Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-05-27, n. 201903455

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-05-27, n. 201903455
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201903455
Data del deposito : 27 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/05/2019

N. 03455/2019REG.PROV.COLL.

N. 00311/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 311 del 2013, proposto dalle ditte Società Agricola Bonacina e Gambino S.S., Azienda Agricola Boselli Giancarlo e Francesco Mario - F.lli S.S., Azienda Agricola Busi Geom. Carlo e Geom. Mario - Busi Carlo e Luigi, Azienda Agricola Carminati Gottardo e Giampaolo Pietro - Carminati F.lli, Azienda Agricola Chiappini Francesco e Bortolo e Gianpietro - Chiappini F.lli ora Chiappini Dario e Alessandro S.S. Agricola, Azienda Agricola Corradi Angelo, Pietro, Paolo, Antonio, Emanuele e Margherita, Azienda Agricola Daldoss Egidio e Dario, Azienda Agricola Donzelli Mario e Pierino, Azienda Agricola Facchi Mario, Vittorio, Giovanni, Pierangelo e Massimo, Azienda Agricola Guzzago Angelo e Cesare, Azienda Agricola il Campo di Gussoni Emanuele e Pierangelo, Azienda Agricola Invernizzi Francesco e Giuseppe, Azienda Agricola Mometto F.lli S.S., Azienda Agricola Moretti Albino, Pasquale, Patrizio e Domenico, Azienda Agricola Scalmana Enrico Ora Scalmana Fabio, Azienda Agricola Tiraboschi F.lli S.S., Azienda Agricola Tosoni Pietro, Azienda Agricola Vitali Gianpaolo, Azienda Agricola Zanesi Battista e Rinaldo, Azienda Agricola Tarozzi Gianbattista, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dagli avvocati Fabrizio Tomaselli e D M B, con domicilio eletto presso lo studio D M B in Roma, via Luigi Luciani 1,
nonché dalle ditte Azienda Agricola Cavezzali Giovanni e Francesco, Azienda Agricola Cecchinato Giuseppe e Giovanni, Azienda Agricola Chiari Natale ora Chiari Francesco, Azienda Agricola Francesconi Antonio, Azienda Agricola Gerevini Oscar B. e Foletti Giulia, Azienda Agricola La Rosa di Elisabetta Piana &
C. Snc, Azienda Agricola Migli Gianpietro e Ferdinando, Azienda Agricola Migliorati F.lli ora Vittoria di Migliorati Giuseppe e Antonio S.S., Azienda Agricola Oprandi Innocente e Ardigo Maria, Azienda Agricola Ranghetti Giacomo e Figli S.S., Azienda Agricola Sbaruffati e Sebri, Azienda Agricola Pizzocheri Alfredo e Paolo, Azienda Agricola Brandazza Pierino e Fabio, Azienda Agricola Oprandi Sperandio, Azienda Agricola Cipolla Luigi, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall’avvocato Fabrizio Tomaselli, con domicilio eletto presso lo studio D M B in Roma, via Luigi Luciani, 1
e dalle ditte Azienda Zambetti Flavio e Azienda Riboldi Ambrogio, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall’avvocato C T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

l’AGEA - Agenzia per le erogazioni in Agricoltura ed il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12,

per la riforma

della sentenza in forma semplificata del T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, Sezione II ter , n. 4016 del 4 maggio 2012, resa inter partes , concernente compensazione nazionale per le produzioni di latte relative alle annate 1997/98 e 1998/99.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agea-Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura e del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 16 aprile 2019 il consigliere G S e uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati D M B, A V su delega di C T e l’avvocato dello Stato F U N;

Visto l’art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


F e DIRITTO

1. Con ricorso n. 11234 del 2000, proposto innanzi al T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, le intestate aziende agricole, dedite all’allevamento di vacche da latte per la produzione e commercializzazione del latte vaccino soggette al prelievo supplementare, avevano chiesto l’annullamento dei seguenti atti:

a) il provvedimento dell’AIMA dell’8 giugno 2000 recante i risultati della compensazione nazionale per le produzioni di latte relative alle annate 1997/98 e 1998/99;

b) le comunicazioni pervenute nel mese di luglio 2000 che riportano l’indicazione degli importi di prelievo supplementare addebitati alle ricorrenti.

2. A sostegno della proposta impugnativa, le aziende ricorrenti, dopo aver ricostruito la disciplina in materia di “ quote latte ”, sollevavano le seguenti censure:

- illegittimità dell’assegnazione retroattiva dei QRI per violazione dei principi di derivazione comunitaria di certezza del diritto e di affidamento;

- illegittimità comunitaria del sistema nazionale delle quote A e B e mancanza di motivazione del taglio della quota “B”;

- violazione della sentenza n. 520 del 1995 della Corte Costituzionale che, per la determinazione delle QRI da assegnare ai produttori, ha sancito la necessità dell’acquisizione del parere degli enti territoriali;

- mancanza di motivazione e mancato rispetto dei termini di comunicazione dei dati relativi alla compensazione nazionale;

- illegittimità della richiesta di prelievo in quanto basata su dati presupposti (come le assegnazioni di QRI) sospesi in via giurisdizionale;

- illegittimità della procedura di compensazione prevista dall’art. 1, comma 8, del D.L. n. 43 del 1999.

3. Costituitasi l’AIMA (ora AGEA) al fine di resistere, il Tribunale adìto, Sezione II ter , ha così deciso il gravame al suo esame:

- ha disatteso l’eccezione di difetto di giurisdizione (questo capo della sentenza non è stato impugnato ed è pertanto passato in giudicato);

- ha respinto il ricorso, reputando infondate tutte le censure articolate;

- ha compensato le spese di lite.

4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:

- sussistono i presupposti per emettere una decisione in forma semplificata, “ in quanto tali questioni, sebbene con riferimento alle annate 1995/96 e 1996/97, sono state comunque oggetto di approfondimento con la sentenza della Sezione del 6 luglio 2011, n. 5975 ”;

- è dato “ svolgere ulteriori considerazioni con particolare riferimento al contenuto della relazione redatta dal Nucleo Carabinieri nell’aprile 2010 ”;

- “ i dati presenti nella banca dati del SIAN sono compatibili con le produzioni dichiarate nel tempo dagli agricoltori e che il patrimonio nazionale bovino, oltre ad essere coerente con gli elementi ricavabili dalla BDN, è altresì congruente e, comunque, non incompatibile con le produzioni commercializzate nelle varie annate lattiere ”;

- “ tali risultanze (riguardanti l’attendibilità dei dati utilizzati nel tempo da AIMA) non erano in grado di scardinare l’intero sistema nazionale delle c.d. “quote latte” né erano sufficienti a far ritenere assolto in capo ai produttori, e quindi alla parte ricorrente l’onere probatorio in modo tale da spostare sulla parte resistente l’obbligo di provare la bontà e la stessa veridicità dei dati utilizzati per l’assegnazione della QRI di riferimento e, di conseguenza, il prelievo supplementare da imputare in caso di sforamento della quota attribuita ”;

- “ a fronte dei dubbi riportati nella relazione dei Carabinieri del 15 aprile 2010 con particolare riferimento alla “popolazione bovina” ed ai dati della produzione nazionale di latte, le indagini e gli approfondimenti svolti dai vari organismi che, nel tempo, si sono occupati del problema “quote latte”, recano risultanze che non confermano i predetti dubbi ”;

- “ dalle relazioni dei Carabinieri del 15 novembre 2010 e del 21 febbraio 2011, non è dato comprendere se ed in che modo le predette alterazioni degli algoritmi (da parte di alcuni funzionari di AGEA tese ad innalzare l’età dei bovini da latte, nde) abbiano coinvolto le annate lattiere (1997/98 e 1998/99) di cui al ricorso in esame ”.

5. Avverso tale pronuncia le intestate aziende hanno interposto appello, notificato il 17 dicembre 2012 e depositato il 17 gennaio 2013, lamentando, attraverso nove motivi di gravame (pagine 10- 29) con la reiterazione dei motivi di primo grado, quanto di seguito sintetizzato:

I) il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi sulla circostanza, evidenziata col ricorso di primo grado, relativa alla intervenuta sospensione delle comunicazioni AIMA relative alle annate dal 1995 ad oggi;

II) il Tribunale avrebbe altresì omesso di pronunciarsi su quanto dedotto a proposito dell’art. 2, comma 1, della legge n. 46 del 1995 dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 529 del 1995 che ha sancito la necessità di previamente acquisire il parere di tutte le Regioni interessate;

III) il Tribunale avrebbe altresì omesso di pronunciarsi in ordine alla censura con la quale si è denunciato il mancato espletamento delle preventive verifiche regionali;

IV-V) gli atti impugnati in prime cure sarebbero illegittimi per difetto di motivazione e per difetto dell’avviso di avvio del procedimento;

VI) il Tribunale avrebbe errato nel ricostruire la situazione di fatto afferente la situazione dei produttori di latte vaccino rispetto agli obblighi comunitari;

VII) il Tribunale non avrebbe tenuto conto della Relazione conclusiva del 26 gennaio 2010 della Commissione di indagine amministrativa istituita con Decreto ministeriale del 25 giugno 2009, n. 6501;

VIII) il Tribunale avrebbe errato nell’esaminare la censura di disparità di trattamento;

IX) il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi su quanto dedotto nel senso che la responsabilità di ciascuno Stato membro innanzi alla Comunità Europea non si traduce nell’obbligo di corrispondere l’importo dei prelievi quale debito proprio.

6. In data 28 gennaio 2013 si è costituita, con atto di stile, la difesa erariale per conto dell’AGEA e del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

7. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.

8. La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 16 aprile 2019.

9. L’appellante formula diverse critiche nel senso che il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi in ordine a talune censure articolate con il ricorso di prime cure. Va rilevato, al riguardo, che l’omessa pronuncia su alcune censure non comporta la rimessione della causa al primo giudice. Il Collegio osserva che tale eventuale difetto, così come rappresentato in ricorso, non può precludere la disamina del merito del gravame, non integrando un’ipotesi di rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., che così recita: “ Il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l'ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l'estinzione o la perenzione del giudizio ”. Sul punto è sufficiente rinviare ai consolidati principi elaborati dalla recente giurisprudenza dell’Adunanza plenaria che, come è noto, si è pronunciata ben quattro volte, nell’arco del 2018, sui limiti applicativi dell’art. 105 c.p.a. (cfr. sentenza 30 luglio 2018, n. 10;
sentenza 30 luglio 2018, n. 11;
sentenza 5 settembre 2018, n. 14;
sentenza 28 settembre 2018, n. 15). L’autorevole Collegio, in tali occasioni, ha osservato in primo luogo che le ipotesi di annullamento con rinvio al giudice di primo grado previste dall’art. 105 Cod. proc. amm. hanno carattere eccezionale e tassativo e non sono, pertanto, suscettibili di interpretazioni analogiche o estensive. In particolare, non può rientrarvi “ la mancanza totale di pronuncia da parte del primo giudice su una delle domande del ricorrente, rientrandovi invece il difetto assoluto di motivazione della sentenza di primo grado ” (cfr. Ad.plen. n. 10 e 11 del 2018). Costituisce invero giurisprudenza consolidata del giudice di appello (Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5711; id . 17 ottobre 2017, n. 4796) – che la Sezione condivide e fa propria – quella secondo cui l’omessa pronuncia, da parte del giudice di primo grado, su censure e motivi di impugnazione costituisce tipico errore di diritto per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, deducibile in sede di appello sotto il profilo della violazione del disposto di cui all'art. 112 c.p.c., che è applicabile al processo amministrativo (Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio 2006, n. 98) con il correttivo a più riprese affermato, secondo il quale l’omessa pronuncia su un vizio del provvedimento impugnato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa può ritenersi sussistente soltanto nell’ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo d’impugnazione risulti implicitamente da un’affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile (Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2009). Peraltro, l’omessa pronuncia su una o più censure proposte con il ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo , tale da comportare l’annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a., ma solo un vizio dell’impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare, integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo sul merito della causa (Cons. Stato, A.p., 30 luglio 2018, nn. 10 e 11;
id. 5 settembre 2018, n. 14;
id. 28 settembre 2018, n. 15). Fa eccezione a questa ipotesi il caso in cui manchi del tutto la pronuncia sulla domanda o il giudice decida su diversa domanda, ovvero sulla domanda fatta valere in giudizio il giudice di primo grado abbia pronunciato con motivazione inesistente o apparente. In questi casi la rimessione al primo giudice si riscontra in ragione del ricorrere della fattispecie della nullità della sentenza, perché priva degli elementi minimi idonei a qualificare la pronuncia come tale (Cons. Stato, A.p., nn. 10 e 11 del 2018). Non rientrando l’omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su un motivo del ricorso, nei casi tassativi di annullamento con rinvio, ne consegue che, in forza del principio devolutivo (art. 101, comma 2, c.p.a.), il Consiglio di Stato decide, nei limiti della domanda riproposta, anche sui motivi di ricorso non affrontati dal giudice di prime cure (Cons. Stato, Sez. V, 29 dicembre 2017, n. 6158).

10. Non resta quindi che esaminare nel merito i motivi dell’appello in esame, ivi comprese le censure sollevate in primo grado ove riproposte in questa sede.

11. Va preliminarmente esaminata la censura con la quale si fa valere la violazione del giudicato cautelare formatosi in relazione alle ordinanze del T.a.r. Lazio che hanno sospeso la comunicazione delle quote precedentemente assegnate a partire dall’annata 1995. E’ sufficiente osservare, al fine di respingere tale doglianza, riproposta in questa sede, che l’efficacia della misura cautelare non può che essere limitata al giudizio in cui è pronunciata e che l’Amministrazione, avendo proseguito le ulteriori attività di accertamento delle quote latte riferite ai periodi successivi, è obbligata, in forza dei meccanismi normativi di cui al sistema comunitario e nazionale di recepimento, a porre in essere gli atti consequenziali.

12. Infondato è anche il secondo motivo d’appello, col quale si lamenta che il Tribunale non si sarebbe pronunciato in ordine alla censura con la quale si lamentava la mancata acquisizione del parere delle Regioni interessate nel procedimento di riduzione delle quote individuali spettanti ai produttori di latte bovino dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 520 del 28 dicembre 1995, con conseguente asserita violazione dell’art. 2, comma 1, legge n. 46 del 1995. La censura non coglie nel segno in quanto la valorizzata declaratoria d’incostituzionalità comporta un vuoto normativo, che spetta al legislatore colmare come avvenuto con la legge n. 119 del 2003, invece che refluire sulla legittimità degli atti amministrativi impugnati.

13. Il Collegio rileva che il terzo motivo d’appello, ove si afferma che una comunicazione fondata su dati errati “ non può essere sanata, a posteriori ” (cfr. pagina 13 dell’atto di appello) investe le problematiche relative alla retroattiva determinazione dei quantitativi individuali di riferimento (QRI) ed alla conseguente compensazione, nonché all’asserita incertezza dei dati sulla base dei quali sono stati effettuati i calcoli. Nello specifico, si controverte in ordine agli atti con i quali l’AIMA (ora AGEA), con riferimento alle annate 1997/98 e 1998/99, li ha comunicati ai fini del prelievo supplementare derivante dalla compensazione effettuata a livello nazionale, intimandone anche l’esborso. La vicenda si inserisce dunque nel contesto normativo, comunitario e nazionale, estremamente articolato e contraddistinto dal succedersi, nel tempo, di numerosi interventi non sempre chiari, organici e coerenti, per regolamentare la produzione lattiero-casearia degli Stati appartenenti all’Unione. Come peraltro già evidenziato in molteplici precedenti pronunzie di questa Sezione (cfr. ex plurimis n.1286/2015), il mercato unico del settore lattiero-caseario non è basato, all’interno dell’Unione, solo su un sistema di prezzi, ma si articola in una serie di misure normative volte a calmierare la domanda e l’offerta dei prodotti considerati.

14. Premesso quanto sopra, il Collegio condivide le conclusioni del primo giudice, esplicitate tramite rinvio ad altra sentenza (n. 5975/2011), pur se riferita a diverse annate lattiere, circa la correttezza della determinazione retroattiva dei QRI. Essa infatti appare sorretta costituzionalmente e dalla normativa comunitaria come interpretata dalla Corte di giustizia europea, secondo cui si deve intendere consentito alle autorità nazionali di effettuare anche ex post le rettifiche necessarie a fare in modo che la produzione esonerata da prelievo supplementare di uno Stato non superi il quantitativo globale assegnato allo stesso (Corte Costituzionale, sentenza 7 luglio 2005, n. 272). Peraltro non solo il T.a.r., ma anche questo Consiglio si è occupato funditus di e ha pienamente risolto le questioni sollevate nell’appello, nel lungo tempo in cui queste ultime, dal 1998 ad oggi, sono state proposte, in ogni possibile combinazione argomentativa.

15. La modalità di effettuazione del computo del QRI in relazione alle annate lattiere successive a quella 1995/1996 è stata oggetto di analitica ricostruzione da parte di questo Consiglio di Stato, dalle cui risultanze in termini di correttezza non è motivo di discostarsi (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 15 ottobre 2014, n. 5150). E’ dunque appurato che “ il QRI non si può adesso, né si poté dire allora sconosciuto per nessuno dei produttori e per tutto il tempo intercorrente tra l’entrata in vigore del regol. n. 3950 e la definizione dei QRI per le annate lattiere dal 1995/96 in poi, fossero costoro aderenti o no ad una delle associazioni di categoria". Invero, infatti, essi ne ebbero buona e seria consapevolezza, almeno in relazione alla loro produzione "storica", secondo l'art. 4 del Regolamento n. 3950/92/CE, con riguardo al quantitativo disponibile in azienda al 31 marzo 1993, poi al 31 marzo 1994 e via via con le proroghe fino al 2000, oltre che sulla scorta del rispettivo patrimonio bovino a disposizione. "Questo, ad avviso non del Collegio, ma della giurisprudenza più volte citata ed enfatizzata dall'appellante (cfr. C. giust. CE, 25 marzo 2004, cause riunite nn. 480/2000 e ss., parr. nn. 46/51 e 65/70), se non rende irrilevante, certo fa sbiadire la violazione del principio di tutela del legittimo affidamento ” (cfr. Cons. Stato, n. 5150/2014, cit. supra ;
sulla presunzione di conoscenza del dato generata dalla sua “ storicizzazione ”, cfr. anche Cons. Stato, Sez. III, 15 ottobre 2014 n. 5141, nonché id., 15 ottobre 2014, n. 5149).

16. Afferma tuttavia la parte appellante che l’Amministrazione sarebbe incorsa nella violazione della normativa comunitaria avendo ritenuto “ attendibili e certi i dati risultanti dai modelli L1 ”;
lamenta inoltre che “ non vi è stato alcun controllo in relazione all’effettiva produzione di latte ”. Bisogna al riguardo innanzitutto rilevare che alcun ritardo è dato configurare sia nella fissazione e comunicazione dei QRI sia nel calcolo dei prelievi supplementari dovuti, in quanto non correlati a procedimenti di rettifica di errori concretamente riscontrati. In realtà, l’incontestata imperatività dei termini per la comunicazione dei QRI è posta dalla Corte sul punto non sub specie aeternitatis , né in modo slegato dai pariordinati principi di ragionevolezza e di proporzionalità, bensì proprio in relazione a rilevanti, evidenti e concrete modifiche dei QRI in capo a ciascun produttore, comunicate o accertate. Quando invece i dati non sono modificati, ogni comunicazione, che si paleserebbe dunque meramente confermativa, sarebbe non solo inutile, ma a sua volta fonte di confusioni per l’ente emissore e per chi la riceve. Non a caso, se il QRI dato o predefinito ope legis di un produttore corrisponde veramente al quantitativo di latte da lui commercializzato durante l'anno cui si riferisce, egli, che in linea di principio conosce già qual sia il quantitativo da lui prodotto, non può confidare su un QRI difforme dai dati reali o da quelli accertabili, né pretendere, per ovvi motivi di economia dei mezzi giuridici, comunicazioni di sorta che gli confermino ciò che egli sa. Per altro verso, il regime delle quote-latte, come s'è già visto essendo stato recepito in Italia solo nel 1992, è stato portato ad attuazione, con la riscossione del citato prelievo, verso i produttori italiani soltanto a partire dall’annata lattiera 1995/96. È solo da soggiungere che la comunicazione frutto di accertamenti “ a tappeto ” da parte dell’AIMA, oltre che adempimento per senso comune del tutto spropositato rispetto al fine, non trovano riscontro nella normativa comunitaria. Sicché del ritardo (e, quindi, della violazione d’un affidamento incolpevole al rispetto scrupoloso del termine di comunicazione) al più potrebbe dolersi solo chi, e non è questo il caso in esame come cristallizzato nei motivi di primo grado, avesse elementi irrefutabili, oltre che concordanti con l’incrocio dei dati degli acquirenti, per dimostrare in modo preciso la distonia tra il dato di partenza, il dato storico nel corso degli anni di riferimento e quanto indicato negli atti impugnati innanzi al T.a.r.. In sintesi, ciò che non deve essere “ a tappeto ” è la rettifica, non la comunicazione del dato in sé, non essendo né necessaria, né men che meno imposta l’effettuazione di controlli su tutti i produttori per i quali non sia stata riscontrata da AIMA-AGEA alcuna anomalia. Non appare legittimo, infatti, porre unicamente a carico dello Stato membro tale incombente quando non emergono elementi in ragione dei quali dubitare della veridicità dei modelli “ L1 ”, sia perché non sono emersi contenuti falsi, accertati (ad esempio) in sede penale, sia perché non sono state rilevate incongruenze rispetto a quanto autocertificato, contestualmente, dai produttori e dai primi acquirenti. A prescindere dalla scoperta di situazioni patologiche che potranno e dovranno essere oggetto di accertamento da parte dell’Autorità giudiziaria competente, lo Stato italiano deve infatti poter fare affidamento sulle dichiarazioni degli operatori del settore per poter far funzionare l’intero sistema delle quote latte.

17. Da quanto detto discende il rigetto anche del quinto e sesto motivo di appello, che possono trattarsi congiuntamente stante la sostanziale omogeneità di contenuti, in quanto afferenti comunque alla asserita inattendibilità dei dati assunti a base del calcolo. Appare peraltro dirimente che l’Azienda non abbia chiarito, e nemmeno solo rappresentato, quale sarebbe la distonia tra il dato comunicatole e quello effettivo, evidenziando come gli accertamenti relativi ai riferimenti di AIMA nei suoi confronti abbiano inciso in modo specifico sulla sua posizione, pregiudicandola. La Sezione si è già espressa nel ritenere in via generale che le risultanze di indagini governative (riguardanti l’attendibilità dei dati utilizzati nel tempo dall’AIMA e poi dall’AGEA) non sono in grado di scardinare l’intero sistema nazionale delle c.d. quote latte, né sono sufficienti per far ritenere assolto in capo ai produttori (e quindi all’appellante) l’onere probatorio al punto da spostare sull’amministrazione l’obbligo di provare la bontà e la stessa veridicità dei dati utilizzati. Essa infatti, siccome basata su dati certificati dal produttore e dal primo acquirente, non è stata ancora smentita in via definitiva dalle autorità (giudiziarie) preposte, dal che deriva che i dubbi sulla loro attendibilità possono essere considerati indizi non qualificati che, in quanto tali, non consentono di mettere in discussione l’affidabilità dell’intero sistema nazionale delle c.d. quote latte. In sintesi, la genericità della contestazione non può corroborare la situazione di illegittimità relativa alla propria posizione individuale, gravitando più che sul terreno del singolo provvedimento, che è l’ambito di esame devoluto al giudice amministrativo, su quello della denuncia generale del meccanismo complesso di riequilibrio della produzione di latte (sul punto cfr. ex multis , Cons. Stato, Sez. III, 14 giugno 2018, n. 3685). Quanto detto a valere anche, ritiene il Collegio, in relazione al lamentato omesso completamento delle verifiche da parte delle Regioni e delle Province autonome, stante che egualmente non se ne chiarisce l’eventuale impatto sulla posizione concreta dell’appellante. In realtà, la incontestata difficoltà ricostruttiva da parte dell’Amministrazione operante, così come la possibile erroneità del dato di partenza, peraltro proprio per lo più in ragione delle alterazioni ascrivibili alle certificazioni dei produttori, non può non imporre, e conseguentemente legittimare, la ricerca di metodiche anche induttive funzionali a determinare il dato richiesto, ferma restando una rigorosa azione di accertamento delle responsabilità dei singoli che a vario titolo hanno ostacolato il corretto funzionamento del sistema (cfr. ancora Cons. Stato, n. 3685/2018, cit. supra ). Del resto, il sistema della compensazione basato sull’applicazione di un prelievo a prescindere dalla prova della effettiva produzione lattiera non è stato ritenuto arbitrario dalla giurisprudenza amministrativa sul presupposto che si tratta di una forma di prelievo scelta dal legislatore nazionale nell'esercizio della sua discrezionalità politica (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 2013, n. 4428).

18. Infondati, per le ragioni anzidetti sono i rilievi coi quali si lamenta il difetto di motivazione e di avviso di avvio procedimentale. Per il primo occorre rilevare che le ragioni del prelievo, non riflettendo l’atto alcun apprezzamento discrezionale, sono già adeguatamente esplicate attraverso la semplice comunicazione del Quantitativo di Riferimento Individuale secondo criteri precostituiti e comunque la doglianza risulta del tutto generica, limitandosi parte appellante ad affermare la carenza degli elementi necessari a fini motivazionali solo in astratto e senza alcun concreto riferimento all’atto stesso.

Per quanto concerne, poi, la prospettata violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, la natura procedimentale del vizio e la correttezza sostanziale dell’atto originariamente gravato devono indurre a ritenere alla fattispecie applicabile la preclusione all’annullamento giurisdizionale prevista dall’art. 21 octies comma 2 L. n. 241 del 1990.

19. Quanto alla pronunzia sugli ulteriori motivi di appello, coi quali si lamenta, sotto distinti profili, la violazione della disciplina comunitaria, deve evidenziarsi che, con ordinanza n. 3074/2018, la Sezione ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea della seguente questione di diritto: “ se l'art. 2 1 del regolamento comunitario n. 3950/92, debba essere, alla luce di quanto già motivato dalla Corte CE nella Sentenza 5 maggio 2011 in cause riunite C-230/09 e C-231/09 in relazione all'art. 10 comma 3 del regolamento n. 1798/2003/CE, interpretato nel senso che la riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne può essere effettuata secondo criteri obiettivi fissati dagli Stati membri, ovvero se esso debba essere interpretato nel senso che tale fase perequativa debba essere governata da un esclusivo criterio di proporzionalità ”.

La questione proposta ha diretta rilevanza nel presente giudizio, nel quale si contestano anche gli effetti di tale meccanismo di compensazione nazionale sulle richieste perequazioni di QRI.

Pertanto, è opportuno sospendere, per tale aspetto, la presente decisione, in attesa della pronuncia della Corte, riservando ogni ulteriore pronunzia anche in ordine alle spese.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi