Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-06-16, n. 201702958
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Pubblicato il 16/06/2017
N. 02958/2017REG.PROV.COLL.
N. 04123/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4123 del 2016, proposto dal Comune di Milano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati P C, M L B, R I, A M, con domicilio eletto presso lo studio R I in Roma, Lungotevere Marzio, 3;
contro
società Vincimax s.r.l, non costituitasi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la LOMBARDIA –Sede di MILANO - SEZIONE I n. 2411/2015, resa tra le parti, concernente diffida apertura di un esercizio sala giochi e/o sala scommesse e dalla collocazione di apparecchiature per il gioco d'azzardo lecito.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2017 il consigliere F T e udito per la parte appellante l’avvocato A. Mandarano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe appellata, n. 2411 del 17 novembre 2015 il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sede di Milano –ha accolto il ricorso proposto dalla società Vincimax s.r.l., volto ad ottenere l’annullamento dell'ordinanza-diffida PG 284422/2014 - Progr. 7274/2014 emessa in data 10 febbraio 2015 dal comune di Milano, Settore Sportello Unico per l'Edilizia, Direzione Interventi Edilizi Minori e notificatale in data 13 febbraio 2015, con cui la Sig.ra Orecchia e la società Vincimax s.r.l. erano state diffidate " dall'insediamento ed apertura di sala giochi e/o sala scommesse e dalla collocazione di nuove apparecchiature per il gioco d'azzardo lecito" e di ogni altro atto presupposto, preparatorio, conseguente e/o altrimenti connesso, con particolare riferimento all'art. 13, co. 7, del nuovo Regolamento Edilizio del Comune di Milano.
2.La società originaria ricorrente aveva prospettato numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere, deducendo l’indebito esercizio da parte del Comune di potestà riservate allo Stato ed alla Regione.
1. Il comune di Milano si era costituito in giudizio, chiedendo la declaratoria di inammissibilità, ovvero la reiezione del ricorso in quanto infondato.
4. Il T.a.r. con la impugnata sentenza ha anzitutto disatteso la l’eccezione di inammissibilità del ricorso fondata sulla mancata impugnativa di precedenti provvedimenti, evidenziando che detti pregressi provvedimenti erano stati indirizzati a soggetti diversi, e che nel caso di specie ci si trovava al cospetto di un provvedimento oggettivamente e soggettivamente “nuovo”;nel merito, ha richiamato le statuizioni della ordinanza cautelare (confermata in appello) accoglitiva della domanda di sospensione della esecutività del provvedimento impugnato, ha altresì richiamato le considerazioni espresse dal T.a.r. medesimo in una recente sentenza (n. 1613/2015) resa su una fattispecie analoga ed ha dedotto che:
a) l’ordinanza impugnata era stata emessa sulla base di un’interpretazione estensiva della L.R. n. 8/2013, in ossequio al divieto derivante dall’applicazione del nuovo regolamento edilizio del comune di Milano entrato in vigore dal 26 novembre 2014;
b) si rendeva pertanto necessario scrutinare la legittimità della norma del predetto regolamento richiamata dal comune di Milano a sostegno della diffida, in quanto l’art. 13, comma 7, del nuovo Regolamento edilizio del comune di Milano, approvato il 2 ottobre 2014, prevedeva esplicitamente, tramite rimando alla disciplina ivi prevista per le sale gioco, il divieto di apertura di sale scommesse in locali che si trovino ad una distanza inferiore di 500 metri dai luoghi sensibili individuati dalla disciplina regionale e comunale;
c) a monte, occorreva quindi verificare se il comune convenuto avesse il potere autonomo di intervenire in materia di ludopatia, ampliando la casistica presa in considerazione dalla L. r. n. 8/2013 e dalla D.g.r. del 24 gennaio 2014 – n. X/1274.
4.1. Nel merito della questione il T.a.r. ha escluso la legittimità della norma del regolamento edilizio richiamata dal comune di Milano a sostegno della diffida in quanto connessa ad un’errata applicazione delle norme regolanti la materia, esprimendo il giudizio secondo cui l’amministrazione locale aveva usurpato, nel caso di specie, una competenza normativa riservata alla legislazione concorrente di Stato e Regione, in una materia, peraltro, in cui i titolari della relativa potestà la avevano già esercitata, seppure in modo non organico e definitivo, in quanto:
a) la propensione al gioco d’azzardo patologico era un disturbo del comportamento assimilabile, quanto ad effetti e a modalità di estrinsecazione, alla tossicodipendenza, e, come tale, incideva direttamente sulla salute psichica del soggetto che ne risultava affetto;
b) il g.a.p. quindi (impropriamente definito come “ludopatia”) rientrava a pieno titolo tra le patologie che mettevano a rischio la salute intesa come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, la cui tutela era affidata dalla Carta costituzionale alla Repubblica ai sensi dell’art. 32 di essa, con potestà legislativa esercitabile in via concorrente da Stato e Regione in virtù del successivo disposto di cui all’art. 117, comma 3;
c) la materia in cui si collocava l’eventuale regolamentazione del g.a.p. era, in via prioritaria, quella della tutela della salute e non quella del governo del territorio, che solo in via eventuale, oltre che nei limiti imposti dalla normativa regionale, poteva essere utilizzata dagli enti locali per disciplinare un fenomeno prettamente connesso alla salute psichica dei soggetti che ne risultavano afflitti;
d) i comuni, nell’ambito delle competenze urbanistiche ed edilizie loro affidate dalle singole regioni, potevano legittimamente intervenire in materia di distanza dai luoghi sensibili delle attività di gioco e scommesse, al fine di garantire lo sviluppo dell’ordinata e “salubre” convivenza della comunità di riferimento, solo in caso di specifiche problematiche emerse sul territorio comunale o in assenza di normativa nazionale e/o regionale che disciplinasse specificamente il fenomeno de quo;
e) nel caso di specie non ricorreva alcuno dei menzionati presupposti, in quanto:
I) il comune di Milano era intervenuto con una normativa di carattere generale, inserita nel regolamento edilizio;
II) sia lo Stato che la Regione Lombardia avevano esercitato la propria competenza legislativa in materia di ludopatia dettando una specifica, seppure non esaustiva, regolamentazione.
4.2. Il T.a.r., ha quindi irrobustito la propria motivazione demolitoria (dando anche atto delle ragioni per le quali non apparivano condivisibili decisioni della giurisprudenza amministrativa che di recente erano pervenute a conclusioni opposte) deducendo che:
a) l’art. 7 del cd. decreto Balduzzi (d.l. n. 158/2012) aveva previsto - all’interno di disposizioni che si occupano anche di limitare l’esposizione dei minori a tabacco e bevande alcoliche – determinati divieti (con riferimento ai messaggi pubblicitari), specifici obblighi informativi sui rischi di dipendenza, e correlative sanzioni, il tutto con riferimento alla “pratica di giochi con vincite in denaro” ed ai commi 9 e 10 dello stesso art. 7 su citato, il legislatore regionale aveva poi affidato alla costituenda Agenzia delle Dogane e dei Monopoli il duplice compito di pianificare controlli su base annuale ai fini di contrasto del gioco minorile, e di “pianificare forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, lettera a), del testo unico di cui al regio decreto n. 773/1931, e successive modificazioni, che risultano territorialmente prossimi” ai cd. luoghi sensibili (istituti di istruzione primaria e secondaria, strutture sanitarie e ospedaliere, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi);
b) non era decisivo il rilievo secondo cui la c.d. riserva statale affidata all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli riguardava soltanto gli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, lettera a) e non i centri di raccolta delle scommesse, in quanto:
I) i Comuni erano incompetenti ad imporre tramite strumenti urbanistici/edilizi limiti distanziometrici all’insediamento di imprese operanti attività di raccolta di scommesse rispetto ai cd. luoghi sensibili, in quanto:
I) la Regione Lombardia, , nell’ambito delle sue prerogative costituzionali in materia di contrasto alla ludopatia, aveva ritenuto di imporre i suddetti limiti soltanto per la collocazione dei nuovi apparecchi da gioco di cui all’art. 110, commi 6 e 7 del TULPS (anche nella prima versione della L.r. n. 8/2013, come attuata dalla d.G.R. 24 gennaio 2014 n. X/1274);
II) essa aveva invece taciuto con riferimento all’insediamento delle nuove attività di raccolta delle scommesse vicino ai cd. luoghi sensibili, con ciò rinunciando implicitamente, tramite una scelta di natura tipicamente politica, ad estendere i limiti distanziometrici fissati per le altre pratiche di giochi con vincite in denaro;
III) sostenere che il comune potesse supplire all’omissione dell’ente regionale, estendendo l’elenco dei soggetti attinti dal divieto tramite un’interpretazione forzata delle norme, o la regolamentazione edilizia, implicava la legittimazione della usurpazione di poteri normativi già esercitati e sostituire la decisione politica generale della Regione con quella (di volta in volta diversa) dei singoli comuni;
IV) inoltre, non si rinveniva nella L.r. n. 12/2005 della Regione Lombardia (legge per il governo del territorio) alcuna norma che abilitasse direttamente o indirettamente il comune a dettare, tramite lo strumento edilizio, norme di contrasto alla ludopatia, e per altro verso sarebbe stato irragionevole sostituire un’ordinata pianificazione dei limiti distanziometrici, quanto meno all’interno della singola Regione, con la possibile introduzione di distanze del tutto diverse da Comune a Comune.
4.3. Nell’ultima parte della sentenza impugnata il T.a.r. ha poi esplorato le conseguenze discendenti dalla sopravvenuta disciplina legislativa regionale lombarda (legge regionale n. 11 del 2015), deducendo che:
a) la legge regionale n. 11 del 2015 aveva modificato la l.r. n. 8/2013, sostituendo, al comma 1 dell'articolo 5, le parole: 'la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito' con la frase: 'la nuova installazione di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito di cui all'articolo 110, comma 6, del r.d. 773/1931”;
b) ne discendeva che la regione Lombardia aveva modificato il disposto normativo de quo , con ciò manifestando in modo ancora più evidente la sua scelta politica, per chiarire l’oggetto del divieto e sottrarre la regolamentazione imposta in materia di ludopatia ad interpretazioni estensive da parte dei singoli comuni;
c) tale modifica aveva nella sostanza recepito l’orientamento interpretativo secondo cui l’applicazione del divieto di cui all’art. 5, comma 1 della L.r. n. 8/2013 sarebbe stato fin dall’origine limitato alle sole nuove collocazioni di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito di cui all’art. 110, comma 6 (e 7) del r.d. n. 773 del 1931;
d) ne doveva conseguire che da un lato, il potere pianificatorio/di regolamentazione edilizia del comune trovava un limite nell’impossibilità di introdurre divieti (nel caso dei centri di raccolta di scommesse) o estenderli (nel caso di locali con slot machine o VLT), in aggiunta a quanto già stabilito dalla normativa regionale e che, dall’altro, i limiti distanziometrici introdotti dalla l.r. n. 8/2013 dovevano essere riferiti alla sola nuova installazione di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito di cui all'articolo 110, comma 6, del r.d. 773/1931.
5. L’ amministrazione comunale originaria resistente rimasta soccombente ha proposto appello deducendo le medesime tesi disattese in primo grado, ed attualizzandole rispetto al contenuto della motivazione della sentenza deducendo che:
a) la sentenza era affetta da alcuni errori in fatto;
b) erroneamente erano state respinte le eccezioni preliminari di improcedibilità e di carenza di interesse;
c) nel merito, il comune ben poteva in via regolamentare prevedere preclusioni alla installazione di sale-giochi.
6. Alla camera di consiglio del 28.7.2016 fissata per la delibazione della domanda di sospensione della provvisoria esecutività dell’impugnata decisione sull’accordo delle parti la trattazione della causa è stata rinviata al merito, per consentirne l’esame congiunto con altri ricorsi in appello vertenti sulle medesime questioni giuridiche.
7. In data 8 maggio 2017 il comune di Milano ha depositato una memoria, ribadendo e puntualizzando le proprie difese.
8. Alla odierna pubblica udienza dell’8 giugno 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato e va respinto nei sensi di cui alla motivazione che segue.
1.1. Preliminarmente il Collegio evidenzia che non v’è ragione né possibilità di disporre la riunione del presente fascicolo processuale con quelli indicati dall’appellante comune nella propria istanza del 23.5.2016, in quanto non ricorre alcuna ipotesi di connessione soggettiva ma una semplice comunanza delle questioni giuridiche prospettate.
1.2. Seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), è evidente che in ordine logico è prioritario l’esame del primo motivo di doglianza proposto dal Comune di Milano secondo cui la sentenza è affetta da contraddittorietà, laddove non ha accolto la eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso di primo grado.
1.2.1. Il Collegio ritiene che la censura vada disattesa, in quanto la sentenza ha preso atto della circostanza che il provvedimento impugnato si fondava su un dato (allestimento di una sala scommesse nel locale sito in via Bugatti) precedentemente equivoco e riposava in una nuova ponderazione: una volta che non risulti con immediatezza l’assenza di interesse a coltivare l’impugnazione ovvero a proporla, correttamente la sentenza si è conformata all’orientamento prevalente in giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V, 06/08/2012, n. 4510) secondo cui soltanto in ipotesi di solare certezza può essere dichiarata la improcedibilità/inammissibilità del ricorso;per altro verso, appare financo dubbio l’interesse del Comune a reiterare l’eccezione, tenuto conto che comunque è stata scrutinata (seppur con esito sfavorevole al predetto comune originario resistente) nel merito la posizione giuridica da questi espressa, dal che consegue che l’interesse si sposta sul vaglio in ordine alla correttezza delle tesi da quest’ultimo prospettate.
1.3. Non vi sono preclusioni, pertanto, che possano impedire l’esame della questione giuridica di merito che costituisce il nucleo centrale della causa, e che costituisce l’oggetto delle censure prospettate dall’appellante comune a partire dal motivo 1.2. dell’appello.
2. Le questioni giuridiche che è necessario approfondire sono connotate dalla particolarità riposante nella circostanza che medio tempore è sopravvenuta una disciplina legislativa regionale –e comunale – diversa rispetto a quella originaria.
3. Fermo restando il canone del “tempus regit actum” cui il Collegio si atterrà, completezza espositiva impone che la vicenda sia scandagliata complessivamente seppur prestando maggiore attenzione alla sopravvenuta normativa (che è quella che governa la odierna vicenda processuale);onde evitare di indulgere in superflue ripetizioni, il Collegio ritiene opportuno procedere nel seguente modo: verranno in prima battuta esposte le considerazioni generali in punto di potestà del Comune di dettare una disciplina in materia di ubicazione delle sale giuochi sul territorio comunale;successivamente verranno esaminate le conseguenze degli approdi prima descritti, tenendo conto della disciplina legislativa regionale,e delle successive modifiche a quest’ultima apportate.
4.Considerazioni generali.
I) Come è noto l'attività di raccolta di gioco lecito mediante apparecchi VLT è sottoposta ad un duplice vaglio da parte dell'Amministrazione, atteso che per poter essere legittimamente esercitata deve essere preceduta dall'autorizzazione del Questore ex art. 88 T.U.L.P.S. e dalla relativa S.C.I.A. Una simile disciplina è conforme ai principi dell'Unione europea, come chiarito dalla Corte di Giustizia con la pronuncia del 12 settembre 2013, secondo la quale "Gli artt. 43 e 49 del Trattato C.E. non ostano a una normativa nazionale che imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d'azzardo l'obbligo di ottenere un'autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e che limiti il rilascio di una siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione" .
Si tratti di titoli che evidentemente sono preordinati al soddisfacimento di interessi diversi.
Infatti, mentre l'autorizzazione di polizia mira al contrasto dei fenomeni di criminalità legati al mondo delle scommesse, la S.C.I.A. consente di verificare il rispetto di quegli altri interessi che devono essere tutelati nell'esercizio dell'attività commerciale in questione, tra i quali spicca quello della tutela del consumatore rispetto alla cd. ludopatia.
Quest'ultimo rappresenta un "motivo imperativo di interesse generale" che giustifica restrizioni all'attività in questione, senza che possa venire in dubbio un eventuale contrasto con la disciplina dell'Unione europea.
La differenza tra le tipologie di interessi tutelati dall'autorizzazione del Questore e dalla S.C.I.A. è desumibile anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. Corte cost., n. 300/2011), che ha escluso che l'introduzione di una disciplina delle distanze in tale materia sia invasiva della competenza del legislatore nazionale in materia di ordine pubblico.
II) E’ rimarchevole sottolineare che in detta occasione la Corte Costituzionale, con riferimento alle disposizioni della l.p. Bolzano 13/2010, che prevedono limiti di distanza delle sale da gioco rispetto ai luoghi sensibili, ha escluso la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, ossia della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, ed ha di converso precisato che tali disposizioni “sono dichiaratamente finalizzate a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio assistenziale, e a prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo, nonché ad evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilità e la quiete pubblica” , mentre la materia ordine pubblico e sicurezza, secondo la consolidata giurisprudenza della stessa Corte, “attiene alla «prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico», inteso questo quale «complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile convivenza nella comunità nazionale»” ;è stato ivi altresì puntualizzato che “la semplice circostanza che la disciplina normativa attenga a un bene giuridico fondamentale non vale, dunque, di per sé, a escludere la potestà legislativa regionale o provinciale, radicando quella statale”.
La Corte Costituzionale ha quindi concluso nel senso della legittimità delle suddette disposizioni provinciali, in quanto “ hanno riguardo a situazioni che non necessariamente implicano un concreto pericolo di commissione di fatti penalmente illeciti o di turbativa dell’ordine pubblico, inteso nei termini dianzi evidenziati, preoccupandosi, piuttosto, delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell’impatto sul territorio dell’afflusso a detti giochi degli utenti” e che “non incidono direttamente sulla individuazione ed installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero, da un canto, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell’illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni;dall’altro, influire sulla viabilità e sull’inquinamento acustico delle aree interessate”.
III) Muovendo da tale autorevole insegnamento, può concordarsi, sul punto, con quanto ha di recente statuito la Terza Sezione di questo Consiglio di Stato, con la decisione n. 579 del 10 febbraio 2016, laddove si è affermato che “la Corte ha ritenuto che le disposizioni sui limiti di distanza imposti alle sale da gioco siano dirette al perseguimento di finalità anzitutto di carattere socio-sanitario (come tali estranee rispetto alla materia della tutela dell’ordine pubblico, rimessa in via esclusiva allo Stato).
A dette finalità si affiancano finalità attinenti al governo del territorio, sotto i profili della salvaguardia del contesto urbano e dell’ordinata viabilità, oltre che al contenimento dell’inquinamento acustico.”.
E, può aggiungersi, è evidente che la disciplina sulle distanze è tesa a regolamentare il fenomeno delle conseguenze sociali dell'offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell'impatto sul territorio dell'afflusso a detti giochi da parte degli utenti. Si tratta, in definitiva, di disposizioni che non incidono direttamente sulla individuazione e sulla installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero, da un canto, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell'illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni e, dall'altro, influire sulla viabilità e sull'inquinamento acustico delle aree interessate (cfr. Cons. St., Sez. VI, 11 settembre 2013, n. 4498).
IV) Proseguendo nella disamina delle conseguenze discendenti dalle superiori affermazioni, nuovamente al Collegio sembra opportuno richiamare la decisione n. 579 del 10 febbraio 2016 laddove essa ha condivisibilmente affermato che:
a) i poteri in questione incidono dunque, in netta prevalenza, in materie oggetto di potestà legislativa concorrente, nelle quali la regione, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale;
b) dall’art. 7, comma 10, del d.l. 158/2012, che ha previsto – in seno a disposizioni che si occupano anche di limitare l’esposizione dei minori a tabacco e bevande alcoliche – determinati divieti (con riferimento ai messaggi pubblicitari), specifici obblighi informativi sui rischi di dipendenza, e correlative sanzioni, il tutto con riferimento alla “pratica di giochi con vincite in denaro” può trarsi il principio della legittimità di misure di pianificazione delle ubicazioni consentite alle sale giochi e scommesse basate su distanze minime da rispettare (definite dalla citata giurisprudenza “prevenzione logistica” delle ludopatie), non anche quello della necessità della previa definizione di dette pianificazioni o dei relativi criteri orientativi a livello nazionale;
c) e può convenirsi con la prevalente giurisprudenza che si è occupata della questione, nel senso che la disciplina statale e quella regionale siano reciprocamente coerenti rispetto all’obiettivo da perseguire, utilizzando strumenti analoghi con analoghe finalità di prevenzione (si tenga conto che i commi 9 e 10 dello stesso art. 7 affidano alla Agenzia delle Dogane e dei Monopoli il duplice compito di pianificare controlli su base annuale ai fini di contrasto del gioco minorile, e di “pianificare forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, lettera a), del testo unico di cui al regio decreto n. 773/1931, e successive modificazioni, che risultano territorialmente prossimi” ai cd. luoghi sensibili -istituti di istruzione primaria e secondaria, strutture sanitarie e ospedaliere, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi).
V) Alla stregua della superiori affermazioni, ritiene il Collegio si possa –allo stato - ravvisare una sostanziale concordanza di opinioni nel ritenere che:
a) il g.a.p. (comunemente definito come “ludopatia”) possa rientrare tra le patologie che mettono a rischio la salute intesa come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, la cui tutela è affidata dalla Carta costituzionale alla Repubblica ai sensi dell’art. 32 di essa, con potestà legislativa esercitabile in via concorrente da Stato e Regione in virtù del successivo disposto di cui all’art. 117, comma 3;
b) e ciò è comprovato per via legislativa dalla circostanza che il d.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 5, coordinato con la legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189 ha introdotto un programma di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza “con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia, intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro, così come definita dall'Organizzazione mondiale della sanità -G.A.P.-" (si veda sul punto Cassazione penale, sez. I, 16/12/2015, n. 18162 la quale, pur negando una totale assimilazione alla tossicodipendenza, afferma che “pur potendo avere in comune con la tossicodipendenza la dipendenza dal gioco d'azzardo, non diversamente peraltro da altre situazioni che creano dipendenza come il tabagismo, l'alcolismo e la cleptomania, la ludopatia affonda le proprie radici in aspetti della psiche del soggetto” ).
6. I poteri legislativi della Regione.
I) La materia urbanistica e quella della tutela della salute rientrano, come prima si è visto, nella materia della legislazione concorrente, ex art. 117 comma III della Costituzione.
Quanto alla prima, l’art. 2 del dPR 6 giugno 2001 n. 380 stabilisce, ai primi quattro commi, quanto segue: “ 1. Le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico.
Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la propria potestà legislativa esclusiva, nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione.
Le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi.
I comuni, nell'ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, disciplinano l'attività edilizia. ”;
II) Sebbene nell’odierno procedimento non sia contestato in alcun modo l’esercizio della potestà legislativa in materia da parte della regione, l’argomento va brevemente puntualizzato perché riveste portata pregiudiziale rispetto alla successiva tematica oggetto di disamina (id est: l’ambito del possibile intervento dell’Autorità comunale in materia).
Sul punto, v’è ben poco da aggiungere alle autorevoli considerazioni della Corte Costituzionale che, nella decisione n. 220 del 18 luglio 2014, ha dichiarato inammissibile la questione sollevata, facendo presente che “ il potere di limitare la distribuzione sul territorio delle sale da gioco attraverso l'imposizione di distanze minime rispetto ai cosiddetti luoghi sensibili, potrebbe altresì essere ricondotto alla potestà degli enti locali in materia di pianificazione e governo del territorio, rispetto alla quale la Costituzione e la legge ordinaria conferiscono al Comune le relative funzioni. Dello stesso avviso è il Consiglio di Stato quando afferma che l'esercizio del potere di pianificazione non può essere inteso solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma deve essere ricostruito come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti (Consiglio di Stato, sentenza n. 2710 del 2012).”.
II) con tale riaffermazione di una nozione ampia della funzionalizzazione della potestà urbanistica - che il Collegio condivide e fa propria – pare possano dirsi sopiti i dubbi pure in passato prospettati in ordine alla possibilità di un potere di intervento delle Regione in materia, e soprattutto, della possibile riconducibilità alla materia “urbanistica” della eventuale normativa comunale che intervenga, sempre sulla medesima materia;
III) giova altresì precisare che l’approdo della Corte Costituzionale è stato di recente ribadito con la decisione n. 108 dell’11 maggio 2017 con la quale è stata riconosciuta la compatibilità con la Carta Fondamentale dell’art. 7 della legge regionale della Puglia 13 dicembre 2013, n. 43, recante «Contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico», nella parte in cui vieta il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio di sale da gioco e all’installazione di apparecchi da gioco nel caso di ubicazione a distanza inferiore a cinquecento metri pedonali dai luoghi cosiddetti “sensibili” ivi indicati.
7. I poteri di disciplina in capo al comune.
I) Come si è chiarito nel precedente paragrafo, non si ritiene dubitabile la necessità di fare riferimento ad una nozione ampia e funzionalizzata del concetto di “governo del territorio”.
II) E d’altro canto, questo è l’indirizzo a più riprese affermato dalla Sezione, ancora assai di recente, e dal quale il Collegio non intende discostarsi ( tra le tante: Consiglio di Stato, sez. IV, 22/02/2017, n. 821 “ il potere di pianificazione urbanistica del territorio - la cui attribuzione e conformazione normativa è costituzionalmente conferita ex art. 117 comma 3, Cost. ed il cui esercizio è normalmente attribuito, pur nel contesto di ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al Comune, potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni ed il cui esercizio è normalmente attribuito - non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse;al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica non limitato alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli -e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti-, ma che, per mezzo della disciplina dell'utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico-sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e di positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati;tali finalità, più complessive dell'urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla l. 17 agosto 1942 n. 1150, laddove essa individua il contenuto della "disciplina urbanistica e dei suoi scopi" -art. 1-, non solo nell'assetto ed incremento edilizio dell'abitato, ma anche nello "sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica" );
III) in definitiva, l'urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo): la nozione ampia di “governo del territorio”, comportando la potestà legislativa concorrente delle Regioni, ridonda, a cascata, sulla potestà amministrativa dei comuni in subiecta materia .
IV) Si osserva, sul punto che – tenuto conto della circostanza che a seguito della entrata in vigore della l. n. 8 giugno 1990 n. 142 in tema di autonomie locali, recepita nel d.lg. 18 agosto 2000 n. 267, recante il t.u. delle leggi sull'ordinamento degli enti Locali, i regolamenti comunali non sono più classificati in base all'oggetto disciplinato, ma sono orientati per "funzioni" e che, come si è prima dimostrato, la “materia” oggetto di disamina coinvolge anche il versante (pure di legislazione regionale concorrente) “tutela della salute” - incentrare l’odierna disamina unicamente sotto il versante urbanistico potrebbe sembrare persino limitativo: tenuto conto però della censure proposte, e della circostanza che il comune di Milano ha inteso esercitare una tale potestà, l’oggetto della disamina sarà limitato a tale aspetto.
V) Come è noto, nel sistema giuridico italiano all’Ente comune è tradizionalmente affidata la funzione amministrativa urbanistica (pacificamente riconducibile alla nozione “governo del territorio” di cui all’art. 117 comma III della Costituzione) che esso esercita, di regola attraverso una duplice direttrice ( tra le tante Cons. Stato Sez. VI, 30-06-2011, n. 3888: “in tema di disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel relativo piano regolatore , nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa statale e regionale, occorre differenziare tra le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata, tra cui rientrano le norme di cd. zonizzazione;di destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici;di localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo, dalle altre regole che disciplinano più in dettaglio l'esercizio dell'attività edificatoria, di solito contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio e che concernono il calcolo delle distanze e delle altezze;la compatibilità di impianti tecnologici o di determinati usi;l'assolvimento di oneri procedimentali e documentali ecc.: “).
VI) Per quanto in questa sede rileva, va rammentato che v’è concordia in dottrina ed in giurisprudenza nel ritenere che:
a) il regolamento edilizio ha natura di regolamento indipendente ed è altresì ascrivibile nel novero dei regolamenti delegati, ai sensi dell’ art. 871 del codice civile;
b) il contenuto di tale regolamento è disciplinato sub art. 4 del dPR n. 380/2001 (in passato: legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 33) il cui comma I prevede che: “ Il regolamento che i comuni adottano ai sensi dell'articolo 2, comma 4, deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi”;
c) in ordine alla natura giuridica di tale atto, la giurisprudenza amministrativa, sin da tempo risalente (tra le tante, per una completa ricostruzione, si veda Consiglio di Stato sez. IV 17/12/2003 n. 8280) è stata concorde dell’affermare che il regolamento edilizio, esprimendo l'autonomia normativa riconosciuta ai comuni dall'ordinamento, ha natura giuridica di fonte normativa secondaria (cfr. Cass. 16 novembre 1983, n. 6817);come tale, esso è subordinato al criterio ermeneutico della coerenza con le fonti primarie (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 luglio 1981, n. 363) ed è applicabile ex officio dal giudice in base al principio iura novit curia (cfr. Cass. 28 gennaio 1987, n. 777).
d) Coerentemente, in caso di conflitto fra fonti del diritto, dovranno valere i normali criteri di risoluzione sanciti dalle norme e dai principi ritraibili dalle disposizioni preliminari al codice civile:
in particolare verranno in rilievo il principio gerarchico (ex art. 3 e 4, disp. prel. c.c.) per cui lex superior derogat inferiori e quello cronologico (ex art. 15 disp. prel. c.c.), secondo cui lex posterior derogat anteriori.
e) Da qui l'orientamento ammissivo della disapplicazione (o meglio non applicazione, non potendosi ravvisare in senso proprio un vizio di legittimità dell'atto), dei regolamenti, anche non impugnati, in contrasto con norme di rango diverso, nel rispetto del principio gerarchico e di successione delle norme nel tempo (cfr. ex plurimis Cons, Stato, sez. V, 20 maggio 2003, n. 2750;sez. V, 10 gennaio 2003, n. 35;sez. IV, 19 settembre 1995, n. 1332): il corollario che si è fatto discendere da tale affermazione, riposa nella predicabilità del consolidato principio secondo il quale non necessita di autonoma impugnazione il regolamento comunale edilizio contrastante "in parte qua" con la norma legislativa primaria, poiché ha natura giuridica di fonte normativa secondaria e come tale subordinato al criterio ermeneutico della coerenza con le fonti primarie.
f) la conclusione che si deve di necessità trarre da tale ricostruzione è la seguente: le prescrizioni del regolamento edilizio comunale che collidano con le disposizioni di una legge regionale sono illegittime.
8. I rapporti tra disciplina regionale e disciplina comunale in materia di distanze tra sale giuochi.
I) Dalla superiore ricostruzione, discende in via conseguenziale che:
a) la legislazione regionale legittimamente può intervenire in materia;
b) una volta che la legislazione regionale abbia normato la materia suddetta il regolamento edilizio comunale si deve conformare alla medesima ed eventuali prescrizioni contenute nel regolamento edilizio comunale che collidano con la legislazione regionale sono illegittime, e possono financo essere disapplicate (ovvero annullate, laddove direttamente ed autonomamente impugnate);
c) laddove le prescrizioni legislative regionali rimettano all’ Ente locale comunale la disciplina di dettaglio di taluno degli aspetti che riguardano la materia in oggetto il potere amministrativo comunale deve esercitarsi nei limiti dell’ambito espressamente demandatogli dalla Regione nell’ esercizio della propria potestà legislativa concorrente;
d) soltanto laddove sia carente la disciplina legislativa regionale potrebbe porsi la problematica concernente la potestà dell’Ente comunale di intervenire direttamente in materia: ma la questione non riguarda l’odierno giudizio e non verrà perciò affrontata.
9. La disciplina vigente nella regione Lombardia e le conseguenze che da essa discendono.
I) I principi sinora enunciati devono adesso essere traslati alla vicenda processuale: all’uopo appare necessario riepilogare brevemente quale sia stata l’evoluzione normativa nella Regione Lombardia
II) Come rilevato nella parte in fatto della presente decisione, la Regione Lombardia, con la legge regionale 21 ottobre 2013, n.8 (recante “Norme per la prevenzione e il trattamento del gioco d’azzardo patologico”) ha originariamente stabilito all’art. 5 comma I che : “ Per tutelare determinate categorie di soggetti maggiormente vulnerabili e per prevenire fenomeni da GAP, è vietata la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito in locali che si trovino ad una distanza, determinata dalla Giunta regionale entro il limite massimo di cinquecento metri, da istituti scolastici di ogni ordine e grado, luoghi di culto, impianti sportivi, strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o sociosanitario, strutture ricettive per categorie protette, luoghi di aggregazione giovanile e oratori” ;il testo originario del successivo comma II del predetto articolo 5 prevedeva inoltre che “ Il comune può individuare altri luoghi sensibili, ai sensi dell’articolo 51, comma 1 bis, della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), in cui si applicano le disposizioni di cui al comma 1 tenuto conto dell’impatto dell’installazione degli apparecchi di cui al comma 1 sul contesto e sulla sicurezza urbana, nonché dei problemi connessi con la viabilità, l’inquinamento acustico e il disturbo della quiete pubblica”;inoltre, l’ articolo 12 della legge regionale medesima (rimasto immutato) prevedeva che “La Giunta regionale approva il provvedimento previsto dall’articolo 5, comma 1, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.” .
III) In ottemperanza alla prescrizione normativa di cui all’articolo 12 della predetta legge regionale è stata approvata la D.g.r. del 24 gennaio 2014 – n. X/1274 che, tra l’altro, all’art. 2 punto 1 dell’Allegato A stabilisce che “ Per “Apparecchi per il gioco di azzardo lecito” si intendono quelli di cui all’art . 110 commi 6 e 7 del regio decreto 18.06.1931 n. 773 “Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”.
IV) Il legislatore regionale lombardo è successivamente intervenuto con la legge regionale del 6 maggio 2015 n. 11 modificando l’originario testo dell’ art. 5 della legge regionale 21ottobre 2013, n.