Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2023-01-30, n. 202301037

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2023-01-30, n. 202301037
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301037
Data del deposito : 30 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/01/2023

N. 01037/2023REG.PROV.COLL.

N. 05913/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso per revocazione numero di registro generale 5913 del 2021, proposto da
C F, rappresentata e difesa dall’avvocato M G, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Provincia della Spezia, non costituita in giudizio;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, V, n. 08022/2020, resa tra le parti.


Visto il ricorso per revocazione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 26 gennaio 2023 il Cons. A B e uditi per le parti l’avvocato Giannini;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria con sentenza n. 1318/2007 accoglieva il ricorso proposto dalla signora C F e annullava il provvedimento della Provincia della Spezia n. 12329 del 13 luglio 2001 di cancellazione, ai sensi dell’art. 9 d.lgs. 81/2000, del nominativo della ricorrente dagli elenchi previsti dall’art. 3 comma 1 dello stesso decreto legislativo per lo svolgimento delle attività socialmente utili.

Sulla base della sentenza demolitoria, l’interessata con due ricorsi proposti innanzi allo stesso Tar esperiva avverso la Provincia: un’azione risarcitoria ordinaria, avente a oggetto il danno (retribuzioni perdute;
perdita di chance lavorative;
morale) subito a seguito dell’illegittima cancellazione di cui sopra, che, in tesi, le aveva impedito di accedere a contratti di lavoro (di collaborazione coordinata e continuativa e a tempo determinato) alla fine dei quali sarebbe stata assunta a tempo indeterminato in virtù dei processi di stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili previsti dalle leggi finanziarie del 2007 e del 2008, così come accaduto per gli altri lavoratori iscritti negli stessi elenchi;
formulava la stessa azione risarcitoria ex art. 112 Cod. proc. amm., sotto il profilo della mancata esecuzione del giudicato.

Con sentenza n. 442/2015 il Tar riuniva i predetti ricorsi e li respingeva.

2. L’interessata appellava la sentenza di rigetto.

L’Amministrazione provinciale, ritualmente intimata, non si costituiva in giudizio.

Questa Sezione del Consiglio di Stato respingeva l’appello con sentenza n. 8022/2020.

3. Con l’odierno ricorso l’interessata ha proposto azione revocatoria di detta sentenza di appello sostenendo, ai sensi dell’art. 395 n. 4 Cod. proc. civ., che la decisione è affetta: 1) da un errore di fatto risultante da un documento di causa;
2) da un ulteriore errore di fatto incontrovertibilmente escluso dagli atti di causa. Ha chiesto:

di accogliere il presente ricorso per revocazione, limitatamente alla perdita di chance e, per l’effetto, previa rescissione della sentenza impugnata, di accogliere il ricorso in appello e per l’effetto accogliere il ricorso di primo grado, le cui conclusioni (proposte anche in appello) erano e sono le seguenti, sia in relazione al ricorso ordinario in via principale, che a quello riunito per l’ottemperanza, in via subordinata: ‘accertare e dichiarare il diritto della ricorrente ad ottenere il pagamento dell’importo di € 500.000,00 e/o quella maggiore e/o minore somma che risulterà dovuta a seguito della espletanda istruttoria, per perdita di chance lavorativa e mancato guadagno futuro, danno morale relativo al mancato conseguimento di una assunzione presso un Ente pubblico di III o IV livello, con tutte le garanzie di legge che sono a garanzia del posto nella P.A.;

conseguentemente, condannare la Provincia della Spezia, nella persona del legale rappresentante pro tempore a pagare alla ricorrente la somma indicata di € 500.000,00 o somma maggiore o minore che il giudicante vorrà ritenere dovuta, con rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma rivalutata sino al saldo’;

per quanto riguarda il ricorso per ottemperanza, previo accertamento e dichiarazione della mancata esecuzione e/o della impossibilità della esecuzione della sentenza emessa dal Tar Liguria n. 1318 del 21.06.2007, previa altresì fissazione del termine per provvedere e nomina fin da ora del commissario ad acta in caso di mancato adempimento ”.

La Provincia della Spezia non si è costituita in giudizio.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 26 gennaio 2023.

4. Viene in esame il ricorso per revocazione ex art. 395 comma 1 n. 4 Cod. proc. civ. proposto come sopra avverso la sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato n. 8022/2020.

La decisione ha respinto l’appello dell’odierna ricorrente avente a oggetto la sentenza del Tar per la Liguria n. 442/2015, che a sua volta ha riunito e respinto i due ricorsi proposti dalla medesima avverso la Provincia della Spezia di cui in fatto (risarcitorio ordinario;
risarcitorio in via di ottemperanza).

5. In linea generale, osserva il Collegio che la revocazione di cui all’art. 395 comma 1 n. 4 Cod. proc. civ. è il peculiare rimedio previsto dal legislatore per eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, a causa di “svista” o “abbaglio dei sensi” (Cons. Stato, IV, 8 maggio 2020, n. 2898;
V 29 ottobre 2014, n. 5347).

Il rimedio ha indi natura straordinaria e, per consolidata giurisprudenza ( ex multis , Cons. Stato, V, 10 ottobre 2020, n. 6304;
25 febbraio 2019, n. 1254;
5 maggio 2016, n. 1824), l’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 Cod. proc. amm. e 395 n. 4 Cod. proc. civ., deve rispondere a tre requisiti: a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;
b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (Cons. Stato, IV, 14 maggio 2015, n. 2431).

Inoltre, l’errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n. 6006).

Ancora, l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura e alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza e al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento. Insomma, l’errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza e al loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali;
ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice (Cons. Stato, V, 7 aprile 2017, n. 1640).

Così si versa nell’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4 Cod. proc. civ. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o a eccezioni non rinvenibili negli atti del processo (Cons. Stato, III, 24 maggio 2012, n. 3053);
ma se ne esula allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita.

In tutti questi casi non è possibile censurare la decisione tramite il rimedio - di per sé eccezionale - della revocazione, che altrimenti verrebbe a dar vita ad un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall’ordinamento ( ex multis , Cons. Stato, IV, 8 marzo 2017, n. 1088;
V, 11 dicembre 2015, n. 5657;
IV, 26 agosto 2015, n. 3993;
III, 8 ottobre 2012, n. 5212;
IV, 28 ottobre 2013, n. 5187).

Infine, l’errore di diritto, che si situa nell’ambito di un’attività non percettiva, ma intellettiva, consistente nell’erronea interpretazione e valutazione dei fatti e, più in generale, delle risultanze processuali (Cons. Stato, sez. VI, 5 settembre 2011, n. 4987;
V, 21 ottobre 2010, n. 7599), come pure l’errore sull’interpretazione o applicazione di norme giuridiche, non è errore revocatorio: diversamente, la revocazione costituirebbe una forma di gravame teoricamente reiterabile più volte, con l’effetto di condizionare sine die il passaggio in giudicato di una pronuncia giurisdizionale (così Cons. Stato, V, 21 settembre 2020, n.5480).

6. Tanto premesso, si osserva che la sentenza della Sezione n. 8022/2020 oggetto dell’azione revocatoria in esame nel respingere l’azione risarcitoria avanzata dall’interessata:

a) ha rammentato il consolidato principio giurisprudenziale per cui il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale per illegittimità dell’atto amministrativo, ma richiede l’accertamento, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dalla legge, della colpa dell’amministrazione, dell’esistenza di un danno, del nesso di causalità tra l’illecito e il danno;

b) ha ritenuto l’erroneità della tesi spesa dall’appellante circa la finalizzazione dei lavori socialmente utili alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e, di contro, la correttezza del rilievo della sentenza di primo grado circa il loro carattere previdenziale ex art. 38 Cost., comportante che “ il danno relativo alla mancata instaurazione di un rapporto di pubblico impiego non può costituire una conseguenza immediata e diretta della cancellazione dagli elenchi dei L.S.U. ”;

c) ha rilevato come l’appellante non avesse fornito alcuna prova, neppure a livello indiziario, del nesso causale esistente tra l’illegittima cancellazione di cui sopra e i danni lamentati sul presupposto di “ una possibilità non trascurabile di esito favorevole nella stabilizzazione del suo rapporto lavorativo ”;

d) sul punto, al capo 7.8. ha affermato che “… se anche l’appellante fosse rimasta iscritta negli elenchi degli L.S.U. fino al dicembre 2003 non avrebbe avuto comunque nessuna possibilità di impiego presso la Provincia, né mediante la stipulazione dei citati contratti di collaborazione coordinata e continuativa, né tanto meno mediante un’assunzione a tempo determinato (attraverso una selezione pubblica in seguito avviata dalla Provincia, all’esito della quale sono stati assunti 39 soggetti, anche provenienti dall’esterno). In relazione a tale ultimo profilo, si osserva, infatti, che l’odierna appellante non avrebbe avuto neanche alcuna chance di ottenere un contratto a [tempo] determinato, essendo in concreto sprovvista del requisito di ammissione relativo al titolo di studio. L’appellante non avrebbe poi potuto partecipare neanche all’unica selezione pubblica per assunzione a tempo determinato nel profilo professionale di operatore informatico (categoria B1 del C.C.N.L. Enti locali), per la quale era richiesto soltanto il titolo di studio posseduto, in quanto comunque sprovvista dell’ulteriore requisito di ammissione consistente nell’aver svolto prestazioni assimilabili alla posizione di operatore informatico ”, e ha ulteriormente rilevato come non fosse provata neppure l’affermata assunzione a tempo indeterminato di tutti i lavoratori socialmente utili impiegati nei servizi esternalizzati dalla Provincia, non essendo “ al riguardo sufficiente la sola produzione della citata Convenzione del 2001 tra il Ministero del Lavoro e la Regione Liguria, dalla quale emergono soltanto le modalità di assunzione dei lavoratori socialmente utili ”;

e) ha conseguentemente concluso al capo 7.9 che “ non risulta raggiunta la prova del danno da perdita di chance di una stabile occupazione, non avendo l’appellante dimostrato, neppure in via presuntiva e probabilistica (ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate), di aver perduto, quale conseguenza dell’adozione dell’atto illegittimo, l’occasione di conseguire il bene della vita che avrebbe potuto ottenere se l’Amministrazione non avesse disposto la cancellazione dagli elenchi degli L.S.U.: l’appellante non ha, infatti, fornito elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, la concreta possibilità di essere selezionata e poi assunta dalla Provincia né, in definitiva, l’esistenza di un nesso causale tra il provvedimento illegittimo e gli effetti dannosi prefigurati ”;

f) al capo 8, ha ritenuto “ parimenti infondata la pretesa a conseguire l’indennità mensile relativa al c.d. assegno di utilizzo per la prestazione di attività socialmente utili, ex art. 4 del D.Lgs. n. 81 del 2000, dalla data di cancellazione a quella di pubblicazione della sentenza di accoglimento del ricorso ”, in quanto “ la Provincia della Spezia è stata autorizzata a proseguire le attività socialmente utili fino al 31 dicembre 2003. Ne viene che a partire da tale data in ogni caso l’appellante non potendo prestare dette attività, ormai concluse, neppure avrebbe potuto percepire la relativa indennità ”;

g) al capo 8.2., “ stante la peculiare natura assistenziale del lavoro socialmente utile ”, ha poi ritenuto “ la presenza di un errore scusabile da parte del competente Centro per l’Impiego che interpretò le circostanze di fatto rappresentate (quali, in particolare, la produzione di un certificato medico e la contestuale richiesta nel corso della selezione presso l’ente utilizzatore, per il sub-progetto al quale era stata assegnata, di essere preferibilmente adibita ad attività di ufficio, come ammesso dalla stessa appellante) nel senso di rifiuto di avviamento alla selezione, in relazione al posto disponibile per la qualifica e il livello contrattuale corrispondente alle mansioni che avrebbe effettivamente svolto ”.

7. La parte della sentenza che l’odierna deducente ritiene inficiata dai errori revocatori è il sopra riportato capo 7.8 della decisione. In particolare:

- il primo errore revocatorio sarebbe l’affermazione che “ se anche l’appellante fosse rimasta iscritta negli elenchi degli LSU fino al dicembre 2003 non avrebbe avuto comunque nessuna possibilità di impiego presso la Provincia, né mediante la stipulazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, né tanto meno mediante una assunzione a tempo determinato ” poiché era “ in concreto sprovvista del requisito di ammissione relativo al titolo di studio ”.

Al riguardo, il ricorso evidenzia che il documento n. 14 depositato nel fascicolo di primo grado attesta inequivocabilmente che, contrariamente a quanto sopra, la Provincia della Spezia ha bandito nel periodo di interesse della controversia un concorso per 6 operai generici di III livello e per 1 operaio di IV livello, richiedendo come titolo il diploma di scuola media inferiore, in possesso dell’interessata;

- il secondo errore revocatorio sarebbe l’affermazione che l’appellante non avrebbe potuto partecipare “ neanche all’unica selezione pubblica per assunzione a tempo determinato nel profilo professionale di operatore informatico (categoria B1 del C.C.N.L. Enti locali), per la quale era richiesto soltanto il titolo di studio posseduto, in quanto comunque sprovvista dell’ulteriore requisito di ammissione consistente nell’aver svolto prestazioni assimilabili alla posizione di operatore ”.

Al riguardo, il ricorso evidenzia che il bando della procedura sopra menzionata, depositato come documento n. 15 del giudizio di primo grado, prevedeva una serie di requisiti (diploma di scuola media inferiore;
qualifica di videoterminalista;
buona capacità di utilizzo degli strumenti informatici di base), tutti in possesso dell’interessata, e non anche quello che la sentenza ha ritenuto ostativo alla sua partecipazione alla procedura, ovvero lo svolgimento di “ prestazioni assimilabili alla posizione di operatore informatico ”.

8. Sul punto, osserva il Collegio che, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, entrambi i dedotti errori revocatori non costituiscono gli unici elementi che la sentenza n. 8022/2020 ha posto a base della decisione: non vi è quindi quel rapporto di stretta causalità tra presupposizioni asseritamente erronee e la pronuncia che per la giurisprudenza di cui sopra si è fatta rassegna indica come uno dei requisiti necessari ai fini della proponibilità dell’azione revocatoria.

8.1. Segnatamente, gli errori di fatto segnalati attengono alle argomentazioni con cui la decisione, in applicazione della consolidata giurisprudenza formatasi in tema di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo, ha escluso la sussistenza di uno dei presupposti assunto nell’esperita azione risarcitoria, consistente nel nesso di causalità tra il provvedimento annullato in via giurisdizionale, nel caso la cancellazione dagli elenchi per lo svolgimento delle attività socialmente utili, e la mancata assunzione di un impiego stabile presso la Provincia della Spezia.

Ma la reiezione della domanda risarcitoria non è dipesa solo da tale ritenuta insussistenza: la decisione ha infatti proseguito nell’esame degli ulteriori profili della fattispecie, e rilevato, come sopra evidenziato, la carenza anche dell’elemento soggettivo della colpa dell’Ufficio che ha disposto la cancellazione, ritenendo la scusabilità dell’errore commesso nell’occasione.

8.2. Ancora, le argomentazioni, pure in precedenza richiamate, con cui la sentenza ha respinto la pretesa della deducente a conseguire, sempre in via risarcitoria, l’indennità mensile relativa al c.d. assegno di utilizzo per la prestazione di attività socialmente utili sono del tutto estranee, e autonome, rispetto ai dedotti errori di fatto

9. Ne deriva l’inammissibilità dell’azione revocatoria.

Come già sopra accennato, l’errore sul fatto può essere motivo di revocazione della sentenza solo se l’erronea percezione o la svista materiale abbia il carattere della “rilevanza e decisività”.

In altre parole, la sentenza deve essere “effetto” del preteso errore di fatto, e, quindi, occorre che il fatto che si assume erroneo costituisca il fondamento o rappresenti l’imprescindibile, oltre che esclusiva, premessa logica di tale decisione. Tra il fatto erroneamente percepito (o non percepito) e la statuizione adottata deve, perciò, intercorrere un nesso di necessità logica e giuridica tale da determinare, in ipotesi di percezione corretta, una decisione diversa da quella adottata (Cass. civ., VI, ord. 27 dicembre 2021, n. 41683;
Sez. un., ord. 23 gennaio 2009, n. 1666 e sent. 24 marzo 2014, n. 6881).

Una siffatta condizione non è rilevabile nella fattispecie: i fatti che si assumono qui oggetto di erronea percezione non costituiscono, infatti, l’esclusiva premessa logica della gravata decisione, che è assistita anche dalle ulteriori considerazioni riassunte al capo che precede, e in specie dalla ritenuta carenza dell’elemento soggettivo della colpa, che, nell’impianto argomentativo assunto dalla decisione in espressa applicazione delle consolidate coordinate ermeneutiche della materia del risarcimento del danno da provvedimento illegittimo, è elemento idoneo ex se a reggere il rigetto dell’appello.

10. Al Collegio non resta pertanto che dichiarare l’inammissibilità del ricorso.

Nulla per le spese, non essendosi costituita in giudizio l’intimata Provincia della Spezia.

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