Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-06-20, n. 201203619
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N. 03619/2012REG.PROV.COLL.
N. 02096/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello n. 2096 del 2011, proposto da R G, rappresentato e difeso dagli avv.ti L M e G M M, ed elettivamente domiciliato presso i difensori in Roma, piazza di Pietra n. 63, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;
contro
Ministero della giustizia, in persona del ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12;
nei confronti di
F C, non costituito in giudizio;
per la riforma
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2012 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti l’avvocato G M M, in proprio e su delega di L M, e l’avvocato dello Stato Giulio Bacosi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 2096 del 2011, R G propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, n. 27743 del 22 luglio 2010 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Ministero della giustizia e F C per l'annullamento della valutazione di non idoneità delle prove scritte del ricorrente (individuato con la busta n. 857), quale risulta dal verbale n. 248 del 15 luglio 2008, della Commissione per l’esame teorico – pratico di concorso per la nomina a notaio, i cui risultati sono stati affissi nei locali del Ministero della Giustizia il giorno 9 luglio 2009, e della conseguente non ammissione del ricorrente a sostenere le prove orali del concorso a 230 posti di Notaio, bandito con decreto ministeriale del 10 luglio 2006 pubblicato su G.U. n. del 18 luglio 2006, IV s.s., n. 54;del verbale n. 7 relativo alla riunione dell’8 novembre 2007 della Commissione giudicatrice, relativo alla determinazione dei criteri di valutazione delle prove di concorso;nonché di ogni altro atto presupposto, conseguenziale, o comunque connesso, e, ove occorra, in particolare, il verbale n. 584 del 30 giugno 2009 e allegati, della Commissione esaminatrice.
A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, la parte ricorrente aveva premesso di aver preso parte alle prove scritte della selezione concorsuale precedentemente indicata, risultando non idonea ai fini dell’ammissione alle prove orali in esito alla correzione del terzo elaborato (atto inter vivos), nel quale sono state riscontrate le seguenti carenze e gravi insufficienze:
- il candidato costituisce l’acquirente T, facendogli menzionare esplicitamente la sua situazione patrimoniale coniugale (“..dichiara di essere coniugato in regime di comunione legale dei beni”), ma omette di far intervenire in atto la di lui coniuge, al fine di consentire la valida costituzione di ipoteca sull’immobile compravenduto;in parte teorica non vi è nessuna giustificazione della soluzione adottata, né alcuna altra considerazione o osservazione in relazione a detta fattispecie;
- nell’ambito dell’accollo di mutuo, il candidato fa esplicito riferimento alla natura fondiaria di tale mutuo, salvo poi prevedere che “il presente accollo interno verrà notificato al creditore signor..”, mostrando così di ignorare che, in base alla normativa in materia di credito fondiario, il creditore può essere soltanto un istituto di credito”;
- nell’ambito della delegazione di pagamento nei confronti del creditore S, quest’ultimo consente alla cancellazione dell’ipoteca iscritta a suo favore, senza che risulti avvenuto il pagamento del suo credito;
- nell’ambito della dilazione di pagamento della somma di euro 500.000,00 a cui smobilizzo vengono emessi i pagherò cambiari, manca totalmente la descrizione di questi ultimi, al fine di consentire la relativa iscrizione dell’ipoteca a garanzia, con conseguente annotazione sui titoli;la tecnica redazionale dell’atto è assai modesta e confusa;l’atto è costellato da numerose cancellature e correzioni, non accompagnate dalle dovute postille;
- la parte teorico motiva non sviluppa i temi proposti dalla traccia e si dilunga in espressioni ultronee e non pertinenti”.
Questi i dedotti motivi di doglianza:
- dalla lettura del verbale n. 7 dell’8.11.2007, contenente i criteri di correzione, risulta che i criteri per la valutazione dell’idoneità, a differenza di quelli relativi all’individuazione di nullità o gravi insufficienze, non sono affatto rigidi e precisi, risolvendosi semplicemente 1) nella “rispondenza al contenuto della traccia”, ovvero 2) nell’ “aderenza ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico vigente, nonché alle tecniche redazionali.
Per converso, - la Commissione, nell’applicazione della disposizione di cui all’art. 11, comma 7, del d.lgs n. 166/2006 (come del resto pubblicamente denunciato da uno dei membri della Commissione, sia con esposto al Ministro, sia nell’allegato al verbale n. 584 del 30 giugno 2009), non si è attenuta ad un metro di giudizio univoco e ha fatto arbitrariamente rientrare nei casi di esclusione qualunque insufficienza o inesattezza;
- il gravato verbale n. 7 dell’8 novembre 2007, va oltre a quanto previsto dal suddetto comma 7, disponendo che “analogamente il candidato sarà dichiarato non idoneo allorquando le mancanze..dovessero risultare dalla lettura del terzo elaborato”. Le norme in argomento, a dire del ricorrente, impongono alla Commissione che abbia proceduto alla correzione di tutti e tre gli elaborati di un giudizio complessivo di “idoneità” ovvero di “non idoneità”;la ratio della disposizione è quella di garantire a chi, come il dr. G, ha realizzato due eccellenti elaborati e un terzo di non pari livello (a giudizio della Commissione) la possibilità di conoscere le reali motivazioni che lo hanno escluso dalle prove orali del concorso;
- nel merito, relativamente al mancato intervento del coniuge in regime di comunione legale dei beni, all’atto di costituzione dell’ipoteca sull’immobile compravenduto, la più recente dottrina ritiene l’ipoteca comunque validamente iscritta;relativamente alla problematica della cancellazione dell’ipoteca, richiama il verbale n. 584 del 30 giugno 2009, dal quale si evince, in materia, il mutamento di orientamento della Commissione;quanto all’accollo del mutuo, il riferimento al “..signor” ben poteva essere interpretato come riferito al rappresentante della banca;l’avere specificato che la delegazione avveniva, ai sensi dell’art. 1269, era comunque rispondente alle indicazioni della traccia;nella parte teorica, il ricorrente ha trattato tutti gli argomenti richiesti.
Costituitosi il Ministero della giustizia, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R., ricostruito il quadro normativo vigente, riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, sia in relazione ai profili che in merito alla decisione assunta.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo la propria posizione.
Nel giudizio di appello, si è costituita l’Avvocatura dello Stato per il Ministero della giustizia, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
Alla pubblica udienza del 3 aprile 2012, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.
DIRITTO
1. - L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
2. - Con il primo motivo di diritto, l’appellante lamenta violazione e falsa applicazione art. 11 comma 1, 5, 6 e 7 d.les. 166/2006 in combinato disposto con gli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost.;art. 31. 241/90. Nel dettaglio, premesso come la sentenza appellata, peraltro con ampie e diffuse argomentazioni, riconosca che l'operato della Commissione sia stato viziato da una palese disparità di trattamento, la censura si attaglia sulla differente valutazione operata dal giudice di prime cure nel caso in esame, rispetto a quella di una diversa sentenza, attinente allo stesso concorso ma relativa a parti diverse. Sulla base di tale ricostruzione, viene affermato che “la disparità di trattamento è evidente” (pag. 5 dell’appello, ribadito a pag. 6).
2.1. - Il motivo è inammissibile.
Evidenzia la Sezione che la disparità di trattamento, come elemento sintomatico del vizio di eccesso di potere, è fattispecie che attiene all’atto amministrativo e non certamente agli atti del giudice, e principalmente non riguarda le sentenze, che sono rette da discipline diverse, contenute nei diversi codici di rito e che al massimo possono essere aggredite per contrasto di giudicati, fattispecie che non viene in rilievo in questo contesto, stante la diversità delle parti.
L’errata sovrapposizione di due ordini disciplinari diversi, quello del provvedimento e quello della sentenza, rende del tutto inconferenti le censure così proposte.
3. - Con il secondo motivo di diritto, viene dedotta violazione e falsa applicazione art. 3 L. 241190 per erroneità dei presupposti. In dettaglio, l’appellante evidenzia come sia del tutto destituita di fondamento la considerazione della Commissione secondo cui la parte teorica motiva non sviluppa i temi proposti dalla traccia e si dilunga in esposizioni ulteriori e non pertinenti.
3.1. - La censura non ha pregio.
In disparte ogni questione sull’ammissibilità stessa del motivo, atteso che lo stesso si limita semplicemente ad enumerare, con un mero elenco, i punti dell’elaborato dove sarebbero stati affrontati i profili considerati carenti dalla commissione esaminatrice, senza indicare le ragioni di censura della sentenza gravata, occorre invece evidenziare come il giudice di prime cure, non sconfessato dall’appello, abbia accuratamente esaminato i motivi del provvedimento impugnato.
Pur rimarcando i limiti dei poteri del giudice amministrativo, il T.A.R. del Lazio ha affrontato in dettaglio le questioni che in questa sede sono state solo accennate dall’appellante, evidenziando in più luoghi della sentenza, e principalmente al punto 4.1. relativo alle questioni in merito, la congruenza del provvedimento gravato, ed i rilievi ivi contenuti, con l’elaborato redatto.
Si tratta di considerazioni che la Sezione, anche in assenza di puntuali censure dell’appellante, non può che condividere, essendo tali insufficienze agevolmente riscontrabili dagli atti del procedimento.
4. - Con il terzo motivo di ricorso, si deduce violazione e falsa applicazione degli art. 10 e 11 del d.lgs. 166 del 2006, dell’art. 3 comma 1 della legge 241 del 1990;degli art. 11, 12 e 15 del d.P.R. 487 del 1994 e dell’art. 12, commi 4 e 16, del R.D. 1860 del 1925. Viene, infatti, evidenziato come l'attività della Commissione esaminatrice sia stata compromessa in radice dall'evidente arbitrarietà che ha contraddistinto il momento della predisposizione dei criteri, circostanza questa non disconosciuta ma anzi condivisa dal giudice di prime cure, che tuttavia non ne ha tratto le adeguate conseguenze, rigettando il ricorso contrariamente a quanto sarebbe stato dovuto.
4.1. - La doglianza va respinta.
Il giudice di prime cure, a seguito della ricostruzione del quadro normativo, ha concluso affermando come esista un reale onere della commissione di procedere alla predeterminazione dei criteri di valutazione, alla stregua di quanto previsto dal comma 2 dell’art. 11 del D.Lgs. 166/2006.
A tale incombenza si è adempiuto, da parte della commissione, nell’ambito del verbale n. 7 dell’8 novembre 2008, dove è contenuta la declaratoria dei criteri per la valutazione degli elaborati e dove si legge che:
“non si procederà alla lettura del secondo o del terzo elaborato, dichiarando non idoneo il candidato:
a) in caso di nullità, comprese quelle formali, a meno che dal complessivo esame dell’intero elaborato si evinca inequivocabilmente che tali nullità derivino da meri errori materiali;
b) nel caso in cui l’elaborato presenti una delle seguenti “gravi insufficienze” e precisamente:
- travisamento della traccia o contraddittorietà tra le soluzioni adottate o tra le soluzioni medesime e le relative motivazioni;
- gravi errori di diritto nella scelta delle soluzioni e/o nell’illustrazione delle parti teoriche;
- totale mancanza delle ragioni giustificative della soluzione adottata e/o delle argomentazioni giuridiche a supporto dei ragionamenti svolti nell’elaborato;
- gravi carenze della parte teorica anche per omessa trattazione di punti significativi della stessa;
- evidente inidoneità nell’analisi e nella risoluzione dei problemi e/o dei temi posti nella traccia;
- gravi errori di grammatica e/o di sintassi”.
Si aggiungeva inoltre, in relazione alla valutazione delle soluzioni adottate dai candidati, che:
“per ogni questione prospettata nelle singole prove”, sarebbe intervenuta “considerando prioritariamente:
- la rispondenza al contenuto della traccia;
- l’aderenza ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico vigente nonché alle tecniche redazionali”.
Da tali atti, emerge quindi un quadro complessivo di congruità tra le griglia concettuale disegnata e le previsioni normative, atteso che, in disparte l’obiter dictum del T.A.R. sulla possibilità di formulare meglio i criteri (osservazione peraltro predicabile in qualsiasi contesto, giuridico o meno), deve sempre rimarcarsi come anche il detto giudice concluda per l’inesistenza di profili di illegittimità, sulla scorta del pacifico insegnamento per cui i criteri di valutazione delle prove scritte (specie per quanto attiene i concorsi che richiedono un’elevata specializzazione) non necessitano di particolare analiticità (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. VI, 30 giugno 2011 n. 3884;nonché, in tema di concorso notarile e per l’affermazione, costante in giurisprudenza, per cui la determinazione dei criteri di valutazione delle prove concorsuali per l'accesso al notariato è frutto dell'ampia discrezionalità amministrativa, di cui è fornita la Commissione giudicatrice per lo svolgimento della propria funzione, che si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, impingendo nel merito dell'azione amministrativa, salvo che essa non sia ictu oculi inficiata da irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti, Consiglio di Stato, sez. IV, 9 dicembre 2010 n. 8656).
La censura non può quindi essere condivisa.
5. - L’appello va quindi respinto. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.