Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-01-17, n. 202000434
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Pubblicato il 17/01/2020
N. 00434/2020REG.PROV.COLL.
N. 03433/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3433 del 2019, proposto da
Tekneko Sistemi Ecologici S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati A G O, A P e R G O, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Ambito Raccolta Ottimale Ba/6, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato V A P, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Francesco Pappalepore in Roma, via Guglielmo Calderini, n. 68;
Comune di Noci, Comune di Locorotondo, Comune di Alberobello, Comune di Putignano, non costituiti in giudizio;
nei confronti
Monteco S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato Domenico Mastrolia, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
C.N.S. Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati Aristide Police e Fabio Cintioli, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti, n. 11;
Dusty S.r.l., Tra.De.Co. S.r.l., non costituite in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 107 del 2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ambito Raccolta Ottimale Ba/6, di Monteco S.r.l. e di C.N.S. Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa;
Viste le memorie delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2019 il Cons. Elena Quadri e uditi per le parti gli avvocati Panzarola, Pappalepore, Valla, su delega di Mastrolia, Degni, su delega di Police, e Cintioli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Tekneko Sistemi Ecologici S.r.l. propone ricorso per revocazione della sentenza di questa V sezione, indicata in epigrafe, con cui è stata confermata la legittimità della sua esclusione dalla gara per l’affidamento del servizio di igiene urbana e conseguentemente la sua carenza di legittimazione a contestare l’aggiudicazione della gara alla controinteressata.
Il ricorso per revocazione è affidato ai seguenti motivi:
I) errore di fatto ex art. 395, n. 4, c.p.c., per ritenuta inesistenza di un fatto la cui verità emergeva dagli atti di causa;
II) errore di diritto ex art. 395 c.p.c. e art. 106 c.p.a.;richiesta di rimessione alla Consulta e/o di rinvio ex art. 265 Tfue alla Corte di giustizia UE;
III) motivi di diritto inerenti la fase rescissoria: violazione art. 38 del d.lgs. n. 163/2006;violazione delle direttive europee in materia di appalti;violazione della lex specialis ;sviamento;eccesso di potere (contraddittorietà;disparità di trattamento).
Si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso l’Ambito Raccolta Ottimale Ba/6, Monteco S.r.l. e C.N.S. Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa.
All’udienza pubblica del 5 dicembre 2019 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
La ricorrente lamenta che nel caso in esame l’errore revocatorio consisterebbe nel fatto che il giudice d’appello non avrebbe investito la Corte di giustizia di una questione interpretativa dubbia, sussistendo contrasto tra Cassazione e Consiglio di Stato proprio circa la carenza di legittimazione dell’operatore economico escluso da una gara di appalto non solo (e non tanto) all’impugnazione dell’aggiudicazione alla controinteressata, quanto a vedersi esaminate le censure sollevate avverso la gara e l’aggiudicazione, censure astrattamente idonee a determinare la riedizione della gara.
Invero la Cassazione, con un’isolata pronuncia (Corte di Cassazione, SS.UU., 29 dicembre 2017, n. 31226), ha affermato che integra l’ipotesi di rifiuto di giurisdizione deducibile come motivo di impugnazione davanti a sé delle sentenze del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 111, comma 7 e 8, Cost., il caso in cui il giudice amministrativo di ultima istanza non esamini le questioni concernenti la legittimità dell’aggiudicazione, impugnate con motivi aggiunti dal ricorrente a sua volta escluso dalla gara, con provvedimento originariamente impugnato dallo stesso, ma giudicato legittimo nell’ambito del medesimo giudizio.
L´errore dedotto sarebbe quindi idoneo a fondare la domanda di revocazione.
La ricorrente chiede, in subordine alla revocazione, il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia o la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’ art. 395, comma 1, n. 4, nella parte in cui non ricomprende quale errore revocatorio la fattispecie de qua.
Il ricorso è inammissibile.
Per consolidata giurisprudenza (cfr., fra le tante, Cons. Stato, V, 30 ottobre 2015, n. 4975;IV, 21 aprile 2017, n. 1869;Ad. plen., 27 luglio 2016, n. 21), l'errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall'art. 395, n. 4), Cod. proc. civ., deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile e tale da aver indotto il giudice a supporre l’esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile;2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa;3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata;4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche;5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo.
L’errore di fatto revocatorio consiste, insomma, nel c.d. abbaglio dei sensi, e cioè nel travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista del giudice, che conduca a ritenere come inesistenti circostanze pacificamente esistenti o viceversa: la falsa percezione da parte del giudice della realtà processuale, che giustifica l’applicazione dell’art. 395 Cod. proc. civ., deve consistere in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia portato ad affermare l'esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e documenti di causa, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti e documenti medesimi risulti invece positivamente accertato.
E’ inammissibile il rimedio revocatorio in relazione ad errori non rilevabili con assoluta immediatezza, ma che richiedano, per essere apprezzati, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche, ovvero errori che non consistano in un vizio di assunzione del fatto (tale da comportare che il giudice non statuisca su quello effettivamente controverso), ma si riducano ad errori di criterio nella valutazione del fatto, di modo che la decisione non derivi dall’ignoranza di atti e documenti di causa, ma dall’erronea interpretazione di essi.
Non sussiste vizio revocatorio quando si lamenta un’asserita erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio (in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio), nonché quando una questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita (Cons. Stato, V, 20 dicembre 2018, n. 7189).
Nella fattispecie in esame non si rinvengono i ricordati elementi che connaturano gli estremi dell’errore revocatorio di fatto, atteso che, anche a prescindere dalla circostanza che Tekneko non aveva mai chiesto il rinvio alla Corte di giustizia della questione, in ogni caso il giudice ha esaminato la questione medesima, ritenendola irrilevante: non si tratterebbe pertanto di errore revocatorio ma, semmai, di errore di giudizio, che costituisce proprio un punto controverso sul quale la sentenza si è soffermata.
Infatti la sentenza di cui si chiede la revocazione ha ritenuto che: “ la Tekneko ripropone le ragioni di esclusione dalla gara del raggruppamento temporaneo aggiudicatario formato dalla Monteco e dal Consorzio Nazionale Servizi già svolte nel giudizio davanti al Tribunale amministrativo.
35. Tali censure sono inammissibili per carenza di legittimazione, una volta che nei confronti del medesimo appellante è stata accertata una causa ostativa alla partecipazione alla procedura di gara (cfr. in questi termini: Cons. Stato, Ad. plen. 7 aprile 2011, n. 4;sulla compatibilità con il diritto europeo sugli appalti pubblici, ed in particolare con la direttiva “ricorsi” n. 89/665/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989, di una regola di diritto interno che nega la legittimazione ad impugnare gli atti di procedure di affidamento ad un concorrente da essa definitivamente escluso, cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza 21 dicembre 2016, in causa C-355/15, GesmbH).
36. Non si ravvisano ragioni per superare questo orientamento della giurisprudenza nazionale, risultante conforme ai principi eurounitari.
Elementi in senso contrario non possono essere nello specifico ricavati dall’ordinanza dell’Adunanza plenaria dell’11 maggio 2018, n. 6, di rimessione alla Corte di giustizia dell’UE della questione pregiudiziale concernente i rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale “escludente”, come invece assume la Tekneko. In questa diversa fattispecie viene in rilievo la questione dell’ordine da seguire nell’esaminare i contrapposti mezzi di impugnazione degli atti di una procedura di gara in relazione all’utilità ritraibile da ciascun ricorrente, ed in particolare dal ricorrente a titolo principale, laddove entrambe le impugnazioni siano accolte e pertanto nessuno dei due conseguirebbe l’aggiudicazione, ma di quest’ultima potrebbe invece beneficiare un terzo concorrente rimasto estraneo al giudizio. Per contro, nel presente contenzioso si darebbe ingresso all’esame della legittimità del provvedimento conclusivo della gara su iniziativa di un operatore economico che non ha alcun titolo a parteciparvi e che non è dunque portatore di alcuna posizione qualificata a contestare le determinazioni ivi assunte dall’amministrazione, ma è risultato titolare di un interesse di mero fatto.
37. Sul punto va ribadito – in linea con quanto già affermato dalla citata sentenza dall’Adunanza plenaria 7 aprile 2011, n. 4 – che la legittimazione ad agire è una condizione dell’azione giurisdizionale posta su un piano logico-giuridico prioritario rispetto all’interesse ad agire ex art. 100 Cod. proc. civ., e che la verifica di quest’ultimo postula che sia positivamente superata quella concernente la prima.
Va poi specificato al medesimo riguardo, in continuità con il consolidato orientamento della giurisprudenza, che nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici l’operatore economico è titolare di un interesse giuridicamente rilevante che lo legittima a seriamente proporre l’impugnativa giurisdizionale solo se ha partecipato alla gara o da essa non è stato escluso, salve le eccezioni – qui non integrate – in cui si contesti in radice l’indizione della gara o all’opposto la mancata indizione, o infine si impugnino direttamente le clausole del bando immediatamente escludenti (in questo senso si è espressa ancora una volta l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con la sentenza 26 aprile 2018, n. 4;in precedenza, in senso conforme, la stessa Adunanza plenaria con la sentenza 25 febbraio 2014, n. 9).
38. In contrario rispetto a quanto finora osservato non induce poi la sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU., 29 dicembre 2017, n. 31226, pure richiamata dall’appellante principale (ed erroneamente indicato col numero 41226).
Quella pronuncia ha affermato che integra l’ipotesi di rifiuto di giurisdizione deducibile come motivo di impugnazione davanti a sé delle sentenze del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost., il caso in cui il giudice amministrativo di ultima istanza non esamini le questioni concernenti la legittimità dell’aggiudicazione, impugnate con motivi aggiunti dal ricorrente a sua volta escluso dalla gara, con provvedimento originariamente impugnato dallo stesso, ma giudicato legittimo nell’ambito del medesimo giudizio. Più precisamente, la sentenza ha affermato che il mancato esame delle censure riguardanti l’aggiudicazione della gara proposte dal ricorrente legittimamente escluso da essa integra il «radicale stravolgimento delle norme dell’Unione europea come interpretate dalla Corte di giustizia» - nello specifico dalle sentenze 4 luglio 2013, C-100/12, Fastweb e 5 aprile 2016, C-689/13, Puligienica - «incidente nel senso di negare alla parte l’accesso alla tutela giurisdizionale, che ridonda in rifiuto di giurisdizione», deducibile come motivo inerente a quest’ultimo presupposto
processuale ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost. poc’anzi richiamato (cfr. il § 2.6.3 delle “ragioni della decisione” della sentenza).
39. La pronuncia in questione, non vincolante in questione giudizio, non appare considerabile come un precedente in grado di orientare la presente decisione. La sentenza ha infatti affermato il principio in esame sulla base di un’applicazione evolutiva del concetto normativo dei motivi inerenti alla giurisdizione, ritenuto tuttavia dalla Corte costituzionale non conforme con la disposizione costituzionale in essa espresso.
La sentenza 18 gennaio 2018, n. 6 della Corte Costituzionale ha infatti affermato che l’eccesso di potere giurisdizionale deducibile ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost. è integrato nelle «sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento);nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici» (§ 15 della parte “in diritto”). La sentenza costituzionale ha per contro escluso che siano soggette al sindacato delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione le sentenze di questo Consiglio di Stato «“abnormi” o “anomale”», o quelle in cui si sia determinato «uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento”», perché attraverso una simile interpretazione estensiva dei motivi inerenti alla giurisdizione, per l’ineliminabile coefficiente soggettivo ad essa sotteso, viene attribuita «rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio» e si creano incertezze nella «definizione degli ambiti di competenza» (§ 16). La sentenza costituzionale ha dunque concluso affermando che «non è consentita la censura di sentenze con le quali il giudice amministrativo o contabile adotti una interpretazione di una norma processuale o sostanziale tale da impedire la piena conoscibilità del merito della domanda» (§ 17).
40. Tutto ciò precisato, una volta accertata nel caso di specie la legittimità dell’esclusione dalla gara della Tekneko, rispetto alle ulteriori determinazioni assunte dall’Ambito territoriale ottimale la concorrente in questione si trova in una posizione di assoluta indifferenza e dunque in quella del quisque de populo, che non la abilita a formulare motivi di impugnazione in sede giurisdizionale. La
situazione descritta è analoga a quella del concorrente che a tale procedura non abbia mai partecipato, in virtù dell’effetto retroattivo di tale accertamento.
41. Secondo la Corte di giustizia dell’UE una simile preclusione non è contraria al diritto eurounitario sulle procedure di affidamento di contratti pubblici ed in particolare al principio del ricorso “efficace” ed “accessibile” a chiunque abbia interesse a contestarne l’aggiudicazione, sancito dall’art. 1, paragrafi 1 e 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989 (che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori). Ciò è stato in particolare affermato nella sentenza 21 dicembre 2016, in causa C-355/15, GesmbH, sopra citata.
42. La pronuncia in questione della Corte di giustizia dell’UE ha precisato che una situazione del genere si distingue da quelle esaminate nei propri precedenti di cui alle sentenze Fastweb e Puligienica, per il fondamentale rilievo che «in tali due cause ciascuno degli offerenti contestava la regolarità dell’offerta dell’altro nell’ambito di un solo ed unico procedimento di ricorso avverso la decisione di aggiudicazione dell’appalto, ciascuno vantando un analogo legittimo interesse all’esclusione dell’altrui offerta e dette contestazioni potendo indurre l’amministrazione aggiudicatrice a constatare l’impossibilità di procedere alla selezione di un’offerta regolare», mentre in quello di cui alla sentenza GesmbH «il gruppo ha depositato un ricorso, in primo luogo, avverso la decisione di esclusione adottata nei propri confronti e, in secondo luogo, avverso la decisione di aggiudicazione dell’appalto ed è nell’ambito del secondo ricorso che esso invoca l’irregolarità dell’offerta dell’aggiudicataria» (§ 32). Sul punto la Corte di giustizia ha specificato che ai sensi del sopra citato art. 1, paragrafo 3, nonché dell’art. 2 bis della direttiva 89/665, l’esercizio di ricorsi efficaci in materia di procedure di affidamento di contratti pubblici è consentita «ad ogni partecipante
escluso», anche nei confronti della successiva aggiudicazione, «fintantoché detta contestazione è pendente» (§ 34).
43. Proprio quest’ultima condizione è mancante nel caso di specie, come in quello deciso dalla Corte di giustizia, mentre vi ricorreva nella diversa fattispecie esaminate dal giudice nazionale non solo nelle sentenze Fastweb e Puligienica, ma anche nella sentenza 10 maggio 2017, C-131/16, Archus, pure richiamata dalla Cassazione nella sentenza del 29 dicembre 2017, n. 31226, in precedenza esaminata (nella fattispecie oggetto della sentenza Archus non vi era infatti stato alcun provvedimento di esclusione divenuto definitivo).
44. Peraltro, la tesi contraria affermata dalla Corte di Cassazione conduce a configurare il giudizio di impugnazione di atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici come un’ipotesi di giurisdizione di diritto oggettivo in assenza di una base normativa. Per contro, sulla generale natura di giurisdizione di diritto soggettivo del processo amministrativo si è espressa l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con sentenza 13 aprile 2015, n. 4, che con specifico riguardo al contenzioso sui contratti pubblici ha fatto richiamo al solo potere del giudice di modulazione degli effetti della dichiarazione di inefficacia del contratto, ai sensi degli artt. 121 e 122 Cod. proc. amm., quale ipotesi specifica rientrante nei «limitati ambiti» di giurisdizione di diritto oggettivo (§ 3 della parte “in diritto”).
44. Pertanto, laddove il presente giudizio dovesse estendersi alle questioni concernenti la partecipazione alla gara del raggruppamento temporaneo aggiudicatario, formato dalla Monteco e dal Consorzio Nazionale Servizi, dedotte dalla ricorrente Tekneko, si potrebbe pervenire ad una pronuncia di accertamento di una causa di esclusione del medesimo concorrente aggiudicatario, senza che a ciò consegua alcun utile per la parte ricorrente, poiché a sua volta già esclusa dalla gara.
All’obiezione secondo cui una simile pronuncia soddisferebbe l’interesse strumentale alla rinnovazione della procedura di affidamento – in linea con l’orientamento della Corte di giustizia nella più volte citate sentenze Fastweb, Puligienica e Archus, deve tuttavia ribadirsi, per un verso, che l’interesse strumentale non sana la carenza di legittimazione ad agire in giudizio, quale condizione dell’azione avente carattere pregiudiziale rispetto alla prima, e per altro verso deve affermarsi che tale interesse può essere soddisfatto sollecitando il potere di autotutela decisoria dell’amministrazione, autonomo rispetto all’esito del presente contenzioso ”.
Emerge in definitiva che le censure dedotte da Tekneko sono state diffusamente esaminate e decise dalla sentenza di cui si chiede la revocazione e costituiscono proprio uno dei punti controversi su cui si è incentrata la decisione.
Ne segue l’inammissibilità del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.