Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-01-25, n. 202400785
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Testo completo
Pubblicato il 25/01/2024
N. 00785/2024REG.PROV.COLL.
N. 08118/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8118 del 2018, proposto da
C B, rappresentata e difesa dall'avvocato D M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G C in Roma, via Cicerone n.44;
contro
Comune di Livigno, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. 533/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2023 il Cons. Ulrike Lobis e udito per le parti l’avv.to G C per delega di D M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con l’appello in esame, la ricorrente ha impugnato la sentenza del T.a.r. Lombardia, sede di Milano, Sez. I, 26 febbraio 2018, n. 533 concernente il rigetto del gravame principale proposto dalla stessa parte per ottenere l’annullamento della determinazione n. 21482 del 12 settembre 2008 del Responsabile del Servizio Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Livigno, di rigetto dell’istanza di condono edilizio presentata dalla ricorrente e dell’ordinanza di demolizione n. 18071 del 4 agosto 2009, del Responsabile del Servizio Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Livigno, atto impugnato con ricorso per motivi aggiunti.
1.1. In particolare con istanza n. 26971 del 9 febbraio 2004 l’odierna appellante ha presentato al Comune di Livigno una domanda di condono, ex art. 32 d.l. n. 269/2003, per aver realizzato una struttura coperta, chiusa su 4 lati, aggiunta al piano terra dell’edificio esistente dell’unità immobiliare che accoglie il pubblico esercizio gestito all’insegna “Marco’s Pub” (mc. 200,63 e mq. 64,92), di proprietà della parte appellante.
1.2. Con la determinazione n. 21482 del 12 settembre 2008 il Comune di Livigno ha rigettato l’istanza di condono.
1.3. Avverso il diniego è stato presentato ricorso al TAR, basato su due motivi:
(i) Violazione e/o erronea e/o falsa applicazione dell'art. 32 del D.L. 269/2003 (convertito in legge n. 326 del 2003), nonché della legge regionale lombarda n. 31 del 2004 (artt. 2 e 3). Eccesso di potere per insufficienza e/o difetto di motivazione.
(ii) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 32 della legge 47/1985 ih relazione all'art. 32 del D.L. n. 269 del 2003, commi 27 e 40;eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 del D.L. n. 269 del 2003, comma 3.
1.4. Nelle more del giudizio il Comune di Livigno ha intimato la demolizione dell’opera abusiva con ordinanza n. 18071 del 4 agosto 2009, oggetto di impugnazione con ricorso per motivi aggiunti.
1.5. Con i motivi aggiunti l’odierna appellante deduceva l’illegittimità del provvedimento del 4.8.2009 tanto in via di illegittimità derivata, quanto sotto il profilo della violazione dell’art. 34 del DPR n. 380/2001 che della carenza e/o della insufficienza della motivazione del provvedimento.
1.6. Il TAR per la Lombardia, Sezione Prima, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti, ritenendo:
- che l’intervento di che trattasi è consistito nella realizzazione di un’autonoma struttura, chiusa su 4 lati e riscaldata, contigua al ristorante, per cui si tratta di una nuova opera e non di un mero ampliamento di quella esistente;
- che per giurisprudenza costante, la realizzazione di una veranda, chiusa sui lati, costituisce una trasformazione urbanistico-edilizia del preesistente manufatto, che in quanto idonea a modificarne la sagoma e creare nuovo volume, non può formare oggetto di condono;
- che il preavviso di rigetto ex art. 10 bis L. n. 241/90, espressamente richiamato dal provvedimento impugnato, ha evidenziato che la zona di che trattasi è soggetta a vincolo paesaggistico, non potendosi pertanto sanare l’intervento di che trattasi, come previsto dal c. 27 lett. d) art. 32 D.L. 30.9.2003, n. 269, secondo cui le opere abusive non sono suscettibili di sanatoria, qualora siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali, a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;
- che la giurisprudenza successiva a quella invocata dalla ricorrente, ha ritenuto che il condono edilizio di opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli è ammissibile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del cit. D.L. 30.9.2003, n. 269 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), non essendo in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive se, come avvenuto nel caso di specie, l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa;
- che il provvedimento impugnato, letto congiuntamente al preavviso di rigetto ex art. 10 bis L. n. 241/90, dal medesimo espressamente richiamato, sulla base della scheda istruttoria predisposta dal tecnico comunale, qualifica l’intervento di che trattasi come “ampliamento non conforme alle norme vigenti” in zona soggetta a vincolo paesistico, e come tale insuscettibile di sanatoria, ai sensi dell’art. 32 c. 27 lett. d) D.L. n. 269/2003, enucleando perciò i presupposti di fatto e di diritto posti a fondamento del medesimo;
- che in materia di dinieghi di condono, l'obbligo di motivazione può essere assolto in forma sintetica laddove, come avvenuto nel caso di specie, le ragioni della determinazione amministrativa risultino evidenti dal contesto;
- che gli apporti partecipativi dell’istante, peraltro espressamente richiamati nel provvedimento impugnato, sono stati considerati inidonei a modificare le conclusioni istruttorie, ritenendo che gli stessi si limitassero “a formulare un’opinione non suffragata da alcuna motivazione giuridicamente rilevante;
- che nell'ipotesi di opere abusive realizzate su aree sottoposte a vincolo, il silenzio - assenso dell'amministrazione comunale può formarsi col decorso del termine di ventiquattro mesi dall'emanazione del parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo stesso, e soltanto se tale parere è favorevole all'istante;
- che l'art. 32 D.L. n. 269/2003 ha introdotto un istituto particolare, che differisce da quello generale previsto dall'art. 18 L. n. 241/1990, essendo il decorso del tempo mero elemento costitutivo della fattispecie autorizzativa, occorrendo infatti, affinché si abbia silenzio-assenso che, diversamente da quanto avvenuto nel caso di specie, il procedimento sia stato avviato da un’istanza conforme al modello legale previsto dalla norma che regola il procedimento di condono, e quindi, che la domanda di sanatoria presentata possegga i requisiti soggettivi ed oggettivi indicati dalla norma stessa;
- che in base a quanto previsto nel comma 1 del citato art. 34 del DPR n. 380/2001 “gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso”. In base alla giurisprudenza pacifica, la difformità parziale richiamata dalla norma che il ricorrente deduce violata, è una categoria residuale, e presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall'autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste ed autorizzate a livello progettuale, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione, e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera;
- che in base a quanto previsto nel comma 2 del citato art. 34 “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione” . Tale facoltà non è tuttavia invocabile nel caso di specie in cui, come detto, le opere realizzate hanno dato luogo ad una nuova costruzione.
2. Avverso la sentenza è stato proposto appello basato su 5 motivi:
(i). Estraneità del capo decisorio ai motivi di ricorso ed alle stesse motivazioni del provvedimento di diniego impugnato – extrapetizione;
(ii). Erroneità del capo decisorio per contrasto con l’art. 3 della L.R. n. 31/2004;
(iii) Erroneità del capo decisorio relativo alla dedotta illegittimità, in via derivata, dell’ordine di demolizione impugnato con motivi aggiunti;
(iv). Erroneità del capo decisorio per contrasto con l’art. 34 del DPR n. 380/2001 – extrapetizione;
(v). Mancato esame del motivo afferente alla dedotta illegittimità dell’ordine di demolizione per carenza di motivazione—extrapetizione;
2.1. Il Comune di Livigno, nonostante regolare notifica (scadenza notificazione 25.9.2018 - invio tramite poste 24.09.2018), non si è costituito.
2.2. In vista dell’udienza di merito parte appellante ha depositato memoria difensiva il 10.03.2023.
2.3. All’udienza di merito del 13.4.2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
3. L’appello - sia in ordine alle censure inerenti il diniego del condono e le condizioni per la condonabilità, sia in ordine all’ordine di demolizione - è infondato.
Con il primo motivo (rubricato: Estraneità del capo decisorio ai motivi di ricorso ed alle stesse motivazioni del provvedimento di diniego impugnato – extrapetizione) l’appellante lamenta il vizio di extrapetizione della pronuncia oggetto di gravame laddove il Giudice di prime cure afferma che “l’intervento ….. è consistito nella realizzazione di un’autonoma struttura, chiusa su 4 lati e riscaldata, contigua al ristorante, e pertanto di una nuova opera, e non di un mero ampliamento di quella esistente” e fa conseguire da tale affermazione che l’opera sfuggirebbe all’ambito applicativo del condono. L’appellante osserva che tale argomento ostativo alla sanatoria non sarebbe stato sollevato dal Comune di Livigno nel provvedimento di diniego, il quale porrebbe unicamente a motivazione il fatto che l’ampliamento volumetrico realizzato interessi un ambito sottoposto a vincolo paesaggistico, per cui il capo decisorio risulterebbe inconferente sia rispetto all’indagine di legittimità richiesta dalla ricorrente sia rispetto al contenuto del provvedimento amministrativo impugnato, il quale non fa alcun riferimento ad un’ipotetica motivazione ostativa afferente al suddetto presupposto applicativo e la decisione sul punto si risolverebbe anche in un’inammissibile integrazione motivazionale dell’atto impugnato.
Sostenendo che nel caso di specie si tratterebbe di un ampliamento della costruzione originaria (in misura di mc. 200,63 e quindi ampiamente contenuto nel limite dimensionale di mc. 500, come emergerebbe dalla documentazione fotografica allegata all’istanza di condono) e posto che lo stesso provvedimento di diniego avrebbe fatto espresso riferimento alla “realizzazione di un nuovo volume in ampliamento all’esercizio commerciale” , si censura l’erroneità della valutazione operata dal Giudice che - richiamando la giurisprudenza secondo cui il tamponamento di un manufatto con funzione meramente accessoria (veranda, tettoia ecc.) costituisce una trasformazione urbanistico-edilizia del preesistente manufatto che in quanto idonea a modificarne la sagoma e creare nuovo volume, non può formare oggetto di condono - escludeva che l’intervento in esame rientrerebbe fra gli “ampliamenti” ammessi a condono, aveva qualificato il risultato come “nuova costruzione”, comportando la creazione di nuovi volumi o superfici utili.
3.1. La doglianza è infondata. Va premesso che la stessa appellante, con il primo motivo del ricorso di primo grado aveva denunciato, oltre alla violazione dell’art. 32 del D.L. n. 326/2003, la violazione degli artt. 2 e 3 della legge regionale n. 31/2004, sostenendo che nel caso concreto l’intervento realizzato dalla parte appellante non costituirebbe una nuova costruzione, bensì mero ampliamento (cfr. pag. 6 del ricorso di primo grado).
Pertanto, il Giudice di prime cure, laddove - a conclusione dell’esame e della valutazione della censura come proposta della parte appellante, dopo aver esaminato il materiale fotografico allegato dall’istante - ha ritenuto che l’intervento per il quale si chiedeva il condono “ è consistito nella realizzazione di un’autonoma struttura, chiusa su 4 lati e riscaldata, contigua al ristorante, e pertanto di una nuova opera, e non di un mero ampliamento di quella esistente” ha esercitato correttamente il proprio operato, in quanto ha valutato in maniera esauriente e logica le doglianze sottoposte alla sua decisione sulla base delle allegazioni scritte e dei documenti in atti in riferimento alle prescrizioni normative sull’ammissibilità o meno della domanda di condono come presentata dalla parte appellante.
3.1.1. L’accertamento motivato della natura dell’intervento edilizio come effettuata dal Giudice, che va condiviso, non costituisce alcuna inammissibile integrazione motivazionale dell’atto impugnato, il quale, come si ravviserà al successivo punto 3.2., ha correttamente respinto l’istanza di condono “ perché si tratta di realizzazione dell’opera in contrasto con le norme urbanistiche (Tip.1) sin dall’epoca della costruzione, sia all’entrata in vigore della L.R. n. 31/2004, in zona soggetta a vincolo paesaggistico. In tale contesto essa non è sanabile per il combinato disposto dell’art. 32 comma 27 lett. d) del D.L. 269/2003 e dell’art. 2, comma 1 della L.R. 31/2004” .
3.1.2. Si rivela infondata anche l’affermazione della parte appellante laddove sostiene che “Ai fini dell’ammissibilità al condono di cui al D.L. n. 269/2003 ed alla più restrittiva L.R. n. 31/2004 ciò che rileva, per il profilo in esame, non è evidentemente la qualificazione dell’intervento edilizio abusivo rispetto alle definizioni dell’art. 3 del DPR n. 380/2001 bensì la disamina se la volumetria realizzata abusivamente concreti un manufatto edilizio a sé stante oppure uno spazio fisicamente integrato nella costruzione preesistente ”, in quanto oltre al D.L. n. 269/2003 anche l’art. 2 della legge regionale n. 31/2004 esclude dal condono “ le opere abusive relative a nuove costruzioni, residenziali e non, qualora realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e non conformi agli strumenti urbanistici generali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge”. E’ vero che – prosegue la norma – “ L’esclusione non opera per le strutture pertinenziali degli edifici prive di funzionalità autonoma”, ma l’intervento in questione, per cui è causa, stante le dimensioni e la natura, non rientra nel concetto di struttura pertinenziale .
Infatti, per giurisprudenza costante, non può ritenersi meramente pertinenziale un abuso che, inter alia , occupa un'area diversa e ulteriore rispetto a quella già occupata dal preesistente edificio principale. Pertanto, in materia edilizia la natura pertinenziale è riferibile soltanto ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 marzo 2023, n. 2629;id. 07 marzo 2022, n. 1605;id. Sez. II, 11 novembre 2019, n. 7689).
3.2. Con il secondo motivo (rubricato: Erroneità del capo decisorio per contrasto con l’art. 3 della L.R. n. 31/2004) l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza per contrasto con l’art. 3 della l.r. n. 31/2004, sostenendo che la norma regionale distinguerebbe i vincoli di inedificabilità assoluta dai vincoli di inedificabilità relativa (nei quali la possibilità di edificazione è subordinata a valutazione favorevole dell’Autorità amministrativa preposta alla tutela del vincolo), disponendo esplicitamente che il vincolo preclusivo della possibilità di sanatoria sarebbe solo quello di inedificabilità assoluta. Siccome il vincolo di tutela gravante sull’immobile de quo (e su tutto il territorio comunale di Livigno) sarebbe quello di tutela paesaggistica di cui agli artt. 136 e 142 del d.lgs. n. 42/2004 e non comporterebbe un’inedificabilità assoluta, potendosi effettuare delle trasformazioni edilizie all’interno del contesto territoriale in tal modo vincolato, previo conseguimento dell’autorizzazione di cui all’attuale art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, sarebbe errata la conclusione in diritto del Giudice di primo grado secondo la quale la presenza del vincolo paesaggistico, indipendentemente dalla tipologia del vincolo, è di ostacolo alla sanatoria in base alla disposizione del comma 27, lett. d), dell’art. 32 del D.L. n. 269/2003. Per parte appellante si tratta di conclusione errata in diritto in quanto ritenere che il richiamo della legge regionale ai soli vincoli di “inedificabilità assoluta” non abbia alcun significato differenziatore, ai fini del condono, rispetto alle opere ricadenti in aree soggette a vincolo cd. relativo, rappresenterebbe una forzatura letterale e logica che comprometterebbe il fondamentale principio della certezza del diritto.
3.2.1. La doglianza non ha pregio. La dimensione e la consistenza dell’opera realizzata (struttura coperta, chiusa su quattro lati, su una superficie di 64,92 mq e con un volume di mc. 200,63), che è stata correttamente inquadrata dal Giudice di prime cure quale nuova costruzione, non consente la riconducibilità della fattispecie al c.d. terzo condono in presenza di vincolo paesaggistico ed idrogeologico e, contrariamente alla tesi della parte appellante, non può nemmeno essere sanato previa l’acquisizione dell’autorizzazione di cui all’art. 146 D.Lgs. n. 42/2004.
Infatti, l'applicabilità del terzo condono in riferimento alle opere realizzate in zona vincolata è limitata alle sole opere di restauro e risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti, se e in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
In giurisprudenza, si veda sul punto Cons. Stato, Sez. VI, 15 luglio 2019 n. 4991 ove si rileva — con riferimento al c.d. “terzo condono” — che l'art. 32 del d.l. n. 269/2003, convertito con modificazioni dalla l. n. 326/2003, fissa limiti più stringenti rispetto ai precedenti “primo” e “secondo” condono (leggi nn. 47/1985 e 724/1994), escludendo la possibilità di conseguire il condono nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico qualora sussistano congiuntamente due condizioni ostative: a) il vincolo di inedificabilità sia preesistente all'esecuzione delle opere abusive;b) le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo non siano conformi alle norme e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. In tal caso l'incondonabilità non è superabile nemmeno con il parere positivo dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo;in termini, Cons. Stato, Sez. IV, 17 settembre 2013 n. 4619, ove si evidenzia che il d.l. n. 269 cit., con riguardo ai vincoli ivi indicati (tra cui quelli a protezione dei beni paesistici, ma anche quello idrogeologico), preclude la sanatoria sulla base della anteriorità del vincolo senza la previsione procedimentale di alcun parere dell'Autorità ad esso preposta, con ciò collocando l'abuso nella categoria delle opere non suscettibili di sanatoria. Sul punto, si veda anche Cons. Stato, Sez. V, 24 settembre 2009 n. 4373 e Id., Sez. IV, 3 novembre 2008 n. 5467, ove si legge che “sebbene la presenza di un vincolo idrogeologico non comporti l'inedificabilità assoluta dell'area, la sua presenza impone ai proprietari l'obbligo di conseguire, prima della realizzazione dell'intervento, il rilascio di apposita autorizzazione da parte della competente amministrazione, in aggiunta al titolo abilitativo edilizio”. Sul momento temporale dell'apposizione del vincolo, si rinvia a Cons. Stato, Sez. IV, 21 dicembre 2012 n. 6662., ove si chiarisce che le opere soggette a vincolo idrogeologico non sono condonabili ove siano in contrasto con il suddetto vincolo, anche se questo sia stato apposto successivamente alla presentazione dell'istanza di condono (sul punto conformi anche Cons. Stato, Sez. VI, 11 ottobre 2021 n. 6827, Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2018 n. 3659).
3.2.2. Pertanto, essendo l’applicabilità del condono in oggetto limitata alle sole opere di restauro e risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti - fattispecie che non sussiste nel caso concreto ove si tratta della realizzazione di una nuova struttura coperta, chiusa su quattro lati - è del tutto irrilevante, con riferimento al vincolo paesaggistico esistente sull’immobile, la distinzione tra inedificabilità assoluta e relativa.
3.2.3. In conclusione, la sentenza impugnata è abbondantemente e correttamente motivata sul punto per cui viene rigettato questo motivo di impugnazione.
3.3. Con il terzo motivo (rubricato: Erroneità del capo decisorio relativo alla dedotta illegittimità, in via derivata, dell’ordine di demolizione impugnato con motivi aggiunti) parte appellante contesta il capo decisorio in cui il Giudice di primo grado ha ravvisato, sulla base della ritenuta infondatezza dei motivi dedotti contro il diniego di condono edilizio, la correlativa infondatezza dell’illegittimità derivata prospettata dalla ricorrente nei confronti dell’ordine di demolizione successivamente impugnato con motivi aggiunti.
3.3.1. La doglianza è infondata e va pertanto respinta per gli stessi motivi riportati ai precedenti punti 3.1. e 3.2. con riferimento all’infondatezza dei motivi dedotti per l’impugnazione del provvedimento di diniego del condono edilizio, ai quali, per economia processuale e per evitare ripetizioni, si rinvia.
3.4. Con il quarto motivo (rubricato: Erroneità del capo decisorio per contrasto con l’art. 34 del DPR n. 380/2001 – extrapetizione) parte appellante deduce l’erroneità del capo della sentenza laddove si esprime sulle censure dedotte in primo grado in merito all’ordine di demolizione ed in particolare sulla invocata violazione dell’art. 34 D.P.R. n. 380/2001, il quale diversamente da quanto indicato nel provvedimento impugnato, non consentirebbe all’ordinanza di demolizione di disporre, per il caso di mancata spontanea demolizione da parte del trasgressore, l’esecuzione d’ufficio, in quanto la scelta tra demolizione d’ufficio e sanzione pecuniaria richiederebbe una vera e propria valutazione da parte della P.A. delle caratteristiche dell’abuso.
3.4.1. Con il quinto motivo (rubricato: Mancato esame del motivo afferente alla dedotta illegittimità dell’ordine di demolizione per carenza di motivazione—extrapetizione) l’appellante chiede la riforma della pronuncia per mancato esame del quinto motivo afferente alla dedotta illegittimità dell’ordine di demolizione per carenza di motivazione, sostenendo che nei motivi aggiunti di impugnazione in primo grado avrebbe evidenziato in via subordinata che l’ordinanza di demolizione, oltre a contravvenire al modello procedimentale delineato dall’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001, risulterebbe viziata per carenza di motivazione stante la mancata indicazione da parte dell’Ufficio competente delle ragioni giustificanti la possibilità di demolizione delle porzioni abusive senza pregiudizio (materiale e funzionale) per le restanti parti dell’edificio regolarmente in essere e, dunque, della scelta operata in direzione della demolizione d’ufficio in luogo della applicazione della sanzione pecuniaria.
3.4.2. I due motivi di impugnazione, che si prestano ad un esame congiunto, sono infondati.
Va premesso che in presenza della realizzazione di opere edilizie abusive, come avvenuto nel caso concreo, il rimedio “ordinario” è quello dell’ordine di ripristino dello status quo ante.
In presenza di un atto vincolato, qual è l’ordine di demolizione, non è richiesta una specifica motivazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti.
Costituisce costante affermazione giurisprudenziale che l'attività di repressione degli abusi edilizi non è attività discrezionale, ma del tutto vincolata;ne consegue che l'ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell'abuso corrisponde per definizione all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5.11.2018, n. 6246;sez. VI, 6.9.2017 n. 4243).
La legittimità dell'ingiunzione demolitoria richiede, dunque, l'affermazione della accertata abusività dell'opera attraverso la descrizione delle opere, la constatazione della loro esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo e l'individuazione della norma applicata, esulando ogni altra indicazione dal contenuto tipico del provvedimento.
3.4.3. Nella specie, l’atto impugnato, anche mediante riferimento al precedente atto di rigetto del condono “n. 21482 del 12.09.2008, ricevuta dal destinatario il 17.09.2008 ”:
- i) identifica l’immobile tramite i riferimenti catastali (via Saroch 591, sul mappale 272 sub 22, Fg n. 39);
- ii) contiene una dettagliata descrizione delle opere abusivamente realizzate e precisa il fondamento normativo e segnatamente: “ nella realizzazione di un ampliamento non conforme alle norme urbanistiche vigenti (Tip.1) che non può essere sanato alla luce di quanto disposto dall’art.32, comma 27, lett. d) del D.L. 269/2003 nonché dall'art.2 comma 1 della L.R. n. 31/2004”.
L’ordinanza di demolizione impugnata è sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere ed alla impossibilità di condono “alla luce di quanto disposto dall’art.32, comma 27, lett. d) del D.L. 269/2003 nonché dall'art.2 comma 1 della L.R. n. 31/2004” , non essendo necessario, in tal caso, alcun ulteriore adempimento motivazionale.
È pertanto, priva di pregio la censura attinente al difetto di motivazione dell’ordine di demolizione.
3.4.4. Per quanto attiene, poi, la critica dell’asserita omissione della valutazione circa la possibilità di procedere alla demolizione delle parti abusivamente costruite senza arrecare danno ad eventuali parti correttamente costruite, si rileva che tale attività riguarda la fase esecutiva dell’ordinanza di demolizione. La costante giurisprudenza ritiene che non sia l'amministrazione a dover valutare, prima di emettere l'ordine di demolizione dell'abuso, se essa possa essere applicata, ma è il privato interessato a dover dimostrare, in modo rigoroso, nella fase esecutiva, l'obiettiva impossibilità di ottemperare all'ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme (Cons. Stato Sez. VI, 19.11.2018, n. 6497).
“L 'impossibilità tecnica di demolire il manufatto senza grave pregiudizio per l’assentito non incide sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio, per cui la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive (quando ciò sia pregiudizievole per quelle legittime) costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva subordinato alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi “ (Consiglio di Stato, sez. VI, 10.05.2021, n. 3666).
3.4.5. In conclusione, merita conferma la sentenza qui in esame dal momento che tutte le doglianze formulate con il ricorso in appello sono infondate.
3.4.6. Per quanto esposto e ritenendo assorbiti tutti gli ulteriori argomenti di doglianza non espressamente esaminati, che il Collegio ha ritenuto irrilevanti ai fini della decisione o comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso da quella assunta, l’appello deve essere respinto per i motivi indicati.
4. Nulla sulle spese a causa della mancata costituzione del Comune appellato.