Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-12-20, n. 202108440

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-12-20, n. 202108440
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202108440
Data del deposito : 20 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/12/2021

N. 08440/2021REG.PROV.COLL.

N. 06559/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6559 del 2021, proposto dai signori
P S, C F, G S G, N S, N M, S P, G S, S G, S F, R A, M D V, F R, G A, A R, S B, P C, M F, S G, A G, L M, A M, R G P, M S, G A, A P, R G, S P, V P, P D R, A F, P B, T D M L M, V V, D S, G M, A C, M A R, N C, L C, A P, V P, S C, Orazio Di Marco, Rosario Bonfissuto, Francesco Sisto, Salvatore Barà, Rosolino Carlino, Giuseppe Rosario Casesi, Girolamo Cipponeri, Roberto Perrone, Andrea Signorello, Davide Genna, Nicola Letazio, Vincenzo Castelluccio, Simone Emiliano Riva, Vincenzo Li Volsi, Domenico Miceli, rappresentati e difesi dall’avvocato Carmelo La Fauci Belponer, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la Funzione Pubblica, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 4431/2021, resa tra le parti, concernente il silenzio inadempimento sulle diffide volte alla conclusione del procedimento di attuazione della previdenza complementare e per il risarcimento danni.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la Funzione Pubblica;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2021 il Cons. C A;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Gli appellanti in epigrafe sono militari della Guardia di finanza, i quali avevano maturato, alla data del 31 dicembre 1995, di entrata in vigore della 8 agosto 1995, n. 335, “ Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare” , un’anzianità contributiva non superiore a 18 anni, per cui ai sensi del comma 12 dell’art. 1 di detta legge, il loro trattamento pensionistico deve essere calcolato con il sistema misto, retributivo per l’anzianità maturata al 31 dicembre 1995 e contributivo per i periodi successivi.

Con il ricorso di primo grado, notificato il 15 dicembre 2020, hanno proposto - insieme ad altri ricorrenti, che non hanno poi presentato appello - ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio per l’accertamento del silenzio inadempimento delle Amministrazioni intimate rispetto all’attuazione del sistema di previdenza complementare per i militari anche della Guardia di Finanza e per le Forze di Polizia.

Con il ricorso hanno dedotto che il sistema misto è peggiorativo sotto il profilo economico rispetto a quello retributivo e che, nonostante il lungo tempo trascorso dall’entrata in vigore della legge n. 335/1995 (25 anni), non è stata data attuazione alla previdenza complementare per il personale militare, anche della Guardia di Finanza e per quello appartenente alle Forze di Polizia e non è stato ancora adottato neanche il provvedimento amministrativo di avvio del procedimento di cui al d.lgs. 12 maggio 1995, n. 195, ovvero per la negoziazione per il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile e la concertazione per le Forze di Polizia ad ordinamento militare e le Forze armate, il cui contenuto viene successivamente recepito nei decreti del Presidente della Repubblica.

Pertanto con varie diffide, da luglio a novembre del 2020, hanno invitato le Amministrazioni odierne appellate a dare attuazione alle forme di previdenza complementare a beneficio dei dipendenti, cosi come previsto dagli articoli 26, comma 20, Legge 23 dicembre 1998, n. 448 e dall’art. 3 del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

Con nota prot n. 73478 del 12 novembre 2020 la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Funzione Pubblica - Ufficio Relazioni sindacali ha rappresentato che l’attuazione della previdenza complementare è materia “negoziale”, rimessa alle singole amministrazioni interessate e alle rappresentanze dei lavoratori e non può essere imposta di imperio dalla delegazione della parte pubblica;
ha poi evidenziato di avere comunque avviato già dagli anni 1999-2000 alcune attività per l’attuazione della previdenza complementare tramite varie riunioni presso il Dipartimento con le parti interessate, successivamente reiterate per il periodo 2005-2006 e nel corso del rinnovo normativo ed economico per il triennio 2016-2018, ancora nell’anno 2018;
inoltre, in occasione dell’ultimo rinnovo contrattuale del comparto sicurezza per il triennio 2019-2022 di aver rappresentato alle parti “ la necessità, stante il lasso di tempo intercorso, di portare la questione della previdenza complementare all'attenzione delle parti ”.

Nel ricorso hanno, quindi, dedotto che tale nota avrebbe contenuto solo dilatorio, non essendovi alcuna attività tesa alla conclusione e neppure all’avvio del procedimento e che, a seguito di alcune pronunce del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (nn. 9186 e 9187 del 2011), rese in analoghi giudizi proposti da altro personale in servizio, era stato nominato un commissario ad acta, ma neppure a seguito dell’attività del Commissario risulta adottato il provvedimento di avvio della negoziazione ex art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 195/1995 e, conseguentemente non sono stati avviati né i procedimenti negoziali né le procedure di concertazione/contrattazione per l’intero Comparto Difesa e Sicurezza mediante convocazione delle parti sindacali allo specifico fine di attuare la previdenza complementare nel settore Forze armate-Personale Polizia;
hanno quindi prospettato la sussistenza della giurisdizione amministrativa, della legittimazione e dell’interesse a ricorrere, citando sotto tale profilo, la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 22807 del 2020, che affermando la giurisdizione del giudice amministrativo per i danni da ritardo per l’attuazione del sistema di previdenza complementare, avrebbe fatto riferimento ad uno specifico diritto all’attuazione della previdenza complementare;
hanno lamentato la violazione dell’art. 97 della Costituzione, dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e dell’art. 41 della Carta di Nizza, per la mancata conclusione del procedimento e per il mancato avvio da parte del Dipartimento della funzione pubblica del procedimento, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 195 del 1995;
hanno poi proposto la domanda di risarcimento danni da ritardo, ritenendo integrata la fattispecie dell’illecito per il ritardo in relazione alla violazione delle norme dell’art 26, comma 20, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, dall’art. 3 del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, dell’art. 67 del d.P.R. 16 marzo 1999, n. 254;
dell’art. 74 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, dell’art. 3 del d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, per la sussistenza della colpa dell’Amministrazione e per il danno patrimoniale costituito dalla impossibilità di ottenere un risparmio in termini di tassazione IRPEF in virtù del maggiore ammontare deducibile e dal pregiudizio economico conseguente all'impossibilità di destinare al fondo pensione il T.F.R. maturato da ciascun ricorrente;
adempimento, quest’ultimo, che potrebbe aumentare il montante previdenziale;
quantificando il danno in 10.000 euro per ciascun dipendente;
in via subordinata hanno proposto la domanda, ai sensi comma 2 dell’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990, di indennizzo per il ritardo.

L’ Avvocatura dello Stato, costituendosi nel giudizio di primo grado, aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva in capo ai singoli militari persone fisiche, trattandosi di posizioni soggettive facenti capo alle organizzazioni sindacali rappresentative;
nonché l’infondatezza delle pretese trattandosi di materia rimessa alla contrattazione sindacale e per la quale, quindi, non sussisterebbe in capo alle Amministrazioni intimate un preciso obbligo di provvedere;
infatti, gli ultimi accordi sindacali hanno avuto ad oggetto, per scelta delle parti, profili retributivi, mentre il Dipartimento della funzione pubblica aveva più volte sollecitato l’esame della materia in questione nel corso delle negoziazioni. La mancanza dell’obbligo e l’impossibilità dell’Amministrazione di provvedere unilateralmente sarebbero provate dalla attività del Commissario ad acta nominato per l’ottemperanza della sentenza n. 9186 del 2011 che, oltre a sollecitare l’avvio del procedimento non ha potuto addivenire ad alcuna effettiva attività di esecuzione della sentenza;
da ultimo anche in occasione del tavolo concertativo per gli anni 2019 - 2020 l’organizzazione sindacale rappresentativa dei militari della Guardia di Finanza non ha prospettato alcuna richiesta in ordine alla attuazione della previdenza complementare.

Il Tribunale amministrativo, con la sentenza n. 4431 del 15 aprile 2021, ha dichiarato il ricorso inammissibile per il difetto di legittimazione attiva in capo ai singoli ricorrenti, citando il proprio precedente n. 1292 del 1 febbraio 2021, secondo cui “ i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva e del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse finale e del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio ed alla conclusione dei procedimenti negoziali di cui all'art. 67, d.P.R. 16 marzo 1999 n. 254 , che appartiene esclusivamente alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (quanto alle forze di polizia ad ordinamento civile) e ai comitati centrali di rappresentanza, sempre quali organismi esponenziali di interessi collettivi (quanto alle forze di polizia ad ordinamento militare e al personale delle forze armate), chiamate a partecipare ai predetti procedimenti”, in conformità ad orientamenti ormai consolidati del Tribunale amministrativo regionale del Lazio e del Consiglio di Stato espressamente richiamati.

Con l’atto di appello è stata contestata la sentenza, lamentando la violazione degli artt. 39 c.p.a. e 112 c.p.c. per l’omessa pronuncia, sostenendo la sussistenza della legittimazione e dell’interesse a ricorrere, in quanto le organizzazioni sindacali rappresentano l’insieme della categoria, mentre l’interesse specifico sottostante al ricorso, nel caso di specie, sarebbe solo di quella parte dei rappresentati, che si trovano nella posizione di anzianità contributiva per cui è previsto il sistema misto;
si deduce poi che dovrebbe essere seguita una interpretazione della normativa di riferimento costituzionalmente orientata e conforme al diritto dell’unione, che non potrebbe condurre ad escludere la legittimazione attiva ai lavoratori, a tutela di posizioni soggettive, anche risarcitorie;
ravvisando un contrasto interpretativo nella materia della legittimazione attiva delle associazioni sindacali e dei soggetti da queste rappresentati, è stata sollecitata la rimessione della presente controversia all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Sono stati poi riproposti i motivi di ricorso di primo grado, di violazione dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, dell’art. 97 della Costituzione e dell’art. 41 di Nizza, per la mancata conclusione del procedimento;
sostenendo che, in ogni caso, sussisterebbe l’obbligo del Dipartimento della funzione pubblica di dar corso al procedimento, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 195 del 1995, non avviato neppure a seguito del sollecito inviato dal Commissario ad acta nominato per l’esecuzione della sentenza relativa ad altro personale;
sono state poi riproposte le domande risarcitorie e di indennizzo per il ritardo, insistendo per il loro accoglimento.

Si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato contestando la fondatezza dell’appello, richiamando la giurisprudenza del Consiglio di Stato ormai consolidatasi nel senso di escludere la legittimazione dei singoli dipendenti, trattandosi di materia attribuita dal legislatore alla contrattazione sindacale e sostenendo comunque l’insussistenza di un obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni intimate.

L’Avvocatura dello Stato ha poi chiesto il passaggio in decisione senza discussione orale.

All’udienza pubblica del 9 novembre 2021 l’appello è stato trattenuto in decisione.

L’appello è infondato.

Ritiene il Collegio di non doversi discostare, nel caso di specie, dall’orientamento consolidato di questo Consiglio, che ha escluso la legittimazione ad agire dei singoli dipendenti nel procedimento per l’accertamento dell’obbligo di provvedere all’attuazione della previdenza complementare.

E’ stato, infatti, costantemente affermato, in analoghe fattispecie, che i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all’avvio e conclusione dei procedimenti negoziali in questione, appartenenti in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, quali organismi esponenziali d’interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali. In particolare, “ la legittimazione a far valere eventuali inadempimenti dell'obbligo di adozione di provvedimenti amministrativi, anche attraverso la speciale procedura di impugnazione del silenzio inadempimento, appartiene in via generale ai soli soggetti titolari dell'interesse, concreto ed attuale, direttamente riguardato dalla norma attributiva del potere autoritativo, i quali proprio in ragione di tale titolarità sono dunque legittimati a partecipare al relativo procedimento amministrativo ”, mentre i dipendenti sono portatori di un interesse soltanto indiretto in relazione all’effettiva entrata in vigore del nuovo regime previdenziale, in quanto potenziale destinatario delle misure da adottarsi anche all’esito del procedimento di concertazione di cui si lamenta la mancata attuazione;
ciò in ragione della natura normativa dell’atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego;
ma non sono legittimati a partecipare al relativo procedimento, non essendo titolari in proposito di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere con la previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni competenti (Cons. Stato Sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 502;
n. 503, n. 504;
24 ottobre 2011, n. 5697;
n. 5698).

Non può condurre ad una diversa interpretazione della disciplina normativa quanto sostenuto dalla difesa appellante, per cui la legittimazione non potrebbe essere attribuita alle organizzazioni sindacali, in quanto l’interesse protetto riguarderebbe solo una parte (quelli che si trovano nella situazione previdenziale per cui è previsto il sistema misto) dei soggetti da tali organizzazioni rappresentati

Infatti, nel caso di specie, è la disciplina legislativa che attribuisce la materia alla contrattazione e alla concertazione sindacale, con ciò sottraendola alle posizioni soggettive dei singoli dipendenti, i quali pacificamente, anche nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, non possono intraprendere autonome azioni per la tutela di posizioni affidate alla contrattazione collettiva, ad esempio per eventuali aumenti retributivi o per la rimodulazione dell’orario di lavoro negli ambiti di competenza della contrattazione.

Non sussiste, poi, alcun presupposto per la rimessione della questione all’Adunanza Plenaria, secondo quanto richiesto dalla difesa appellante.

Infatti, ai sensi dell’art. 99 c.p.a., “ 1. la sezione cui è assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o d'ufficio può rimettere il ricorso all'esame dell'adunanza plenaria. L'adunanza plenaria, qualora ne ravvisi l'opportunità, può restituire gli atti alla sezione.

2. Prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o d'ufficio, può deferire all'adunanza plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali.

3. Se la sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall'adunanza plenaria, rimette a quest'ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso” .

Nel caso di specie, non si ravvisa alcun contrasto giurisprudenziale, all’interno del Consiglio di Stato, sulla questione della legittimazione dei dipendenti ad agire, ai sensi degli art.31 e 117 c.p.a., per l’attuazione della previdenza complementare, né la questione appare suscettibile di contrasti giurisprudenziali, essendo, inoltre, decisa in conformità agli orientamenti giurisprudenziali sopra citati del Consiglio di Stato.

La giurisprudenza indicata dalla difesa appellante relativa alla legittimazione delle associazioni riguarda, infatti, fattispecie differenti e, quindi, non è idonea a configurare un contrasto giurisprudenziale, essendo invece sulla presente questione la giurisprudenza consolidata univocamente nel senso sopra citato.

La configurazione normativa, che conduce a ravvisare il difetto di legittimazione in capo ai singoli dipendenti comporta anche l’infondatezza dell’azione proposta per il silenzio, mancando, in base alle norme di legge che disciplinano la materia, un preciso obbligo di provvedere e un termine per individuare il ritardo nell’adempimento in capo alle Amministrazioni intimate.

Sotto tale profilo, non si può ravvisare una omissione di pronuncia da parte del giudice di primo grado, in quanto l’affermazione del difetto di legittimazione, presupponendo la mancanza di una azione proponibile nei confronti delle Amministrazioni pubbliche, ha comportato l’implicito rigetto anche delle domande risarcitorie.

Ritiene, peraltro, il Collegio di aggiungere, anche ai fini della completezza dell’esame della domanda risarcitoria, che il sistema della previdenza complementare è stato integralmente rimesso alle procedure di negoziazione e di concertazione, con la conseguenza che le Amministrazioni odierne appellate non hanno alcun autonomo obbligo di provvedere non potendo unilateralmente disciplinare la materia né, peraltro, sono previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla detta previdenza complementare.

In primo luogo, il comma 20 dell’art. 26 della legge 448 del 1998 ha previsto che: “ ai fini dell'armonizzazione al regime generale del trattamento di fine rapporto e dell'istituzione di forme di previdenza complementare dei dipendenti pubblici, le procedure di negoziazione e di concertazione previste dal decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, potranno definire, per il personale ivi contemplato, la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell'articolo 2, commi da 5 a 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l'istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni. Per la prima applicazione di quanto previsto nel periodo precedente saranno attivate le procedure di negoziazione e di concertazione in deroga a quanto stabilito dall'articolo 7, comma 1, del citato decreto legislativo n. 195 del 1995”

Ai sensi dell’art. 3 comma 2 del d.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252 - che all’art. 21 ha disposto l’abrogazione del d.lgs. 124 del 1993 - “ per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante i contratti collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto legislativo. Per il personale dipendente di cui all'articolo 3, comma 1, del medesimo decreto legislativo, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite secondo le norme dei rispettivi ordinamenti ovvero, in mancanza, mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi da loro associazioni”.

In base all’art. 59 comma 56 della legge 27 dicembre 1997 n. 449 fermo restando quanto previsto dalla legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, in materia di applicazione delle disposizioni relative al trattamento di fine rapporto ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, al fine di favorire il processo di attuazione per i predetti delle disposizioni in materia di previdenza complementare viene prevista la possibilità di richiedere la trasformazione dell'indennità di fine servizio in trattamento di fine rapporto. Per coloro che optano in tal senso una quota della vigente aliquota contributiva relativa all'indennità di fine servizio prevista dalle gestioni previdenziali di appartenenza, pari all'1,5 per cento, verrà destinata a previdenza complementare nei modi e con la gradualità da definirsi in sede di specifica trattativa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori”.

L’ art. 67 del D.P.R. 16 marzo 1999, n. 254, “ Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999”, ha previsto : “1.Le procedure di negoziazione e di concertazione attivate, per la prima applicazione, ai sensi del citato articolo 26, comma 20, della legge n. 448 del 1998, provvedono a definire:

a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare, ai sensi del decreto legislativo n. 124 del 1993, della legge n. 335 del 1995, della legge n. 449 del 1997 e successive modificazioni ed integrazioni, anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego;

b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse;

c) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare”.

Da tale disciplina risulta evidente che non sussiste alcun autonomo obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni pubbliche, in assenza della definizione della materia in sede di contrattazione collettiva e, nel caso dei militari, delle specifiche procedure di concertazione, ai sensi del d.lgs. 195 del 1995.

Non può essere, peraltro, neppure accolta la ricostruzione difensiva che ritiene sussistente in capo alle Amministrazioni intimate l’obbligo di avviare il procedimento di concertazione, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 195 del 1995.

In primo luogo, si tratterebbe eventualmente di un obbligo di avvio del procedimento e non di conclusione dello stesso, da cui non potrebbe derivare, quindi, né la possibilità di agire con il rito del silenzio né una responsabilità, ai sensi dell’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990.

Infatti, l’art. 31 c.p.a. prevede “ decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere ”;
mentre, ai sensi dell’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990, “ le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento ”.

Le procedure in questione si concludono, in base alla espressa previsione del comma 2 dell’art. 1 del d.lgs. 195 del 1995, con l’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica.

Inoltre, ai sensi del comma 13 dell’art. 7 del medesimo decreto legislativo, “ nel caso in cui l'accordo e le concertazioni di cui al presente decreto non vengano definiti entro centocinquanta giorni dall'inizio delle relative procedure, il Governo riferisce alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica nelle forme e nei modi stabiliti dai rispettivi regolamenti ”, con conferma della irrilevanza del termine di conclusione del procedimento rispetto alle attività di negoziazione sindacale.

In particolare, poi, in base al comma1 dell’art. 7 “ Le procedure per l'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 2 sono avviate dal Ministro per la funzione pubblica almeno quattro mesi prima dei termini di scadenza previsti dai precedenti decreti. Entro lo stesso termine, le organizzazioni sindacali del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile possono presentare proposte e richieste relative alle materie oggetto delle procedure stesse. Il

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi