Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-11-28, n. 201908152

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-11-28, n. 201908152
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201908152
Data del deposito : 28 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/11/2019

N. 08152/2019REG.PROV.COLL.

N. 10319/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO I

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 10319 del 2018, , proposto dal Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

la signora A D T, rappresentata e difesa dagli avvocati A P, R M e G Schettino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A P, in Roma, via di Villa Sacchetti, n. 11;

nei confronti

i signori G S, G B e F B, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Prima, 12 novembre 2018, n. 10885.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 settembre 2019 il Cons. R C e uditi per le parti gli Avvocati R M, A P e G Schettino, nonché l'Avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli;

Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellata, unitamente ad altri tre interessati, tutti di età superiore a cinquanta anni, hanno proposto azione di annullamento dinanzi al T.a.r. per il Lazio avverso il decreto del Direttore Generale del Ministero della Giustizia del 21 aprile 2016, con il quale è stato indetto il concorso per esami a 500 posti di notaio, nella parte in cui ha stabilito per la partecipazione il limite massimo di età di cinquanta anni alla data del decreto di indizione del concorso.

Con i motivi aggiunti, i ricorrenti hanno impugnato i decreti con i quali è stata disposta la loro esclusione dalle prove scritte del concorso per avere compiuto, alla data del bando, i cinquanta anni.

Il T.a.r. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Prima, con la sentenza n. 10885 del 12 novembre 2018, ha dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso proposto dagli altri tre candidati, in quanto gli stessi, ammessi in esito ad un provvedimento cautelare a sostenere le prove scritte, non hanno consegnato le dette prove, ed ha dichiarato parimenti improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso proposto dalla appellata, che ha superato sia le prove scritte che le prove orali del concorso.

Di talché, il Ministero della Giustizia ha proposto appello avverso la richiamata sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 10885 del 2018 per la sola declaratoria di improcedibilità del ricorso proposto dalla dottoressa A D T, articolando i seguenti motivi di impugnativa:

Violazione e falsa applicazione dell’art. 35 c.p.a. Illogicità manifesta della sentenza del Tar.

L’Amministrazione, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, si sarebbe limitata a prestare ottemperanza all’ordinanza n. 7820 del 2016, con la quale era stata disposta la “sospensione cautelativa del provvedimento impugnato”, ovvero il bando di concorso nella parte in cui stabiliva il limite di età di cinquanta anni ed il conseguente decreto di esclusione dal concorso.

La convocazione dell’interessata per lo svolgimento dell’esame orale, l’espletamento dello stesso e la successiva richiesta di documentazione non potrebbero configurarsi come espressione di una nuova volontà di provvedere, autonoma ed indipendente dalla mera esecuzione dell’ordinanza del Tar, in quanto non sarebbero avvenute in via di autotutela, ma in esecuzione della medesima ordinanza.

Nel solo caso in cui emerga in modo esplicito la volontà di accettare l’assetto di interessi definito nell’ordinanza cautelare, l’interesse al giudizio di merito si estinguerebbe.

Il mancato richiamo all’ordinanza cautelare non rappresenterebbe né acquiescenza né una mancanza rilevante, dal momento che l’interessata era stata ammessa in via cautelare a partecipare alle varie fasi del concorso, sicché, qualora non fosse stata convocata per la prova orale, avrebbe potuto agire in ottemperanza rispetto al contenuto dell’ordinanza stessa, senza necessità di introdurre un nuovo giudizio.

Sul piano sostanziale, in altri termini, l’adozione non spontanea dell’atto consequenziale, con cui l’Amministrazione si è limitata a dare esecuzione all’ordinanza di sospensione, non ha comportato la revoca del precedente provvedimento sospeso ed ha avuto una rilevanza provvisoria, in attesa che la sentenza di merito accertasse se il provvedimento sospeso fosse o meno legittimo.

Nel merito, l’impugnata previsione del bando, inerente al limite di età, afferirebbe ad un requisito di partecipazione al concorso di carattere oggettivo, volto a tutelare ragioni di interesse pubblico del tutto indipendenti da profili di merito in ordine alle competenze professionali del candidato;
la direttiva comunitaria n. 2000/78/CE ha lo scopo di stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni, prevedendo tuttavia all’art. 6 che “ le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima ”.

La parte appellata, in rito, ha eccepito l’inammissibilità del gravame, in quanto i motivi di appello non sarebbero correlati alle reali motivazioni della sentenza e, quindi, sarebbero privi di specificità. L’appello sarebbe inammissibile anche per la mancata riproposizione ex art. 101, comma 2, c.p.a. delle eccezioni formulate in primo grado.

La parte appellata ha poi contestato la fondatezza delle argomentazioni formulate dall’Amministrazione ed ha riproposto le domande non esaminate ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., chiedendo anche, in via subordinata, che sia rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale contenuta nella memoria.

Pertanto, l’appellata ha concluso per la reiezione dell’appello e, per l’effetto, in via principale per la conferma della sentenza impugnata, ovvero, in subordine, per l’accoglimento dei motivi di ricorso non esaminati dal giudice di prime cure e, per l’effetto, per l’annullamento dei provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e con i motivi aggiunti, ovvero, in estremo subordine, per la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea della questione pregiudiziale contenuta nella memoria difensiva.

Le parti hanno proposto ulteriori memorie a sostegno e ad illustrazione delle rispettive difese.

In particolare, la parte appellata ha rappresentato che il numero dei candidati dichiarati vincitori del concorso (419) è inferiore al numero dei posti banditi (500) e che non vi è alcun candidato collocato in graduatoria in posizione subordinata all’appellata che ha fatto richiesta della sede notarile a lei assegnata, sicché non sussisterebbero controinteressati.

All’udienza pubblica del 19 settembre 2019, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. In primo luogo, devono essere disattese le eccezioni di inammissibilità del gravame proposte dalla parte appellata.

Il Ministero della Giustizia, infatti, ha proposto specifiche censure avverso la sentenza gravata, ai sensi dell’art. 101, comma 1, c.p.a., e non è fondata la tesi dell’appellata secondo cui la prospettata mancata riproposizione delle eccezioni, ai sensi dell’art. 101, comma 2, comporterebbe l’inammissibilità dell’appello.

3. Le doglianze formulate dal Ministero della Giustizia avverso la sentenza impugnata, che ha dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso di primo grado sono fondate e vanno accolte, con conseguente riforma della medesima sentenza e con dichiarazione della sua perdurante procedibilità.

Il T.a.r. per il Lazio ha così motivato la sua decisione:

“Come emerge dalla ricostruzione in fatto ed evidenziato pure dai difensori della ricorrente nella memoria del 12 giugno 2018, l’ordinanza cautelare del 7 dicembre 2016 è stata pronunciata con riferimento alla domanda di sospensiva formulata con il ricorso per i motivi aggiunti.

La pronuncia, di conseguenza, ha spiegato effetto con riferimento al provvedimento in quella sede gravato e ha comportato la sospensione cautelativa del decreto di esclusione dalle prove scritte della ricorrente.

Ciò è confermato dallo stesso tenore della motivazione, sostanzialmente basata sulla mera condizione di periculum, senza alcuna valutazione in punto di merito (e dunque di legittimità o meno della clausola di bando).

La successiva ammissione all’orale della ricorrente, di conseguenza, non costituiva atto necessitato dall’ordinanza cautelare del Tar e la sua adozione da parte dell’amministrazione, a mezzo di apposito atto successivo, risulta espressione di una autonoma e indipendente volizione, di più ampio contenuto rispetto a quella imposta dal dictum giudiziale interinale, incompatibile con quella a suo tempo espressa a mezzo dei provvedimenti impugnati nei confronti della ricorrente.

Analoga valutazione deve essere fatta con riferimento alla successiva richiesta di documentazione, nella quale, come già nella convocazione per le prove orali, il Ministero non ha né richiamato il provvedimento cautelare del Tar né in alcun modo esplicitato la subordinazione degli effetti favorevoli comunicati all’esito favorevole alla ricorrente del giudizio di merito pendente”.

Il Collegio ritiene che il percorso logico-giuridico svolto dal T.a.r. non possa essere condiviso.

Il provvedimento cautelare è ontologicamente caratterizzato dalla strumentalità e dalla interinalità (o provvisorietà).

L’interinalità, in particolare, è la naturale provvisorietà della misura cautelare, destinata a perdere ogni effetto con la definizione del giudizio, qualunque sia la tipologia di sentenza adottata e cioè sia che si tratti di una sentenza di merito, sia che si tratti di una sentenza di cessazione della materia del contendere o di improcedibilità.

L’efficacia della pronuncia cautelare, quindi, è destinata inevitabilmente a venire meno al momento della pubblicazione della sentenza, che definisce il merito della controversia.

Peraltro, nel caso in cui l’Amministrazione, con un nuovo atto, sia pure a seguito di una pronuncia cautelare, ma non in mera esecuzione di quest’ultima, provvede nuovamente sul rapporto, può determinarsi la cessata materia del contendere, ove l’ulteriore provvedimento sia satisfattivo della pretesa azionata in giudizio, ovvero, in caso contrario, può determinarsi l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

In sostanza, se è adottato un nuovo provvedimento, espressione di una rinnovata istruttoria e basato su una nuova e diversa motivazione, si ritiene che il rapporto non sia più disciplinato dal provvedimento oggetto di impugnazione, ma dal nuovo atto, che potrà essere ancora una volta lesivo, con conseguente spostamento dell’interesse sull’eventuale impugnazione di quest’ultimo, con motivi aggiunti o con ricorso autonomo, e sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione del primo, ovvero pienamente satisfattivo dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio dal ricorrente, con conseguente cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art. 34, comma 5, c.p.a.

Diversamente, ove il nuovo atto non sia adottato sulla base di una rinnovata istruttoria e non sia basato su una nuova motivazione, ma sia posto in essere in mera esecuzione di un’ordinanza cautelare, talmente conformativa da risultare di fatto “sostitutiva” della volontà dell’amministrazione, non potrà essere dichiarata la cessata materia del contendere, non essendo riconducibile il nuovo atto alla volontà dell’amministrazione e dovranno essere esaminati i motivi di impugnativa proposti avverso i provvedimenti impugnati.

Nel caso di specie, il ricorso di primo grado è stato proposto per l’annullamento del bando di concorso, per esami, a cinquecento posti di notaio (indetto con d.d. 21 aprile 2016), nella parte in cui esso ha stabilito il limite massimo di età di cinquanta anni nonché, con i motivi aggiunti, avverso il decreto di esclusione dalle prove scritte del citato concorso.

Il decreto monocratico presidenziale del T.a.r. per il Lazio n. 7208, in data 15 novembre 2016, ha accolto l’istanza cautelare proposta dai ricorrenti con i motivi aggiunti ai sensi dell’art. 56 c.p.a. e, per l’effetto, li ha ammessi con riserva allo svolgimento delle prove scritte del concorso.

Il giudice di primo grado, con la successiva ordinanza collegiale n. 7820, in data 7 dicembre 2016, rilevata che “la situazione di periculum in mora che caratterizza la posizione della ricorrente”, ora appellata, “che ha consegnato le prove scritte, debba essere tutelata mediante concessione della sospensione cautelativa del provvedimento gravato”, ha accolto la relativa istanza cautelare e, per l’effetto, ha sospeso l’efficacia del provvedimento impugnato.

Il Collegio ritiene che la sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato non possa riguardare solo il provvedimento di esclusione dalle prove scritte, ma debba estendersi, per il nesso di pregiudizialità necessaria che lega i due atti, anche alla clausola del bando in applicazione della quale l’esclusione era stata disposta.

Infatti, la circostanza che l’istanza di tutela cautelare sia stata formulata solo con i motivi aggiunti, con i quali è stato impugnato il decreto di esclusione, e non con il ricorso introduttivo del giudizio, con cui è stata impugnata la clausola del bando sul limite massimo di età, non ha alcun rilievo ai fini in discorso, in quanto è solo con l’atto applicativo (decreto di esclusione) che si è concretizzata la lesività dell’atto presupposto (clausola del bando) ed è sorto il presupposto della tutela cautelare costituito dal periculum in mora .

Di talché, una cosa è l’ammissione con riserva alle prove scritte, disposta con il decreto monocratico presidenziale, cosa diversa è la sospensione del provvedimento gravato, disposta dal Collegio, atteso che, in questo caso, la sospensione dell’efficacia si è necessariamente estesa all’atto presupposto, in costanza del quale l’atto applicativo non si sarebbe di per sé solo potuto dichiarare inefficace.

Né, ai fini di una eventuale declaratoria di cessata materia del contendere (e non di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse) – atteso che la nuova disciplina del rapporto sarebbe pienamente satisfattiva dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio dalla parte – può assumere rilievo il fatto che la convocazione per lo svolgimento della prova orale dell’appellata, nonché la richiesta di documentazione, siano state effettuate senza specifico riferimento all’ordinanza cautelare del T.a.r., e ciò in quanto nessuna nuova istruttoria è stata compiuta e nessuna nuova motivazione è stata esternata dall’Amministrazione al fine di manifestare compiutamente la propria ipotetica determinazione di superare, in favore dell’interessata, il limite massimo di cinquanta anni stabilita dalla clausola del bando in contestazione, sicché l’Amministrazione ha agito, implicitamente ma inequivocabilmente, nell’esecuzione dell’ordinanza cautelare del T.a.r. e non di una nuova ed autonoma determinazione che, in nessun modo, risulta essersi formata.

In definitiva, sospesa, nell’interesse della ricorrente, l’efficacia della clausola del bando che precludeva alla stessa di partecipare al concorso, la concorrente, nell’esecuzione della medesima ordinanza cautelare, è stata convocata, avendo superato le prove scritte, a sostenere la prova orale e, avendo superato anche tale prova, le è stato chiesto di produrre la necessaria documentazione.

Di qui, la non condivisibilità della sentenza gravata, atteso che il ricorso di primo grado non poteva essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse ( rectius : non si sarebbe potuta dichiarare la cessazione della materia del contendere), ma avrebbe richiesto, in ragione delle richiamate caratteristiche strumentali ed interinali della pronuncia cautelare, la definizione nel merito della controversia.

4. L’appellata ha riproposto le domande non esaminate ex art. 101, comma 2, c.p.a., anche nelle forme dell’appello incidentale.

In particolare, ella ha ribadito che gli atti oggetto di gravame, nella parte in cui comportano l’esclusione dall’accesso alla professione notarile per il superamento dell’età massima di 50 anni, sarebbero:

a) incompatibili con la disciplina interna applicabile, dalla quale emergerebbe l’abrogazione della precedente normativa su tale limite di età;

b) incompatibili con le regole europee dotate di diretta efficacia, vincolanti per l’Amministrazione in ragione dei principi consolidati nella giurisprudenza costituzionale in applicazione degli artt. 11 e 117 Cost.

4.1. Con riferimento alla lett. sub a), l’interessata ha rappresentato che il principio del libero accesso alla professione notarile sarebbe derogato solo con riferimento: al numero dei notai (art. 2, comma 3, del d.P.R. n. 137 del 2012);
ai requisiti necessari per poter essere nominati notai (art. 11, comma 1, d.P.R. n. 137 del 2012). La legge n. 89 del 1913, richiamata dal d.P.R. n. 137 del 2012, pur richiedendo un’età minima, non farebbe alcun riferimento ad un’età massima per l’accesso alla professione di notaio, per cui quest’ultimo limite dovrebbe ritenersi definitivamente superato.

La prospettazione dell’appellata non può essere condivisa.

L’art. 12, comma 2, del d.P.R. n. 137 del 2012 – regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali, a norma dell’articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 – ha disposto l’abrogazione di tutte le disposizioni regolamentari e legislative incompatibili con le previsioni di cui al decreto stesso, che prevede la libertà di accesso all’esercizio delle professioni regolamentate.

Tuttavia, l’art. 2, comma 3, ultima parte, del decreto fa salva l’applicazione delle disposizioni sull’esercizio delle funzioni notarili, tra le quali, come ragionevolmente evidenziato dall’Amministrazione, possono essere ricomprese quelle che fissano il limite massimo di età di cinquanta anni per la partecipazione al concorso.

Pertanto, deve ritenersi attualmente in vigore l’art. 1, comma 3, lett. b), della legge n. 1365 del 1926 il quale, come sostituito dall’art. 13 del d.lgs. n. 166 del 2006, prevede, per l’ammissione al concorso notarile, che gli aspiranti non devono avere compiuto gli anni cinquanta alla data del bando di concorso.

D’altra parte, siffatto limite di età è stato fissato nel 2006, vale a dire ampiamente dopo l’entrata in vigore dell’art. 3, comma 6, della legge n. 127 del 1997, che ha liberalizzato la partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni.

Per altro verso, occorre rilevare come l’art. 3, comma 6, della l. n. 127 del 1997 abbia stabilito che la partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età, salvo deroghe dettate da regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell’amministrazione.

Tale principio di liberalizzazione all’accesso al pubblico impiego a prescindere dall’età, pertanto, si riferisce alla costituzione di un ordinario rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di una amministrazione pubblica e non può estendersi a fattispecie diverse, tra le quali vi è il concorso per il conferimento di posti notarile.

In conclusione, la normativa nazionale attualmente in vigore prevede, come stabilito nella clausola del bando impugnata, il limite massimo di cinquanta anni di età per partecipare al concorso notarile.

4.2. La parte appellata ha sostenuto che il limite di età imposto dal bando (impugnato con il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio), sul quale si fonda il provvedimento di esclusione (impugnato con i motivi aggiunti), viola il principio di non discriminazione in base all’età di derivazione europea, codificato all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed all’art. 10 del TFUE, e trova ulteriore specificazione nell’art. 6 della Direttiva del Consiglio 2000/78/CE del 27 novembre 2000, recepita nell’ordinamento interno dal D.Lgs. n. 216/2003.

Nel caso in esame, dall’obbligo comunitario di interpretazione conforme discenderebbe che, anche in presenza di dubbi sulla ricostruzione della normativa vigente, dovrebbe essere prescelta l’interpretazione della medesima, che consenta di considerare oramai insussistente il limite di età previsto all’art. 1 della Legge 6 agosto 1926, n. 1365, atteso che qualsiasi diversa opzione ermeneutica comporterebbe dei risultati inconciliabili con regole europee dotate di diretta efficacia.

L’appellata ha altresì specificato che, ai sensi dell’art. 6 della direttiva 2000/78/CE, una disparità di trattamento basata sull’età, per poter essere considerata compatibile con la direttiva, deve essere esplicitamente, oggettivamente e ragionevolmente giustificata da una “finalità legittima” e spetterebbe allo Stato membro che la invoca indicare di quale giustificazione si tratti e se la stessa sia proporzionata ed idonea al raggiungimento degli obiettivi che si intendono perseguire, mentre il limite di accesso alla professione notarile, qualora lo si ritenesse ancora sussistente, non troverebbe alcuna espressa giustificazione nella norma che lo prevede (L. 1365/1923) e tantomeno nelle leggi ordinamentali riguardanti altre categorie, dalle quali si riscontrerebbero invece palesi contraddizioni rispetto ad altre attività comparabili, come quella di magistrato o avvocato dello Stato, per le quali è stato da tempo abrogata ogni disposizione che prevedeva il limite di accesso in base all’età.

In via di estremo subordine, l’appellata ha chiesto che il Consiglio di Stato, in qualità di giurisdizione di ultima istanza, qualora ritenga di nutrire dubbi sulla corretta interpretazione delle regole europee invocate, rivolga alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267, par. II, TFUE.

Il Ministero della Giustizia ha analiticamente controdedotto, evidenziando, in particolare, come non sarebbe irragionevole la scelta del legislatore di porre un limite di età per la partecipazione al concorso notarile, in quanto l’immissione nei ruoli di professionisti che abbiano già raggiunto l’età stabilita dalla legge andrebbe a confliggere con l’esigenza di garantire la stabilità dell’esercizio della pubblica funzione per un lasso temporale significativo, senza gravare sull’equilibrio dei conti del sistema previdenziale del notariato, impedendo l’accesso indiscriminato di soggetti non lontani dal limite di età previsto per il collocamento a riposo.

Nell’ambito della normativa europea, ai fini in discorso, hanno rilievo:

- l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che vieta qualsiasi forma di discriminazione basata sull’età;

- l’art. 10 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, secondo cui, nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche ed azioni, l’Unione mira a combattere le discriminazioni basate sull’età;

- l’art. 6 della direttiva 2000/78CE del Consiglio del 27 novembre 2000 - che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – il quale dispone che gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione, laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tali finalità siano appropriati e necessari.

In tale contesto, come sopra si è rilevato, l’art. 1, comma 3, lett. b), della legge n. 1365 del 1926, come sostituito dall’art. 13 del d.lgs. n. 166 del 2006, prevede, in ambito nazionale, che per l’ammissione al concorso notarile i candidati non devono avere compiuto gli anni cinquanta alla data di pubblicazione del bando di concorso.

4.2.1. Il Collegio ritiene che le argomentazioni proposte dalla appellata non possano condurre alla diretta disapplicazione della norma interna, in quanto le ragioni dell’eventuale contrasto con il diritto dell’Unione non sono immediate, né sufficientemente chiare, precise ed incondizionate.

In primo luogo, la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, stabilisce all’art. 2 che essa si applica a tutti i cittadini di uno Stato membro che vogliano esercitare, come lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione regolamentata in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali (comma 1), mentre non si applica ai notai nominati con atto ufficiale della pubblica amministrazione (comma 4).

Di talché, occorre innanzitutto accertare se la disciplina di accesso all’esercizio della funzione notarile in uno Stato membro debba essere necessariamente oggetto di armonizzazione tra il diritto nazionale di quello Stato ed il diritto europeo.

Inoltre, il richiamato art. 6 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, rubricato “ giustificazione delle disparità di trattamento collegate all’età ”, stabilisce che gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

4.2.2. Tuttavia, il Collegio ritiene che sussistano dubbi sulla compatibilità dell’art. 1, comma 3, lett. b), della legge n. 1365 del 1926, come sostituito dall’art. 13 del d.lgs. n. 166 del 2006, con il diritto dell’Unione europea rilevante in tema di disparità di trattamento collegate all’età.

Infatti, si potrebbe ritenere che la disposizione del diritto interno, nell’ammettere al concorso per il conferimento dei posti notarili i soli aspiranti che non hanno compiuto cinquanta anni alla data del bando di concorso, non si basi su alcuna oggettiva e ragionevole giustificazione ispirata da una finalità legittima.

In altri termini, si potrebbe ritenere che la norma di legge dello Stato italiano ponga una discriminazione relativa all’età per il possibile conseguimento delle funzioni notarili, in assenza di una finalità legittima, comportando una disparità non consentita dalla Direttiva CE in materia.

Pertanto, il Collegio reputa necessario, ai sensi dell’art. 267, commi 2 e 3, del T.F.U.E. che sia rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale alla decisione della presente controversia, vale a dire, una volta che la Corte di Giustizia abbia accertato che la disciplina di accesso all’esercizio della funzione notarile in uno Stato membro debba essere oggetto di armonizzazione tra il diritto nazionale di quello Stato ed il diritto europeo, se l’art.21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’art. 10 TFUE e l’art. 6 della Direttiva del Consiglio 20007/8/CE del 27 novembre 2000, nella parte in cui vietano discriminazioni in base all’età nell’accesso all’occupazione, ostino a che uno Stato membro possa imporre un limite di età all’accesso alla professione di notaio.

5. In conclusione, il Collegio, non definitivamente pronunciando e riservata al definitivo ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese del doppio grado di giudizio, così provvede sull’appello in epigrafe (R.G. n. 10319 del 2018):

- accoglie il gravame proposto dal Ministero della Giustizia avverso la declaratoria di improcedibilità del ricorso proposto in primo grado e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara procedibile il ricorso proposto in primo grado;

- rigetta le censure riproposte, ex art. 101, comma 2, c.p.a., dalla parte appellata in ordine alla incompatibilità della avversata clausola del bando con la disciplina interna applicabile;

- con riferimento alle censure riproposte, ex art. 101, comma 2, c.p.a., dalla parte appellata in ordine alla incompatibilità della avversata clausola del bando con le norme europee, dispone, come da separata ordinanza, la sospensione del giudizio e la rimessione della questione pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267, commi 2 e 3, del TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nei termini innanzi esposti.

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