Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-11-03, n. 202209609
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Pubblicato il 03/11/2022
N. 09609/2022REG.PROV.COLL.
N. 01199/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1199 del 2018, proposto da
M C D B, rappresentata e difesa dall'avvocato A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A A in Roma, via degli Avignonesi, n. 5
contro
Comune di San Giuseppe Vesuviano, Ente Parco Nazionale Vesuvio, non costituiti in giudizio;
Ente Parco Nazionale del Vesuvio, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 3500/2017
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 28 ottobre 2022 il Pres. Claudio Contessa e udito l’avvocato A C per la parte appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. della Campania e recante il n. 2936/2000, l’odierna parte appellante, sig.ra Cristina D B, impugnava l’ordinanza n. 213 del 10 dicembre 1999 (unitamente alla lettera informativa del Comune di San Giuseppe Vesuviano, prot. n. 8607 del 1999) con la quale l’Ente Parco Nazionale Vesuvio le ingiungeva la demolizione di un manufatto, realizzato in assenza di titolo edilizio, insistente su un fondo della quale ella era comproprietaria con il marito, e sito in San Giuseppe Vesuviano, alla Via Telese.
Si costituiva in giudizio l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio il quale concludeva nel senso della reiezione del ricorso.
All’esito della Camera di Consiglio fissata per la trattazione dell’istanza cautelare presentata dalla ricorrente, il T.A.R. adito, con ordinanza n. 2013 del 19 aprile 2000, accoglieva l’istanza in questione sospendendo l’esecutività dell’impugnata ordinanza.
Successivamente, con decreto decisorio n. 26130 del 15 novembre 2012, il Presidente della Quarta Sezione del medesimo T.A.R. dichiarava la perenzione del ricorso, ai sensi dell’art. 1, co. 1, All. 3, norme transitorie del decreto legislativo n. 104 del 2010 ( Codice del processo amministrativo ).
Tuttavia, con istanza notificata il 18 dicembre 2013 e depositata il successivo 22 febbraio 2014, la sig.ra D B dichiarava di avere ancora interesse alla decisione della causa, invocando, pertanto, la revoca del predetto decreto, ai sensi dell’art. 1, co.2, All. 3, c.p.a., asserendo che lo stesso non sarebbe stato da lei conosciuto, in quanto non notificato nel domicilio eletto.
Di conseguenza, con ordinanza collegiale n. 5178 del 13 settembre 2016, la Terza Sezione del Tar Napoli, rilevando dubbi circa l’estinzione del giudizio, assegnava alle parti un termine di venti giorni decorrenti dalla notifica dell’ordinanza medesima, affinché presentassero memorie sulla questione indicata.
Ciò in quanto, a decorrere dalla data di pubblicazione del decreto di perenzione n. 26130/2012, avvenuta col depositato in segreteria il 15 novembre 2012, non era stato comunque compiuto alcun atto di procedura, contrariamente a quanto previsto dall’art. 81 cod. proc. amm.
Successivamente, con ordinanza collegiale n. 421 del 19 gennaio 2017, il Giudice di prime cure, rilevata l’assenza di una prova certa in ordine all’effettivo ricevimento del decreto decisorio da parte della ricorrente, disponeva la revoca del decreto di perenzione e la nuova iscrizione della causa sul ruolo di merito, peraltro, ribadendo alle parti, come questione di rito rilevabile d’ufficio ex art. 73, co. 3, c.p.a., la possibile estinzione del giudizio prevista dall’art. 81 c.p.a., dal momento che, per oltre un anno dalla pubblicazione del decreto decisorio, non era stato compiuto alcun atto di procedura.
Infine, con la decisione oggetto del presente appello il ricorso è stato dichiarato perento, ai sensi dell’art. 81 c.p.a.
Il Giudice di prime cure, infatti, ha ritenuto dirimente la circostanza per cui dalla data di pubblicazione del (primo) decreto di perenzione, ossia dal 15 novembre 2012, non sarebbe stato compiuto alcun atto di procedura per oltre un anno, pur tenendo conto del periodo di sospensione feriale, sino al giorno del deposito da parte della ricorrente dell’atto di opposizione all’estinzione, in data 22 febbraio 2014.
La sentenza in questione è stata impugnata in appello da parte della sig.ra D B, la quale ne ha chiesto l’integrale riforma articolando i seguenti motivi:
- I) “error in judicando – illegittimità della sentenza n. 3500/2017 – erroneità della motivazione – violazione e falsa applicazione dell’art. 81 cod. proc. amm. – violazione dell’art. 82 cod. proc. amm”;
- II) “omessa pronuncia – violazione del giudicato cautelare – violazione del principio di affidamento – violazione della L. n. 241/90 e ss. modificazioni”;
- III) “omessa pronuncia – violazione e falsa applicazione dell’art. 167 del d.lgs 42/2004 – violazione e falsa applicazione dell’art. 15 legge 1437/1939 – travisamento dei fatti – erroneità dei presupposti – carenza di istruttoria”;
- IV) “illegittimità del provvedimento di demolizione per mancata comunicazione del responsabile del procedimento – difetto di istruttoria – violazione del procedimento amministrativo”;
- V) “violazione del procedimento amministrativo – difetto di istruttoria – omessa motivazione – violazione degli art. 7 e ss. della l. n. 241/1990 – violazione del principio di affidamento”.
Con atto formale si è costituito in giudizio l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Il Comune di San Giuseppe Vesuviano, pur se regolarmente intimato, non risulta costituito.
All’udienza di smaltimento del 28 ottobre 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla sig.ra D B avverso la sentenza del T.A.R. della Campania n. 3500/2017 che ha dichiarato la perenzione del ricorso proposto dalla medesima avverso l’ordinanza n. 213 del 10 dicembre 1999, con la quale l’Ente Parco Nazionale Vesuvio le aveva ingiunto la demolizione di un manufatto realizzato abusivamente.
2. Il primo motivo di appello è incentrato sulla dichiarazione di perenzione del ricorso di primo grado.
Secondo quanto dedotto dall’appellante, il Giudice di prime cure avrebbe ritenuto erroneamente perento il ricorso, in quanto la sig.ra D B non sarebbe stata posta nella condizione di manifestare il proprio interesse alla prosecuzione del giudizio mediante la proposizione di nuova istanza di fissazione udienza. Invero, non avendo ricevuto dalla Segreteria avviso alcuno, non sarebbe decorso alcun termine per imprimere nuovo impulso alla vicenda processuale
Con il secondo motivo parte appellante asserisce che l’oggetto della presente controversia debba essere circoscritto alla propria domanda di condono, considerato, infatti, che gli atti successivi posti in essere dalle Amministrazioni resistenti risultano affetti da nullità per violazione del giudicato cautelare, formatosi in seguito alla pronuncia del T.A.R. adito sull’istanza di sospensione dell’esecutività dell’ordinanza di demolizione delle opere realizzate.
La terza censura denuncia l’illegittimità del provvedimento di diniego dell’istanza di condono edilizio.
Tale illegittimità sarebbe dovuta ad una carenza di istruttoria procedimentale. In particolare, l’Amministrazione, a detta di parte appellante, non avrebbe interpellato la Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici e artistici di Napoli, al fine di ottenere il rilascio del relativo parere.
Con il quarto motivo l’appellante sig.ra D B si duole della violazione delle regole sul procedimento amministrativo, che ha condotto all’adozione dell’impugnata ordinanza di demolizione. Nello specifico, la P.A. non avrebbe trasmesso la comunicazione di avvio del procedimento all’interessata, impedendole di esercitare le facoltà partecipative riconosciutele dalla legge.
L’ultimo motivo di appello inerisce alla insufficienza dell’impianto motivazionale utilizzato dall’Amministrazione per giustificare l’adozione del provvedimento di demolizione, in considerazione del notevole lasso di tempo intercorso tra la realizzazione dell’opera e la misura adottata e del conseguente legittimo affidamento maturato dalla sig.ra D B circa il non esercizio del potere repressivo.
3. Il primo motivo di appello è fondato e ciò determina la riforma della sentenza in epigrafe con remissione degli atti al primo Giudice ai sensi dell’articolo 105, comma 1 cod. proc. amm., esimendo il Collegio dall’esame puntuale degli ulteriori motivi.
3.1. La sentenza in oggetto ha ricostruito in modo esatto e condivisibile la ratio storica e sistematica dell’istituto processuale della perenzione (attualmente disciplinata, a regìme, dagli articoli 81, 82 e 83 del cod. proc. amm.), così come i tratti essenziali della sua vigente disciplina codicistica.
Tuttavia, la sentenza appellata è pervenuta a conclusioni non condivisibili per ciò che riguarda il rilievo da riconoscere, ai fini del decidere, all’ordinanza del medesimo T.A.R. n. 421/2017 di accoglimento del decreto di perenzione.
3.2. Il T.A.R. ha correttamente richiamato l’orientamento secondo cui l’istituto della perenzione si giustifica quale conseguenza dell’inerzia processuale serbata dalla parte ricorrente, mentre non troverebbe giustificazione nelle ipotesi in cui il rapporto processuale – ovvero un suo tratto – sia sottratto alla disponibilità delle parti, restando assoggettato al diretto impulso di ufficio (è stata richiamata al riguardo la sentenza Cons. Stato, Ad. plen., 28 settembre 1984, n. 19).
In tal modo si giustifica la previsione del vigente articolo 81 del cod. proc. amm. il quale, dopo aver stabilito che “ Il ricorso si considera perento se nel corso di un anno non sia compiuto alcun atto di procedura ”, precisa poi – al secondo periodo – che “ il termine non decorre dalla presentazione dell'istanza di cui all'articolo 71, comma 1 [si tratta dell’istanza di fissazione dell’udienza – n.d.E.], e finché non si sia provveduto su di essa, salvo quanto previsto dall'articolo 82 ”.
3.3. Ora, è pacifico in atti che, a fronte dell’istanza di fissazione di udienza presentata dalla signora D B (odierna appellante) in una con la proposizione del ricorso al T.A.R., il primo Giudice non abbia provveduto in modo espresso.
Si tratta a questo punto di chiarire quale valenza debba attribuirsi – ai fini di cui all’articolo 81 del cod. proc. amm. – al decreto n. 26130/2012 (in seguito opposto) con il quale il Tribunale amministrativo aveva inizialmente dichiarato la perenzione del ricorso introduttivo.
Al riguardo il primo Giudice ha affermato che “ una volta dichiarata l’estinzione del processo per perenzione quinquennale ovvero ai sensi delle norme transitorie, sia pure con il decreto presidenziale previsto dall’art. 85 c.p.a., il giudice amministrativo ha definitivamente provveduto sull’originaria domanda di fissazione d’udienza, la quale ha completamente esaurito la propria funzione, ragion per cui nessun ulteriore effetto può residuare al fine di bloccare la decorrenza del termine per l’applicazione della perenzione annuale ex art. 81 c.p.a..
(…) Se dunque il decreto di perenzione è per qualsiasi ragione annullato o revocato, sia pure per un difetto di procedura dell’iter relativo alla pronuncia della perenzione ex art. 82 c.p.a. ovvero ai sensi dell’art. 1 allegato 3 c.p.a., occorre verificare se per altro verso si è verificata l’estinzione del giudizio per perenzione annuale, ai sensi dell’art. 81 c.p.a., e quindi, in concreto, se sia stato compiuto un atto di procedura nel corso di un anno, con decorrenza dalla pubblicazione del decreto di perenzione ”.
3.4. Il T.A.R. ha dunque attribuito al decreto di perenzione del 2012 (in seguito opposto e quindi revocato) la valenza di atto idoneo a definire l’istanza di fissazione di udienza, in tal modo onerando – a partire dal momento della sua pubblicazione – il ricorrente a compiere almeno un atto di procedura entro l’anno, pena la perenzione del giudizio ai sensi del richiamato articolo 81, cod. proc. amm.
Tale impostazione non può essere confermata per due concorrenti ragioni.
3.4.1. Si osserva in primo luogo che appare già dubbio affermare che una pronuncia di perenzione (adottata a fronte della – contestata - inerzia della parte) possa essere considerata quale atto attraverso il quale il Giudice provvede – in modo di fatto implicito - sull’istanza di fissazione di udienza.
Tale affermazione finisce (attraverso un’operazione qualificatoria non pacifica) per travolgere il dato storico rappresentato dal mancato, espresso riscontro da parte del Giudice sull’istanza di fissazione.
3.4.2. Ma anche a voler condividere tale - non pacifica - impostazione (all’evidente fine di non dilatare per un tempo indefinito la possibilità per la parte di attivarsi processualmente in modo tardivo, sottraendosi alle conseguenze della perenzione), non sono comunque condivisibili le conseguenze che da essa la sentenza appellata deduce in relazione alle peculiarità del caso in esame.
In particolare, se è vero che (come esposto in narrativa) il T.A.R. con l’ordinanza n. 421/2017 aveva accolto l’opposizione a decreto di perenzione (avendo accertato che la parte non aveva avuto conoscenza di quel decreto per una disfunzione del servizio postale), ne consegue che non sia poi possibile contestare alla stessa parte di non essersi attivata entro un anno dalla pubblicazione del medesimo decreto di perenzione. Si trattava infatti di un decreto che – per come accertato proprio dal primo Giudice – la parte non aveva neppure conosciuto ( rectius : in relazione al quale non era emersa una prova adeguata della relativa conoscenza).
Appare infatti incongruo – per un verso – accogliere l’opposizione avverso il decreto di perenzione in ragione della mancata prova della conoscenza dello stesso da parte del ricorrente e poi – per altro verso – dichiarare comunque la perenzione (ad altro e distinto titolo) utilizzando quale presupposto proprio la pubblicazione del medesimo decreto di perenzione non conosciuto dalla parte.
4. Per le ragioni esposte l’appello in epigrafe deve essere accolto e per l’effetto la sentenza in epigrafe deve essere annullata con rinvio al primo Giudice ai sensi dell’articolo 105, comma 1, cod. proc. amm.
Sussistono giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.