Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-10-31, n. 202209426

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-10-31, n. 202209426
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202209426
Data del deposito : 31 ottobre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/10/2022

N. 09426/2022REG.PROV.COLL.

N. 03108/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3108 del 2022, proposto dalla ditta Impresa Sangalli Giancarlo &
C. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati R I e G C, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G C in Roma, via Cicerone, n. 44;

contro

il comune di Dalmine, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A D L e S M, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 239 del 10 marzo 2022, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Dalmine;

Viste le memorie del comune di Dalmine del 13 settembre 2022 e della ditta Impresa Sangalli Giancarlo &
C. s.r.l. del 27 settembre 2022;

Viste le memorie di replica del comune di Dalmine del 1 ottobre 2022 e della Impresa Sangalli Giancarlo &
C. s.r.l. del 1 ottobre 2022;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2022 il consigliere M C e uditi per le parti gli avvocati R I e Jacopo Quintavalli su delega dell’avvocato S M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Consiglio di Stato l’appello proposto dalla ditta Sangalli Giancarlo e C. s.r.l. (d’ora in avanti, ditta Sangalli) avverso la sentenza del T.a.r. per la Lombardia n. 239 del 10 marzo 2022.

2. In primo grado, la ditta Sangalli ha impugnato domandandone l’annullamento:

a) l’atto del dirigente del comune di Dalmine del 17 novembre 2020, prot. n. 35968, recante “ diniego della richiesta di revisione prezzi in merito al servizio di igiene urbana nel territorio del Comune di Dalmine. Invito alla stipulazione del contratto e contestuale comunicazione avvio procedimento preordinato alla revoca dell'aggiudicazione in caso di rifiuto alla stipulazione o mancata comparizione - CIG 750725921C ”, nonché l’allegato “ Verbale sommario dell'attività istruttoria endoprocedimentale svolta a seguito della comunicazione del 14 agosto 2020, prot. comunale n. 24463, nonché della successiva comunicazione del 29 settembre 2020, prot. comunale n. 29130 ”;

b) il provvedimento del dirigente del comune di Dalmine del 27 novembre 2020, prot. n. 37279, recante “ diniego definitivo della richiesta di revisione prezzi in merito al servizio di igiene urbana nel territorio del Comune di Dalmine. Nuovo e ultimativo invito alla stipulazione del contratto e contestuale provvedimento di revoca dell'aggiudicazione in caso di ulteriore rifiuto alla stipulazione o mancata comparizione - CIG 750725921C ”;

c) l’atto del dirigente del comune di Dalmine del 7 dicembre 2020, recante “ nuovo invito alla stipulazione del contratto relativo al servizio di igiene urbana nel territorio del Comune di Dalmine - CIG 750725921C ”.

3. La vicenda amministrativa controversa è la seguente.

3.1. Nel giugno 2018 il comune bandì la procedura aperta per l’affidamento dei servizi integrati di igiene urbana nel territorio del comune di Dalmine per la durata di cinque anni.

3.2. La gara si svolse con la partecipazione di due sole ditte: la Sangalli e il raggruppamento temporaneo di imprese (“r.t.i.”) Aprica Spa-G.Eco S.r.l.-Ecosviluppo soc. coop. (il “r.t.i. Aprica”).

3.3. L’iniziale aggiudicazione al r.t.i. Aprica fu impugnata dinanzi al T.a.r. e al Consiglio di Stato, che, con sentenza del 17 febbraio 2020, n. 1212, l’annullò l’aggiudicazione.

3.4. Con la determina n. 730 del 4 agosto 2020, l’appalto fu aggiudicato alla ditta Sangalli.

3.5. Con la nota n. 633 dell’11 agosto 2020, prima della stipulazione del contratto, la ditta Sangalli ha domandato alla stazione appaltante “ un incontro al fine di risolvere in via bonaria la problematica dell’aumento dei costi di smaltimento di cui alleghiamo una ricostruzione per Vostra opportuna conoscenza ”.

3.6. Successivamente alla suddetta nota, si è intavolato un contraddittorio fra la ditta e il comune relativamente alla problematica evidenziata dall’aggiudicataria, che si è concluso con la reiezione dell’istanza formulata dalla ditta e l’emanazione del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione e di tutti gli altri atti impugnati.

4. Avverso questi atti ha proposto ricorso la ditta Sangalli.

4.1. Con il primo articolato motivo di ricorso, la ditta ha dedotto che i provvedimenti impugnati sarebbero, in generale, contrari all’assetto normativo risultante dal combinato disposto degli artt. 177 e 178 d.lgs. n. 152/2006, i quali sanciscono l’obbligo delle pubbliche amministrazioni di favorire la sostenibilità e la fattibilità tecnico-economica delle prestazioni afferenti al ciclo dei rifiuti.

4.2. Con il secondo motivo di ricorso, l’aggiudicataria ha dedotto l’illegittimità degli atti impugnati per sviamento, in quanto l’amministrazione “ avrebbe esercitato il potere amministrativo al solo fine di indurre forzosamente la ricorrente ad accettare condizioni contrattuali inique, e vantaggiose solo per il Comune, in violazione anche dei canoni di correttezza contrattuale ”.

4.3. La ricorrente ha poi domandato l’accertamento della nullità del contratto, per mancanza di un reale accordo intercorso tra le parti, oppure l’annullamento del contratto per violenza morale, e, infine, il risarcimento del danno.

4.4. Si è costituito in giudizio il comune di Dalmine, che ha domandato il rigetto del ricorso.

5. Con la sentenza n. 239/2022, il T.a.r. ha respinto il ricorso e ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in euro 5.000,00, oltre accessori di legge.

5.1. Segnatamente, il giudice di primo grado, dopo aver affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa, ai sensi dell’art. 133 lett. e), n. 2, c.p.a., ha respinto il primo motivo di ricorso, rilevando che:

a) è infondata la prospettazione di parte di basare la sua pretesa sull’art. 106, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 50/2016, che disciplina una fattispecie diversa da quella della revisione prezzi, non corrispondente con quella concretamente verificatasi nella vicenda amministrativa scrutinata riguardante “ unicamente l’adeguamento del prezzo dell’appalto ad asseriti aumenti dei costi del servizio ”;

b) anche a voler sussumere la fattispecie concreta nell’ambito di quella prevista dalla suddetta disposizione, l’aumento dei costi non può comunque definirsi “imprevedibile” ai fini dell’applicazione della norma invocata, non essendo stata fornita prova di questa imprevedibilità ed anzi emergendo dagli atti preparatori dell’appalto una ragionevole previsione da parte della stazione appaltante di questo evento, che, all’art. 46, comma 1, del capitolato speciale della gara avrebbe escluso “ qualsivoglia revisione dei costi unitari afferenti lo smaltimento e il trattamento dei rifiuti a carico dell’impresa aggiudicataria ”;

c) la fattispecie scrutinata ricade nell’ambito applicativo dell’art. 106, comma 1, lett. a), il quale prevede che la modifica delle condizioni contrattuali è ammessa soltanto laddove essa sia stata prevista nei documenti di gara e, nel caso di specie, all’art. 46, comma 1, del disciplinare si esclude espressamente ogni modifica dei costi unitari delle singole voci dell’offerta economica;

d) l’istanza di revisione del prezzo è stata formulata dall’impresa aggiudicataria prima della stipulazione del contratto, il che la rende, a fortiori , inammissibile presupponendo essa la sussistenza di un rapporto contrattuale già in corso;

e) è inammissibile la censura con la quale si è dedotta la violazione degli articoli 177 e 178, in quanto essa “ avrebbe dovuto essere formulata nei confronti della previsione escludente della legge di gara anziché nei confronti dei provvedimenti di diniego impugnati nel presente giudizio, che di quella previsione hanno fatto mera e doverosa applicazione ”.

5.1.1. Proseguendo nella disamina del ricorso, il T.a.r. ha respinto anche il secondo motivo di ricorso, affermando l’insussistenza del lamentato eccesso di potere per sviamento, in quanto “ l’amministrazione ha agito in conformità alle previsioni della legge di gara, le quali, nel rispetto della normativa di settore, ha espressamente escluso qualsivoglia revisione dei costi di smaltimento e di trasporto dei rifiuti. Né la ricorrente è stata coartata nella propria volontà dal comportamento (peraltro doveroso) dell’Amministrazione, potendo sempre rifiutarsi di stipulare il contratto alla luce di quanto previsto dalla legge e dal disciplinare di gara ”.

5.1.2. Conseguentemente, “per le stesse considerazioni”, il T.a.r. ha respinto le domande di accertamento della nullità del contratto stipulato per la mancanza dell’accordo delle parti oppure di annullamento del medesimo atto, perché sottoscritto a causa della violenza morale esercitata dall’amministrazione sull’impresa appaltatrice.

5.1.3. Il T.a.r. non ha esaminato la domanda di risarcimento del danno.

6. L’impresa soccombente ha proposto appello avverso la pronuncia di primo grado (affidato a quattro autonomi mezzi di gravame estesi da pagina 9 a pagina 30).

6.1. Con il primo motivo di appello, la società ha gravato quel capo della sentenza che ha respinto il primo motivo di ricorso, argomentando l’insussumibilità della chiesta modifica del corrispettivo del contratto nell’ambito dell’art. 106, comma 1, lett. c).

Secondo l’appellante, invece, le modifiche all’oggetto del contratto, cui la lettera della norma si riferisce, riguarderebbero anche la modifica del corrispettivo pattuito e, dunque, “ la sentenza err[a] nel negare che una variazione di prezzo resa “necessaria” dai fattori imprevedibili ex art. 106 c. 1 lett. c) CCP non si risolva in “modifica al progetto” ai sensi e fini di esso ” (pagina 11 appello).

L’appellante prosegue rilevando, in merito all’ulteriore punto della sentenza relativa alla mancata prova, da parte dell’interessata, dell’imprevedibilità dell’aumento, di aver argomentato e documentato ampiamente l’aumento dei costi intervenuti nel biennio 2018-2020 e la sua imprevedibilità.

6.2. Con il secondo motivo di appello, la ditta appellante grava i punti della sentenza che, riqualificata la domanda di parte riconducendola all’ipotesi dell’art. 106, lett. a, statuiscono l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione di questa disposizione.

L’appellante osserva che, in ragione dell’istanza da lei proposta, la fattispecie andrebbe ricondotta all’ipotesi della “lettera c)” della medesima disposizione e, dunque, non troverebbe applicazione la clausola del disciplinare di gara che escluderebbe la revisione del corrispettivo contrattuale.

Dopo aver illustrato con dovizia di argomentazioni il precedente assunto, l’appellante deduce l’erroneità del capo della sentenza che ha respinto anche la domanda di nullità e quella di annullamento del contratto.

6.3. Con il terzo motivo di appello, la società appellante censura il capo della sentenza che ha statuito la sussistenza della giurisdizione amministrativa sia pure in base ad una norma diversa da quella indicata dalla società.

6.4. Con il quarto motivo di appello, la società ripropone infine i motivi di ricorso già articolati in primo grado.

6.5. Si è costituito in giudizio il Comune di Dalmine, resistendo all’appello.

In particolare, per l’ente la richiesta dell’appellante sarebbe necessariamente ascrivibile alla fattispecie di cui alla lettera a), non potendo invece in alcun modo essere sussunta in quella della lettera c) che riguarderebbe, invece, soltanto, l’ipotesi delle varianti progettuali, senza alcuna attinenza alla modifica dei corrispettivi.

6.6. Le parti hanno illustrato le rispettive tesi e contro dedotto su quelle altrui con il deposito di ulteriori scritti difensivi.

7. All’udienza del 13 ottobre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

8. Può procedersi all’esame congiunto del primo e del secondo motivo di appello che presentano profili di connessione oggettiva ed argomenti in diritto concettualmente analoghi.

Con questi motivi di impugnazione si sostiene, infatti, l’applicabilità alla vicenda in esame dell’art. 106, comma 1, lett. c), d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 o, comunque, l’illegittimità della decisione della stazione appaltante di non modificare il corrispettivo previsto per l’esecuzione del servizio.

8.1. Le doglianze sono infondate.

8.2. Risulta dirimente, in particolare, quanto espressamente stabilito dall’art. 46 del capitolato speciale della gara, ove testualmente si prevede che: “ Ai costi unitari delle singole voci dell’Offerta Economica presentata in sede di gara sarà applicato a partire dal secondo anno dalla data di sottoscrizione del verbale di consegna dell’Appalto, l’indice ISTAT dei prezzi per famiglie di operai e lavoratori con base all’anno e mese dell’avvio dei servizi. Non sono soggetti a revisione i costi unitari afferenti lo smaltimento e trattamento rifiuti a carico dell’impresa aggiudicataria. La definizione dell’importo relativo alla revisione avverrà a seguito di opportuna istruttoria ”.

8.3. La previsione della lex specialis reca una chiara e non irragionevole manifestazione della volontà della stazione appaltante circa l’esclusione, da parte di quest’ultima, della possibilità di procedere all’adeguamento delle pattuizioni del contratto da stipulare relative al corrispettivo, in caso di sopravvenienze che incidano su di esse, salvo che negli stringenti limiti indicati dalla disposizione richiamata.

8.4. Malgrado quanto sin qui esposto consenta di respingere la pretesa di parte articolata con i motivi esaminati, il Collegio ritiene che essa sia infondata anche in linea generale.

8.5. Risulta, in proposito, opportuno riportare la disciplina invocata dall’appellante, comprensiva anche di quella prevista alla lettera “a)” della medesima disposizione.

L’art. 106, comma 1, prevede, per quel che qui interessa, che: “[…]. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti:

a) se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. Esse non apportano modifiche che avrebbero l'effetto di alterare la natura generale del contratto o dell'accordo quadro. Per i contratti relativi ai lavori, le variazioni di prezzo in aumento o in diminuzione possono essere valutate, sulla base dei prezzari di cui all'articolo 23, comma 7, solo per l'eccedenza rispetto al dieci per cento rispetto al prezzo originario e comunque in misura pari alla metà. Per i contratti relativi a servizi o forniture stipulati dai soggetti aggregatori restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 511, della legge 28 dicembre 2015, n. 208;

[…]

c) ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni, fatto salvo quanto previsto per gli appalti nei settori ordinari dal comma 7:

1) la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l'amministrazione aggiudicatrice o per l'ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche all'oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d'opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti;

2) la modifica non altera la natura generale del contratto ;”.

8.6. La ditta sostiene che alla sua istanza di adeguamento del corrispettivo dei servizi da svolgere, formulata prima della stipulazione del contratto di appalto, si debba applicare la fattispecie della lettera c), piuttosto che la fattispecie di cui alla lettera a).

8.6.1. La tesi di parte è però infondata.

8.6.2. Già solo la mera lettura delle due disposizioni consente di evidenziare come le norme che se ne ricavano abbiano differenti ambiti applicativi e come l’istanza di parte non possa che essere sussunta nell’ambito di applicazione della fattispecie delineata dalla lettera a), così come correttamente affermato dal T.a.r., senza che sia necessario per il Collegio l’impiego di più raffinati criteri ermeneutici.

8.6.3. Mentre la lettera a) prende in esame e disciplina le “variazioni dei prezzi e dei costi standard” e risulta dunque immediatamente attinente alla fattispecie concreta, la lettera c) fa testuale ed espresso riferimento a quelle “ modifiche dell’oggetto del contratto ” che si correlano alle “ varianti in corso d’opera ”.

8.6.4. Quest’ultime sono quelle modifiche che riguardano l’oggetto del contratto sul versante dei lavori da eseguire, (arg. da Cons. Stato Sez. II, 28 agosto 2020, n. 5288;
Sez. V, 02 agosto 2019, n. 5505;
Sez. VI, 19 giugno 2017, n. 2969;
ma, in linea generale, nulla preclude di riferire la disciplina in questione anche alle forniture da erogare o ai servizi da svolgere).

8.6.5. Le modifiche dell’oggetto del contratto sul versante del corrispettivo che l’appaltatore va a trarre dall’esecuzione del contratto vanno invece sussunte nell’ambito della fattispecie di cui alla lettera a), che disciplina gli aspetti economici del contratto con testuale riferimento alle “ variazioni dei prezzi e dei costi standard ”.

8.7. Va soggiunto, inoltre, che, in linea generale, come messo in evidenza dal T.a.r., le modifiche previste dall’art. 106, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 sono riferite ai “contratti”, dal che può dedursi che il contratto debba essere stato già stipulato, perché se ne possa prospettare una sua modifica.

Nel caso di specie, la società istante ha invece domandato la modifica delle pattuizioni prima di procedere alla stipulazione del contratto.

9. Non può poi essere accolta l’articolata prospettazione di parte, secondo cui si potrebbe trarre dai principi generali dell’ordinamento euro-unitario e, in particolare, dal considerando n. 109 un principio di ordine generale che dovrebbe favorire l’impiego di rimedi manutentivi e perequativi da parte delle stazioni appaltanti.

9.1. Invero, con la sentenza 19 aprile 2018, C-152/17, la Corte di giustizia ha stabilito che:

1) poiché la stessa direttiva n. 18/2004/CE non stabilisce, a carico degli Stati membri, alcun obbligo specifico di prevedere la revisione al rialzo del prezzo dopo l’aggiudicazione di un appalto, la mancata previsione nel combinato disposto degli artt. 115 e 206 del d.lgs. n. 163 del 2006 – quanto agli appalti dei settori speciali – del compenso revisionale non è in contrasto con l’ordinamento UE;

2) parimenti, nemmeno i principi di parità di trattamento e di trasparenza sanciti dall’articolo 10 di tale direttiva, ostano a siffatte norme;

3) poiché il prezzo dell’appalto costituisce un elemento di grande rilievo nella valutazione delle offerte da parte di un ente aggiudicatore, così come nella scelta del privato contraente, è proprio attraverso la mancata previsione del compenso revisionale – e non già con la sua obbligatorietà – che le norme di diritto nazionale si pongono in linea con il rispetto dei suddetti principi.

9.1.1. Con la sentenza del 7 settembre 2016, (C-549-14 - Finn Frogne ), la Corte di giustizia, sia pure con riferimento alla direttiva 2004/18/CE, ma con principi che il Collegio ritiene estensibili alla direttiva n. 2014/24/UE, ha chiarito che:

a) “ Dalla giurisprudenza della Corte risulta che il principio di parità di trattamento e l'obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l'aggiudicazione di un appalto pubblico, l'amministrazione aggiudicatrice e l'aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell'appalto iniziale. È quanto avviene se le modifiche previste hanno per effetto o di estendere l'appalto, in modo considerevole, a elementi non previsti, o di alterare l'equilibrio economico contrattuale in favore dell'aggiudicatario, oppure ancora se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l'aggiudicazione dell'appalto, nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un'altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi (v., in tal senso, in particolare, sentenza del 19 giugno 2008, pressetext Nachrichtenagentur, C-454/06, EU:C:2008:351, punti da 34 a 37). ” (§ 28);

b) “ né il fatto che una modifica sostanziale dei termini di un appalto pubblico sia motivata […] dalla […] volontà di trovare una composizione transattiva a fronte di difficoltà oggettive incontrate nell'esecuzione di detto appalto, né il carattere obiettivamente aleatorio di talune realizzazioni possono giustificare il fatto che tale modifica sia decisa senza rispettare il principio di parità di trattamento di cui devono potersi giovare tutti gli operatori potenzialmente interessati a un appalto pubblico. ” (§ 32);

c) “… il fatto stesso che, a causa del loro oggetto, taluni appalti pubblici possono essere a priori considerati aventi un carattere aleatorio rende prevedibile il rischio di sopravvenienza di difficoltà in fase di esecuzione. Pertanto, per un appalto del genere, spetta all'amministrazione aggiudicatrice non solo ricorrere alle procedure di aggiudicazione più adeguate, ma anche definire l'oggetto di tale appalto con cautela. Inoltre, come risulta dal punto 30 della presente sentenza, l'amministrazione aggiudicatrice può riservarsi la possibilità di apportare talune modifiche, anche sostanziali, all'appalto, dopo la sua aggiudicazione, a condizione che lo abbia previsto nei documenti che hanno disciplinato la procedura di aggiudicazione. ” (§ 36).

9.2. Dalle richiamate sentenze della Corte di giustizia, si trae, dunque, una sostanziale neutralità dell’ordinamento europeo per gli aspetti relativi agli eventuali rimedi manutentivi che gli ordinamenti approntano per fronteggiare le sopravvenienze che incidono sugli aspetti economici del contratto.

9.3. Se poi si tiene conto, in particolar modo, di quanto stabilito dall’art. 46 del capitolato speciale dell’appalto risulta evidente che l’amministrazione ha voluto escludere o comunque circoscrivere in maniera stingente il rilievo giuridico delle sopravvenienze di carattere economico (relative ai “ costi unitari afferenti lo smaltimento e trattamento rifiuti a carico dell’impresa aggiudicataria ”) rispetto al rapporto contrattuale che ha inteso far sorgere.

9.4. Le doglianze esaminate vanno pertanto respinte.

10. Proseguendo nella disamina delle censure di appello, vanno poi confermate le statuizioni con le quali sono state rigettate la domanda di declaratoria di nullità parziale e quella di annullamento parziale della clausola contrattuale relativa al corrispettivo, ritenuta iniqua.

10.1. Trattandosi di domande motivate in ragione dell’asserita illegittimità della decisione della stazione appaltante, il venir meno di questo presupposto assertivo ne determina la reiezione, così come statuito dal T.a.r..

11. Parimenti, va respinto la “ domanda risarcitoria e di riequilibrio del prezzo contrattuale ”, non esaminata dalla pronuncia, da respingere per mancanza dell’illegittimità dei provvedimenti impugnati (Cons. Stato, sez. III, 24 maggio 2018, n. 3131).

12. Residua, infine, l’ultima doglianza articolata dall’appellante e relativa al capo della sentenza che ha dichiarato la sussistenza della giurisdizione amministrativa, ma con una motivazione diversa da quella auspicata dalla ditta Sangalli.

12.1. Il motivo di appello è inammissibile per difetto d’interesse.

12.2. Sulla giurisdizione, infatti, la ditta non può dirsi soccombente e mancando, pertanto, questo presupposto l’appello risulta inammissibile (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Ad. plen. n. 19 del 2021;
Cass. civ., sez. un., 6355 del 2019).

13. Residua, infine, il quarto motivo di appello che, in realtà, costituisce la riproposizione delle doglianze già articolate in primo grado.

13.1. Dalla reiezione dei motivi di appello precedentemente illustrati discende l’inaccoglibilità dei motivi di censura di primo grado e il rigetto del motivo di appello con cui essi sono stati riproposti.

14. In conclusione, per le motivazioni sin qui articolate, l’appello va respinto e va confermata la sentenza di primo grado.

15. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55, e dei criteri di cui all’art. 26, comma 1, c.p.a.

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