Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-07-18, n. 202307052

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-07-18, n. 202307052
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202307052
Data del deposito : 18 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/07/2023

N. 07052/2023REG.PROV.COLL.

N. 04623/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4623 del 2022, proposto da
-OMISSIS- in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato G L, con domicilio eletto presso il suo studio in Aversa, Via Salvo d’Acquisto, n. 5 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Caserta, in persona del Prefetto pro tempore e il Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania – Napoli, Sezione I, -OMISSIS- resa tra le parti, non notificata ed avente ad oggetto la richiesta di annullamento dell’informativa interdittiva antimafia adottata dalla Prefettura di Napoli emessa nei confronti dell’appellante;


visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti tutti gli atti della causa;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Caserta e del Ministero dell’interno;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 luglio 2023 il consigliere Luca Di Raimondo e dato atto della presenza, ai sensi di legge, degli avvocati delle parti come da verbale dell’udienza;

Ritenuto in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Nel giudizio di primo grado definito con la sentenza oggetto del presente appello, la -OMISSIS- ha chiesto l’annullamento dell’informazione interdittiva antimafia prot Cat. -OMISSIS-/ANT/AREA1^ del -OMISSIS- con il quale la Prefettura di Napoli informava che “ nei confronti della società -OMISSIS- c.f./p.va n. -OMISSIS-, con sede in -OMISSIS-(CE), dei soggetti di cui all’art. 85 D.Lgs. 159/2011 e conviventi, sussistono, allo stato degli accertamenti, le situazioni di cui all’art. 84, comma 4 e all’art. 91, comma 6, del D.Lgs. 6/9/2011, n.° 159 ”.

Con sentenza -OMISSIS-, il Tar Napoli ha rigettato il ricorso.

2. Per la riforma della citata decisione ha proposto appello la -OMISSIS-con ricorso notificato il 25 maggio 2022 e depositato il 7 giugno successivo.

Il primo giudice, nell’alveo dei canoni ermeneutici elaborati dalla giurisprudenza in applicazione della normativa applicabile per l’esame dei provvedimenti di informativa antimafia, attestanti i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto imprenditoriale come quello per cui è causa, ha stabilito che le risultanze documentali emerse in rilievo nell’istruttoria compiuta dall’Amministrazione procedente rivelano fondati elementi su cui è basato il provvedimento gravato in prime cure , con riguardo particolare ai seguenti aspetti, da valutare secondo una visione unitaria, ritenuti ragionevolmente indicativi per supportare il provvedimento antimafia sulla scorta delle risultanze dell’attività investigativa dalle Forze di Polizia, con riferimento al marito dell’unica socia della -OMISSIS-, signor -OMISSIS-, nei cui confronti è stato accertato che:

I) in data 15.7.2019 è stato attinto dall'ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari n. 324/19, emessa il 5.7.2019 dal GIP presso il Tribunale di Napoli nell'ambito del procedimento n. 29274/10 - operazione "DOMA" - per reati ostativi ai fini antimafia;

II) in data 18.06.2020 l' A.G. procedente ha revocato la misura cautelare degli arresti domiciliari sottoponendolo al divieto di dimora nelle province di Napoli e Caserta. All'atto della notifica -OMISSIS- ha fissato la propria dimora a Perugia presso l'abitazione del cognato B L;

III) in seno al predetto procedimento penale è stato rinviato a giudizio per i reati p. e. p. dagli artt. 81 comma 2, 110, 512 bis e 416 bis comma 1 c.p. per avere agito da prestanome della famiglia -OMISSIS-, consentendo a quest'ultima l'elusione delle misure di prevenzione patrimoniale, nonché agevolando la commissione dei reati di riciclaggio o reimpiego e con l'aggravante di aver agito al fine di agevolare l'attività dell'associazione per delinquere di stampo mafioso denominata "clan dei casalesi", fazione "-OMISSIS-".

Nel rigettare il ricorso, il Tar ha richiamato, attribuendo ad esso particolare rilievo, un passaggio dell’atto impugnato, in cui l’Amministrazione procedente sottolinea la circostanza che “ i cennati rapporti di familiarità e le cointeressenze societarie evidenziate, rilevanti quali elementi indiziari e sintomatici di permeabilità a forme di condizionamento dell’attività imprenditoriale, impongono, in un’ottica di prevenzione e per le finalità del provvedimento antimafia, di valutare la sussistenza del pericolo delle infiltrazioni malavitose nella società in questione, pericolo che nella fattispecie è da ritenersi univoco, concreto ed attuale ”.

L’appellante affida il proprio gravame ad un unico motivo di censura, con il quale ripropone in chiave critica rispetto alla sentenza impugnata le doglianze svolte in primo grado, lamentando:

Errore nel giudicare della appellata sentenza. Violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 12-bis del dlgs. 30 dicembre 1992 n. 502 con succ. integr. E modif., in relazione all’art. 33, comma 1 Cost.;
difetto di istruttoria e di motivazione;
irragionevolezza, illogicità manifesta, contraddittorietà;
eccesso di potere.
”: la tesi di fondo su cui si impernia l’impugnativa fa leva sulla lamentata erroneità della sentenza, che ha attribuito valenza esclusiva e determinante al rapporto di coniugio tra la signora -OMISSIS-, socia unica della -OMISSIS-, ed il signor -OMISSIS-, colpito da provvedimenti restrittivi della libertà personale (arresti domiciliari poi sostituiti dall’obbligo di dimora) e da un decreto di rinvio a giudizio per reati volti ad agevolare le attività criminose di un potente clan camorristico, che agisce anche nel territorio casertano.

Con atto depositato il 24 giugno 2022, si sono costituiti in giudizio l’Ufficio Territoriale del Governo di Caserta e il Ministero dell’interno, che il 29 maggio 2023 hanno depositato memoria ex articolo 73 c.p.a., con cui resistono all’appello.

All’udienza del 6 luglio 2023t la causa è stata trattenuta in decisione.

3. L’appello è infondato e la sentenza impugnata deve essere confermata, potendo il Collegio prescindere dalla valutazione di possibili profili di inammissibilità del gravame perché notificato alle Amministrazioni appellate presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato e non presso l’Avvocatura Generale dello Stato ( ex multis , Consiglio di Stato, Sezione III, 21 maggio 2021, n. 3880, Sezione IV, 21 gennaio 2021, n. 651), e dalla necessità di disporre il rinnovo della notifica, a mente di quanto disposto dalla Corte Costituzionale con sentenza 9 luglio 2021, n. 148, considerata la costituzione dell’Ufficio Territoriale del Governo di Caserta e del Ministero dell’interno, che ha efficacia sanante.

Prima di esaminare i singoli mezzi di doglianza, si rende opportuno ricostruire i canoni ermeneutici entro cui si sviluppa correttamente l’esercizio del sindacato di legittimità nella materia disciplinata dal decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.

Da questo punto di vista, osserva il Collegio che la ratio della normativa è proprio quella di evitare il “rischio” di contaminazione con la criminalità organizzata, che può verificarsi anche senza la necessaria ed immediata connivenza (contiguità soggiacente) dell’operatore economico oggetto di interesse da parte delle organizzazioni malavitose (in tema, la giurisprudenza ha più volte affermato che “ la pluralità ed eterogeneità dei dati sintomatici di un pericolo di infiltrazione, anche solo in forma di contiguità c.d. soggiacente, è infatti tale, ad una valutazione congiunta degli stessi, da far ritenere non implausibile e non irragionevole la valutazione ritenuta dall’Amministrazione in relazione al complessivo quadro indiziario ”;
così, Consiglio di Stato, Sezione III, 29 dicembre 2022, n. 11600;
cfr., altresì, Consiglio di Stato, Sezione III, 15 novembre 2022, n. 10033 e 3 novembre 2022, n. 9629).

Quanto alla durata dei rapporti tra appartenenti alla impresa (soci o dipendenti) con ambienti della criminalità organizzata, il loro carattere occasionale da cui potrebbe dedursi l’illegittimità del provvedimento interdittivo può consentire, al più, alla società di essere ammessa al controllo giudiziario (Cassazione penale, VI, 16 luglio 2021, n. 27704), il cui buon esito consente “ all’impresa ad esso (volontariamente) sottoposta di continuare ad operare, nella prospettiva finale del superamento della situazione sulla cui base è stata emessa l’interdittiva. ” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 13 febbraio 2023, n. 7, che ha anche fissato i confini del rapporto tra provvedimento prefettizio e controllo giudiziario, stabilendo che questo “ sopravviene ad una situazione di condizionamento mafioso in funzione del suo superamento ed al fine di evitare la definitiva espulsione dal mercato dell’impresa permeata dalle organizzazioni malavitose” , aggiungendo che ” da un lato il rapporto di successione tra i due istituti si coglie con immediatezza laddove il condizionamento mafioso non possa ritenersi definitivamente accertato, pendente la contestazione mossa in sede giurisdizionale contro la ricostruzione dell’autorità prefettizia;
dall’altro lato la medesima vicenda successoria di istituti non è comunque impedita quando il condizionamento possa invece ritenersi accertato con effetto di giudicato, con il rigetto dell’impugnazione contro l’interdittiva.
”).

Da un concorrente angolo prospettico, la giurisprudenza ha stabilito che gli elementi posti a base dell’informativa antimafia non devono essere letti ed interpretati in una visione atomistica e parcellizzata, ma nel loro insieme, così da avere un quadro complessivo, da cui si possano inferire dati di un possibile condizionamento della libera attività concorrenziale dell’impresa (a partire da Consiglio di Stato, Sezione III, 3 maggio 2016, n. 1743, ex multis , Consiglio di Stato, Sezione III, 19 maggio 2022, n. 3973, 11 aprile 2022, n. 2712, 22 aprile 2022, n. 2985).

Specularmente, è stata più volte ribadita l’autonomia tra la sfera dell’indagine penale e quella del procedimento amministrativo che conduca ad un provvedimento interdittivo, considerata la funzione di misura preventiva e non inquisitoria del secondo.

Con argomentazioni dalle quali il Collegio non vede ragioni di discostarsi, la Sezione ha stabilito quanto segue:

3.- La costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già chiarito che il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma che implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (v., per tutte, Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758;
Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743 e la giurisprudenza successiva di questa Sezione, tutta conforme, da aversi qui per richiamata).

3.1. Lo stesso legislatore - art. 84, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 (qui in avanti, per brevità, anche codice antimafia) - riconosce quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di «eventuali tentativi» di infiltrazione mafiosa «tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate».

3.2- Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di queste ad influenzare la gestione dell’impresa sono all’evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.

3.3- Il pericolo – anche quello di infiltrazione mafiosa – è per definizione la probabilità di un evento e, cioè, l’elevata possibilità e non mera possibilità o semplice eventualità che esso si verifichi.

3.4- Il diritto amministrativo della prevenzione antimafia in questa materia non sanziona perciò fatti, penalmente rilevanti, né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica, l’infiltrazione mafiosa nell’attività imprenditoriale, e la probabilità che siffatto “evento” si realizzi. ” (Consiglio di Stato, Sezione III, 31 marzo 2023, n. 3338).

E ciò pur nella consapevolezza che “ il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, “non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che “può” – si badi: può – desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali «unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata»” (cfr. Consiglio di Stato, III, n. 6105/2019).

4. Nel caso all’esame del Collegio, oggetto del giudizio in prime cure è il provvedimento prot Cat. -OMISSIS-/ANT/AREA1^ del -OMISSIS- che, come condivisibilmente stabilito dal Tar, costituisce un atto largamente motivato, che poggia su circostanze che attestano, secondo la Prefettura di Napoli, il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’attività della società ricorrente.

La censura di fondo dell’appellante si appunta contro la parte del provvedimento impugnato in cui il Prefetto ricostruisce, attribuendo alla circostanza efficacia decisiva per la sussistenza del rischio di permeabilità della società appellante a condizionamenti da parte della criminalità organizzata, il legame di coniugio che lega la socia unica della -OMISSIS- con il signor -OMISSIS-, soggetto controindicato, perché attinto da misure cautelari personali e rinviato a giudizio nell’ambito di un procedimento penale nei confronti di pericolosi appartenenti ad un noto clan camorristico operante anche nella zona.

Secondo l’appellante, “ la Prefettura si è circoscritta, con un giudizio sessista, a rilevare che, è molto probabile che il marito nel suo ruolo di capofamiglia influenzi le decisioni della moglie, aggrappandosi ad un concetto di capofamiglia oltre che anacronistico, superato dalla normativa vigente, che non lo prevede più neanche nelle certificazioni anagrafiche – Stato di Famiglia ”, atteso che la società ricorrente non è stata interessata dalle indagini in corso, né vengono indicati elementi da cui possa risultare un suo pur latente coinvolgimento ed il marito della socia è incensurato e non ha frequentazioni o interessenze con ambienti criminali (ad eccezione di quanto contestatogli, con giudizio pendente), mentre la moglie non è mai stata collusa con ambienti della criminalità organizzata, fornendo al contrario indicazioni utili alle indagini penali (come emerge dall’allegata sentenza penale, in cui è riportata la testimonianza resa).

Ritiene il Collegio che la sentenza gravata resista alla censura, considerato che il Tar ha adeguatamente motivato in ordine alla rilevanza da attribuire nel caso di specie al rapporto parentale, al fine di inferirne profili di rischio di condizionamento da parte di ambienti malavitosi.

Secondo i primi giudici, “ emerge con notevole grado di attendibilità il pericolo di condizionamento della Società ricorrente, sulla base degli elementi che risultano adeguatamente valutati e che denotano il plausibile rischio di esposizione a contaminazione criminale dell’attività della Società ”, considerato che “ il rapporto di coniugio non può essere ritenuto privo di rilevanza, attesa l’influenza reciproca che può determinarsi nell’ambito familiare e che può plausibilmente far rinvenire il rischio di condizionamento dell’impresa dato dalla presenza, nell’ambito familiare del legale rappresentante della Società, di un soggetto che ha mostrato di prestare adesione e fattiva collaborazione all’organizzazione criminale (la quale stabilisce vincoli di appartenenza perduranti, che possono concretamente incidere sull’attività imprenditoriale del coniuge di colui che vi sia legato).

Né, ai fini di contestare la legittimità dell’atto impugnato, può attribuirsi rilevanza decisiva alla circostanza che la signora -OMISSIS-ha testimoniato in un processo per reati di camorra, atteso che, come osserva il Tar, “ l’esibita sentenza del Tribunale di -OMISSIS-- riguarda un procedimento relativo a fenomeni malavitosi relativi al controllo dell’attività di affissione pubblicitaria, senza alcun collegamento con le vicende riguardanti il marito della -OMISSIS-e in cui quest’ultima ha semplicemente assolto all’obbligo di testimoniare nel processo penale, in quanto operatrice del settore e a conoscenza di taluni fatti.

L’interdittiva prefettizia fa buon governo delle regole che disciplinano gli strumenti per combattere il rischio di contaminazioni del tessuto imprenditoriale da parte della criminalità organizzata, considerato che il codice antimafia di cui al decreto legislativo n. 159/2011 estende gli accertamenti anche ai soggetti che, sebbene non inseriti nella compagine oggetto d'indagine, risultano, ciononostante, in grado di incidere sulla sua gestione, prevedendo all’articolo 85, comma 3 che “ l'informazione antimafia deve riferirsi anche ai familiari conviventi di maggiore età dei soggetti di cui ai commi 1, 2, 2-bis, 2-ter e 2- quater ” e che, secondo quanto disposto dall’articolo 91, comma 5, “ il prefetto competente estende gli accertamenti pure ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell'impresa ”, considerato che, in ogni caso, il Prefetto può desumere tentativi di infiltrazione dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353 bis, 603 bis, 629, 640 bis, 644, 648 bis, 648 ter del codice penale, dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all'articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 ” (articolo 84, comma 4 lett. a)).

Nel caso in esame, la sussistenza di un formale rapporto di coniugio tra soggetti titolari dell'impresa e familiari con essi conviventi è pacifico ed è confermato anche dalla consultazione delle banche dati in uso all'ufficio nonché da accertamenti effettuati presso l'Agenzia delle Entrate in data 27 novembre 2020, secondo cui risultano entrambi con domicilio fiscale a -OMISSIS-

A ben vedere, i primi giudici, indipendentemente dall’esito del giudizio penale in cui sono confluite e che è tuttora in corso, hanno tratto adeguati elementi di convincimento dalle ordinanze di misure cautelari personali e dal rinvio a giudizio del marito della socia della -OMISSIS-, che hanno fornito un quadro complessivo, da valutare, come stabilito dalla giurisprudenza, in un’ottica di insieme e non parcellizzata, che restituisce l’immagine di un humus , nel quale emergono aspetti di possibili rischi di contaminazione del tessuto imprenditoriale da parte della criminalità organizzata.

In applicazione del principio tempus regit actum , al momento dell’adozione dei plurimi profili emersi dalle informazioni assunte dalle Forze di Polizia, risultavano sussistenti sufficienti dati che hanno orientato il Prefetto all’adozione dell’interdittiva, che, come è noto, non svolge funzione repressiva, ma rimanda all’esigenza di prevenire, in un’ottica di precauzione, il pericolo di permeabilità del tessuto imprenditoriale alle mire di contaminazione da parte della criminalità organizzata.

5. In conclusione, nell’ambito dell’ampia discrezionalità da cui è connotata l’attività amministrativa in materia, sindacabile in sede giurisdizionale solo per evidente violazione di legge e per macroscopica irrazionalità ( ex multis , Consiglio di Stato, Sezione III, 23 dicembre 2022, n. 11265), il Prefetto di Napoli, dunque, ha adeguatamente considerato circostanze che, nel loro insieme, avvalorano la sussistenza del rischio che l’attività svolta dalla società appellante possa essere oggetto di mire da parte di organizzazioni camorristiche operanti nella zona, adottando il provvedimento interdittivo sulla base di elementi che si fondano sulle emergenze documentali sopra indicate e, al riguardo, ritiene il Collegio che la motivazione sottesa all’atto gravato sia esaustiva e completa e che il Tribunale territoriale abbia correttamente respinto il ricorso di primo grado.

Con argomentazioni che il Collegio condivide in tema di interdittiva la Sezione ha stabilito che “ in subiecta materia, il nucleo del sindacato giurisdizionale non riposa tanto nella ricognizione, operata alla stregua della copiosa giurisprudenza che si è occupata dell’argomento, dei principi fondanti l’esercizio secundum legem del potere preventivo e dei criteri ai quali il giudice amministrativo deve ispirare la sua attività di controllo di legittimità del provvedimento sottoposto alla sua attenzione, ma nella attenta verifica che, nella fattispecie concreta e pur sullo sfondo della innegabile discrezionalità che caratterizza l’azione amministrativa di matrice preventiva, sia stata fatta corretta e coerente applicazione di quei principi, nel rispetto della loro ratio di fondo.

7.2.- Non può negarsi, invero, che l’estrema variabilità delle fattispecie esaminate, riflesso a sua volta delle molteplici forme in cui si manifesta il fenomeno mafioso ed esigente un attento sforzo – prima dell’Amministrazione, quindi del giudice - inteso a discernere le ipotesi di vero e proprio condizionamento mafioso da quelle in cui esso non è suffragato da concreti elementi probatori, nemmeno di tipo latamente presuntivo, impone all’Amministrazione – e, in sede contenziosa, al giudice, nell’esercizio del suo sindacato di legittimità – di individuare di volta in volta, e sulla base di una attività di bilanciamento e ponderazione sempre diversa nelle modalità del suo svolgimento, il punto di equilibrio tra le esigenze contrapposte che vengono in rilievo ogniqualvolta si tratti di determinare la sostanziale incapacità giuridica dell’impresa interdicenda, cui come è noto, per effetto del provvedimento interdittivo e per un periodo di tempo non determinabile nella sua durata, viene precluso l’esercizio dell’attività economica che ne costituisce la ragion d’essere, in vista della tutela di un interesse altrettanto meritevole di considerazione, come quello proteso alla salvaguardia del mercato e dei rapporti contrattuali coinvolgenti la P.A. dall’ingerenza inquinante della criminalità organizzata. ” (Consiglio di Stato, Sezione III, 23 dicembre 2022, n. 11265).

In applicazione dei principi giurisprudenziali della materia, la sentenza appellata risulta, dunque, immune dei vizi denunciati, perché adeguatamente motivata con riferimento alle circostanze rilevanti nel caso di specie (legami parentali dell’unica socia con un soggetto controindicato perché rinviato a giudizio per aver fatto da prestanome in favore di un noto clan camorristico) che denotano il pericolo di infiltrazione mafiosa.

Fermo restando quanto sopra osservato in ordine alla necessità di una valutazione complessiva, non atomistica e parcellizzata delle risultanze istruttorie, ritiene la Sezione che, nel caso di specie, la sentenza del Tar debba essere confermata, alla luce della corretta valutazione di tutti gli elementi disponibili, per come emergenti dalla documentazione versata in atti.

Avendo riguardo all’apparato motivazionale del provvedimento impugnato, se ne deduce, in conclusione, che l’Amministrazione ha svolto un’attenta e scrupolosa istruttoria, di cui ha dato conto in modo esaustivo e sufficientemente supportato in ordine all’ iter logico-giuridico seguito per la sua adozione, secondo i canoni ermeneutici sopra richiamati e che avvalorano l’impostazione generale e complessiva del provvedimento impugnato, con la conseguenza che l’appello deve essere respinto.

8. Sussistono, tuttavia, sufficienti ragioni per disporre l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

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