Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-06-05, n. 201903799

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-06-05, n. 201903799
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201903799
Data del deposito : 5 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/06/2019

N. 03799/2019REG.PROV.COLL.

N. 00032/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 32 del 2019, proposto da -OMISSIS-, in proprio e quale titolare dell’omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dagli avvocati F C e F L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F C in Roma, via Panama n. 74;

contro

U.T.G. - Prefettura di Caserta, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Interno, Commissariato di Governo per l’Emergenza Brucellosi negli Allevamenti Bufalini in Provincia di Caserta e Zone Limitrofe, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Prima) n. -OMISSIS-.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2019 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti l’avvocato F C per sé e per l’avv. F L;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’odierno appellante, titolare di un’azienda agricola e zootecnica, a seguito di un’epidemia di brucellosi, ha subito l’abbattimento coatto di n. 87 capi di bestiame, conseguendo, con decreto del competente Commissariato di Governo, -OMISSIS- del 28.12.2008, il riconoscimento di un indennizzo di € 75.465,56.

1.1. Con nota del 24.7.2008 aveva, poi, richiesto l’abbattimento totale dei capi bufalini presenti in azienda in vista del ripopolamento con animali non infetti

1.2. Ciò nondimeno, con atti n. -OMISSIS- e -OMISSIS- del 4.3.2010, il Commissariato per l’emergenza brucellosi:

a) opponeva al -OMISSIS- l’impossibilità di procedere alla liquidazione degli importi richiesti stante la sussistenza di cause interdittive ex art. 4 del D.Lgs. n. 490/1994;

b) diffidava il predetto alla restituzione della somma di € 75.465,56 già liquidata con decreto -OMISSIS-/2008, invito reiterato con ulteriore missiva -OMISSIS- del 18.5.2010.

1.3. Il sig. -OMISSIS- impugnava i suddetti atti innanzi al TAR Lazio con ricorso n. -OMISSIS-, integrato con plurimi motivi aggiunti, che veniva, però, respinto con sentenza n. -OMISSIS- del 10.7.2014, riformata in sede di appello con la decisione del Consiglio di Stato, III Sezione, n. -OMISSIS- del 3.7.2015. Con tale sentenza il giudice d’appello annullava il decreto prefettizio del 04/01/2010, gli atti del commissario n.-OMISSIS- del 18/5/2010, nonché i successivi provvedimenti recanti il diniego di contribuzione per l’emergenza “brucellosi”.

Il richiamato decisum veniva, altresì, posto in esecuzione dall’odierno appellante innanzi a questa Sezione che si pronunciava, in sede di ottemperanza, con la sentenza di accoglimento n. -OMISSIS- del 19.1.2017.

1.4. In esecuzione della detta pronuncia l’UTG di Caserta precisava di aver adottato il provvedimento liberatorio, datato 7.7.2016, mentre l’Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno procedeva alla liquidazione dell’importo di € 168.028,40 a titolo di indennizzi ex art. 1, comma 3, lett. a) e b) dell’O.P. n. -OMISSIS-, integrando poi, da ultimo, tale liquidazione anche con la corresponsione degli interessi maturati.

2. Con distinto ricorso, proposto con atto datato 30.10.2015 innanzi al TAR Campania, sede di Napoli, il sig. -OMISSIS- ha azionato una pretesa risarcitoria, allegando a tal fine le seguenti voci di danno:

-€ 299.277,42, determinata individuando l’importo di €773,33 per capo di bestiame per l’anno 2008, di € 620,88 per l’anno 2009 e di €648,76 per l’anno 2010;

- €251.070,12, determinata individuando l’importo di € 639,45 per l’anno 2008, di € 620,88 per l’anno 2009 e di € 648,76 per l’anno 2010;

- € 192.331,26 a titolo di indennizzo per la perdita di reddito dovuta ad obblighi di quarantena e difficoltà di ripopolamento;

- danno derivante dallo stato di crisi aziendale determinatosi a seguito dell’emissione del provvedimento interdittivo;

- danno all’immagine ed al diritto alla reputazione;

- danno biologico per effetto della condotta colposamente illegittima tenuta dall’UTG di Caserta che ha cagionato al ricorrente un gravissimo stato di stress psico-fisico;

- danno economico sotto il profilo dell’ingiustificato ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo relativo all’istruttoria antimafia che ha avuto durata dal 6/11/2008 al 4/1/2010, dunque sicuramente violativo dell’art. 2 bis della legge -OMISSIS-/90.

3. Con sentenza n. -OMISSIS-, emessa in data 15.5.2018, e qui appellata, il TAR ha respinto la domanda.

3.1. Segnatamente, il giudice di prime cure ha, anzitutto, dato atto che, nelle more del processo, il -OMISSIS- aveva ricevuto la somma complessiva di €. 168.028,40, a titolo di indennizzo, per cui ha disatteso la relativa richiesta, perché parzialmente soddisfatta (la richiesta degli accessori era all’epoca all’esame dell’autorità amministrativa ed oggi risulta soddisfatta, come riconosciuto dallo stesso appellante nella memoria da ultimo depositata), soggiungendo che il -OMISSIS- non fosse legittimato ad invocare, oltre all’indennizzo e per la medesima ragione, anche il risarcimento del danno, ma piuttosto soltanto il riconoscimento di eventuali ed ulteriori danni in virtù del fatto che non aveva potuto conseguire tempestivamente gli indennizzi in parola in conseguenza di un’attività amministrativa illegittima (id est interdittiva antimafia) che si era interposta rispetto all’ottenimento di quel beneficio economico.

Al contempo, e così ricostruito l’ambito del giudizio risarcitorio, ha ritenuto la relativa domanda infondata per insussistenza di colpa e/o dolo, valorizzando la sussistenza di elementi di fatto di non agevole valutazione, nella specie rappresentati dalla temporanea situazione di convivenza che legava l’odierno appellante al -OMISSIS- (rispetto al quale erano stati accertati rapporti di frequentazione con pregiudicati) e l’ampia discrezionalità che fondava il relativo giudizio prognostico.

4. A sostegno della spiegata azione impugnatoria l’appellante deduce:

a) la grave illegittimità per evidente superficialità dell’istruttoria confluita nel provvedimento interdittivo, che assiomaticamente avrebbe traslato le condotte di una terza persona (l'ex -OMISSIS- del -OMISSIS-) sulle attività della ditta ricorrente pur in mancanza di ulteriori qualificanti elementi per validamente corroborare il giudizio di contaminazione mafiosa, di talchè sarebbero incontestabili:

- la antigiuridicità della misura prefettizia e i tratti di negligenza, che la distinguono, per le gravi lacune e l’inconferenza dei dati istruttori addotti a sostegno della misura interdittiva;

- il nesso di causalità diretta che corre tra l’esecutività della misura ostativa e i gravissimi e comprovati pregiudizi subiti dalla ditta ricorrente;

- la grave colpa in cui sarebbe incorsa l'Amministrazione prefettizia procedente riferita ai molteplici vizi procedurali e sostanziali che hanno incrinato la procedura de qua . In particolare, il pregresso giudizio lascerebbe emergere, quali gravi e costanti negligenze, la pretermissione di indagini sollecitate dai carabinieri che avevano ritenuto l’insufficienza delle acquisizioni sul pericolo di condizionamento ed il grave errore nella valutazione della portata della trimestrale convivenza con il -OMISSIS- cessata, peraltro, 10 mesi prima della inflizione della interdittiva;
tanto più che la giurisprudenza sarebbe consolidata nel ritenere la insufficienza dei legami parentali a legittimare la interdittiva antimafia;

b) l’istruttoria dell’UTG di Caserta sarebbe negativamente qualificata da un ingiustificato ritardo siccome durata dal 6.11.2008 fino al 4.1.2010 (data di emissione dell’atto interdittivo), mentre è stata comunicata dal Commissariato al -OMISSIS- (in forma sintetica) soltanto due mesi dopo (4.3.2010), ossia per una durata eccessivamente lunga, essendosi protratta per ben sedici mesi;

c) l’indennizzo per l’abbattimento, pari ad € 168.028,40, è stato conseguito soltanto nel 2017. In altri termini, l’Utg di Caserta ed il Commissariato di Governo hanno ritardato illegittimamente due volte l’emissione e la notifica dei provvedimenti di rispettiva competenza, dapprima dilatando (indebitamente) i tempi di emissione dell’atto interdittivo e poi ritardandone il raggiungimento degli scopi ripristinatori. I ritardi gravi, costanti e illegittimi hanno determinato l’eliminazione della idoneità reintegrativa, per essere intervenuti allorché l’attività aziendale era stata “azzerata”;

4.1. Sulla scorta delle suddette premesse ha, dunque, concluso per l’accoglimento dell’appello e per il conseguente riconoscimento delle voci di danno suesposte.

4.2. Le parti intimate non si sono costituite in giudizio.

4.3. All’udienza del 16.5.2019 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

5. L’appello è infondato e, pertanto, va respinto.

Ed, invero, a giudizio del Collegio, la decisione di prime cure si rivela aderente alle risultanze processuali e condivisibile per la intrinseca coerenza logica del percorso argomentativo su cui riposa.

6. Ritiene il Collegio che sia, anzitutto, corretta la perimetrazione dell’ambito del giudizio risarcitorio effettuata dal giudice territoriale in stretta comparazione, cioè, con la coeva procedura di liquidazione degli indennizzi, inizialmente ricusati in attuazione dell’interdittiva antimafia e poi riattivati a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento prefettizio.

6.1. Sotto tale profilo, il TAR ha, invero, rilevato che la pretesa al conseguimento delle misure compensative previste dalla legislazione emergenziale in relazione alla diffusione della brucellosi tra i capi bovini, impingendo in una fattispecie indennitaria, non può ricondursi stricto jure al giudizio risarcitorio.

Ha, inoltre, soggiunto che la relativa richiesta era stata soddisfatta nel mese di aprile 2017 dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno che ha liquidato al sig. -OMISSIS-, a titolo di indennizzo ex art.33, comma 1 dell’OPCM n. -OMISSIS-, la somma complessiva di €. 168.028, 40, mentre era ancora pendente, all’epoca, la procedura relativa agli accessori, oggi liquidati.

6.2. Sul punto, in via aggiuntiva occorre rilevare che la suddetta pretesa al conseguimento dei relativi crediti indennitari è stata azionata in sede di ottemperanza avendo l’odierno appellante posto in esecuzione la sentenza del CdS, Sez. III, n. -OMISSIS- del 3.7.2015, che aveva annullato il decreto del Prefetto della Provincia di Caserta del 4 gennaio 2010, recante l’interdittiva antimafia, nonché i consequenziali provvedimenti del Commissario per l'emergenza brucellosi di obbligo di restituzione delle somme (€ 75.465,56) corrisposte e di diniego degli ulteriori contributi richiesti.

In tale sede, infatti, il sig. -OMISSIS- ha chiesto, in ragione della relazione di presupposizione che correva tra il provvedimento interdittivo annullato e i provvedimenti di diniego del Commissario di Governo per la brucellosi, l’accertamento dell’obbligo di tale Amministrazione di provvedere alla corresponsione delle somme richieste e questa Sezione, dando atto della pendenza di altro giudizio incardinato per “ eventuali ulteriori fini risarcitori ”, ha accolto il ricorso dichiarando l’obbligo del competente Ufficio Territoriale di Governo di rilasciare “ora per allora”, previa adeguata verifica, la necessaria certificazione antimafia richiesta dal sopra indicato Istituto zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, nonché il conseguente obbligo di quest’ultimo, acquisita la predetta documentazione, di completare le procedure amministrative in corso e di disporre, in caso di esito positivo, la tempestiva liquidazione delle somme ancora dovute al ricorrente alla stregua delle domande dallo stesso presentate, unitamente agli interessi di legge.

A seguito della suddetta pronuncia l’UTG di Caserta ha, dunque, comunicato di aver emesso il provvedimento liberatorio datato 7.7.2016, che veniva inviato all’Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno, e tale Istituto ha liquidato la somma di € 168.028,40 al sig. -OMISSIS-, a titolo di indennizzi ex art. 1, comma 3, lett. a) e b) dell’O.P.C.M. n. -OMISSIS-, somma che veniva espressamente accettata dal -OMISSIS-, il quale insisteva per la (sola) corresponsione degli interessi ( e del rimborso del contributo unificato), che, parimenti, risultano di recente erogati, come peraltro riconosciuto nella memoria difensiva da ultimo depositata.

6.3. Orbene, alla stregua di quanto fin qui evidenziato va ribadito, da un lato, che le somme rivendicate a titolo di indennizzo costituiscono già oggetto del giudizio di ottemperanza ancora pendente innanzi a questa Sezione e volto a governare gli effetti ripristinatori della sentenza di annullamento di questa Sezione n. -OMISSIS- del 3.7.2015 e, dall’altro, che, come efficacemente opposto dal giudice di prime cure, una volta che l’appellante abbia avuto accesso alla compensazione economica in forma indennitaria prevista dalla legislazione emergenziale, peraltro fatta oggetto di accettazione, non ha titolo per richiedere nuovamente, e per la medesima ragione, nuove somme ancorché a titolo di risarcimento del danno.

6.4. E ciò vieppiù in considerazione del fatto che le somme liquidate sono state accettate espressamente dal -OMISSIS- che non ha, dunque, formalmente contestato l’ammontare della liquidazione, prestandovi anzi acquiescenza, di talché non è dato comprendere come le medesime voci possano refluire anche nell’ambito del distinto giudizio risarcitorio che, per definizione, dovrebbe servire a reintegrare in via sussidiaria le poste attive nel patrimonio del danneggiato rimaste insoddisfatte.

Ne discende, pertanto, la piena condivisibilità dell’approdo valutativo cui è giunto il giudice di primo grado nella parte in cui ha statuito che nella azionata pretesa risarcitoria possono ritualmente confluire esclusivamente eventuali danni ulteriori in virtù del fatto che il soggetto legittimato non ha potuto conseguire tempestivamente gli indennizzi in parola in conseguenza di un’attività amministrativa illegittima che si è interposta rispetto all’ottenimento nei tempi ordinari di quel beneficio economico (arg. anche ex Cons. Stato, ad. plen. , 23/02/2018 n.1).

7. Parimenti va condiviso il capo della decisione appellata con cui il giudice di prime cure ha respinto la pretesa risarcitoria ritenendo insussistente la contestata fattispecie di illecito a cagione della inconfigurabilità in capo all’Autorità procedente di un’ipotesi di colpa (e men che mai di dolo).

7.1. Vale premettere a tal riguardo che nel costrutto giuridico attoreo risultano articolate in dettaglio le voci di danno che il -OMISSIS- assume di aver sofferto, sia su un piano strettamente patrimoniale che su un piano extra-patrimoniale, individuate nella mancata percezione degli indennizzi da liquidare per gli abbattimenti a seguito della brucellosi (rispetto ai quali valgono le considerazioni sopra svolte), nel danno derivante dallo stato di crisi aziendale, nel danno all’immagine ed al diritto alla reputazione, nel danno biologico, nel danno economico derivante dall’ingiustificato ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo relativo all’istruttoria antimafia.

La medesima natura composita, sul piano assertivo degli addebiti mossi alle Amministrazioni intimate, sembra poi riflettere la condotta illegittima che, nella prospettazione dell’appellante, concorrerebbe a qualificare in termini di illecito il comportamento complessivamente serbato dalla parte pubblica.

Ed, invero, confluirebbero nella fattispecie illecita sia i ritardi maturati nell’istruire il procedimento sia le valutazioni sottese alla decisione di emettere l’interdittiva sia, infine, e da ultimo, il ritardo maturato nel dare esecuzione al giudicato formatosi rispetto alla sentenza del CdS, Sez. III, n. -OMISSIS- del 3.7.2015.

7.2. Ciò nondimeno, nella suddetta prospettazione, tali segmenti di condotta, sebbene cronologicamente ascrivibili ad epoche diverse, vengono indistintamente considerati come fattori concausali di tutte le voci di danno suesposte, in assenza, però, di una chiara dimostrazione della loro effettiva attitudine causale che tenga conto, anzitutto, della data di maturazione del danno e, dunque, di un collegamento specifico tra singola condotta, il relativo evento e le conseguenze pregiudizievoli.

7.3. Ed è proprio tenendo conto di ciò che va da subito ritenuta indimostrata la pretesa incidenza causale, nel quadro dei pregiudizi allegati a sostegno dell’originaria domanda risarcitoria, dell’inerzia serbata dall’Amministrazione nel dare esecuzione al giudicatosi formatosi in relazione alla sentenza di questa Sezione n. -OMISSIS- del 3.7.2015.

Sul punto, in aggiunta alle evidenziate carenze descrittive, vale evidenziare che l’azienda ha financo cessato di esistere fin dal 30.9.2010 e non è dato comprendere come tale dato possa essere messo in relazione con i presunti ritardi maturati nel dare esecuzione al divisato decisum .

D’altronde, a conforto di quanto qui evidenziato vale evidenziare che il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato proposto con atto datato 30.10.2015 e, dunque, confezionato appena qualche mese dopo il deposito della sentenza n. -OMISSIS- del 3.7.2015.

7.4. Né parimenti può individuarsi una giusta causa risarcitoria nel ritardo maturato dall’organo prefettizio nella conduzione dell’istruttoria procedimentale poi definita con l’applicazione della misura di rigore: in disparte quanto già sopra rilevato quanto alla genericità delle allegazioni cumulativamente effettuate dall’appellante, è sufficiente soggiungere, da un lato, la peculiarità e la delicatezza del tipo di procedimento qui in rilievo, la cui gestione sfugge ad una rigida ed ordinaria tipizzazione nell’acquisizione dei dati conoscitivi utili, con intuibili ricadute anche sulla relativa tempistica, dall’altro, l’assenza di formali reazioni da parte dell’odierna appellante onde far cessare lo stato di presunta inerzia dell’Autorità prefettizia e le conseguenze pregiudizievoli da esso (asseritamente) provenienti.

8. Proseguendo nello scrutinio delle questioni devolute alla cognizione di questo giudice occorre concentrare l’attenzione sulla tematica centrale della configurabilità di una responsabilità risarcitoria per effetto dell’adozione dell’interdittiva antimafia emessa nei confronti dell’odierno appellante, e successivamente dichiarata illegittima, apparendo fuor di dubbio che nel processo di derivazione causale dei pregiudizi denunciati dall’appellante vada astrattamente individuata proprio nel suddetto atto la relativa causa assorbente, atteso il rapporto di rigida consequenzialità che lo lega alle successive determinazioni commissariali.

8.1. Giova, al riguardo, rammentare che, come già anticipato nella narrativa in fatto, la pretesa risarcitoria azionata dall’appellante trae alimento, sul piano dimostrativo, proprio dalle risultanze del pregresso giudizio definito con sentenza del CdS, Sez. III, n. -OMISSIS- del 3.7.2015 che, in riforma della decisione di primo grado, ha annullato il decreto del Prefetto della Provincia di Caserta del 4 gennaio 2010 recante l’interdittiva antimafia, nonché i consequenziali provvedimenti del Commissario per l'emergenza brucellosi.

Il giudice della cognizione, in sede di gravame, ha ritenuto insufficiente il corredo istruttorio ed il tessuto motivazionale posto a sostegno della misura di rigore. Ai suddetti fini ha evidenziato che la relazione del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta in data 25 maggio 2009 reca una ricognizione cronologica di incontri del sig. -OMISSIS- -OMISSIS- – indicato come -OMISSIS- e convivente del sig. -OMISSIS-, convivenza cessata il 18 marzo 2009, in data antecedente a quella del 4 gennaio 2010 di adozione della misura interdittiva - con soggetti gravati da precedenti penali e di polizia, di cui due in rapporto di contiguità o appartenenza a clan camorristico. La relazione è stata inviata agli altri organi di polizia (Questura, Nucleo di Polizia Tributaria, D.I.A.) con invito “ad integrare le informazioni di competenza sul conto della società e degli amministratori e soci in oggetto riferendo direttamente all’ U.T.G. di Caserta ”, laddove i suddetti temi non sarebbero stati esplorati, non essendo, comunque, emersi ulteriori elementi che potessero costituire mende o pregiudizi a carico.

Sulla scorta delle suddette premesse il giudice d’appello ha concluso per l’insufficienza del suddetto legame familiare, sulla premessa che dovesse escludersi qualsivoglia automatismo tra un legame familiare, sia pure tra stretti congiunti, ed il condizionamento dell'impresa, che deponga nel senso di un'attività sintomaticamente connessa a logiche e ad interessi malavitosi.

8.2. Tanto premesso, occorre da subito evidenziare, in linea con le più recenti acquisizioni giurisprudenziali in materia, che il risarcimento del danno non è una conseguenza diretta e costante dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, anche del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa o del dolo dell’amministrazione.

Come più volte rilevato da questa Sezione, l’illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione.

Con specifico riferimento all’elemento psicologico - secondo la giurisprudenza della Sezione - la colpa della pubblica amministrazione viene individuata nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. III, Consiglio di Stato, sez. III, 15/05/2018, n. 2882;
30/07/2013, n. 4020). Pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (cfr., ex plurimis , Cons. Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23;
Sez. V, 31 luglio 2012, n. 4337).

Per la configurabilità della colpa dell’Amministrazione, in particolare, occorre avere riguardo, anzitutto, al carattere della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico nella sua violazione;
al contrario, se il canone della condotta amministrativa giudicata è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere è stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità. Ed, infatti, a fronte di regole di condotta inidonee a costituire, di per sé, un canone di azione sicuro e vincolante, la responsabilità dell’Amministrazione potrà essere affermata nei soli casi in cui l’azione amministrativa abbia disatteso, in maniera macroscopica ed evidente, i criteri della buona fede e dell’imparzialità, restando ogni altra violazione assorbita nel perimetro dell’errore scusabile (cfr. ex multis Cons. St., sez. IV., 31 marzo 2015, n. 1683;
28/07/2015, n. 3707)”.

Orbene, nella detta prospettiva appare di tutta evidenza come la configurabilità degli estremi della colpa dell’Amministrazione nell’adozione delle informative antimafia vada scrutinata in coerenza con la funzione, con la natura e con i contenuti delle relative misure.

Si è, infatti efficacemente evidenziato come, in subiecta materia , vada riconosciuto il dovuto rilievo, anzitutto, alla portata della regola di azione che si rivela particolarmente sfuggente e di difficile decifrazione (cfr. in tal senso Cons. Stato, Sez. III, 6 marzo 2018 n. 1409;
sez. III n. 5737 del 18.12.2015;
sez. III, 1 settembre 2014, n.4441;
Sez. III, 28 luglio 2015, n. 3707).

Non può, infatti, essere obliato l’ampio spettro di discrezionalità assicurato all’Autorità prefettizia nel campo della prevenzione del fenomeno mafioso, il carattere preventivo e cautelativo dei provvedimenti da adottare, le difficoltà e la complessità delle questioni da esaminare al fine di ricostruire un quadro indiziario attendibile, in presenza di diversi elementi sui quali si fondano comunemente i provvedimenti di cautela antimafia (frequentazioni, parentele, rapporti di affari, contatti da parte di soci con soggetti controindicati).

8.3. Ed a tale contesto particolarmente insidioso, in cui va ogni volta ricercata in concreto la declinazione del giusto punto di equilibrio tra le esigenze di una tutela anticipata e quella di preservare (sia pur in una logica probabilistica e non di certezza) margini di obiettività e di verificabilità al giudizio sotteso all’applicazione di misure di rigore, si ascrive a pieno titolo la specifica vicenda qui in esame.

Ed, infatti, ferma la già accertata illegittimità dei provvedimenti interdittivi, nondimeno nemmeno può essere trascurata come fattore esimente, sul piano della verifica di un atteggiamento antidoveroso della volontà, la circostanza di fatto delle plurime e circostanziate frequentazioni sospette, anche con soggetti legati alla criminalità organizzata, che hanno cadenzato il vissuto di uno stretto congiunto, sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, i cui rapporti con l’odierno appellante erano vieppiù qualificati dalla rilevata situazione di convivenza, ancorchè cessata al momento dell’adozione dell’informativa qui contestata.

8.4. Ora, appare di tutta evidenza, anche alla stregua della giurisprudenza di settore, come i legami familiari possano assumere rilievo anche decisivo nel complesso e delicato processo di accertamento di possibili deviati condizionamenti ove la singola impresa si riveli, anche in via di fatto, sensibile ad una regia familiare o, comunque, si dimostri permeabile, in virtù di tali collegamenti - declinabili in rapporti colorati da multiformi sfumature (che spaziano dalla vera e propria cointeressenza, a legami più sfumati di solidarietà e di copertura o anche semplicemente di soggezione e di tolleranza) - alle influenze indotte da organizzazioni familiari.

Nel caso di specie, il giudizio compendiato nell’interdittiva poi annullata riposava sulla esistenza e la combinazione di fattori in astratto idonei a costituire la base di partenza per lo sviluppo di una tesi che immaginasse, in ossequio al criterio del «più probabile che non», un possibile canale di collegamento che, mediato da solidi legami familiari, ponesse in contatto l’azienda dell’appellante con ambienti della criminalità, peraltro particolarmente attivi e presenti nell’economia di quel territorio.

I suddetti elementi, giammai smentiti in punto di fatto, sono rappresentati, come detto, dal legame di affinità e dall’ulteriore, qualificante elemento della convivenza, che esprime di per sé – nel torno di tempo in cui ha avuto luogo - la condivisione di esperienze all’interno del medesimo nucleo familiare cui inevitabilmente si accompagna una comunione di interessi e valori che, come l’esperienza insegna, può agevolmente valicare i confini dell’ambiente domestico per propagarsi, in forza del vincolo di solidarietà familiare, in ogni settore della vita socio – economica, incluso quello professionale con un effetto di possibile contaminazione della vita dei singoli componenti che, in tali deviate realtà, non costituisce affatto un evento eccezionale.

In tale ambito, è di tutta evidenza come la ricostruzione delle possibili implicazioni rinvenienti dalla trama dei legami o dalle frequentazioni interpersonali, pur impingendo in elementi di fatto, è affidata a valutazioni di ordine logico presuntivo che inevitabilmente riflettono un margine di opinabilità in quanto si fondano sulla interpretazione di elementi di non univoca lettura e che, pur traendo alimento da modelli e comportamenti di vita tratti dalle regole di esperienza, vanno di volta in volta validati con riferimento al singolo caso concreto attraverso la disamina delle peculiari circostanze del contesto di riferimento, non sempre però agevolmente intelligibili.

8.5. Nel caso qui in rilievo il teorema sviluppato dall’organo prefettizio sulle possibili implicazioni sottese ai divisati legami non ha retto al vaglio della giurisprudenza, giustamente garantista, seguita nella sentenza di annullamento.

Non va, però, di certo qui sottovalutata la particolare difficoltà che ha caratterizzato, in sede amministrativa, il processo induttivo confluito nell’atto poi impugnato il cui precipuo sforzo, già in via ordinaria, si sostanza proprio nella difficile opera di decriptazione di segni, tracce, indizi di appartenenza organica ovvero anche di collegamenti con realtà che vivono nella clandestinità e si avvalgono della rigida impenetrabilità rinveniente non solo dalle cointeressenze che legano gli affiliati ma anche dalla reazione omertosa che, anche all’esterno, le associazioni criminali generano grazie alla propria elevatissima capacità di intimidazione.

E tali difficoltà vengono vieppiù accentuate ove l’indagine da svolgere si imbatta giustappunto nella disamina dei legami familiari le cui dinamiche, per la chiusura degli ambienti in cui si sviluppano, non sono agevolmente ricostruibili nelle loro fedeli implicazioni.

8.6. Occorre, poi, soggiungere che lo stesso parametro normativo di riferimento che vale ad orientare la relativa indagine è a contenuto aperto in quanto elasticamente declinato in funzione di un risultato da ricostruire sulla scorta di elementi non predeterminati.

In altri termini, l’Amministrazione si è trovata ad operare in un campo di indagine, già di per sé, non governato da un canone di riferimento certo ed a contenuto unidirezionale bensì volutamente soggetto ad un’ampia libertà di apprezzamento onde poter intercettare tutte le possibili variabili che possono porre l’economia in rapporto qualificato con la criminalità organizzata.

E nel caso di specie tale difficile prospettiva di osservazione si è sviluppata in un ambito, quale quello familiare, particolarmente sfuggente e di difficile decifrazione che ha reso vieppiù problematica la formulazione di un giudizio completamente affidabile ed esaustivo sulle possibili implicazioni rivenienti dai dati istruttori acquisiti.

8.7. Il provvedimento impugnato ha preso, invero, abbrivio da elementi di fatto (legami di parentela, convivenza, frequentazione da parte del prossimo congiunto di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata) giammai smentiti nella loro essenza fenomenica anche se giudicati insufficienti a giustificare ed a legittimare l’adozione della misura interdittiva.

Ciò nondimeno, il contestato sbilanciamento dell’approdo valutativo verso la tutela anticipata delle esigenze di difesa sociale non può di certo comportare, con inaccettabile pretesa di automaticità, un giudizio di rimproverabilità nei confronti dell’Autorità procedente.

L’astratta plausibilità logica del procedimento di inferenza su cui riposa l’interdittiva poi annullata non appare, invero, smentita dai rilievi caducatori contenuti nel pregresso decisum né dai rilievi dell’appellante, essendo stata semplicemente accertata in sede giurisdizionale l’insufficienza, sul piano probatorio, degli elementi raccolti a corroborare la tesi del tentativo di infiltrazione mafiosa.

In altri termini, ciò che viene qui in rilievo è la tenuta, sul piano della concludenza dimostrativa, del quadro complessivo degli elementi indiziari raccolti, ma non può essere revocata in dubbio la concreta esistenza di elementi di fatto e la loro astratta pertinenza funzionale rispetto ad un giudizio che si dispiega in una logica di anticipazione della tutela speciale propria della misura qui in rilievo.

8.8. Né valgono a smentire tale assunto i rilievi svolti dall’appellante che fanno leva ora sulla cessazione della convivenza con il -OMISSIS- al momento dell’adozione dell’informativa ora sulla mancanza di mirate indagini sugli amministratori ed i soci dell’azienda dell’appellante nonostante le sollecitazioni dei Carabinieri.

Ed, invero, quanto al primo punto, deve rilevarsi che nella stessa prospettazione di parte tale convivenza era cessata da nemmeno un anno né risulta legata ad eventi specifici capaci di evocare profonde fratture sì da ritener venuta meno quella qualificata affectio familiaris che la convivenza di per sé esprime.

Di poi, quanto al secondo punto, non è dato comprendere quali tratti dell’organizzazione aziendale le indagini abbiano lasciato inescusabilmente scoperte atteso che l’impresa qui in rilievo aveva la dimensione giuridica della ditta individuale e non già della società.

E’ pur vero che la relazione dei CC è stata inviata agli altri organi di polizia (Questura, Nucleo di Polizia Tributaria, D.I.A.) con invito “ad integrare le informazioni di competenza sul conto della società e degli amministratori e soci in oggetto riferendo direttamente all’ U.T.G. di Caserta ”, ma tale annotazione, in disparte l’impropria formulazione lessicale, valeva solo a stimolare la produzione di eventuali informazioni, ulteriori ed aggiuntive in possesso delle altre forze di Polizia.

In definitiva, in disparte la rilevata insufficienza dimostrativa degli elementi raccolti, non è possibile riconoscere nella complessiva azione amministrativa i tratti di quella palese incongruenza che, escludendo il cd. errore scusabile, vale a fondare un giudizio di chiara colpevolezza.

In altre parole, ritiene il Collegio che non vi sia stata una palese, censurabile superficialità nella gestione dell’istruttoria e nell’assunzione delle conseguenti determinazioni da parte del Prefetto, che, viceversa, ha tenuto conto degli elementi raccolti e del contesto geografico di riferimento, offrendo una lettura possibilistica del paventato rischio di condizionamento da parte della criminalità organizzata che semplicemente non ha retto al vaglio critico effettuato in sede giurisdizionale sulla valenza dimostrativa del suddetto corredo probatorio.

9. Le considerazioni fin qui svolte che inducono ad escludere, ad un esame in concreto, la sussistenza dei presupposti di una tutela risarcitoria, pur in astratto esperibile in subiecta materia , assorbono le questioni di pretesa violazione dei principi eurounitari.

9.1. Né, peraltro, ha pregio l’osservazione attorea secondo cui andrebbe espunta dall’indagine che il giudice è tenuto a compiere ogni verifica quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’Amministrazione.

9.2. A tal riguardo, deve, invero, evidenziarsi che - come già affermato da questa Sezione i cui principi vengono di seguito riproposti (cfr. Consiglio di Stato sez. III, 05/03/2018, n.1401) - non possono valere i principi elaborati in sede comunitaria, in forza dei quali, una qualsiasi violazione degli obblighi di matrice sovranazionale consente all'impresa pregiudicata di ottenere un risarcimento dei danni, a prescindere da un accertamento in ordine alla colpevolezza dell'ente aggiudicatore e dunque della imputabilità soggettiva della lamentata violazione (Corte di giustizia, sez. III, 30 settembre 2010, C-314/09, Stadt Graz).

Nel caso che occupa, infatti, è evidente che la valutazione sulla responsabilità della Stazione appaltante non possa prescindere da un'indagine sull'esistenza o meno del profilo soggettivo del dolo o della colpa, come per i provvedimenti di prevenzione antimafia presupposti, rimanendo tale settore dell’ordinamento sottratto all'eccezione - di derivazione comunitaria, sopra ricordata, per la materia delle gare pubbliche - di una responsabilità da accertare in termini esclusivamente 'oggettivi'.

La giurisprudenza della Sezione ha precisato che provvedimenti (informativa/interdittiva) dell'Autorità di pubblica sicurezza costituiscono, infatti, atti che si collocano al di fuori della procedura ad evidenza pubblica ed attengono a profili di prevenzione (cfr. sulla natura dell'informativa, Cons. Stato Sez. III, 9 maggio 2012, n. 2678 e 3 maggio n. 1743) del tutto tipici del nostro sistema nazionale. Nello stesso senso debbono essere vagliate le scelte dell'Amministrazione che di tali provvedimenti costituiscono una stretta ed immediata conseguenza, fuoriuscendo, dunque, dall''ordinario' schema della responsabilità operante nella materia dei pubblici appalti, definito dalla giurisprudenza del giudice comunitario.

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, l’appello va respinto.

Le spese, in ragione della natura controversa delle questioni affrontate, possono essere compensate.

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