Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-10-14, n. 201604250

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-10-14, n. 201604250
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201604250
Data del deposito : 14 ottobre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/10/2016

N. 04250/2016REG.PROV.COLL.

N. 01303/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1303 del 2015, proposto da:
P P s.r.l., Vision Project s.r.l., Manetti Bros Film s.r.l., Dania Film s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dagli avvocati A G, A T, con domicilio eletto presso A T in Roma, via Cicerone, 49;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi;
Commissione di Revisione di II grado presso La Direzione Generale per il cinema, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza 19 gennaio 2015, n. 853 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione II- quater.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attivita' culturali;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 luglio 2016 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati A T e Gabriella D'Avanzo dell'Avvocatura Generale dello Stato.


FATTO e DIRITTO

1.– Le odierne appellante sono aziende cinematografiche italiane che, nel 2012, hanno intrapreso il progetto cinematografico di realizzare, sotto forma di thriller e in versione attualizzata, la fiaba dei fratelli Grimin « Hansel e Gretel », affidandone la regia ai fratelli Manetti. Questo progetto ha condotto alla realizzazione del film «Paura in 3D».

Le Commissioni di revisione cinematografica, di primo e secondo grado, hanno vietato la proiezione del film ai minori di quattordici anni.

Le società produttrici hanno impugnato le determinazioni delle Commissioni innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio.

1.1.– Il Tribunale amministrativo ha rigettato la domanda cautelare. Il Consiglio di Stato, con ordinanza 28 maggio 2014, n. 2206, ha accolto l’appello cautelare, rilevando che la necessità di un approfondito esame « della congruità della motivazione relativa all’imposizione d’età minima di 14 anni per la visione del film per cui è giudizio in rapporto ai contenuti specifici della pellicola ».

1.2.– A conclusione del processo, il Tribunale amministrativo, con sentenza 19 gennaio 2015, n. 853, ha rigettato il ricorso.

2.– Le ricorrenti di primo grado hanno proposto appello.

2.1.–Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, chiedendo il rigetto dell’appello.

2.2.– Il Consiglio di Stato, con ordinanza 3 aprile 2015, n. 1443, ha rigettato la domanda cautelare e con ordinanza 16 giugno 2016, n. 2656 ha disposto, in via istruttoria, l’acquisizione della versione originale del film.

3.– La causa è stata decisa all’esito della discussione all’udienza pubblica del 21 luglio 2016.

4.– L’appello è fondato.

5.– Con il primo e terzo motivo si è dedotta la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, per motivazione inadeguata. L’amministrazione, sottolineato le appellanti, si sarebbe limitata ad un richiamo generico alle norme di legge del settore, senza indicare, in concreto, quali fossero le scene del film in grado di impressionare negativamente un pubblico di età inferiore ai quattordici anni.

I motivi sono fondati.

L’art. 3 della legge n. 241 del 1990 dispone che ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato e la motivazione « deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria ».

Tale obbligo assume una valenza non formale-procedimentale ma sostanziale rappresentando « il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo » (Corte cost. n. 92 del 2015).

L’art. 1 della legge 21 aprile 1962, n. 161 (Revisione dei film e dei lavori teatrali) prevede che il nulla osta per la proiezione del film è rilasciato con decreto del Ministro per il turismo e lo spettacolo « su parere conforme, previo esame dei film, di speciali Commissioni di primo grado e di appello ». Gli articoli 2 e 3 disciplinano la composizione delle suddette Commissioni e l’art. 5 dispone che esse « nel dare il parere per il rilascio del nulla osta, stabiliscono anche se alla proiezione del film possono assistere i minori degli anni 14, o i minori degli anni 18, in relazione alla particolare sensibilità dell’età evolutiva ed alle esigenze della sua tutela morale ».

Nella fattispecie in esame, risulta che:

- la Commissione di primo grado, con parere 13 giugno 2012, ha rilasciato il nulla osta con divieto di visione ai minori di anni 14;

- la stessa Commissione di primo grado, con parere 9 settembre 2013, dopo i tagli proposti dalla produzione, non ha ugualmente consentito l’ampliamento della platea anche ai minori, in quanto « nonostante i tagli che hanno alleggerito soltanto alcune scene, rimangono la violenza crudezza delle immagini e la storia di un “mostro” da renderne inadatta la visione ai minori degli anni quattordici »;

- la Commissione di secondo grado, con parere 23 ottobre 2013, non ha riformato la decisione di primo grado, in quanto « visionato il film presentato in appello, in 2° edizione, dopo approfondita discussione, tenuto conto che eventuali tagli al film non avrebbero cambiato la valutazione del film, esprime, a maggioranza, parere favorevole confermativo del giudizio espresso dalla Commissione di primo grado, condividendone appieno le motivazioni espresse ».

Il Collegio ritiene che questa motivazione non soddisfi i requisiti legali prefigurati dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990.

La Commissione avrebbe dovuto indicare i “presupposti di fatto” che hanno impedito di accogliere la domanda di revisione delle società appellanti. Il provvedimento impugnato, invece, si limita, all’esito di una decisione collegiale assunta a maggioranza, a ritenere che, nonostante i “tagli”, il film rimane non adatto ad un pubblico di minorenni. L’adempimento dell’obbligo di motivazione avrebbe, invece, richiesto l’indicazione puntuale delle ragioni ostative all’estensione della proiezione “nonostante” le modifiche apportate alla pellicola ed, eventualmente, gli “ulteriori” tagli necessari per adeguare il contenuto del film ad un visione da parte anche di minorenni.

La inadeguatezza della motivazione incide sullo stesso diritto di difesa degli appellanti e impedisce un effettivo controllo giurisdizionale.

6.– Con il secondo e quarto motivo è stata dedotta la disparità di trattamento rispetto ad altre fattispecie analoghe trattate in maniera diversa dall’amministrazione, nonché la non corretta formazione della volontà collegiale.

L’accoglimento dei motivi afferenti al difetto di motivazione, di cui al punto precedente, rende non necessario esaminare anche queste ulteriori doglianze.

7.– Il Ministero intimato è condannata al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che si determinano in complessive euro 4.000,00, oltre accessori di legge.

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