Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-12-20, n. 202108444

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-12-20, n. 202108444
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202108444
Data del deposito : 20 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/12/2021

N. 08444/2021REG.PROV.COLL.

N. 03684/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3684 del 2021, proposto dal Ministero dell'Interno, e dall’Ufficio Territoriale del Governo Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

-OMISSIS-in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati E G, N P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio N P in Roma, via Ulpiano, 29;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n.-OMISSIS-, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2021 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con sentenza n. -OMISSIS- il T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, ha accolto il ricorso proposto dalla -OMISSIS-per l’annullamento dell’informazione antimafia ex art. 91 del D. Lgs. n. 159/2011–Diniego di iscrizione nella White List ai sensi del

DPCM

18 aprile 2013, prot. n. -OMISSIS-emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria-Ufficio Territoriale del Governo;
e dell’informazione antimafia ex art. 10 d.P.R. n. 252/1998 –prot. uscita n. -OMISSIS- relativa alla società -OMISSIS-

Con ricorso in appello ritualmente notificato e depositato, il Ministero dell'Interno, e dall’Ufficio Territoriale del Governo Reggio Calabria hanno impugnato l’indicata sentenza.

Si è costituita in giudizio, per resistere al ricorso, la società ricorrente in primo grado.

Con ordinanza n. -OMISSIS-è stata accolta la domanda cautelare proposta dall’amministrazione appellante, ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 28 ottobre 2021.

2. -OMISSIS-è una società a responsabilità limitata, operativa nel campo dell’edilizia pubblica e privata, il cui capitale sociale è detenuto quasi completamente dai fratelli -OMISSIS-, titolari rispettivamente del 49.5% e 48%.

La Prefettura di Reggio Calabria, con nota del 17.03.2020, adottava un’informazione interdittiva nei confronti della suddetta società, ritenendo sussistenti rischi di infiltrazione mafiosa.

L’interdittiva si basava sui seguenti elementi indiziari:

-precedente informazione del 25.10.2012 basata, a sua volta, sulla misura inibitoria del divieto di esercitare l’attività imprenditoriale applicata ai fratelli -OMISSIS- nell’ambito dell’operazione denominata -OMISSIS-;

-la sentenza n. -OMISSIS-del GUP presso il Tribunale di Reggio Calabria e la sentenza -OMISSIS-del Tribunale di Locri (passata in giudicato) che evidenziavano la probabile esposizione ad influenze illecite della malavita organizzata;

-la sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione nei confronti di --OMISSIS-relativamente ai reati di cui agli artt. 110 e 353 c.p.;

- il sequestro preventivo della società e dei beni aziendali nell’ambito dell’operazione -OMISSIS-, poi revocato.

3. Contro la sentenza del T.A.R., che ha accolto le censure relative al preteso vizio istruttorio e motivazionale dei provvedimenti impugnati, l’amministrazione appellante deduce, nel secondo motivo, “Erronea valutazione dei presupposti della seconda interdittiva”.

Sarebbe caduto in errore il primo giudice nel valutare la seconda interdittiva come semplice riedizione della prima;
essa contiene infatti l’aggiornamento degli elementi istruttori acquisiti nell’ambito delle sopravvenute sentenze.

Sentenze che, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., lascerebbero presumere il rischio di infiltrazioni mafiosa nella gestione degli appalti senza che il semplice decorso del tempo possa depotenziare il quadro indiziario.

L’appellata controdeduce l’inidoneità di tali pronunce a supportare il giudizio prognostico ritenuto dal provvedimento prefettizio.

4. È necessario, in via preliminare rispetto allo scrutinio dei singoli profili nei quali si articola tale censura, richiamare la giurisprudenza di questa Sezione (nello specifico, e da ultimo, le sentenze n. 1889/2021 e 4056/2021) relativa ai tratti dell’esercizio del potere de quo per come normativamente delineati.

Gli elementi di fatto valorizzati dal provvedimento prefettizio devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, secondo il canone inferenziale – che è alla base della teoria della prova indiziaria - quae singula non prosunt, collecta iuvant , al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità dell’impresa dell’appellante a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, “secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’amministrazione, il cui esercizio va scrutinato alla stregua della pacifica giurisprudenza di questa Sezione (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 759/2019)” (così da ultimo le sentenze n. 4837/2020 e n. 4951/2020).

Come ha chiarito la sentenza n. 6105/2019, “Ciò che connota la regola probatoria del "più probabile che non" non è un diverso procedimento logico, (…..), ma la (minore) forza dimostrativa dell'inferenza logica”.

Il princìpio è stato ribadito dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 57 del 2020: “Deriva dalla natura stessa dell’informazione antimafia che essa risulti fondata su elementi fattuali più sfumati di quelli che si pretendono in sede giudiziaria, perché sintomatici e indiziari”.

La stessa sentenza del giudice delle leggi ha chiarito che a fronte della denuncia di un deficit di tassatività della fattispecie, specie nel caso di prognosi fondata su elementi non tipizzati ma “a condotta libera”, “lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa”, un ausilio è stato fornito dall’opera di tipizzazione giurisprudenziale che, a partire dalla sentenza di questo Consiglio di Stato 3 maggio 2016, n. 1743, ha individuato un “nucleo consolidato (…) di situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale”.

Si è altresì osservato nella giurisprudenza di questa Sezione (sentenza n. 383/2021) che “il presupposto per l’esercizio del potere prefettizio de quo non implica necessariamente l’intenzionale adesione dell’imprenditore al tentativo di infiltrazione, potendo questa manifestarsi anche oltre l’intenzione del titolare dell’attività. In altre parole, l’esclusione della c.d. contiguità compiacente non vale di per sé ad escludere il pericolo di una contiguità soggiacente”.

Inoltre, la sentenza n. 5723/2021 ha chiarito che “Come insegna una costante giurisprudenza di questa Sezione (2 maggio 2019, n. 2855) alcune operazioni societarie possono disvelare una attitudine elusiva della normativa antimafia ove risultino in concreto inidonee a creare una netta cesura con la pregressa gestione subendone, anche inconsapevolmente, i tentativi di ingerenza (Cons. St., sez. III, 27 novembre 2018, n. 6707;
7 marzo 2013, n. 1386)”.

La stessa sentenza da ultimo citata ha rimarcato che “il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende descritte in un atto interdittivo, né l’inutilizzabilità di queste ultime quale materiale istruttorio per un nuovo provvedimento, donde l’irrilevanza della ‘risalenza’ dei dati considerati ai fini della rimozione della disposta misura ostativa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti nuovi positivi quanto il loro consolidamento, così da far virare in modo irreversibile l'impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d'ombra della mafiosità. E’ evidente che il momento in cui l’interdittiva è adottata non fotografa l’inizio della vicinanza della società agli ambienti della criminalità organizzata, che possono trovare la loro genesi anche in epoca di gran lunga antecedente”.

5. Date le superiori premesse, il mezzo, ad avviso del Collegio, è fondato.

Come risulta dalle produzioni documentali nel giudizio di primo grato, la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria – Sezione G.I.P.-G.U.P. n. 652/2015 ha prosciolto -OMISSIS- Rocco dalle imputazioni a lui ascritte (capi L, M ed R, per il reato di cui all’art. 353 cod. pen.) per intervenuta prescrizione.

La sentenza contiene un’ampia motivazione sull’assenza di elementi tali da fondare una diversa pronuncia di assoluzione.

Essa osserva, tra l’altro, che " L'esame del materiale probatorio riversato in atti, riguardante i singoli appalti, permette di affermare la sussistenza di accordi per condizionare l'esito delle gare, accordi che sono intervenuti fra gli stessi imprenditori. I quali hanno stabilito preventivamente le modalità di partecipazione alle gare di modo che, facendo i dovuti calcoli e medie ponderate, l'affidamento dei lavori rimanesse aggiudicato a questo o a quello dei partecipanti ”.

Non vale pertanto in contrario invocare, per inferirne l’irrilevanza ai fini del giudizio prognostico in esame, l’intervenuta prescrizione di tali fatti di reato, dal momento che essa non esclude, ma anzi presuppone, l’accertamento del fatto storico, ed il suo rilievo inferenziale: come già chiarito dalla giurisprudenza della Sezione (sentenze n. 4837/2020 e 4052/2021), “ Il fatto storico, pertanto, si è cristallizzato nel giudicato penale: mentre la pronuncia assolutoria implica un accertamento della mancanza di una penale responsabilità dell’imputato, invece la declaratoria della estinzione del reato per prescrizione suppone, al contrario, che non risulti evidenza di tale assenza di responsabilità, giacché questa, ove sussistente, imporrebbe una formula assolutoria prevalente sulla pronuncia di estinzione per prescrizione, come chiaramente espresso dall’art. 129, secondo comma, cod. proc. pen. ”.

6. Considerazioni analoghe valgono per la sentenza del Tribunale di Locri depositata il 29 marzo 2019, e divenuta irrevocabile il successivo 17 maggio, emessa a carico, fra gli altri, di -OMISSIS-- (per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.), anch’essa versata in atti nel giudizio di primo grado.

Tale pronuncia ha un contenuto assolutorio, ma una motivazione che chiaramente afferma come “ L’istruttoria dibattimentale ha evidenziato quella zona grigia caratterizzata da una collusione tra mafia e imprenditori, senza tuttavia mettere in luce gli elementi di raccordo necessari ” per ritenere sussistenti tutti gli elementi del reato associativo.

L’autonomia della valutazione amministrativa del fatto storico, rispetto alla sua sussumibilità o meno nell’ambito delle incriminazioni contestate secondo i parametri penalistici, impone pertanto la piena utilizzabilità e valutabilità di tale elemento – avente un univoco significato inferenziale, anche in raccordo con il contesto complessivo - in chiave prognostica

7. I richiamati elementi, successivi comunque all’informativa del 2012, ed espressamente posti a fondamento della trama motivazionale dell’informativa del 2020, denotato l’esistenza di un contesto relazionale assai significativo se valutato in chiave inferenziale, senza una frammentazione atomistica di ciascun dato (peraltro di per sé, e in assoluto, comunque assai significativo).

Essi, nella prospettiva inferenziale, si sommano al quadro fattuale antecedente, riportato nell’informativa del 2012: considerata comunque (unitamente agli elementi in essa rappresentati) come fatto storico, al di là delle questioni relative alla sua efficacia e validità sul piano giuridico, rispetto al quale i successivi fatti sintomatici si pongono in una relazione di coerenza logica.

Ne consegue la fondatezza del motivo in esame nella parte in cui ha dedotto l’erroneità della sentenza di primo grado in punto di valutazione della sufficienza ed adeguatezza istruttoria e motivazionale dell’informativa del 2020.

8. Con il primo motivo l’amministrazione appellante deduce inoltre “erronea mancata dichiarazione di inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso in relazione alla prima interdittiva”.

Osserva l’appellante che “Benché il TAR abbia riconosciuto che lo scrutinio dei motivi di ricorso verte sulla conformità a legge dell’interdittiva prefettizia emanata il 17.3.2020, il cui esito è destinato ad assorbire, soppiantandola, la misura inibitoria assunta il 25.10.2012 (par. 11 della sentenza impugnata), singolarmente il giudice di primo grado ha annullato (cfr. parte dispositiva) anche la prima informativa, laddove, considerato che avverso tale provvedimento non sono stati dedotti specifici vizi di legittimità, il ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato, in parte qua, inammissibile o comunque improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse”.

L’appellata insiste per il rigetto del mezzo, evidenziandone il carattere pretestuoso, avendo essa contestato, nel ricorso introduttivo di primo grado, sotto plurimi aspetti la legittimità dell’interdittiva richiamata.

Ritiene il Collegio che la fondatezza del secondo motivo di appello, ed il conseguente rigetto del ricorso di primo grado proposto avverso l’informativa del 2020, risultino assorbenti rispetto a tale censura: è infatti la stessa amministrazione appellante ad affermare che il provvedimento del 2020 è destinato a sostituire quello del 2012, sicchè l’accoglimento del mezzo relativo alla seconda interdittiva esaurisce l’interesse della parte appellante.

Peraltro, la parte appellata assume che in conseguenza della mancata notifica dell’informativa del 2012, questa non avrebbe avuto effetto almeno fino a quando è stata richiamata nel successivo provvedimento: dal che il difetto d’interesse anche della parte ricorrente in primo grado ad impugnare tale provvedimento, se non (come accaduto) in combinato con la successiva interdittiva.

9. Il ricorso in appello è pertanto fondato, nei sensi anzidetti, e come tale deve essere accolto, con conseguente rigetto del ricorso di primo grado, in riforma della sentenza gravata.

Sussistono le condizioni di legge, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie, per disporre la compensazione fra le parti del doppio grado di giudizio.

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