Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-12-06, n. 202108104
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Pubblicato il 06/12/2021
N. 08104/2021REG.PROV.COLL.
N. 08460/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8460 del 2013, proposto da
Azienda Agricola Nicolin Luigi e Paolo Ss, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F V, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri 5;
contro
Azienda di Stato per Gli Interventi Nel Mercato Agricolo in Liquidazione - Aima, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 06916/2013, resa tra le parti, concernente quote latte
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda di Stato per Gli Interventi Nel Mercato Agricolo in Liquidazione - Aima e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2021 il Cons. Marco Morgantini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il contenzioso in esame concerne il provvedimento di compensazione e relativa ingiunzione di pagamento del prelievo supplementare per l’eccesso di produzione lattiera, relativo alle annate lattiere 1997/1998 e 1998/1999 proveniente da AIMA, con numero raccomandata: 600402565482 e comunicato al ricorrente in data 7 luglio 2000;
la circolare accompagnatoria del medesimo provvedimento a firma del Commissario Liquidatore dell’AIMA, dott. Domenico Oriani, 8 giugno 2000, prot. 4784/Comm. Liq.
2. Con il ricorso di primo grado R.G. 13557/2000 l’odierno appellante, dopo aver ricostruito la normativa comunitaria e nazionale sul regime delle c.d. “quote latte”, ipotizzava una serie di violazioni di legge, nonché di normativa comunitaria, oltre che eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di potere per rettifica dei dati in mancanza di previsione normativa e disparità di trattamento.
2. Il T.A.R per il Lazio, sede di Roma, sez. II ter, con sentenza in forma semplificata n. 6916/2013 depositata in data 11.07.2013, dichiarava l’infondatezza del ricorso.
3. Il ricorrente impugna la sentenza di primo grado lamentando, in via preliminare, la nullità della sentenza per omessa pronuncia su tutti i motivi di doglianza attorei e sui punti decisivi della domanda giudiziale lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c;nonché il difetto di motivazione e la violazione dell’art.9 della legge 21 luglio 2000, n. 205 relativa alla decisione del T.a.r di pronunciarsi con una sentenza in forma semplificata motivando per relationem, in quanto, sono state richiamate delle sentenze che avevano deciso questioni in parte differenti, rispetto a quelle oggetto di ricorso.
Hanno poi lamentato:
I)violazione di legge per violazione della norma di risulta, derivante dalla disapplicazione degli artt. 2 e 3 d.l. 1 dicembre 1997, n. 411, convertito in legge 27 gennaio 1998. n. 5 e dell'art. 1 d.l. 1 marzo 1999, n. 43, integrato dalle modificazioni applicate in sede di conversione dalla legge 27 aprile 1999, n. 118, per contrarietà ai principi dell'ordinamento comunitario, e in particolare per contrarietà agli artt. 38 e 39 del Trattato Isititutivo della Comunità Europea e per violazione del principio comunitario sulla tutela dell'affidamento;
II)Violazione di legge per violazione delle norme di risulta, derivante dalla disapplicazione degli artt. 2 e 3 del decreto legge 1° dicembre 1997 n. 411, convertito in legge 27 gennaio 1998 n. 5 e dell’art. 1 del decreto legge 1° marzo 1999 n. 43, convertito in legge 27 aprile 1999 n. 118, per contrarietà ai principi dell’ordinamento comunitario, in particolare, per contrarietà agli artt. 38 e 39 del Trattato istitutivo della Comunità Europea e per violazione del principio comunitario sulla tutela dell’affidamento;
III) Violazione di legge per violazione della norma di risulta dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 del decreto legge 1° dicembre 1997 n. 411, convertito in legge 27 gennaio 1998 n. 5 e dell’art. 1 del decreto legge 1° marzo 1999 n. 43, convertito in legge 27 aprile 1999 n. 118;
IV)Violazione di legge per violazione della norma di risulta dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 del decreto legge 1° dicembre 1997 n. 411, convertito in legge 27 gennaio 1998 n. 5 e dell’art. 1 del decreto legge 1° marzo 1999 n. 43, convertito in legge 27 aprile 1999 n. 118;
V)Violazione di legge per violazione dell’art. 1 del decreto legge 1° marzo 1999 n. 43, convertito in legge 27 aprile 1999 n. 118, nonché dell’art. 1, comma 7, del decreto legge 7 aprile 2000 n. 79;
VI)Violazione di legge per illegittimità derivata;
VII) Violazione di legge sotto il profilo della mancanza di sottoscrizione dei provvedimenti impugnati
VIII)Violazione di legge sotto il profilo della violazione dell’art. 7 della legge 241/1990;
IX) Eccesso di potere sotto il profilo della motivazione insufficiente e del difetto di istruttoria;
X) Violazione di legge per violazione dell’art. 3 della legge 241/1990. Eccesso di potere sotto il profilo della motivazione insufficiente
4. Si è costituita l’amministrazione per resistere, con atto meramente di stile.
5. All’udienza del 2 dicembre 2021, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
6. In via preliminare, va affrontata la questione relativa alla scelta del collegio di prime cure di decidere la sentenza in forma semplificata ex art. 74 c.p.a.
6.1 Suddetto motivo è infondato.
6.2 Infatti, la trattazione delle tematiche poste a questo Giudice in entrambi i gradi di giudizio, non è per niente né nuovo, né poco investigato. Non solo il TAR, ma anche questo Consiglio s’è occupato funditus di e ha pienamente risolto tutte le questioni de quibus, nel lungo tempo in cui queste ultime, dal 1998 ad oggi, son stati proposte, in tutte le possibili combinazioni argomentative. Sicché ictu oculi non pare né erronea in sé, né irragionevole per i principi di diritto che il TAR abbia inteso risolvere la presente controversia, come d’altronde prescrive l’art. 88, c. 2, lett. c), c.p.a., con «…concisa esposizione dei motivi… in diritto, con rinvio a precedenti cui intende conformarsi…» (Cons. Stato, sez III 5150/2014).
Va così fin d’ora disattesa ogni questione di nullità della sentenza per il sol fatto riferimento ai suoi precedenti, peraltro del tutto condivisi da questo Consiglio.
7. Quanto all’illegittimità dei provvedimenti di compensazione nazionale per applicazione retroattiva del Q.R.I., questa è stata ampiamente scrutinata dalla giurisprudenza amministrativa, nonché dalla Corte di Giustizia.
8.1 Al riguardo, il Collegio ritiene opportuno richiamare l’orientamento del Consiglio di Stato in forza del quale proprio la determinazione del Q.R.I. sulla base di un dato “storico” crea una sorta di presunzione di conoscenza che soddisfa pienamente le esigenze imprenditoriali delle aziende, quand’anche la comunicazione dello stesso sopraggiunga tardivamente (cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 ottobre 2014 n.5141, nonché id., 15 ottobre 2014, n.5149, ove si legge che «tutti e ciascun produttore, al di là d’ogni eventuale sprovvedutezza del singolo, non possono opporre gli errori di AIMA o varie incertezze alla determinazione dei QRI, avendo contezza perlomeno della produzione storica fissata nella l. 468/1992 ed ai sensi dell’art. 4 del regol. n. 3950/92/CEE»).
8.2 In ogni caso, non può non osservarsi come la Corte di Giustizia CE, con la più volte citata sentenza del 25 marzo 2004, pur richiamando i principi di certezza del diritto e di affidamento, ha comunque concluso che la normativa nazionale in tema di assegnazione retroattiva delle QRI non è in contrasto con il diritto comunitario nella misura in cui ciò garantisca la corretta applicazione del sistema delle c.d. “quote latte” (Cons. Stato, sez. II del 04/02/2020).
Pure la Corte costituzionale (cfr. C. cost., 7 luglio 2005 n. 272) ha precisato che la rideterminazione dei QRI non è soggetta al vincolo della irretroattività, giacché le funzioni di accertamento ed aggiornamento dei dati, anche in relazione a campagne lattiere già concluse, è conseguenza diretta di controlli successivi effettuati dagli organi statali preposti al settore che sono, a loro volta, funzionali, tra l’altro, all’applicazione corretta della normativa UE sull'intero territorio della Repubblica (cfr. sentenza Cons. stato n. 5150/2014 sez. III, del 15/10/2014).
8.3 Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire in ordine alla correlata doglianza, anch’essa presa in esame dalla citata giurisprudenza comunitaria, secondo cui le quote latte devono essere notificate individualmente ai produttori interessati, a pena di violare il principio di certezza del diritto.
Reputa opportuno il Collegio, anche per una più agevole comprensione della vicenda controversa, citare alcuni passaggi di tal giurisprudenza, perché dirimenti sul punto e, in particolare, quelli per cui, se dal regol. n. 3950/92/CEE «…non è espressamente previsto un obbligo di comunicazione ai produttori dei quantitativi di riferimento individuali, una siffatta comunicazione, sia in occasione dell'assegnazione iniziale di un quantitativo di riferimento che in occasione di ogni successiva modifica di tale quantitativo, deve essere ritenuta obbligatoria in considerazione, da un lato, dell'obiettivo principale e della ratio del regime del prelievo supplementare sul latte nonché, dall'altro, del principio di certezza del diritto…».
Come si vede, la Corte parla non già d’un obbligo di notificazione ad personam dei QRI, bensì e più propriamente di comunicazione che, in base a tal principio di certezza del diritto il quale «…esige una pubblicità adeguata per i provvedimenti nazionali adottati in attuazione di una normativa comunitaria (sentenza Mulligan e a., cit., punto 51) …», sia «…effettuata nel rispetto del dovere di una pubblicità adeguata…». Anzi, precisa la Corte che «… (84) il principio di certezza del diritto non prescrive alcuna forma particolare di pubblicità, quale…la comunicazione tramite pubblicazione in bollettini o la notifica individuale ad ogni produttore…». Sicché «… una pubblicità adeguata deve essere idonea a informare le persone fisiche o giuridiche interessate riguardo al loro quantitativo di riferimento individuale… (onde) non è escluso che una comunicazione dei quantitativi di riferimento individuali a mezzo di una pubblicazione in bollettini, quale quella controversa nella causa principale, possa soddisfare tale condizione… (pur spettando) al giudice nazionale decidere, sulla base…degli elementi di fatto di cui dispone, se ciò si verifichi nelle cause principali…».
8.4 Da ciò discende la non necessità delle comunicazioni individuali dei QRI perché, la certezza del diritto è principio sì irrinunciabile, ma va letto ed applicato, anche ai fini della delibazione in concreto dell’adeguatezza della pubblicità in materia adottata via via in Italia, in una con altri principi parimenti forti. Per un verso, non si possono sottacere le disposizioni sulla formazione dei QRI iniziali e, per altro verso, in soggetta materia, gli artt. 1 e 4 del regol. n. 3950/92/CEE non ostano a che a seguito di controlli uno Stato - membro rettifichi i QRI ad ogni produttore e quindi ricalcoli, in esito a riassegnazione dei QRI inutilizzati, i prelievi supplementari dovuti, dopo il termine di scadenza del pagamento di tali prelievi per l’annata lattiera di riferimento. Dal che non si può affermare ragionevolmente la rilevanza dirimente dell’assenza di personale notifica dei QRI a tutti e ciascun produttore e, di conseguenza, la totale inefficacia del sistema delle quote-latte in Italia.
9. A fronte dell’infondatezza delle censure (ri)proposte, tuttavia, il Collegio non può esimersi dal rilevare come l’atto impugnato costituisca applicazione di un procedimento di determinazione del prelievo supplementare conseguente ad operazioni di compensazione nazionale effettuate, per le annate lattiere di riferimento (1995/1996 e 1996/1997), in applicazione dell’art. 1, comma 1, della l. n. 118/1999, non a caso espressamente richiamato nella nota impugnata.
9.1 Tale normativa, tuttavia, rileva la Sezione, impatta inevitabilmente con i principi di recente affermati dalla Corte di Giustizia U.E. (sez. VII, 27 giugno 2019) in esito a quesito formulato da questo Consiglio di Stato (ordinanza n. 3074 del 2018).
Nello specifico il meccanismo di compensazione basato su categorie prioritarie, cui si riferisce il richiamato art. 1, comma 8, del d.l. n. 43 del 1° marzo 1999, convertito, con modificazioni, dalla l. 118/1999, si pone in palese contrasto con l’art. 2 del Reg. n. 3950/1992, applicabile ratione temporis.
9.2 Il Giudice del rinvio, in sintesi, chiedeva se detta norma potesse essere interpretata nel senso della conformità ad essa di una disciplina nazionale (quale l’art. 1, comma 8, del d.l n. 43/1999) che ha previsto che la riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne sia effettuata sulla base di criteri obiettivi fissati dagli Stati membri, ovvero se la riassegnazione dovesse essere regolata in via esclusiva da un criterio di proporzionalità.
9.3 La Corte di Giustizia infatti ha riconosciuto che, sebbene, il regolamento lasciasse agli Stati Membri la scelta se procedere o meno, ad una riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento complessivo a favore dei produttori che avevano effettuato delle consegue eccedentarie, ciò non comportasse una liberalità dello stesso quanto alle modalità con cui procedere alle riassegnazioni. Infatti tale riassegnazione, con riguardo al periodo che va fino al 2001 deve essere effettuata, tra i produttori che hanno superato i propri quantitativi di riferimento, in modo proporzionale e non secondo criteri di priorità fissati dallo stato membro.
9.4 La Corte ha affermato (ai paragrafi 35-37) quanto di seguito testualmente si riporta:«[…] risulta dall’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, nonché dall’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 536/93 che lo Stato membro dispone della facoltà di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, o a livello nazionale, direttamente ai produttori interessati, o a livello degli acquirenti affinché detti quantitativi vengano ripartiti tra i produttori in questione. Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano, l’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, pur concedendo agli Stati membri la facoltà di riassegnare i quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, non li autorizza a decidere in base a quali criteri tale riassegnazione debba essere effettuata. Infatti, risulta dalla formulazione stessa della disposizione suddetta che, qualora uno Stato membro decida di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, tali quantitativi vengono ripartiti in modo “proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore”».
9.5 E’ stata in tal modo smentita la tesi prospettata dallo Stato italiano circa l’indifferenza dell’utilizzazione di altri criteri rispetto ai principi europei di proporzionalità, di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, sottolineando (ai paragrafi da 38 a 46 della sentenza) quanto segue: «L’argomento del governo italiano, secondo cui la disposizione summenzionata non stabiliva nulla circa i criteri della riassegnazione stessa e menzionava il criterio proporzionale soltanto ai fini di regolare i calcoli che l’acquirente avrebbe dovuto operare qualora fosse spettato a lui applicare il prelievo a carico dei produttori, è espressamente contraddetto dalla giurisprudenza della Corte. Infatti, la Corte ha già statuito che risulta chiaramente da tutte le versioni linguistiche dell’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92 che è senz’altro la ripartizione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, vale a dire la riassegnazione di tali quantitativi, a dover essere effettuata in modo “proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore” e che il contributo dei produttori al pagamento del prelievo dovuto è, quanto ad esso, stabilito in base al superamento del quantitativo di riferimento di cui dispone ciascun produttore (sentenza del 5 maggio 2011, K und T E e a., C-230/09 e C-231/09, EU:C:2011:271, punto 64)».
9.6 L’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92 stabilisce dunque un criterio in base al quale deve essere effettuata la riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati. Così, dato che tale disposizione non menziona nessun altro criterio, né rinvia alla competenza degli Stati membri per stabilire criteri che siano loro propri, il suddetto criterio di ripartizione proporzionale deve essere considerato come il solo in base al quale deve essere effettuata la riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati. 11.3. Tale interpretazione è confermata dal contesto nel quale la norma si inserisce. La diversa previsione contenuta nel medesimo articolo 2, ma al paragrafo 4, del regolamento summenzionato, come pure d’altronde dal sesto considerando del regolamento n. 536/93, si riferisce infatti al ben diverso caso in cui uno Stato membro abbia giudicato opportuno non operare nel proprio territorio la riassegnazione totale di quantitativi di riferimento inutilizzati, destinando l’eccedenza riscossa al finanziamento delle misure di cui all’articolo 8, primo trattino, del regolamento n. 3950/92, e/o rimborsarla ai produttori, essendo possibile in questo caso individuarli sulla base di categorie prioritarie, individuate dagli Stati membri in base ad uno o più criteri obiettivi, previsti dall’articolo 5 del regolamento n. 536/93, elencati in ordine di priorità. La facoltà di riassegnare la totalità o una parte dei quantitativi di riferimento inutilizzati, prevista dall’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, e la facoltà, di cui uno Stato membro può avvalersi qualora non proceda a tale riassegnazione totale dei quantitativi inutilizzati, di rimborsare ai produttori l’eccedenza del prelievo riscossa, in conformità dell’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento n. 3950/92, obbediscono dunque a logiche differenti. Infatti, la disciplina contenuta nel paragrafo 1 dell’art. 2 del regolamento n. 3950/92 mira a diminuire proporzionalmente il superamento dei quantitativi di riferimento dei produttori, al fine di ridurre anche il contributo di questi ultimi al prelievo dovuto;il successivo paragrafo 4, invece, si propone di determinare la destinazione del prelievo riscosso in eccesso, prevedendo che il relativo rimborso, ove deciso da uno Stato membro, venga effettuato a beneficio dei produttori che rientrano in categorie prioritarie, stabilite secondo i criteri obiettivi previsti dalla Commissione. «A motivo della diversità delle logiche sottese ai meccanismi previsti, rispettivamente, dall’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, e dall’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento n. 3950/92, la rilevanza, ai fini dell’applicazione della prima di queste disposizioni, dei criteri stabiliti dalla seconda di esse non può essere presunta e potrebbe discendere soltanto da un esplicito riferimento in tal senso nel regolamento. Orbene, né il regolamento n. 3950/92 né il regolamento n. 536/93 prevedono l’applicazione di detti criteri nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92» (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n.8504 del 16 dicembre 2019).
10. Dalle statuizioni della Corte di Giustizia discende dunque che il meccanismo di “compensazione-riassegnazione” applicato dall’Amministrazione italiana è stato alterato dall’utilizzazione di un criterio normativo nazionale non conforme al dettato europeo. Nel quadro dell’organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, il regolamento (CEE) n. 3950/92 del Consiglio europeo (il quale ha prorogato di sette annualità il regime di prelievo supplementare già previsto dal regolamento (CEE) n. 856/84 del Consiglio, del 31 marzo 1984, teso a ridurre sia lo squilibrio tra offerta e domanda di latte e prodotti lattiero-caseari, sia le conseguenti eccedenze strutturali) ha stabilito che ciascuno Stato membro disponga di un quantitativo totale garantito di produzione lattiera (quota nazionale) che non può essere superato dalla somma dei quantitativi di riferimento individuali (quote individuali) concessi ai produttori di latte nazionali. Se la quota nazionale viene superata, la conseguenza per lo Stato membro è che i produttori che hanno contribuito al superamento devono versare un prelievo supplementare. Nel corso del periodo contingentale, lo Stato membro ha la possibilità di “compensare” i superamenti delle quote individuali restituendo i quantitativi di riferimento individuali (QRI) inutilizzati dei produttori che non hanno esaurito le proprie quote per ridurre la produzione eccedentaria di altri produttori (articolo 2, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 3950/92). Il settimo considerando del citato regolamento spiega che «allo scopo di mantenere una certa duttilità nella gestione del regime, occorre prevedere la perequazione dei superamenti su tutti i quantitativi di riferimento individuali dello stesso tipo all’interno del territorio dello Stato membro;e che “per quanto riguarda le consegne, che costituiscono la quasi totalità dei quantitativi commercializzati, la necessità di garantire la piena efficacia del prelievo in tutta la Comunità giustifica, in linea di principio, il mantenimento della possibilità per gli Stati membri di scegliere tra due modalità di perequazione dei superamenti dei quantitativi di riferimento individuali, tenuto conto della diversità delle strutture di produzione e di raccolta lattiere;che, a tale proposito, occorre autorizzare gli Stati membri a non riassegnare i quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, a livello nazionale o tra gli acquirenti, e a destinare l'importo riscosso che supera il prelievo dovuto al finanziamento di programmi nazionali di ristrutturazione e/o a restituirlo ai produttori facenti parte di talune categorie o che si trovano in una situazione eccezionale». L’art. 2 del testo normativo ha coerentemente previsto che «1. Il prelievo si applica a tutti i quantitativi di latte o di equivalente latte, commercializzati nel periodo di dodici mesi in questione, che superano l’uno o l’altro dei quantitativi di cui all’articolo 3. Esso è ripartito tra i produttori che hanno contribuito al superamento. A seconda della decisione dello Stato membro, il contributo dei produttori al pagamento del prelievo dovuto è stabilito, previa riassegnazione o meno dei quantitativi di riferimento inutilizzati, a livello dell’acquirente in base al superamento sussistente dopo la ripartizione, proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore, dei quantitativi di riferimento inutilizzati oppure a livello nazionale in base al superamento del quantitativo di riferimento a disposizione di ciascun produttore […] 4. Qualora il prelievo sia dovuto e l’importo riscosso sia superiore, lo Stato membro può destinare l’eccedenza riscossa al finanziamento delle misure di cui all'articolo 8, primo trattino, e/o rimborsarlo ai produttori che rientrano in categorie prioritarie stabilite dallo Stato membro in base a criteri obiettivi da determinarsi o confrontati ad una situazione eccezionale risultante da una disposizione nazionale non avente alcun nesso con il presente regime».
10.1 Dalla lettura dell’art. 2 paragrafo 1, secondo capoverso del regolamento (CEE) n. 3950/92 - invero non agevole forse anche a causa delle sua non felice traduzione nella lingua italiana - operata con il conforto esegetico fornito dal settimo considerando, si evince che la perequazione dei superamenti dei quantitativi di riferimento individuali, ossia la “compensazione”, a livello nazionale, tra gli sforamenti e le sotto produzioni rispetto alle quote individuali assegnate è fase procedimentale autonoma, anche se facoltativa per gli Stati.
Essa dovrebbe svolgersi ordinariamente a monte della quantificazione e riscossione del prelievo supplementare per lo “sforamento”, e servire per quantificare il livello di sforamento nonché, conseguentemente, il quantum dell’importo dovuto a titolo di prelievo dai singoli produttori.
10.2 Nel caso di specie, tuttavia, l’Azienda appellante non ha invocato specificamente tale motivo di doglianza, ma comunque chiedeva la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di siffatto meccanismo di compensazione. Inoltre, invocava una generica contrarietà del meccanismo nella sua interezza con il principio comunitario sulla tutela dell’affidamento, per contro ampiamente garantito: la determinazione del Q.R.I. sulla base di un dato “storico” crea, infatti, una sorta di presunzione di conoscenza che soddisfa pienamente le esigenze imprenditoriali delle aziende, quand’anche la comunicazione dello stesso sopraggiunga tardivamente (cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 ottobre 2014 n.5141, nonché id., 15 ottobre 2014, n.5149, ove si legge che «tutti e ciascun produttore, al di là d’ogni eventuale sprovvedutezza del singolo, non possono opporre gli errori di AIMA o varie incertezze alla determinazione dei QRI, avendo contezza perlomeno della produzione storica fissata nella l. 468/1992 ed ai sensi dell’art. 4 del regol. n. 3950/92/CEE»). La previsione della sottoscrizione di un modello (il cosiddetto modello ‘L1’), pure contestata, da parte del produttore, contenente indicazioni espresse sul quantitativo di latte prodotto nonché sull’eventuale prelievo dovuto, se vi è superamento della quota assegnata, che è poi confluita nel S.I.A.N., realizza il massimo coinvolgimento possibile sia in termini di verifica partecipativa, sia in termini di possibilità di confutazione degli eventuali dati riscontrati come erronei (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2009, n. 1629).
11.Si pone pertanto la questione se sia possibile nel presente giudizio procedere a una disapplicazione ex officio per non essere stato formulato uno specifico motivo di appello volto a lamentare l’illegittimità de iure communitario delle richiamate disposizioni regolamentari e a chiederne conseguentemente la disapplicazione. Ciò avuto riguardo anche al necessario principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ.
Anche di tale aspetto, con specifico riferimento al sistema delle quote latte, la Sezione ha già avuto modo di occuparsi ( cfr. ancora Cons. Stato, sez. II, n. 149/2020;nonché id., 14 gennaio 2020, n. 360).
Come affermato, infatti, dall’Adunanza Plenaria nella decisione n. 9 del 25 giugno 2018, in caso di norme in contrasto con il diritto eurounitario, non risulta predicabile alcuna preclusione per il Giudice amministrativo nel rilevare la non applicabilità della disposizione.
Anche la giurisprudenza costituzionale ha ammesso la disapplicazione ex officio della norma interna in contrasto con il diritto UE, conformemente – del resto – a consolidati orientamenti della Corte di giustizia dell’UE medesima. Ne consegue che il problema dei limiti alla disapplicazione officiosa della regolamentazione interna illegittima risulta al più confinato alle ipotesi - che qui, per quanto ampiamente esposto sopra, non ricorrono - in cui il profilo di illegittimità derivi da profili diversi dal contrasto con il diritto UE (cfr. Corte Cost. 10 novembre 1994, n. 384).
12. In definitiva, «la piena applicazione del principio di primauté del diritto eurounitario comporta che, laddove una norma interna (anche di rango regolamentare) risulti in contrasto con tale diritto, e laddove non risulti possibile un’interpretazione di carattere conformativo, resti comunque preclusa al Giudice nazionale la possibilità di fare applicazione di tale norma interna» (cfr. Cons. Stato, A.P. n. 8/2018, cit. supra).
13. I princìpi appena richiamati risultano tanto più pregnanti nelle ipotesi in cui - come nel caso in esame - non solo il Giudice nazionale debba astenersi dal dare applicazione nell’ordinamento interno a una disposizione in contrasto con il diritto UE, ma per di più possa (e anzi, debba) riconoscere diretta applicazione a una disposizione i cui contenuti sono stati chiariti dalla Corte di Giustizia nel senso del non ammettere, ove si opti per la compensazione nazionale nell’accezione esplicitata ai paragrafi precedenti, la postergazione, o per meglio dire, la preferenza di taluni imprenditori rispetto ad altri.
14. Le considerazioni sin qui esposte rivestono valenza assorbente rispetto agli ulteriori motivi di impugnazione dedotti dall’appellante.
In dipendenza di tutto quanto detto e in riforma della sentenza qui impugnata, la disciplina della compensazione nazionale contenuta nell’art. 1, del d.l. 1°marzo 1999, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla l. 27 aprile 1999, n. 118, va pertanto disapplicata agli effetti della risoluzione della presente controversia, e - conseguentemente – i provvedimenti impugnati in primo grado devono essere annullati, salve e riservate restando le ulteriori determinazioni di competenza dell’Amministrazione appellata.
15. Le difficoltà interpretative della disciplina nazionale e comunitaria, nonché l’oscillamento giurisprudenziale e la complessità della materia determinano l’individuazione di giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.