Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-12-06, n. 202108106

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-12-06, n. 202108106
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202108106
Data del deposito : 6 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/12/2021

N. 08106/2021REG.PROV.COLL.

N. 07483/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7483 del 2013, proposto da
Azienda Agricola Pontarin Tiziano e R SS., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F V, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri 5;

contro

Azienda di Stato per Gli Interventi Nel Mercato Agricolo in Liquidazione - A.I.M.A., ora AGEA, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 05597/2013, resa tra le parti, concernente quote latte;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda di Stato per Gli Interventi Nel Mercato Agricolo in Liquidazione - A.I.M.A., ora AGEA e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2021 il Cons. M M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il contenzioso in esame concerne i provvedimenti di compensazione nazionale e relativa ingiunzione di pagamento di prelievo supplementare per l’eccesso di produzione lattiera, relativo alle annate lattiere 1997/1998 e 1998/1999 proveniente da AIMA, indicato con numero di raccomandata: 600402577873, nonché la circolare accompagnatoria del medesimo provvedimento, a firma del Commissario Liquidatore dell’A.I.M.A., prot. 4784/Comm. Liq.

Con il ricorso di primo grado, le istanti, dopo aver ricostruito la normativa comunitaria e nazionale sul regime delle c.d. “quote latte”, ipotizzavano una serie di violazioni di legge, nonché di normativa comunitaria, oltre che eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di potere per rettifica dei dati in mancanza di previsione normativa e disparità di trattamento.

Il T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, sez. II-ter, respingeva le censure proposte in primo grado.

2. Con il ricorso in appello le istanti hanno preliminarmente dedotto l’erronea applicazione dell’articolo 74 del D. lgs. n. 104/2010. Il giudice di primo grado, infatti, avrebbe omesso di pronunciarsi su tutti i motivi di doglianza, tra cui anche alcuni decisivi per la decisione.

Hanno poi lamentato:

I) violazione di legge per violazione della norma di risulta, derivante dalla disapplicazione degli artt. 2 e 3 d. l. 1 dicembre 1997, n. 411, convertito in legge 27 gennaio 1998. n. 5 e dell'art. 1 d. l. 1 marzo 1999, n. 43, integrato dalle modificazioni applicate in sede di conversione dalla legge 27 aprile 1999, n. 118, per contrarietà ai principi dell'ordinamento comunitario, e in particolare per contrarietà agli artt. 38 e 39 del Trattato Istitutivo della Comunità Europea e per violazione del principio comunitario sulla tutela dell'affidamento;

II)Violazione di legge per violazione delle norme di risulta, derivante dalla disapplicazione degli artt. 2 e 3 del decreto legge 1° dicembre 1997 n. 411, convertito in legge 27 gennaio 1998 n. 5 e dell’art. 1 del decreto legge 1° marzo 1999 n. 43, convertito in legge 27 aprile 1999 n. 118, per contrarietà ai principi dell’ordinamento comunitario, in particolare, per contrarietà agli artt. 38 e 39 del Trattato istitutivo della Comunità Europea e per violazione del principio comunitario sulla tutela dell’affidamento;

III) Violazione di legge per violazione della norma di risulta dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 del decreto legge 1° dicembre 1997 n. 411, convertito in legge 27 gennaio 1998 n. 5 e dell’art. 1 del decreto legge 1° marzo 1999 n. 43, convertito in legge 27 aprile 1999 n. 118;

IV) Violazione di legge per violazione della norma di risulta dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 del decreto legge 1° dicembre 1997 n. 411, convertito in legge 27 gennaio 1998 n. 5 e dell’art. 1 del decreto legge 1° marzo 1999 n. 43, convertito in legge 27 aprile 1999 n. 118;

V) Violazione di legge per violazione dell’art. 1 del decreto legge 1° marzo 1999 n. 43, convertito in legge 27 aprile 1999 n. 118, nonché dell’art. 1, comma 7, del decreto legge 7 aprile 2000 n. 79;

VI) Violazione di legge per illegittimità derivata;

VII) Violazione di legge sotto il profilo della mancanza di sottoscrizione dei provvedimenti impugnati;

VIII) Violazione di legge sotto il profilo della violazione dell’art. 7 della legge 241/1990;

IX) Eccesso di potere sotto il profilo della motivazione insufficiente e del difetto di istruttoria;

X) Violazione di legge per violazione dell’art. 3 della legge 241/1990. Eccesso di potere sotto il profilo della motivazione insufficiente;

Si è costituita l’amministrazione per resistere, con atto meramente di stile.

All’udienza del 2 dicembre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Il giudice di prime cure ha dichiarato il ricorso infondato sulla base di considerazioni già svolte in numerose sentenze precedenti e riguardanti questioni analoghe affrontate con riguardo all’assegnazione retroattiva dei QRI, al mancato coinvolgimento delle regioni dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 520 del 1995 ed al contenuto delle relazioni redatte dal Nucleo Carabinieri nel novembre 2010 e nel febbraio 2011. Tali considerazioni venivano ritenute dirimenti per rigettare tutte le censure proposte con il ricorso tranne quella relativa alla imputazione degli interessi che è stata, invece, accolta.

4. Il Collegio osserva quanto segue.

Con il termine quote-latte si suole far riferimento al sistema di contingentamento produttivo del sistema caseario il cui scopo era quello di ridurre lo squilibrio tra la domanda e l’offerta dello stesso. La Comunità Europea, con il Reg. 3950/92 (il quale prorogava il regime di prelievo supplementare già previsto dal regolamento (CEE) n. 865/84) e poi in seguito con il Regolamento 1788/2003 ed il Regolamento 1234/2007, regolamenti che nel caso di specie però non rilevano, ripartiva il quantitativo globale garantito (QGG) di latte a ciascun stato membro in quote individuali da assegnare ai produttori, il così detto QRI. Questo veniva aggiornato ogni anno prima dell’inizio del periodo di commercializzazione.

Nel caso in cui lo Stato Membro avesse constatato il superamento del monte di quote assegnato dall’Unione Europa, si procedeva alla quantificazione del prelievo supplementare (pari al 115%). Nel corso del periodo contingentale, lo Stato membro aveva la possibilità di compensare i superamenti delle quote individuali restituendo i quantitativi di riferimento individuali inutilizzati dei produttori che hanno esaurito le proprie quote per ridurre la produzione eccedentaria di altri produttori.

5. In via preliminare, va affrontata la questione relativa alla scelta del collegio di prime cure di decidere la sentenza in forma semplificata ex art. 74 c.p.a.

Il motivo è infondato.

Infatti, il tema delle “quote-latte” è stato, in verità, più volte affrontato. Non solo dal T.A.R ma anche da questo Consiglio, che ha già avuto modo di affermare la validità della sentenza breve che motiva per relationem, la quale ben può essere utilizzata, data la notorietà del tema e dato che, come prescrive l’art. 88 c. 2, lett. c) c.p.a. il giudice può risolvere la controversia con “[…]concisa esposizione dei motivi… in diritto, con rinvio a precedenti cui intende conformarsi […]” (Cons. Stato, sez III, n. 5150/2014), sicché tale scelta non appare irragionevole.

6. La Sezione ritiene opportuno ricordare come non solo il giudice di prima istanza, ma anche questo Consiglio si è occupato più volte funditus e ha pienamente risolto le questioni sollevate nell’odierna controversia, nel lungo tempo in cui queste ultime sono state proposte, in ogni possibile combinazione argomentativa.

Può pertanto premettersi solo sinteticamente che il mercato unico del settore lattiero-caseario non è basato, all’interno dell’Unione, solo su un sistema di prezzi, ma si articola in una serie di misure normative attraverso le quali essa ha cercato di controllare la domanda e l’offerta dei prodotti considerati (v., più diffusamente, Corte Cost., 7 luglio 2005, n. 272). All’interno di queste si inserisce la preventiva assegnazione del cosiddetto QRI, o quantitativo individuale, che costituisce la fase iniziale del successivo meccanismo di determinazione del prelievo supplementare conseguente al relativo splafonamento, all’esito anche della prevista compensazione nazionale.

Ciò considerato, la modalità di effettuazione del computo del QRI in relazione alle annate lattiere successive a quella 1995/1996 è stata oggetto nello specifico di analitica ricostruzione da parte di questo Consiglio di Stato, dalle cui risultanze in termini di correttezza non è motivo di discostarsi (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 15 ottobre 2014, n. 5150). È dunque stato appurato che “il QRI non si può adesso, né si poté dire allora sconosciuto per nessuno dei produttori e per tutto il tempo intercorrente tra l’entrata in vigore del regolamento n. 3950 e la definizione dei QRI per le annate lattiere dal 1995/96 in poi, fossero costoro aderenti o no ad una delle associazioni di categoria”.

Invero, infatti, essi ne ebbero buona e seria consapevolezza, almeno in relazione alla loro produzione “storica”, secondo l’art. 4 del Regolamento n. 3950/92/CE, con riguardo al quantitativo disponibile in azienda al 31 marzo 1993, poi al 31 marzo 1994 e via via con le proroghe fino al 2000, oltre che sulla scorta del rispettivo patrimonio bovino a disposizione. “Questo, ad avviso non del Collegio, ma della giurisprudenza più volte citata ed enfatizzata dall’appellante (cfr. C. Giust. CE, 25 marzo 2004, cause riunite nn. 480/2000 e ss., parr. nn. 46/51 e 65/70), se non rende irrilevante, certo fa sbiadire la violazione del principio di tutela del legittimo affidamento” (Cons. Stato, n. 5150/2014, cit. supra;
sulla presunzione di conoscenza del dato generata dalla sua ‘storicizzazione’, cfr. anche Cons. Stato, sez. III, 15 ottobre 2014 n.5141, nonché id., 15 ottobre 2014, n.5149).

Quanto detto a valere anche, ritiene il Collegio, in relazione al lamentato omesso completamento delle verifiche da parte delle Regioni e delle Province autonome, stante che egualmente non se ne è chiarito l’eventuale impatto sulla posizione concreta delle appellanti, che si sono limitate a richiamarne la previsione, quale riprova della necessità di controlli incrociati stante la – incontestata – difficoltà ricostruttiva da parte dell’Amministrazione operante. Tale difficoltà, infatti, così come la possibile erroneità del dato di partenza, peraltro proprio per lo più in ragione delle alterazioni ascrivibili alle certificazioni dei produttori, non può non imporre, e conseguentemente legittimare, la ricerca di metodiche anche induttive funzionali a determinare il dato richiesto, ferma restando una rigorosa azione di accertamento delle responsabilità dei singoli che a vario titolo hanno ostacolato il corretto funzionamento del sistema (cfr. ancora Cons. Stato, n. 3685/2018, cit. supra).

Epurata, dunque, la vicenda, dagli asseriti profili di illegittimità rivenienti dal procedimento di determinazione a monte dei quantitativi individuali, occorre circoscrivere lo scrutinio ai soli aspetti mirati alla fase finale della determinazione del prelievo supplementare.

7. Il ricorso è fondato in relazione ai profili di seguito indicati.

Il Collegio osserva come abbia valore preminente la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sez. VII, decisione del 27 giugno 2019) in esito ad un quesito formulato da questo Consiglio di Stato con ordinanza n. 3074 del 2018 che verteva sull’interpretazione dell’art. 2, paragrafo 1, del Regolamento 3950/92 del Consiglio.

Il Giudice del rinvio, in sintesi, chiedeva se detta norma potesse essere interpretata nel senso della conformità ad essa di una disciplina nazionale (quale l’art. 1, comma 8, del d.l n. 43/1999) che ha previsto che la riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne sia effettuata sulla base di criteri obiettivi fissati dagli Stati membri, ovvero se la riassegnazione dovesse essere regolata in via esclusiva da un criterio di proporzionalità.

Orbene la Corte di Giustizia si è pronunciata evidenziando che la normativa di cui all’art. 2, parag. 1, secondo comma, del Reg. CEE n. 3950/92 impone agli Stati membri che abbiano deciso di procedere, in favore dei produttori i quali abbiano superato i rispettivi quantitativi di riferimento (QRI), alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati (onde ridurre, per i produttori eccedentari, il prelievo supplementare dovuto per le eccedenze), di effettuare tale operazione di “perequazione” o di “compensazione” a livello nazionale esclusivamente secondo un criterio di proporzionalità ai quantitativi di riferimento (id est: le quote) a disposizione di ciascun produttore. Il predetto art. 2 non consente, invece, agli Stati membri di effettuare la suindicata compensazione tra gli sforamenti e le sotto-produzioni rispetto alle quote individuali assegnate ai produttori secondo un sistema – qual è quello delineato dall’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999 – volto a dare preferenza a talune categorie di produttori eccedentari, che ne beneficiano in via prioritaria.

Tale fase, tuttavia, rileva la Sezione, in quanto conseguente all’effettuazione della compensazione nazionale, impatta inevitabilmente con i principi affermati dalla Corte di Giustizia U.E. nella pronuncia da ultimo richiamata anche dall’Associazione appellante (sez. VII, 27 giugno 2019) in esito a quesito formulato da questo Consiglio di Stato (ordinanza n. 3074 del 2018). Il meccanismo di compensazione basato su categorie prioritarie, infatti, di cui all’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43 del 1° marzo 1999, convertito, con modificazioni, dalla l. 118/1999, si pone in palese contrasto con l’art. 2 del Reg. 3950/1992, applicabile ratione temporis, trattandosi di una compensazione “diversa”, fondata su criteri “difformi” rispetto al disposto del regolamento comunitario. Da qui la pregiudizialità della disamina di tale questione, che rende del tutto superfluo scrutinare gli ulteriori specifici addebiti mossi al meccanismo compensativo concretamente seguito.

La Corte ha affermato (ai paragrafi 35-37) quanto di seguito testualmente si riporta:«[…] risulta dall’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, nonché dall’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 536/93 che lo Stato membro dispone della facoltà di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, o a livello nazionale, direttamente ai produttori interessati, o a livello degli acquirenti affinché detti quantitativi vengano ripartiti tra i produttori in questione. Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano, l’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, pur concedendo agli Stati membri la facoltà di riassegnare i quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, non li autorizza a decidere in base a quali criteri tale riassegnazione debba essere effettuata. Infatti, risulta dalla formulazione stessa della disposizione suddetta che, qualora uno Stato membro decida di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, tali quantitativi vengono ripartiti in modo “proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore”». E’ stata in tal modo smentita la tesi prospettata dallo Stato italiano circa l’indifferenza dell’utilizzazione di altri criteri rispetto ai principi europei di proporzionalità, di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, sottolineando (ai paragrafi da 38 a 46 della sentenza) quanto segue: «L’argomento del governo italiano, secondo cui la disposizione summenzionata non stabiliva nulla circa i criteri della riassegnazione stessa e menzionava il criterio proporzionale soltanto ai fini di regolare i calcoli che l’acquirente avrebbe dovuto operare qualora fosse spettato a lui applicare il prelievo a carico dei produttori, è espressamente contraddetto dalla giurisprudenza della Corte. Infatti, la Corte ha già statuito che risulta chiaramente da tutte le versioni linguistiche dell’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92 che è senz’altro la ripartizione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, vale a dire la riassegnazione di tali quantitativi, a dover essere effettuata in modo “proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore” e che il contributo dei produttori al pagamento del prelievo dovuto è, quanto ad esso, stabilito in base al superamento del quantitativo di riferimento di cui dispone ciascun produttore (sentenza del 5 maggio 2011, K und T E e a., C-230/09 e C-231/09, EU:C:2011:271, punto 64)». L’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92 stabilisce dunque un criterio in base al quale deve essere effettuata la riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati. Così, dato che tale disposizione non menziona nessun altro criterio, né rinvia alla competenza degli Stati membri per stabilire criteri che siano loro propri, il suddetto criterio di ripartizione proporzionale deve essere considerato come il solo in base al quale deve essere effettuata la riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati. Tale interpretazione è confermata dal contesto nel quale la norma si inserisce. La diversa previsione contenuta nel medesimo articolo 2, ma al paragrafo 4, del regolamento summenzionato, come pure d’altronde dal sesto considerando del regolamento n. 536/93, si riferisce infatti al ben diverso caso in cui uno Stato membro abbia giudicato opportuno non operare nel proprio territorio la riassegnazione totale di quantitativi di riferimento inutilizzati, destinando l’eccedenza riscossa al finanziamento delle misure di cui all’articolo 8, primo trattino, del regolamento n. 3950/92, e/o rimborsarla ai produttori, essendo possibile in questo caso individuarli sulla base di categorie prioritarie, individuate dagli Stati membri in base ad uno o più criteri obiettivi, previsti dall’articolo 5 del regolamento n. 536/93, elencati in ordine di priorità. La facoltà di riassegnare la totalità o una parte dei quantitativi di riferimento inutilizzati, prevista dall’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, e la facoltà, di cui uno Stato membro può avvalersi qualora non proceda a tale riassegnazione totale dei quantitativi inutilizzati, di rimborsare ai produttori l’eccedenza del prelievo riscossa, in conformità dell’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento n. 3950/92, obbediscono dunque a logiche differenti. Infatti, la disciplina contenuta nel paragrafo 1 dell’art. 2 del regolamento n. 3950/92 mira a diminuire proporzionalmente il superamento dei quantitativi di riferimento dei produttori, al fine di ridurre anche il contributo di questi ultimi al prelievo dovuto;
il successivo paragrafo 4, invece, si propone di determinare la destinazione del prelievo riscosso in eccesso, prevedendo che il relativo rimborso, ove deciso da uno Stato membro, venga effettuato a beneficio dei produttori che rientrano in categorie prioritarie, stabilite secondo i criteri obiettivi previsti dalla Commissione. «A motivo della diversità delle logiche sottese ai meccanismi previsti, rispettivamente, dall’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, e dall’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento n. 3950/92, la rilevanza, ai fini dell’applicazione della prima di queste disposizioni, dei criteri stabiliti dalla seconda di esse non può essere presunta e potrebbe discendere soltanto da un esplicito riferimento in tal senso nel regolamento. Orbene, né il regolamento n. 3950/92 né il regolamento n. 536/93 prevedono l’applicazione di detti criteri nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92» (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n.8504 del 16 dicembre 2019).

Dalle statuizioni della Corte di Giustizia discende dunque che il meccanismo di “compensazione-riassegnazione” applicato dall’Amministrazione italiana è stato alterato dall’utilizzazione di un criterio normativo nazionale non conforme al dettato europeo. Nel quadro dell’organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, il regolamento (CEE) n. 3950/92 del Consiglio europeo (il quale ha prorogato di sette annualità il regime di prelievo supplementare già previsto dal regolamento (CEE) n. 856/84 del Consiglio, del 31 marzo 1984, teso a ridurre sia lo squilibrio tra offerta e domanda di latte e prodotti lattiero-caseari, sia le conseguenti eccedenze strutturali) ha stabilito che ciascuno Stato membro disponga di un quantitativo totale garantito di produzione lattiera (quota nazionale) che non può essere superato dalla somma dei quantitativi di riferimento individuali (quote individuali) concessi ai produttori di latte nazionali. Se la quota nazionale viene superata, la conseguenza per lo Stato membro è che i produttori che hanno contribuito al superamento devono versare un prelievo supplementare. Nel corso del periodo contingentale, lo Stato membro ha la possibilità di “compensare” i superamenti delle quote individuali restituendo i quantitativi di riferimento individuali (QRI) inutilizzati dei produttori che non hanno esaurito le proprie quote per ridurre la produzione eccedentaria di altri produttori (articolo 2, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 3950/92). Il settimo considerando del citato regolamento spiega che «allo scopo di mantenere una certa duttilità nella gestione del regime, occorre prevedere la perequazione dei superamenti su tutti i quantitativi di riferimento individuali dello stesso tipo all’interno del territorio dello Stato membro;
e che “per quanto riguarda le consegne, che costituiscono la quasi totalità dei quantitativi commercializzati, la necessità di garantire la piena efficacia del prelievo in tutta la Comunità giustifica, in linea di principio, il mantenimento della possibilità per gli Stati membri di scegliere tra due modalità di perequazione dei superamenti dei quantitativi di riferimento individuali, tenuto conto della diversità delle strutture di produzione e di raccolta lattiere;
che, a tale proposito, occorre autorizzare gli Stati membri a non riassegnare i quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, a livello nazionale o tra gli acquirenti, e a destinare l'importo riscosso che supera il prelievo dovuto al finanziamento di programmi nazionali di ristrutturazione e/o a restituirlo ai produttori facenti parte di talune categorie o che si trovano in una situazione eccezionale». L’art. 2 del testo normativo ha coerentemente previsto che «1. Il prelievo si applica a tutti i quantitativi di latte o di equivalente latte, commercializzati nel periodo di dodici mesi in questione, che superano l’uno o l’altro dei quantitativi di cui all’articolo 3. Esso è ripartito tra i produttori che hanno contribuito al superamento. A seconda della decisione dello Stato membro, il contributo dei produttori al pagamento del prelievo dovuto è stabilito, previa riassegnazione o meno dei quantitativi di riferimento inutilizzati, a livello dell’acquirente in base al superamento sussistente dopo la ripartizione, proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore, dei quantitativi di riferimento inutilizzati oppure a livello nazionale in base al superamento del quantitativo di riferimento a disposizione di ciascun produttore […] 4. Qualora il prelievo sia dovuto e l’importo riscosso sia superiore, lo Stato membro può destinare l’eccedenza riscossa al finanziamento delle misure di cui all'articolo 8, primo trattino, e/o rimborsarlo ai produttori che rientrano in categorie prioritarie stabilite dallo Stato membro in base a criteri obiettivi da determinarsi o confrontati ad una situazione eccezionale risultante da una disposizione nazionale non avente alcun nesso con il presente regime». Dalla lettura dell’art. 2 paragrafo 1, secondo capoverso del regolamento (CEE) n. 3950/92 - invero non agevole forse anche a causa delle sua non felice traduzione nella lingua italiana - operata con il conforto esegetico fornito dal settimo considerando, si evince che la perequazione dei superamenti dei quantitativi di riferimento individuali, ossia la “compensazione”, a livello nazionale, tra gli sforamenti e le sotto produzioni rispetto alle quote individuali assegnate è fase procedimentale autonoma, anche se facoltativa per gli Stati. Essa dovrebbe svolgersi ordinariamente a monte della quantificazione e riscossione del prelievo supplementare per lo “sforamento”, e servire per quantificare il livello di sforamento nonché, conseguentemente, il quantum dell’importo dovuto a titolo di prelievo dai singoli produttori. Emerge altresì, rileva ancora la Sezione, che gli Stati membri sono autorizzati ad una modalità alternativa di perequazione che dovrebbe operare a valle della quantificazione e riscossione del prelievo supplementare operato sui singoli produttori che hanno sforato, prevedendo ‒ ove la riscossione a livello nazionale sia eccedente rispetto alla quota di riferimento (non individuale, ma) nazionale, ossia sussistano le stesse ragioni a base delle esigenze di perequazione già viste – che l’eccedenza riscossa possa essere rimborsata ai produttori che rientrano in “categorie prioritarie” stabilite dallo Stato membro. Siffatta articolazione logica delle due distinte modalità perequative risultava in effetti già chiarita dalla pronuncia della Corte giustizia Unione Europea Sez. I, 5 maggio 2011, n. 230/09, secondo la quale «Va poi osservato che l’operazione di riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne e quella di determinazione del contributo dei produttori al pagamento del prelievo dovuto costituiscono due operazioni distinte, seppure collegate, poiché la prima è un’operazione facoltativa preliminare alla seconda e incide sul risultato della medesima» (per una dettagliata analisi delle varie versioni del meccanismo previste dai diversi Stati membri, compreso quello italiano, scaturenti dalla diversa traduzione nella lingua nazionale del disposto di cui all’art. 10 comma 3 del regolamento (CE) 29/09/2003, n. 1788/2003, sostanzialmente riproduttivo dell’art. 2 del regolamento (CEE) n. 3950/92, v. Cons. Stato, n. 8504/2019).

L’art. 1, comma 8, del d.l. 1° marzo 1999, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1999, n. 118, laddove individua, per l’effettuazione della compensazione nazionale, una gerarchia di beneficiari fa emergere la chiara scelta, da parte del legislatore italiano, fra le due forme di perequazione astrattamente consentite dall’art. 2 del regolamento n. 3950/92, di quella della perequazione (ridefinita nell’ordinamento nazionale quale “compensazione”) dei quantitativi di riferimento inutilizzati. La norma è stata cioè applicata dall’amministrazione nel senso che le operazioni di compensazione tra quote eccedentarie e quote non interamente sfruttate, nonché le conseguenti riassegnazioni ai produttori eccedentari dei quantitativi di riferimento individuali inutilizzati, sono state fatte per categorie secondo l’ordine indicato, e non già «proporzionalmente ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore». Il che non è consentito dalla normativa comunitaria vigente ratione temporis.

8. Non è necessario esaminare questioni ulteriori, poiché l’annullamento dei provvedimenti impugnati in prime cure ‒ derivante dalla disapplicazione della disposizione interna posta a fondamento dei calcoli sottostanti all’operazione di compensazione-riassegnazione ‒ implica la necessità dell’Amministrazione di procedere ad una complessiva attività di rideterminazione.

Le difficoltà interpretative della disciplina di settore e le oscillazioni giurisprudenziali giustificano la compensazione integrale delle spese del doppio grado di giudizio.

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