Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-08-25, n. 202106041

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-08-25, n. 202106041
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202106041
Data del deposito : 25 agosto 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/08/2021

N. 06041/2021REG.PROV.COLL.

N. 09398/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9398 del 2014, proposto da
M Z, N L e C L, rappresentati e difesi dagli avvocati A D B e F R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato V C in Roma, al viale Giulio Cesare, n. 223, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;

contro

Comune di Taranto, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato B D, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A B in Roma, alla via Gregorio VII, n. 150;

nei confronti

Co.Re.T. s.r.l., Gaetano Mazzilli, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – sezione staccata di Lecce, sez. II, n. 1744/2014, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Taranto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2021, tenuta da remoto, il Cons. G G e preso atto del deposito di note di udienza, ai sensi dell’art. 4, comma 1, ultimo periodo, d. l. n. 28/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 70/2020, e richiamato dall’art. 25 d. l. n. 137/2020, convertito in l. 176/2020, del d.l. 183/2020, convertito in l. 21/2021, da parte degli avvocati Di Boscio e Decorato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- All’esito dell’annullamento (con sentenza del TAR per la Puglia – Lecce, 16 dicembre 2010, n. 2856, passata in giudicato per difetto di impugnazione) dell’ordinanza sindacale contingibile ed urgente n. 409 del 29 ottobre 2004, che aveva ingiunto il rilascio di un immobile di proprietà di Lauria Vincenzo, sull’erroneo presupposto che lo stesso fosse detenuto sine titulo ed in condizioni di pericolo per la pubblica incolumità, M Z, N L e C L, in qualità di eredi del ridetto Lauria Vincenzo, nelle more deceduto, proponevano dinanzi al Tribunale ordinario di Taranto, con atto rubricato al N.R.G. 4111/2012, domanda di risarcimento dei danni correlati alla illegittima attività provvedimentale, cui aveva fatto seguito il materiale e coattivo rilascio dell’immobile.

Con sentenza n. 1637 del 5 agosto 2013, il Tribunale adito dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, sicché – in data 11 ottobre 2013 – il giudizio veniva riassunto dinanzi al TAR per la Puglia – Lecce, individuato come competente.

Con sentenza n. 1744 dell’11 luglio 2014, resa nel rituale contraddittorio delle parti, il TAR dichiarava inammissibile il ricorso, perché proposto oltre il termine decadenziale di centoventi giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento il provvedimento illegittimo, di cui all’art. 30, comma 3 cod. proc. amm..

In particolare, la sentenza riteneva: a ) che la sentenza che aveva dichiarato l'illegittimità dell'ordinanza sindacale posta a fondamento della richiesta di risarcimento era stata pubblicata in data 16 dicembre 2010 e notificata all’Amministrazione comunale il successivo 11 febbraio 2011; b ) che, per tal via, l’azione risarcitoria (autonoma) avrebbe dovuto essere proposta nel termine di centoventi giorni decorrenti dal 19 aprile 2011, data del passaggio in cosa giudicata; c ) che, per contro, l’atto di citazione, dinanzi al giudice ordinario, era stato notificato solo in data 24 agosto 2012; d ) che la riproposizione della domanda, in via di riassunzione, dinanzi al giudice amministrativo non avrebbe potuto recuperare la decadenza ormai maturata, con conseguente inammissibilità del ricorso.

2.- Con atto di appello, notificato il 25 ottobre 2014, i ricorrenti impugnavano la ridetta statuizione, lamentandone l’erroneità ed ingiustizia ed auspicandone l’integrale riforma.

Si costituiva in giudizio, in resistenza, il Comune di Taranto.

Alla pubblica udienza dell’8 giugno 2021 la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è inammissibile.

2.- Con il primo motivo di gravame, gli appellanti lamentano:

a ) che, per un verso, “ il ricorso per riassunzione non [avrebbe potuto] essere dichiarato ‘inammissibile ’”, in quanto “ non vi [era] carenza di interesse da parte degli appellanti e neanche altre ragioni ostative per [una] pronuncia di merito ;

b ) per altro verso, lo stesso “ non [avrebbe potuto] essere dichiarato ‘irricevibile ’”, perché “ le parti ricorrenti avevano già precedentemente chiesto, con motivi aggiunti al ricorso deciso con sentenza n. 2856/10 Reg. Sen. e n.00087/2005 Reg. Ric. del medesimo giudice, oltre all'annullamento dell'atto amministrativo presupposto (l'ordinanza di sloggio del Sindaco), la condanna del Comune di Taranto al risarcimento dei danni derivanti e consequenziali ”.

2.1.- Il motivo è inammissibile.

Sotto il primo profilo, va osservato che la sentenza appellata non ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso in ragione di una ventilata ‘ carenza di interesse’ , quale situazione ostativa ad una definizione della lite nel merito (art. 35, comma 1 lettera b ) cod. proc. amm.), sibbene per (ritenuta) proposizione della domanda risarcitoria oltre il limite, formalmente decadenziale, di cui all’art. 30, comma 5 cod. proc. amm.: cosicché la doglianza, così come formulata, non coglie, pregiudizialmente, nel segno.

Parimenti irrilevante è il rilievo con il quale si argomenta asseritamente preclusa la declaratoria di decadenza, sul presupposto che la domanda risarcitoria non sarebbe stata proposta per la prima volta in via autonoma, in quanto già formalizzata (sia pure in termini generici e senza seguito decisorio) in sede di impugnazione del provvedimento amministrativo: è sufficiente osservare, sul punto, che, da un lato, la domanda sul quale il giudice abbia, a qualsiasi titolo, omesso di pronunziarsi (in forza del canone di corrispondenza tra chiesto e pronunziato) può essere effettivamente sempre riproposta, in quanto non preclusa dal giudicato e non abbandonata, e che, nondimeno, termini, forme e condizioni della riproposizione sono quelli, autonomi , della domanda nuovamente proposta, sulla quale non incide (se non, al più, ai non pertinenti fini interruttivi della prescrizione: cfr. art. 2947 cod. civ.) quella precedente.

3.- Con un secondo motivo, l’appellante lamenta error in procedendo , sull’assunto che “ la domanda […], al fine di una effettiva tutela giurisdizionale da provvedimento amministrativo , necessita [sse] di un giudizio di merito ai sensi dell’art. 112 del codice del processo amministrativo (giudizio di ottemperanza) e non di una mera qualifica giuridica di mera azione di condanna ex art. 30 ”.

3.1.- Il motivo è anch’esso inammissibile.

La domanda di risarcimento del danno conseguente alla adozione di provvedimento amministrativo illegittimo può essere proposta in via autonoma, sia allorché, in assenza di una relazione di formale e necessaria pregiudizialità, la parte scelga di non invocare l’annullamento del provvedimento (art. 30, comma 3 cod. proc. amm.), sia allorché opti per la proposizione in un giudizio separato dal quello di annullamento (art. 30, comma 5) cod. proc. amm.): nel qual caso, per un verso, la sede è pur sempre cognitoria e non esecutiva (atteso che il risarcimento conseguibile in sede di ottemperanza è solo quello correlato “ all'impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione ”: cfr. art. 112, comma 3 cod. proc. amm.) e, in ogni caso, normativamente assoggettata al termine decadenziale di centoventi giorni decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza che ha accolto la domanda di annullamento (o di accertamento della illegittimità del provvedimento).

Del resto, anche l’art. 112, comma 4 cod. proc. amm. – peraltro abrogato, per evidenti ragioni di coerenza di sistema, dall’art. 1, comma 1, lett. cc ), n. 2), del d. lgs. 15 novembre 2011, n. 195 – nell’assoggettare al rito dell’ottemperanza la richiesta risarcitoria consequenziale all’annullamento del provvedimento amministrativo, prevedeva – comunque – che le relative modalità temporali (e, segnatamente, il regime decadenziale), fossero pur sempre quelle di cui all’art. 30, comma 5.

Per questo profilo, il motivo – prima che infondato – è del tutto inammissibile, per carenza di interesse.

4.- Con il terzo motivo di doglianza, gli appellanti lamentano error in judicando , sotto il profilo che l’anteriorità del fatto illecito rispetto alla entrata in vigore del codice del processo amministrativo avrebbe dovuto precludere l’applicazione retroattiva dell’art. 30, comma 5 cit., essendo l’azione risarcitoria assoggettata , ratione temporis , al solo limite del termine prescrizionale quinquennale, peraltro utilmente interrotto, di cui all’art. 2947 cod. civ..

4.1.- Il motivo – pur virtualmente fondato (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 6 luglio 2015, n. 6) – è, in concreto inammissibile, perché non accompagnato dalla puntuale riproposizione, in via di devoluzione, della domanda risarcitoria dichiarata irricevibile (cfr. art. 101, comma 2 cod. proc. amm.).

Importa, invero, osservare, in termini generali, che l’art. 40 cod. proc. amm., relativamente al “ contenuto del ricorso ” introduttivo della lite dinanzi al giudice amministrativo, impone che l’atto contenga, a pena di inammissibilità, i “ motivi specifici ” su cui lo stesso si fonda (art. 40, comma 2, in relazione al comma 1, lettera d ), per i quali è prescritta altresì – ad evitare, per ragioni di chiarezza , di univocità e di precisione , l’inclusione delle puntuali ragioni di doglianza in una parte dell’atto non dedicata alla individuazione delle ragioni giuridiche (c.d. motivi intrusi : cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 gennaio 2019, n. 147;
Id., sez. IV, 20 luglio 2018, n. 4413;
Id., sez. V, 5 ottobre 2017, n. 4643) – l’evidenziazione “ distinta ” (art. 40, comma 1).

I principi di specificità e distinzione – che, pur non imponendo l’uso di formula sacramentali (cfr. Cons. Stato, sez. II, 11 novembre 2020, n. 6935), obbediscono alla logica di una puntuale e rigorosa individuazione della causa petendi , ai fini della perimetrazione della ‘domanda’ proposta – trovano applicazione anche nel giudizio di appello, nel senso che le domande “ assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado ” che non siano riproposte “ espressamente ” dalla parte interessata si intendano rinunziate (art. 101, comma 2 cod. proc. amm.).

Con l’uso dell’avverbio “ espressamente ”, il codice di rito amministrativo ha chiaramente inteso recepire il tradizionale e rigoroso orientamento giurisprudenziale, in base al quale l’onere di riproposizione in appello esige, per il suo rituale assolvimento, che la parte indichi specificamente ciò che intende sia devoluto alla cognizione del giudice di secondo grado, al fine di consentire a quest’ultimo una compiuta conoscenza delle relative questioni ed alle controparti di contraddire consapevolmente sulle stesse (cfr. Cons. Stato, sez. II, 4 maggio 2020, n. 2839;
Id., sez. VI, 28 marzo 2019, n. 2044).

Per tal via, la riproposizione in appello di una domanda o di una censura non delibata dal giudice di primo grado richiede “ la precisa enucleazione contenutistica della stessa, affinché il relativo portato argomentativo sia autonomamente percepibile dagli atti del giudizio, senza che sia necessario compulsare il fascicolo di prime cure ” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 ottobre 2019, n. 6908, sicché un indeterminato rinvio agli atti di primo grado, senza alcuna ulteriore precisazione del loro contenuto, è inidoneo ad introdurre nel thema decidendum del giudizio di appello quanto già dedotto in prime cure (cfr. Cons. Stato, sez. V, 4 giugno 2020, n. 3515;
Id., sez. II, 30 marzo 2020, n. 2162;
Id., sez. IV, 24 gennaio 2020, n. 572;
Id., sez. V, 16 agosto 2010, n. 5702;
Id., sez. VI, 19 gennaio 2010, n. 159).

Nella specie, l’appellante si è limitato ad affidare il riferimento alla pretesa risarcitoria, in modo ‘intruso’, alle premesse in fatto ed alle argomentazioni a sostegno dei distinti motivi di appello, ed a richiamarla semplicemente nelle conclusioni, senza riproporla espressamente e formalmente e senza argomentare in ordine ai suoi presupposti in fatto e in diritto (sotto il profilo della imputabilità soggettiva e della sussistenza di un nesso di causalità rispetto alla lamentata lesione), nonché alla puntuale dimostrazione, in concreto, della misura delle conseguenze dannose e dei criteri per la loro liquidazione.

5.- Alla luce delle esposte considerazioni, assorbito ogni altro rilievo, l’appello deve essere complessivamente dichiarato inammissibile.

Sussistono giustificate ragioni per disporre, tra le parti costituite, l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.

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