Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-06-24, n. 202004040

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-06-24, n. 202004040
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202004040
Data del deposito : 24 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/06/2020

N. 04040/2020REG.PROV.COLL.

N. 05864/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5864 del 2010, proposto dalla Società “T.F.” S.a.s. di Bernardi Luca &
C., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F L e G S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F L in Roma, via del Viminale, n. 43;

contro

il Comune di Treviso, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A C, G D P, F P e G P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F P in Roma, via Salaria, n. 280;
la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Luisa Londei, Andrea Manzi e Ezio Zanon, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) n. 560/2010, resa tra le parti, concernente una variante al Piano regolatore generale.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Treviso e della Regione Veneto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 giugno 2020 il Cons. Antonella Manzione e dati per presenti, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, i difensori delle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso iscritto al n.r.g. 5864 del 2010, la Società “T.F.” S.a.s. propone appello avverso la sentenza del T.A.R. per il Veneto, sez. I, n. 560 del 25 febbraio 2010, con la quale è stato dichiarato irricevibile il ricorso dalla stessa presentato per l'annullamento della deliberazione del Consiglio regionale n. 3262 del 23 ottobre 2003 avente ad oggetto l’approvazione, con proposta di modifiche ai sensi degli artt. 45 e 46 della L.R. 27 giugno 1985, n. 61, di una variante al Piano regolatore generale (P.R.G.) del Comune di Treviso, pubblicata sul B.U.R.V. n. 106 dell’11 novembre 2003 e depositata presso il Comune, che ne ha dato avviso mediante pubblicazione all’albo pretorio dal 20 febbraio 2004 al 5 marzo 2004. Essa lamentava proprio l’avvenuta introduzione di tali modifiche, a suo dire immotivata, con conseguente mancato accoglimento dell’osservazione al Piano presentata dalla stessa -e vagliata positivamente dal Comune- per contestare l’avvenuta scissione del proprio lotto di terreno in due zone, delle quali una classificata “D2.1 -insediamenti misti di completamento” e l’altra “D2.2 - nuovi insediamenti produttivi, con edificazione assoggettata a strumento urbanistico attuativo”, in luogo del precedente assetto unitario come “D3 -mista per la piccola industria, per l'artigianato industriale e per magazzini deposito”.

2. Il Tribunale di prime cure, recependo l’eccezione sollevata al riguardo da entrambe le amministrazioni intimate, dichiarava il ricorso irricevibile perché tardivo, in quanto portato alla notifica il 7 maggio 2004, ossia 63 giorni dopo lo spirare del termine ultimo di pubblicazione degli atti presso l’Albo del Comune di Treviso ai sensi dell’art. 124, comma 1, del T.U. approvato con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (T.U.E.L.).

3. La sentenza viene ora gravata, contestando in primo luogo la dichiarata irricevibilità, in quanto secondo la Società riveniente dall’errata applicazione del regime di pubblicità degli atti di cui all’art. 10, comma 6, della l. n. 1150/1942, riferibile esclusivamente all’approvazione finale dello strumento urbanistico adottato, non a quella “intermedia” con la quale la Regione ha apportato modifiche alle scelte attuate dal Comune con la deliberazione del 24 luglio 2002, concernente la positiva valutazione delle osservazioni della parte. In denegata ipotesi, la Società appellante ha chiesto la rimessione in termini per errore scusabile, riproponendo comunque le doglianze di cui al ricorso di primo grado, in quanto non scrutinate. In particolare, ha lamentato l’eccesso di potere compiuto dalla Regione con la scelta, priva di effettiva motivazione, di ribaltare la valutazione positiva delle osservazioni da parte del Comune, cha al contrario aveva ampiamente giustificato la propria opzione interpretativa avuto riguardo non all’interesse dei privati proponenti, ma ad un coerente ed armonico sviluppo del territorio.

4. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Treviso e la Regione Veneto con atto di stile.

Con memoria in data 29 aprile 2020 il Comune, oltre a insistere per la irricevibilità del ricorso, con conseguente reiezione sul punto dell’appello, ha preliminarmente eccepito la sopravvenuta carenza di interesse alla sua definizione. La copiosa documentazione versata in atti in data 21 aprile 2020, infatti, attesterebbe l’intervenuto mutamento dell’assetto urbanistico della zona, tale da rendere comunque inutile una positiva valutazione del ricorso. In particolare, l’avvenuta adozione del Piano di assetto del territorio (P.A.T.) e del Piano degli interventi, infatti, portano ad un regime di sostanziale inedificabilità delle aree in controversia, peraltro ancora divise in due lotti, di cui uno destinato a verde agricolo periurbano (V.A.P.).

La Regione Veneto, a sua volta con successiva memoria in controdeduzione, ha insistito piuttosto per la reiezione dell’appello anche nel merito. L’applicabilità del regime di pubblicità degli atti “finali” anche a quelli “intermedi” andrebbe desunta a contrario dalla inammissibilità che, diversamente, investirebbe il ricorso di primo grado: ove l’atto impugnato non avesse avuto una sua autonoma portata lesiva, tale da imporne un’assimilazione, anche in fase di pubblicizzazione, a quello di approvazione definitiva, non avere gravato il segmento terminale della procedura (nel caso di specie, la deliberazione della G.R. n. 2039 del 2 luglio 2004), non avrebbe potuto rimanere privo di effetti. La totale discrezionalità delle scelte della Regione, cui peraltro il Comune avrebbe potuto quanto meno formalmente contrapporsi, ne implicano comunque la sostanziale correttezza.

5. All’udienza del 9 giugno 2020 la causa è stata trattenuta in decisione con le modalità di cui all’art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18.

DIRITTO

6. Preliminarmente il Collegio ritiene di dover respingere l’eccezione di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse sollevata dal Comune di Treviso in ragione delle recenti modifiche del vigente regime urbanistico. Anche a prescindere dalla complessità definitoria dei procedimenti di modifica dell’assetto dei suoli nella zona, infatti, richiamato mediante riferimento ai nuovi atti attuativi del P.R.G., è evidente che la Società conservi interesse all’accertamento di un potenziale diritto all’utilizzo edificatorio dei propri terreni all’epoca dei fatti, stanti gli effetti che la sua eventuale indebita compressione potrebbe avere comportato medio tempore .

7. Ciò premesso, come succintamente già riferito nella parte “in fatto” della presente decisione, il T.A.R. per il Veneto ha dichiarato il ricorso di primo grado irricevibile in quanto presentato oltre i termini di decadenza previsti dalla legge, calcolando peraltro il dies a quo non dall’avvenuta pubblicazione della delibera sul B.U.R.V. (risalente addirittura all’11 novembre 2003), bensì, a totale vantaggio della parte, da quella presso l’albo del Comune di Treviso. Ciò in quanto, « poiché la Giunta Regionale ha, nella specie, introdotto ai sensi dell'art. 45 della L.R. 61 del 1985 modificazioni d'ufficio rispetto alle previsioni urbanistiche adottate, il termine per la relativa impugnazione non può decorrere, in tale evenienza, dalla pubblicazione del relativo provvedimento nel Bollettino Ufficiale della Regione, ma - a' sensi di quanto segnatamente disposto dall'art. 10 della L. 17 agosto 1942 n. 1150 - dalla scadenza del termine di pubblicazione dell'avviso di deposito degli atti relativi allo strumento medesimo presso gli uffici comunali procedente ».

Detta affermazione è contestata dalla Società appellante, in quanto, a suo dire, fa riferimento ad un regime di pubblicità degli atti previsto esclusivamente per il segmento terminale del procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici, non per l’atto intermedio ed eventuale di proposta di modificazioni rispetto al testo originariamente adottato.

Rileva dunque la Sezione che, per quanto appaia paradossale la sostanziale contestazione di un regime di pubblicità (e di conseguente conoscibilità) dell’atto più favorevole alla parte, la risoluzione della controversia, ai fini dell’odierno giudizio, dipenda dalla corretta individuazione dello stesso. Nel caso di specie, infatti, la peculiarità dell’articolato procedimento di approvazione di uno strumento urbanistico interseca quella, egualmente speciale, di pubblicizzazione delle deliberazioni degli enti territoriali, i cui contestati effetti in termini di presunzione di conoscenza o comunque conoscibilità degli atti, costituiscono l’obiettivo finale delle doglianze di parte.

8. Il Collegio rileva come l’assunto dell’appellante, pur astrattamente condivisibile in una lettura meramente formalistica, si palesi invece infondato in una logica di sistema che da un lato deve attualizzare il contenuto, ormai anacronistico per le competenze ivi declinate, del richiamato art. 10 della l. n. 1150/1942;
dall’altro valorizzi le modalità di ostensione, peraltro ultronee e aggiuntive rispetto alla pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione, di atti a contenuto comunque generale.

A differenza dunque di quanto accade per gli atti a contenuto regolamentare, per i quali si pongono problematiche di entrata in vigore assimilabili a quelle degli altri provvedimenti normativi, per le deliberazioni degli Enti territoriali in genere la fase di pubblicazione è da intendersi come un istituto di partecipazione popolare (di antichissima origine) che insieme alla necessità di apprestare un meccanismo legale di presunzione di conoscenza nei confronti dei terzi (non direttamente incisi dai provvedimenti, mentre ai destinatari l’atto va comunque notificato) è rivolto anche a rendere possibile la presentazione di osservazioni oppure opposizioni da parte di chiunque vi abbia interesse;
opposizioni che, una volta presentate, generano l’obbligo per l’organo emanante di provvedere su di esse e che dunque potrebbero condurre anche ad una modifica della deliberazione stessa prima della sua entrata in vigore (v. sul punto T.A.R. per la Calabria, 5 aprile 2012, n. 269/2012, che riconosce all’istituzione dell’Albo Pretorio « quella più lata e risalente funzione partecipativa che è insita nella pubblicità degli atti e che ha costituito uno storico antesignano del sistema che poi è stato nel tempo costruito fino ad essere consacrato nella l. 241/90: essa risponde ad una delle più antiche forme di diffusione e conoscenza legale degli atti rivolti alla collettività, che, traendo le origini dalle istituzioni romane, ha trovato ininterrotta disciplina, nell’ ordinamento nazionale, sin dall’ articolo 62 del Testo unico della legge comunale e provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, poi confluito con varie modifiche di regime nell’odierno art. 124 del Dlgs 267/2000 e che ha ricevuto nuovo vigore dall’ evoluzione della tecnologia che ne ha consentito una importante riedizione ed attualizzazione nella nuova veste dell’Albo Pretorio informatico (art. 32, L. nr. 69/2009) »). Nella prassi e nella giurisprudenza formatesi nel vigore delle normative susseguitesi, la pubblicazione all’Albo, dunque, pur costituendo fase integrativa dell’efficacia, non incide sulla validità dell’atto, ma sulla presunzione della sua conoscenza in capo ai terzi, tanto che la decorrenza dei termini dell’impugnazione dell’atto si computa, appunto, a far data dalla scadenza dei termini di pubblicazione (si veda ex multis Cons. Stato, sez. V, 4 febbraio 1998, n. 127). Ciò consente peraltro di tenere la relativa previsione distinta da quella concernente il diverso termine previsto per l’esecutività del provvedimento dall’art. 134 del medesimo T.U.E.L. (decimo giorno dall’inizio della pubblicazione oppure data di adozione nel caso di delibere dichiarate immediatamente eseguibili).

9. Nel caso di specie, dunque, oggetto di pubblicazione all’Albo è non una deliberazione del Comune medesimo, bensì un atto di modifica - rectius , più correttamente, proposta di modifica- della stessa da parte dell’Autorità preposta alla sua approvazione finale, con conseguente “avviso”, siccome previsto al fine di consentire un pieno accesso agli atti relativi a chiunque ne sia interessato.

Quand’anche, dunque, il Comune abbia provveduto in tal senso in maniera autonoma e per certi versi superflua, stante la più volte ricordata avvenuta pubblicazione della delibera, in quanto atto della Regione, nel relativo Bollettino ufficiale, trattasi di adempimento al più ultroneo, di sicuro tuzioristico, ma non per questo vietato ovvero comunque illegittimo.

E d’altro canto la circostanza, oggettiva e incontestata tra le parti, che pubblicazione ( e conseguente pubblicizzazione) ci sia stata, se da un lato ha comportato una sostanziale rimessione in termini delle parti, già rese edotte dei contenuti potenzialmente lesivi del provvedimento dalla sua pubblicizzazione nelle forme legali tipiche dello stesso, dall’altro non può, in assenza di specifiche allegazioni al riguardo, risolversi in un fatto neutro ai fini della sua conoscibilità da parte degli interessati. Rimessione in termini ampiamente condivisibile nella peculiare complessità del procedimento di approvazione di uno strumento urbanistico, che ove subisca una sorta di -legittima- battuta di arresto intermedia correlata alle controproposte regionali rispetto all’originario assetto comunale, non può non implicare anche una fase di ostensione mirata alla comunità territoriale di riferimento, benché in effetti neppure formalmente prevista. Procedimento che, ricorda ancora la Sezione, a livello nazionale risulta ancora disciplinato dalla cd. legge urbanistica fondamentale n. 1150/1942, invocata in parte qua dalla Società appellante, che purtuttavia ha riguardo all’atto di approvazione finale in termini di decreto ministeriale, imponendo addirittura il coinvolgimento di due dicasteri laddove vengano ipotizzate modifiche a tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici. E tuttavia la prevista pubblicazione “nel primo giorno festivo” della deliberazione contenente le controdeduzioni del Consiglio comunale alle proposte di modifica, pur non concretizzandosi nell’avviso di deposito vero e proprio, già attesta la riconosciuta necessità di valorizzare la pubblicizzazione anche a livello locale delle scelte, benché intermedie, destinate ad incidere sull’assetto finale del proprio territorio. “Controdeduzioni”, peraltro, neppure adottate dal Comune di Treviso, che si è pertanto rivelato acquiescente alle scelte regionali, in una fase in cui le stesse non erano ancora affatto definitive, diversamente da quanto sarebbe dovuto conseguire alle proprie ribadite convinzioni di senso opposto, siccome sostenuto dall’appellante.

Infine e per completezza la Sezione rileva ancora come, a parte contestare genericamente gli effetti dell’avvenuta pubblicazione all’Albo comunale, la Società non ha né documentato, né quanto meno declinato le ipotetiche ragioni di un ritardo nella conoscenza dell’atto, tale da giustificare la tardività del gravame proposto. Quanto detto neppure in termini di necessità di un approfondimento contenutistico possibile solo con l’accesso agli atti che l’avviso di deposito avrebbe comunque l’effetto di stimolare, stante che non è traccia in atti dell’avvenuto avvalimento di tale istituto, anche in termini di mera formulazione dell’istanza, nonché degli effetti della stessa sulla tempistica del procedimento.

10. Le considerazioni che precedono sono sufficienti ad escludere anche il richiesto beneficio della rimessione in termini per errore scusabile ex art. 37, comma 1, c.p.a.: a prescindere, infatti, dai profili di inammissibilità della relativa istanza, proposta per la prima volta nell’odierno grado di giudizio, per pacifico indirizzo giurisprudenziale, l’istituto invocato riveste carattere eccezionale, risolvendosi in una deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini processuali, stabiliti dal legislatore per ragioni di interesse generale, ed è soggetto a regole di stretta interpretazione;
sicché, i presupposti per la concessione dell’errore scusabile sono individuabili esclusivamente nella oscurità del quadro normativo, nelle oscillazioni della giurisprudenza, in comportamenti ambigui dell’amministrazione, nell’ordine del giudice di compiere un determinato adempimento processuale in violazione dei termini effettivamente previsti dalla legge, nel caso fortuito e nella forza maggiore. Circostanze tutte non ravvisabili nel caso di specie.

11. Quand’anche, tuttavia, quanto detto non fosse sufficiente a respingere l’appello, confermando le statuizioni di rito della sentenza impugnata, il Collegio ne ritiene provata, in termini assorbenti, anche l’infondatezza, con conseguente reiezione del ricorso di primo grado nel merito.

12. L’avvenuta introduzione da parte della Regione, quale autorità investita del potere di approvazione della variante al P.R.G., di modifiche, nei limiti consentiti dalla legge, di quanto ex ante adottato ad opera della competente Amministrazione comunale, non muta, rileva il Collegio, la strutturale unitarietà del (pur complesso ed articolato) procedimento teso alla sua emanazione. L’atto di approvazione è infatti espressione, tipica di procedimenti complessi, di un potere di controllo esteso, con varie declinazioni, al merito, di una previa delibazione provvedimentale di altra Autorità: tant’è che ove questa venga in seguito annullata con effetto ex tunc , l’atto approvativo perde ab imis la propria ragione d’essere. Ciò consente peraltro di pretermettere l’implicita eccezione di inammissibilità del ricorso in quanto avente ad oggetto un atto intermedio, e non quello finale di approvazione, sollevata dalla Regione Veneto al solo scopo di avallare la declaratoria di irricevibilità dello stesso. Costituisce infatti principio consolidato nella giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, dalle cui risultanze non è motivo di discostarsi, quello in forza del quale l’annullamento della delibera di adozione del piano regolatore può addirittura esplicare effetti automaticamente caducanti, e non meramente vizianti, sul successivo provvedimento di approvazione, quanto meno nel caso in cui quest’ultimo si limiti a confermare le previsioni già contenute nel piano adottato (sul punto v. ex multis Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 2019, n. 1225; id. , 14 luglio 2014, n. 3654). Il che non può non valere a maggior ragione laddove l’atto immediatamente lesivo sia stato ravvisato in quello intermedio con cui la Regione ha di fatto respinto l’osservazione della parte, con ciò vanificandone le ipotetiche aspettative ad un miglioramento del regime della edificabilità del proprio suolo.

13. Il potere di pianificazione territoriale, correlato ad un concetto di urbanistica che non è limitato alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (relativamente ai tipi di edilizia, distinti per finalità), ma volto a perseguire obiettivi economico- sociali della comunità locale, è declinato su diversi piani territoriali per la necessità che ne venga garantito un armonico rapporto con gli analoghi interessi di altre comunità territoriali. In particolare, quindi, il concetto di urbanistica non è strumentale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in relazione alle diverse tipologie di edificazione, ma è volto funzionalmente alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente tutelati (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. II, 23 marzo 2020, n. 2012).

In tale contesto, il sindacato giurisdizionale di legittimità sugli atti di pianificazione urbanistica non può, per costante orientamento della giurisprudenza, estendersi alle valutazioni di merito, salvo che risultino inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti e aspettative qualificate (cfr. ex multis , Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2020, n. 751; id ., 2 settembre 2019, n. 6050;
5 marzo 2013, n. 1323). Il disegno urbanistico espresso da uno strumento di pianificazione generale costituisce infatti una estrinsecazione del potere pianificatorio connotato da ampia discrezionalità, che rispecchia non soltanto scelte strettamente inerenti all'organizzazione edilizia del territorio, bensì afferenti anche al più vasto e comprensivo quadro delle possibili opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico (cfr. ancora Cons. Stato, sez. IV, 25 giugno 2019, n. 4343).

14. Nel caso di specie la presunta irrazionalità della scelta si sarebbe concretizzata nella mancata valutazione positiva della proposta della parte, di fatto ribaltando il diverso giudizio datone dal Comune di Treviso, pur senza tradurlo in una effettiva modifica del regime urbanistico adottato. Mentre infatti il Comune avrebbe diffusamente esplicitato le ragioni della propria valutazione favorevole affermando che “l’osservazione, basata su una puntuale analisi dei luoghi e della situazione proprietaria, contribuisce ad una più razionale zonizzazione che consente una più agevole attuazione del P.L. Castellana 3”, così da ritenere “tecnicamente accettabile la riperimetrazione del D2.2 P.L. Castellana 3 e la riclassificazione dell'area in sottozona D2.1”;
la Regione invece si sarebbe limitata ad affermare di non condividere le modifiche proposte.

14. La L.R. del Veneto 27 giugno 1985, n.61 ha espressamente riservato alla Regione la possibilità di modificare lo strumento urbanistico adottato dal Comune, distinguendo i casi in cui ciò può avvenire d’ufficio (art. 45), tra i quali rientra l’ipotesi di accoglimento delle osservazioni presentate durante l’ iter di adozione che abbiano ottenuto il parere favorevole del Comune;
da quelli nei quali invece esse assumono la veste di “proposte”, cui il Comune può opporsi secondo le scansioni procedurali indicate dalla normativa medesima (art. 46).

Nel caso di specie, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure, pare incontestato tra le parti che si versi in tale seconda ipotesi, avendo la Società incentrato la propria tesi difensiva sulla sostanziale natura intermedia del provvedimento adottato, tale cioè da sottrarlo al regime di pubblicizzazione dei provvedimenti previsto per quelli finali dall’art. 10 della l. n. 1150/1942.

Se così è, non solo non si poneva a carico della Regione alcun particolare onere motivazionale aggiuntivo, ma l’asserito insanabile contrasto con gli interessi pubblici sottesi alla scelta del Comune avrebbero potuto - rectius , dovuto- essere difesi ad oltranza dallo stesso, contrapponendosi nei modi previsti dalla legge alle diverse ed irrazionali scelte della Regione. Il che, per contro, non è avvenuto, avendo con ciò l’Ente territoriale mostrato condivisione, piuttosto che acquiescenza, rispetto alla diversa scelta suggeritagli. Il parere del dirigente responsabile della struttura regionale anche “sulla pertinenza delle osservazioni accolte” (art. 50, comma 12, della richiamata L.R. n. 61/1985), ove non condiviso dal Consiglio comunale, avrebbe infatti potuto essere “opposto” alla Giunta regionale cui è rimessa la decisione finale, in termini di approvazione o restituzione della variante. Il che non è avvenuto nel caso di specie.

Ma vi è di più: nella vicenda in controversia la Regione non ha apportato una vera e propria modifica all’atto adottato dal Comune, bensì ne ha suggerito la conferma nella stesura deliberata, senza recepire l’osservazione della parte, pur valutata favorevolmente. Delle due possibili modalità operative contenute nell’art. 70 della ridetta L.R. n. 61/1985, rubricato “Osservazioni e opposizioni” -il recepimento nello strumento urbanistico, modificandolo e conseguentemente sottoponendolo in parte qua a successiva pubblicazione, ovvero il solo vaglio positivo dell’osservazione- il Comune di Treviso ha infatti optato per quest’ultima, con ciò di fatto rimettendo la valutazione finale sulla propria delibazione favorevole alla Regione, che, al contrario, non ha inteso avallarne le conclusioni.

In sintesi, ferma restando l’ampia discrezionalità della Regione nel (ri)valutare le osservazioni delle parti, nel caso di specie neppure il Comune, che secondo la Società appellante avrebbe addirittura riconosciuto l’erroneità della propria scelta, ha agito in maniera coerente con tale asserita consapevolezza, di fatto essendosi limitato ad un giudizio positivo, poi non tradotto in alcuna “difesa” dello stesso utilizzando gli appositi passaggi procedurali previsti allo scopo dalla normativa regionale.

15. Ciò che la parte vorrebbe far discendere dall’avvenuta valutazione positiva della propria osservazione è una sorta di inaccettabile autovincolo per l’Amministrazione procedente ad attenersi essa stessa non alle opzioni effettuate in sede di adozione, ma a quelle sottese a suddetto giudizio, “congelandole” in quanto tali fino alla definitiva approvazione del Piano: il che, oltre a contrastare con l’ontologica finalità dello strumento, si risolverebbe in una inammissibile vanificazione del complessivo iter di approvazione degli strumenti urbanistici, caratterizzato al contrario da apparenti lungaggini funzionali ad acquisire il maggior numero di contributi possibili per addivenire al miglior risultato auspicabile in termini di armonico sviluppo del territorio. Iter all’interno del quale peraltro si collocano anche, quale mero apporto collaborativo, le osservazioni degli interessati: con ciò non intendendosi certo vanificarne l’importanza, siccome argomentato dall’appellante, ma, al contrario, enfatizzarne la finalizzazione a scelte generali ben ponderate, non discriminatorie e tuttavia evidentemente di ampio contesto e non mirate solo sull’interesse del singolo.

Da tale affermata finalità “contributiva” delle osservazioni la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato fa discendere la ritenuta non necessità di argomentare espressamente su ciascuna di esse da parte dell’Amministrazione comunale procedente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 maggio 2017, n. 2089). Non vi è ragione, peraltro, per non estendere tale principio anche alla fase di approvazione da parte della Regione, anziché circoscriverne la portata solo a quella di adozione da parte del Comune, nella quale strutturalmente si collocano: e ciò per l’evidente motivo che ove, come nel caso di specie, il giudizio dell’una amministrazione diverga dall’altra, l’articolazione del procedimento in modo da recuperare la sintesi dei poteri decisionali al livello di governo più vicino al territorio nel rispetto dei principi di sussidiarietà è comunque salvaguardato mediante l’individuazione di meccanismi dialettici che, come reiteratamente ricordato, non sono in alcun modo stati valorizzati dal Comune di Treviso.

16. E’ evidente, infine, che l’originaria valutazione positiva delle osservazioni, neppure recepita in modifica del provvedimento di adozione della variante, non può avere in alcun modo dato origine ad una aspettativa giuridicamente qualificata solo perché riveniente da positive interlocuzioni endoprocedimentali;
al contrario, proprio in quanto si è trattato di una “generica” aspettativa, essa non può essere elevata, come pretenderebbe l’appellante, a situazione qualificata dalla quale soltanto sarebbe sorto un onere di motivazione specifica. La natura delle scelte che danno avvio alla programmazione territoriale è infatti di per sé provvisoria e fluttuante, tanto da non fondare alcuna situazione giuridica tutelabile, se non nei limiti della ricordata arbitrarietà, nello specifico dell’eventuale revirement gestionale (sul punto v. ancora Cons. Stato, sez. II, n. 2012/2020).

Tale assetto non viene inciso, ma se mai rafforzato, dalla disciplina valevole nella Regione Veneto ratione temporis , atteso che, fermi rimanendo i contenuti propri dell’atto di approvazione che si basa su una autonoma istruttoria, non può nascondersi come la delibera stessa si fondi comunque sull’apporto collaborativo e propositivo del Comune di Treviso che ha prodotto il documento su cui si è basato l’atto finale di competenza regionale, secondo lo schema tipico della complessità.

17. Conclusivamente, pertanto, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza del T.A.R. per il Veneto n. 560/2010 nel senso della ritenuta tardività del ricorso di primo grado n.1393/2004, peraltro infondato anche nel merito.

18. La particolarità fattuale e giuridica della vicenda consente di compensare le spese del secondo grado di giudizio.

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