitato a statuire che non fosse stata proposta una qualche domanda cautelare, ma ha precisamente fatto riferimento a quella tipologia di tutela cautelare che avrebbe salvaguardato appieno la posizione sostanziale dell’interessato nella vicenda in esame: l’istanza cautelare per la sospensione del provvedimento di esclusione impugnato.
15.3. In ulteriore battuta, va evidenziato che le ulteriori allegazioni volte a giustificare la mancata riproposizione della tutela cautelare indulgono in previsioni circa il loro eventuale esito negativo, prive di un effettivo riscontro e la cui attendibilità risulta dunque alquanto evanescente.
Esse sono astratte e formulano previsioni e supposizioni, senza considerare la fondamentale circostanza che ogni domanda giudiziale viene decisa in base alle concrete allegazione e prove poste a suo sostengono, sicché l’eventuale decorso di un notevole lasso di tempo dall’introduzione del giudizio (cui fa riferimento il ricorrente) costituisce fatto assiologicamente neutro rispetto alla decisione di una domanda cautelare, ben potendo le ragioni di pericolo essere sopravvenute in corso di giudizio oppure essersi aggravate o rese più stringenti proprio a causa del lungo tempo atteso dall’interessato (mentre, a fronte di una pronuncia che si profila come imminente o contenuta in tempi ragionevoli, potrebbero apparire meno fondate e non favorevolmente apprezzabili).
16. Relativamente alla mancata considerazione della circostanza che anche il Ministero dell’Interno avrebbe potuto proporre istanze di prelievo, si evidenzia che una simile allegazione non può essere dedotta quale errore di fatto, potendo, a tutto voler concedere, un errore di giudizio, in cui sarebbe incorso il giudice a quo .
Ferma restando dunque la sua inammissibilità in ragione dei principi su richiamati, il Collegio ritiene anche di non condividere una simile prospettazione, poiché l’istanza di prelievo deve essere motivata in considerazione di ragioni di urgenza che non consentano di attendere il normale decorso temporale del processo, portando, in buona sostanza, ad anteporre la causa ad altre anche più risalenti da un punto di vista cronologico.
Nel caso di specie, è d’immediata evidenza che le ragioni di urgenza si collocavano tutte in capo all’interessato, non profilandosene nessuna in capo al Ministero dell’Interno (e neppure, del resto, ne vengono dedotte).
17. Il primo motivo di ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
18. Circa il secondo motivo di revocazione, si osserva che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, non può postularsi nessun contrasto tra giudicati, non essendovi coincidenza soggettiva ed oggettiva fra le questioni trattate dalla Corte d’Appello di Torino, nell’ambito del giudizio finalizzato ad ottenere la liquidazione dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, e quelle decise dalla sentenza della quale si domanda la revocazione.
18.1. Da un punto di vista soggettivo, va rilevato come il decreto emesso dalla Corte d’Appello è stato pronunciato nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, mentre la sentenza di questo Consiglio nei confronti del Ministero dell’Interno.
18.2. Da un punto di vista del contenuto oggettivo dei due provvedimenti, va evidenziato che il thema decidendum del primo giudizio riguarda una causa volta ad ottenere il riconoscimento di un ristoro per l’eccessiva durata di un processo, mentre il giudizio a quo ha riguardato una domanda risarcitoria avente presupposti del tutto differenti.
Va evidenziato, a tale riguardo, che la fattispecie di revocazione di cui all’art. 395 n. 5 è prevista come strumento per impedire i contrasti c.d. “pratici” tra giudicati e non quelli meramente “teorici”, sicché il decisum dei due giudizi deve essere perfettamente coincidente, tanto che le sentenze devono porsi in concreta antitesi fra loro, statuendo comandi radicalmente confliggenti.
Deve sussistere, dunque, un’ontologica e strutturale concordanza tra gli estremi, su cui debba esprimersi il secondo giudizio, e gli elementi distintivi della decisione emessa per prima (Cons. Stato, Sez. IV, 24 settembre 2013, n. 4712;Cass. civ., Sez. II, 21 dicembre 2012, n. 23815), che nel caso divisato, invero, non si ravvisa affatto.
18.3. Anche il secondo motivo di revocazione va dunque dichiarato inammissibile.
19. In conclusione, la revocazione va dichiarata inammissibile.
20. Nulla sulle spese, non essendosi costituito il Ministero nel giudizio di revocazione.