Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-10-15, n. 202006251

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-10-15, n. 202006251
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202006251
Data del deposito : 15 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/10/2020

N. 06251/2020REG.PROV.COLL.

N. 03599/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3599 del 2018, proposto dal Ministero dell'interno, in persona del Ministro in carica pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

contro

B P, rappresentato e difeso dall'avvocato L D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Puglia, Lecce, Sez. II, n. 114 del 26 gennaio 2018, concernente l’ottemperanza al decreto ingiuntivo n. 1557 del 13 luglio 2016.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor B P;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2020, il consigliere Giuseppa Carluccio, nessuno presente per le parti.


FATTO e DIRITTO

1. Il bene della vita oggetto della controversia è costituito dai benefici economici di cui alla legge n. 539 del 1950, chiesti dal signor Benito Pasquini, assistente in congedo della Polizia di Stato e titolare di pensione privilegiata, ai soli fini della riliquidazione del trattamento pensionistico.

2. Per rendere più chiare le questioni di diritto rilevanti, è opportuno premettere alcuni dati che emergono inequivocabilmente dagli atti depositati nel processo.

2.1. Il decreto del Ministero dell’interno n. 1998 del 4 dicembre 2009:

a) ha individuato il beneficio spettante sulla base della legge suddetta nella misura annuale (euro 103,60, aumentato del 18%, per euro 18,65) pari a euro 122,25;

b) ha rideterminato, aggiungendo il suddetto importo, il trattamento privilegiato di pensione spettante annualmente (pari a euro 9.745,60);

c) ha riconosciuto il beneficio con decorrenza giuridica dal 22 gennaio 1988 e con decorrenza economica del nuovo importo annuale dal 24 ottobre 1997 alla durata della vita, “ in quanto per il periodo dal 30 gennaio 1988 al 23 ottobre 1997 è intervenuta la prescrizione di cui all’art. 2, comma 2 del R.d.l. n. 295 del 1939, modificato dall’art. 2 della l. n. 428 del 1985 ”;

d) ha individuato, ai sensi del d.m. n. 352 del 1998, nel giorno 23 dicembre 2005, la data della eventuale corresponsione d’ufficio degli interessi legali o rivalutazione monetaria, da calcolarsi con riferimento all’importo differenziato tra quanto spettante per effetto dell’applicazione del nuovo trattamento economico e quanto già percepito dall’interessato.

2.2. La Corte di conti – adita nel maggio 2009 dall’interessato per il mancato riconoscimento nella pensione privilegiata dei benefici economici di cui alla l. n. 539 del 1950 – con sentenza n. 511 del 2011, confermata in appello dalla sentenza n. 212 del 2015, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in ragione dell’emanazione di tale decreto, ritenuto satisfattivo della pretesa azionata.

2.2.1. Secondo quanto risulta dalla sentenza del 2011, cit.:

<< il ricorrente, preso atto dell'intervenuto decreto del Ministero dell'Interno, con il quale veniva riconosciuto il diritto fatto valere nel presente giudizio, nella precisazione delle conclusioni, rappresentava sostanzialmente di ritenere soddisfatte le pretese ed esprimeva perplessità solo in ordine alla decorrenza della prescrizione, peraltro riconoscendo l'applicabilità della prescrizione quinquennale per i ratei arretrati.>> ;

<<
con riferimento alla decorrenza della prescrizione sui ratei arretrati, non è contestato e risulta dagli atti di causa che la domanda per il riconoscimento del diritto in questione è stata presentata solo nel 2005 e che non vi sono stati, prima di quella data, altri atti interruttivi. Pertanto, benevola, ancor più che corretta, deve ritenersi la determinazione del Ministero, che ha considerato prescritti solo i ratei arretrati maturati dal 30.1.1988 al 23.10.1997 e non anche quelli fino al 2000, ossia fino a cinque anni precedenti la domanda presentata all'Amministrazione per il riconoscimento del diritto
.

Con riferimento, poi, agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria, la determinazione del Ministero, che li riconosce spettanti a decorrere dal 23.12.2005, risulta più favorevole rispetto a quanto domandato dal ricorrente nella precisazione delle conclusioni (pag. 8), ove si richiedono -interessi e rivalutazione con decorrenza dalla data di pubblicazione del decreto medesimo (n. 1998 del 4.12.2009) fino al soddisfo" .

Atteso, pertanto, che il decreto n. 1998 del 2009 del Ministero dell'Interno si palesa pienamente satisfattivo della pretesa azionata, va dichiarata cessata la materia del contendere anche per gli esposti profili. >>.

2.3. Alla sollecitazione rivolta dall’interessato al Ministero (con nota del 5 ottobre 2011, inviata il 12 gennaio 2012) per il pagamento di quanto portato dal suddetto decreto, “ giusta sentenza n. 511 del 2011 ” della Corte dei conti, l’Amministrazione ha risposto, con nota del 20 gennaio 2012, comunicando che il decreto in argomento era stato tempestivamente trasmesso all’INPS competente per il pagamento.

2.4. In risposta ad una nuova diffida dell’interessato a provvedere al pagamento degli arretrati e degli interessi e rivalutazione riconosciuti sempre dal d.m. del 2009, il Ministero ha ribadito (nell’aprile 2016) l’avvenuto tempestivo invio del d.m. all’INPS, quale ordinatore secondario delle spesa, competente alla erogazione della pensione e alla quantificazione della somma spettante (per arretrati e interessi) e alla liquidazione.

2.5. Secondo quanto comunicato dall’INPS competente al Ministero e all’interessato (nel settembre 2016), il trattamento mensile della pensione è stato adeguato dal dicembre 2010 e sono stati corrisposti gli arretrati, maggiorati degli interessi e rivalutazione a partire dal periodo stabilito nel decreto sino al 30 novembre 2010 (per un importo pari a euro 2.113,43).

3. Nel giugno 2016, l’interessato - sulla base del titolo costituito dal suddetto decreto del Ministero dell’interno n. 1998 del 4 dicembre 2009 – ha adito il giudice del lavoro del Tribunale di Lecce.

In particolare, dal ricorso per decreto ingiuntivo emerge che l’istante - dopo aver dato conto del giudizio, incardinato innanzi alla magistratura contabile, per il riconoscimento dei benefici ai sensi della l. n. 539 del 1950 nel calcolo della pensione, e della sua conclusione con la sentenza del 2011, confermata in appello nel 2015, di dichiarazione della cessazione della materia del contendere sulla base del decreto in argomento (n.d.r. indicato con un numero errato ) sopravvenuto nel corso del giudizio – ha chiesto di ingiungere al Ministero, quale ordinatore primario della spesa, di pagare l’importo (euro 9.745,60) “ per le causali di cui ” al decreto.

A tal fine ha assunto che il d.m. in argomento riconosceva il debito per l’importo suddetto, oltre rivalutazione e interessi dal 23 dicembre 2005, e che – nonostante il decorso di moti anni - nessun emolumento era stato corrisposto, con conseguente credito vantato per tale importo.

3.1. Il giudice del lavoro ha emesso il decreto ingiuntivo n. 1557del 13 luglio 2016 ed ha condannato il Ministero dell’interno a pagare: la somma di euro 9.745,60;
gli interessi legali dalla data di maturazione del credito sino al soddisfo;
le spese processuali, liquidate in complessivi euro 550,00, oltre accessori.

3.2. Il 3 ottobre 2016 è stata dichiarata la esecutorietà del decreto ingiuntivo non opposto.

4. Ricevuta la notifica dell’atto di precetto il 14 ottobre 2016, l’Amministrazione ha proposto opposizione ex art. 618- bis c.p.c., dinanzi al giudice del lavoro di Lecce (ottobre 2016-gennaio 2017).

4.1. Rispetto a tale procedimento:

a) l’Amministrazione dà atto della fissazione della originaria udienza del 17 ottobre 2017 e del rinvio della stessa al 13 novembre 2018;

b) l’interessato deduce:

b1) l’irrilevanza della pendenza di tale giudizio, per essere stato quel precetto notificato per errore, senza il rispetto dei termini di legge per l’avvio dell’esecuzione forzata;

b2) la rituale successiva notifica del decreto ingiuntivo in forma esecutiva ( 11 novembre 2016, con ricezione dell’Amministrazione intimata il successivo 21 novembre 2016) e il nuovo rituale atto di precetto del 31 marzo 2017, ricevuto dall’Amministrazione il 21 aprile 2017;

c) l’Amministrazione conferma l’esistenza del secondo atto di precetto e la sua (ri)notificazione, rispetto alla quale in appello non ripropone il profilo del mancato rispetto del termine dei 120 giorni per il pagamento.

4.2. E’ opportuno precisare subito che, indipendentemente dall’esito del suddetto processo di esecuzione dinanzi al giudice ordinario, nel presente giudizio rileva il contenuto dell’atto di opposizione a precetto, unicamente per via del richiamo dello stesso nella memoria di costituzione dell’Amministrazione nel giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo, come risulterà chiaro nel prosieguo.

5. Nel giugno del 2017, il signor P ha proposto ricorso dinanzi al T.a.r. per l’esecuzione del giudicato discendente dal decreto ingiuntivo premettendo che il decreto ingiuntivo: - non era stato opposto;
- era dotato di formula esecutiva dal 3 ottobre 2016;
era stato (ri)notificato in forma esecutiva il 21 novembre 2016 ed era stato (ri)notificato l’atto di precetto (il 21 aprile 2017);
- vi era stato pignoramento presso terzi con dichiarazione negativa della Banca d’Italia.

5.1. Il T.a.r. di Lecce, con la sentenza n. 114 del 26 gennaio 2018, ha accolto in parte il ricorso per l’ottemperanza al giudicato, respingendo la domanda di astreintes (capo non impugnato) e compensando le spese di lite.

6. Il Ministero ha proposto appello avverso la suddetta sentenza e vi ha dato esecuzione, con riserva, mediante i mandati di pagamento dell’aprile del 2018.

6.1. L’interessato si è costituito instando per l’inammissibilità ed ha chiesto la condanna per lite temeraria.

6.2. Con ordinanza n. 130 del 2020, il Presidente della sezione, ritenutolo opportuno, ha disposto che << il Ministero appellante depositi una documentata relazione, da cui risulti se vi è stato un pagamento riguardante la pretesa originariamente fatta valere in primo grado >>.

6.3. L’Amministrazione ha tempestivamente adempiuto, depositando relazione nella quale la vicenda è sintetizzata sulla base della documentazione presente agli atti del giudizio di ottemperanza sin dal primo grado.

6.3.1. Tanto rende prive di ogni rilevanza le deduzioni dell’appellato con memoria, secondo cui la relazione esprimerebbe opinioni e motivazioni soggettive del redattore.

6.4. L’appellato ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, con la quale insiste nelle originarie conclusioni e rileva la “novità” delle motivazioni introdotte nella relazione dell’Amministrazione.

6.5. Alla camera di consiglio dell’8 ottobre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

7. Ritiene il Collegio che l’appello è solo parzialmente fondato negli stretti limiti precisati nei §§ 9 e seguenti.

8. L’appello non può essere accolto nella parte in cui ripropone, anche soffermandosi su profili diversi da quelli fatti valere dinanzi al primo giudice, le eccezione attinenti alla inesistenza -inefficacia del decreto ingiuntivo e al decreto di esecutorietà dello stesso, presupposti dell’atto di precetto (ri)notificato, sostenendo la non idoneità di tale titolo a fondare l’azione di esecuzione al titolo giudiziale.

8.1. Il T.a.r. ha accolto il ricorso per l’esecuzione del decreto ingiuntivo, correttamente rigettando, sulla base della costante giurisprudenza amministrativa e del giudice civile, le eccezioni sollevate dal Ministero in quanto coperte dall’autorità di giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo, non opposto, neanche tardivamente e non investito neppure dai rimedi straordinari ai sensi dell’art. 656 c.p.c.

In particolare, con argomentazioni che il Collegio conferma e fa proprie, il primo giudice si è soffermato: - sull’esistenza della condizione essenziale per l’ottemperanza al decreto ingiuntivo, costituita dalla dichiarazione di esecutorietà ai sensi dell’art. 647 c.p.c., che presuppone il controllo della sua rituale notificazione e sul mancato esperimento dei rimedi ordinari e straordinari;
- sulla rituale (ri)notifica del precetto con rispetto del termine di 120 giorni per il pagamento.

8.1.1. Queste ultime argomentazioni relative alla (ri)notifica del precetto non sono state, peraltro, investite dall’appello.

8.1.2. Il rigetto dell’appello su tali profili esime il Collegio dall’esame della eccezione di inammissibilità del gravame, per violazione del divieto dei nova, dedotta nella memoria di costituzione dell’appellato.

9. Per introdurre le argomentazioni a fondamento del parziale accoglimento dell’appello, è necessario soffermarsi preliminarmente sulla tecnica processuale attraverso cui il Ministero si è difeso nel primo grado di giudizio.

9.1. Il Ministero, con la memoria difensiva di costituzione, ha svolto le proprie eccezione e definito il thema decidendum del giudizio di ottemperanza, utilizzando la tecnica del rinvio ad un atto processuale di un altro processo, contestualmente allegato, e cioè al ricorso ex art. 618- bis c.p.a. avverso il primo atto di precetto proposto dinanzi al giudice del lavoro di Lecce (cfr il precedente § 4).

9.2. Il T.a.r., nell’argomentare correttamente il rigetto, ha preso in esame le eccezioni contenute nell’atto richiamato, e, precisamente, quella:

a) di nullità del precetto per inesistenza della notificazione del decreto ingiuntivo posto a fondamento;

b) di nullità del precetto per violazione del termine dilatorio di pagamento previsto dall’art. 14 del d.l. n. 669 del 1996.

9.2.1. Il T.a.r., invece, non ha preso in esame le altre eccezioni, pure contenute nell’atto suddetto richiamato e allegato, con le quali il Ministero ha eccepito:

a) la natura previdenziale della pretesa gravante sull’ente erogatore della pensione, con conseguente giurisdizione della Corte dei conti, essendo il Ministero mero ordinatore principale della spesa;

b) l’evidente travisamento del contenuto del d.m. n. 1998 del 4 dicembre 2009, attributivo del solo aumento annuo del trattamento pensionistico privilegiato, mediante individuazione nel nuovo importo annuo lordo;

c) il carattere pienamente satisfattivo del d.m. n. 1998 del 2009 rispetto alla pretesa azionata dal signor P, quale risultante dalla dichiarazione della cessazione della materia del contendere con sentenza della Corte dei conti del 2011 (confermata nel 2015, come risulta dagli atti);

d) l’estinzione del credito per essere stato corrisposto dall’INPS quanto riconosciuto dal d.m. posto a fondamento del decreto ingiuntivo.

10. Con l’appello, il Ministero – sia pure senza articolare formalmente un autonomo motivo di ricorso – nell’ incipit ha messo in rilievo:

a) che al signor P sono stati riconosciuti i benefici derivanti dalla l. n. 439 del 1950, con decorrenza dal 24 ottobre 1997, per un importo annuo lordo individuato dal d.m. del 2009, con conseguente incremento annuale della pensione in godimento da euro 9.623,35 a euro 9.745,60;

b) che l’INPS, nel settembre 2016, aveva comunicato al Ministero (n.d.r. e all’interessato) di aver adeguato la rata mensile di pensione dal mese di dicembre del 2010, e di aver corrisposto gli arretrati e gli interessi riconosciuti dal decreto in argomento;

c) che la Corte dei conti, con sentenza n. 511 del 2011, aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere, rispetto alla richiesta dei benefici azionata dal signor P per il riconoscimento degli stessi nel computo della pensione, sulla base del d.m. del 2009 sopravvenuto nel corso del giudizio;

d) che, il signor P – nonostante il d.m. del 2009 e il pagamento di quanto sulla base dello stesso dovuto – aveva chiesto al Ministero il pagamento di euro 9.745,60.

10.1. Ritiene il Collegio che l’Amministrazione abbia così riproposto, nella sostanza, le eccezioni avanzate in primo grado e ritenute implicitamente assorbite dal primo giudice, che non le ha esaminate.

10.2. Sulla base delle suddette motivazioni, risulta priva di pregio la tesi dell’appellato, sostenuta nella memoria in prossimità dell’udienza, secondo cui l’ordinanza istruttoria presidenziale avrebbe ampliato il thema decidendum ;
infatti, con tale ordinanza è stata, piuttosto, evidenziata la specificità della fattispecie ai fini della individuazione del thema probandum, ritenuto indispensabile per la decisione come stabilito dall’art. 104, comma 2, c.p.a.

11. L’esame delle eccezioni sollevate dal Ministero in primo grado – corroborate dalla documentazione in atti sin da quel grado di giudizio, che conferma il contenuto della relazione depositata in appello in esecuzione dell’ordinanza istruttoria presidenziale - conduce all’accoglimento parziale dell’appello, con conseguente illegittimità dell’ordine impartito all’Amministrazione di pagare al ricorrente le somme liquidate in suo favore dal decreto ingiuntivo nella misura di euro 9.745,60.

11.1. L’accoglimento limitato dell’appello si fonda sulle argomentazioni che seguono:

a) non è contestabile, né è specificamente contestato, che il bene della vita chiesto al Ministero e, poi, alla Corte dei conti, dal ricorrente è costituito dai benefici economici di cui alla legge n. 539 del 1950, ai fini della riliquidazione della pensione privilegiata già in godimento;

b) si tratta di beneficio che vede come ordinatore primario di spesa il Ministero e come ordinatore secondario l’istituto previdenziale che eroga la pensione (nella specie INPS);

c) dalle chiare espressioni letterali del d.m. n. 1998 del 4 dicembre 2009 risulta, senza possibilità di equivoci, che:

c1) il beneficio economico è stato riconosciuto ed è stato determinato il corrispondente aumento dell’importo annuale della pensione;

c2) il decreto indica, oltre alla maggiorazione per effetto del beneficio, anche l’importo annuo rideterminato sulla base del riconoscimento;

c3) è individuata la decorrenza giuridica ed economica del riconoscimento della maggiorazione;
è individuata la decorrenza degli interessi legali o rivalutazione;

d) la Corte di conti (con sentenza n. 511 del 2011, confermata in appello dalla sentenza n. 212 del 2015) – adita nel maggio 2009 dall’interessato per il mancato riconoscimento nella pensione privilegiata dei benefici economici di cui alla l. n. 539 del 1950, e con l’adesione dell’istante:

d1) ha ritenuto il sopravvenuto d.m. del dicembre 2009, satisfattivo della pretesa azionata anche rispetto ai periodi prescritti e alla determinazione degli interessi, argomentando solo su questi ultimi aspetti per superare la “perplessità” manifestata dalla difesa del ricorrente;

d2) ha fondato su tale accertamento la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, con conseguente passaggio in giudicato del carattere satisfattivo del d.m. in argomento e del contenuto del diritto di credito azionato;

e) invece, nel ricorso per decreto ingiuntivo del giugno 2016, l’interessato ha posto lo stesso decreto del 2009 alla base della richiesta di condanna, ma chiedendo il pagamento ( una tantum ), oltre rivalutazione e interessi, dell’importo annuale della pensione rideterminato ed individuando la fonte dell’obbligazione nel decreto quale riconoscimento di debito;
attraverso, dunque, una prospettazione fuorviante del diritto effettivamente riconosciuto dal decreto (integrante gli estremi dell’abuso dello strumento processuale azionato per conseguire due volte lo stesso bene della vita), inducendo in tal modo il giudice ad una travisamento del chiaro contenuto del titolo creditorio fondante il diritto;

f) in definitiva, il diritto di credito riconosciuto dal d.m. del 2009, sul quale nel 2015 si è formato il giudicato della Corte dei conti quale diritto pienamente satisfattorio del bene della vita chiesto dal ricorrente, è formalmente diverso da quello posto a fondamento del decreto ingiuntivo portante condanna al pagamento della cui esecuzione si discute;
infatti, il primo consiste nell’importo annuo di maggiorazione della pensione dalla decorrenza economica riconosciuta sino alla fine della vita, oltre gli arretrati e gli interessi, mentre il secondo è l’importo maggiorato della pensione spettante annualmente, quindi un mero dato contabile.

11.2. Ferma, quindi, la diversità formale del diritto di credito spettante al ricorrente, si tratta di verificare – sulla base degli atti depositati in giudizio – se lo stesso si sia estinto, con l’adempimento, da parte dell’ente ordinatore secondario di spesa.

11.2.1. Su tale aspetto è in atti la comunicazione, con nota del 1° settembre 2016, indirizzata dall’INPS competente al Ministero e all’interessato, nella quale si afferma che il trattamento mensile della pensione è stato adeguato dal dicembre 2010 e che sono stati corrisposti gli arretrati, maggiorati degli interessi e rivalutazione a partire dal periodo stabilito nel decreto sino al 30 novembre 2010 (per un importo pari a euro 2.113,43).

11.2.2. L’originario ricorrente, ed attuale appellato, non assume una posizione inequivoca sulla eccezione di estinzione per pagamento del diritto di credito riconosciuto dal d.m. del 2009, sul cui contenuto si è formato il giudicato con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere. Infatti:

a) da un lato censura come inammissibile “motivo nuovo” la considerazione del redattore della relazione ministeriale in ordine alla duplicità del pagamento:

a1) mediante la corresponsione dei ratei mensili di pensione maggiorati, a partire dal dicembre 2010, oltre che degli arretrati e degli interessi;

a2) mediante l’esecuzione della sentenza del T.a.r. gravata con il versamento dell’importo di un anno di pensione maggiorata, oltre accessori e spese di giudizio;

b) dall’altro sostiene che nella relazione si asserisce “- senza dimostrare – che in realtà la somma elargita sarebbe stata pari a euro 2.113,43 lordi e non a quella maggiore statuita in sentenza di primo grado ”. Con quest’ultima affermazione, l’appellato resta silente sulla percezione ordinaria mensile dell’importo della pensione maggiorato, si lamenta della mancata prova del pagamento degli arretrati, sembra ipotizzare un diritto – che si è visto in precedenza non sussistere – all’importo annuale contenuto nel d.m., come spettante una tantum .

11.3. Questa mancanza di certezza in ordine all’esatto adempimento – mediante corresponsione del rateo mensile maggiorato di pensione, degli arretrati della maggiorazione dalla data di spettanza, degli accessori – rende opportuno che il T.a.r. (davanti al quale prosegue il giudizio di ottemperanza di cui si tratta ), verifichi - sul presupposto di tutte le argomentazioni che hanno comportato il parziale accoglimento dell’appello ed eventualmente mediante la nomina di un commissario ad acta - se l’INPS abbia adempiuto corrispondendo al ricorrente quanto spettante sulla base del d.m. del 2009.

12. La domanda dell’appellato di risarcimento del danno per lite temeraria va rigettata, oltre che per la sua estrema genericità, per la mancanza dei presupposti, stante l’accoglimento parziale dell’appello dell’Amministrazione.

13. In conclusione, l’appello va accolto ai sensi e nei limiti di cui in motivazione ed il giudizio di ottemperanza prosegue dinanzi al primo giudice per l’accertamento disposto (§ 11.3.).

14. La reciproca soccombenza fonda la compensazione delle spese processuali del giudizio fin qui svolto (innanzi al T.a.r. ed al Consiglio di Stato), fatte salve le ulteriori determinazioni che assumerà il T.a.r. di Lecce nel prosieguo del giudizio, necessarie anche ai fini di individuare il soggetto soccombente su cui far gravare il pagamento del contributo unificato.

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