Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-02-16, n. 202101410

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-02-16, n. 202101410
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202101410
Data del deposito : 16 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/02/2021

N. 01410/2021REG.PROV.COLL.

N. 09728/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9728 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'Avvocato U R, con domicilio digitale come da PEC indicata in atti e domicilio fisico presso lo studio Paolo Maria Gemelli in Roma, via P.Mercuri n. 8;

contro

Ministero degli Interni, U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria non costituiti in giudizio;

per la riforma

della Sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria - Sezione di Reggio Calabria --OMISSIS-, non notificata, con la quale era rigettato il ricorso per l'annullamento

1) del provvedimento di rigetto prot.-OMISSIS-dell’istanza di riesame inoltrata per la revoca del divieto di detenzione armi adottata dal Prefetto della Provincia di Reggio Calabria n. -OMISSIS-con il quale veniva formalizzato, oltre alla revoca del precedente titolo abilitativo al porto di pistola per uso difesa personale, anche il contestuale divieto di detenzione di armi;

2) del provvedimento di diniego di rilascio del porto d’armi per uso di difesa personale

reso con decreto del -OMISSIS-, con il quale si dichiarava l’istanza presentata improponibile in presenza del predetto divieto di detenzione armi, e comunque si ribadiva la permanenza delle medesime condizioni ritenute ostative alla revoca del predetto divieto di detenzione armi;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli artt. 25 del d.l. n. 137/2020 e 4 del d.l. n. 28/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 70/2020, quanto allo svolgimento con modalità telematica delle udienze pubbliche e delle camere di consiglio del Consiglio di Stato nel periodo 9 novembre 2020 - 31 gennaio 2021;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza con modalità da remoto del giorno 28 gennaio 2021 il Cons. Solveig Cogliani;
nessuno per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 – Con il ricorso in appello, indicato in epigrafe, l’istante espone che, con separate istanze del giugno - luglio 2017, aveva fatto richiesta di revoca del divieto detenzione armi comminatogli nell’anno 2012 e, conseguentemente, del rilascio del titolo abilitativo al porto di pistola per uso di difesa personale.

Precisa di aver allegato, a tal fine, oltre alla documentazione prevista, una serie di fatti e circostanze nuovi rispetto a quanto valutato dall’Autorità prefettizia sino all’anno 2012, tesi a dimostrare non solo la totale estraneità del ricorrente da frequentazioni o parentele controindicate, ma altresì la sussistenza di gravi ed oggettivi fatti che – a suo dire – avrebbero reso necessario il rilascio del richiesto titolo di polizia, con riferimento ad episodi di tentativo di estorsione ed intimidatori ai danni delle proprie attività imprenditoriali, rispetto ai quali aveva sporto denunzia nel 2014.

Rappresentava, ancora, che il proprio figlio, coniugato con persona, le cui parentele avevano suscitato le censure da parte dell’Autorità, si era trasferito già nel 2015 con la famiglia e la nuora, prima dipendente dell’azienda di famiglia, si era dimessa in quanto vincitrice di concorso come specialista medico epidemiologo.

Precisava, inoltre, che in data 21 dicembre 2014 la propria coniuge aveva sporto un’ulteriore denuncia innanzi alla Stazione dei Carabinieri di Bianco, inerente ai reati di minaccia aggravata ed estorsione. Di seguito, precisava di aver partecipato ad un’operazione per la cattura dei malviventi secondo le direttive dei Carabinieri del Comando Compagnia di Bianco.

Altra denunzia era sporta in data 24 dicembre 2014 per intimidazioni di stampo ‘ndranghetistica. Lo stesso accadeva nel 2017.

Espone l’appellante che, tuttavia, nel 2012 era emesso il divieto detenzione d’armi, in considerazione delle frequentazioni e delle relazioni familiari.

Le medesime valutazioni erano ripetute successivamente, senza valutare i fatti sopra evidenziati, che avrebbero fatto venir meno – asseritamente – ogni frequentazione ritenuta pericolosa.

Con il provvedimento prot. -OMISSIS-la Prefettura di Reggio Calabria comunicava il rigetto dell’istanza di riesame del divieto di detenzione armi risalente al 2012 e della contestuale revoca del permesso di polizia.

Tale nota si limitava, secondo l’assunto dell’istante, a ribadire la permanenza di elementi di inaffidabilità che avevano determinato l’adozione del divieto.

Lamentava, pertanto, l’istante, la carenza istruttoria, poiché dalla produzione in atti si evidenzierebbe la carenza di fatti rilevanti successivi al 2012.

In primo grado, nel merito deduceva i seguenti motivi di doglianza,

I – violazione di legge;
artt. 11 e 43 r.d. n.773/1931, anche alla luce dei principi di cui alla sentenza Corte Cost. n.440/1993 e dell’art. 27 Cost. sull’inversione dell’onere della prova, in tema di affidabilità , eccesso di potere per omessa e/o erronea motivazione circa la variazione di elementi negativi utilizzati per la valutazione dell’affidabilità del richiedente;
difetto di istruttoria;

II – eccesso di potere;
travisamento dei fatti;
carenza assoluta di motivazione ed irragionevolezza;
illogicità manifesta;
ingiustizia manifesta. eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria;
violazione del “principio del più probabile che non”, laddove era ritenuto che l’istante faccia dubitare della sua buona condotta, solo – asseritamente - in presenza del mero legame parentale;
abnormità del provvedimento richiamante le informative sulla pregressa interdittiva societaria in assenza di ogni valutazione sulla condizione di estremo pericolo all’incolumità personale del richiedente;

III – violazione art. 22, 25, l. n. 241/90 in relazione al diritto di accesso del ricorrente al fine di conoscere gli atti amministrativi di cui all’istruttoria svolta.

Con la sentenza di primo grado, il ricorso era respinto.

Lamenta, dunque, in questa sede, l’appellante, che la sentenza sarebbe carente nella motivazione, richiamando peraltro il furto dell’ama, avvenuto nel 2010 e per il quale l’istante aveva sporto denunzia.

Avverso la sentenza predetta, pertanto, propone in questa sede di seguenti motivi di appello:

I - violazione di legge artt. 3, c.p.a.;
artt. 24 e 111 Cost.;
nullità; error in iudicando ;
omessa, erronea o insufficiente motivazione formulata per relationem a precedente sentenza ed alla relativa informativa prefettizia;
in particolare, con riferimento al richiamo svolto dal primo giudice alla precedente sentenza n.1163 del 30 novembre 2015, sui provvedimenti precedenti;

II - error in iudicando ;
omessa, erronea o insufficiente motivazione formulata;
mancato accertamento del deficit istruttorio del provvedimento impugnato;
travisamento dei fatti;
motivazione apparente;
mancata verifica dell’obbligo a provvedere della pubblica amministrazione nella valorizzazione di elementi di novità addotti;
non sarebbe stata, infatti, a suo dire, valutata la mancata acquisizione delle informative attuali (provenienti dai Carabinieri di Africo e di Bianco), in ordine alle indagini avviate d’iniziativa in seguito alle denunce presentate, né il mutato quadro dei rapporti parentali e lavorativi;
ancora sarebbe indice di contraddizione a discrasia temporale dei provvedimenti adottati nei suoi confronti e della revoca del permesso di porto d’armi per tiro sportivo nei confronti del figlio solo nel 2013;

III - error in iudicando ;
insufficiente motivazione sotto l’aspetto della constatata irrilevanza di elementi prima ritenuti fondanti l’adottato divieto;
travisamento dei fatti posti a base della decisione;
contraddittorietà;
ingiustizia manifesta;
anche in relazione precedenti dello stesso Tribunale, nei quali si era dato valore al fattore temporale (TAR RC n. 841/2016) e alla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (sez. III, sentenza 6 maggio 2014, n. 2312), che pur riconoscendo al Prefetto “ l’ampia sfera di discrezionalità ”, nell’applicazione dell’art 39 del T.U.L.P.S., tuttavia rilevava la necessità di una “ congrua motivazione ”;

IV- error in iudicando ;
omessa motivazione sulla rilevanza delle denunce presentate e sul pericolo di attentato all’incolumità fisica del ricorrente;
omessa istruttoria;
ingiustizia manifesta, con riguardo alla situazione di pericolo dovuta agli atti di intimidazione patiti;

V - error in iudicando ;
erronea o insufficiente motivazione circa la valorizzazione in senso negativo di elementi oggettivi e soggettivi per la valutazione dell’affidabilità;
intempestività del presupposto;
violazione art. 112 c.p.c.;
ultrapetizione; error in procedendo ;
violazione art. 73 c.p.a.;
violazione del contraddittorio;
la sentenza, infatti, avrebbe fatto riferimento al furto dell’arma patito dall’istante nel 2010, senza che lo stesso fosse stato indagato per omessa custodia e nonostante i successivi rinnovi, salvo poi subirne la revoca nel 2012 per fatti esclusivamente connessi alle parentele acquisite dal figlio, introducendo irritualmente un tema ed un presupposto esorbitanti dal thema decidendum (in terminis , sarebbero le sentenze di questo Consiglio di Stato Sez. IV del 10 luglio 2017 e dell’Adunanza plenaria, nn. 10, 11, 14 e 15 del 2018).

L’Amministrazione non si è costituita in appello.

Con memoria per l’udienza di discussione l’istante precisa che la Prefettura di Reggio Calabria, ha adottato il provvedimento di liberatoria antimafia nei confronti dell’azienda di famiglia, dal cui mancato rilascio era scaturita la sequela dei provvedimenti in questa sede impugnati (Informazione antimafia Prefettura Reggio Calabria prot. -OMISSIS-)

Precisa che il provvedimento di liberatoria antimafia analizza puntualmente le specifiche posizioni che avevano sollevato dubbi sul rischio di permeabilità criminale della società utilizzate dall’istruttoria prefettizia a sostegno del provvedimento qui gravato, confermando quanto dall’istante specificamente indicato in relazione ai rapporti parentali e alla frequentazioni, concludendo per l’insussistenza di elementi relativi al pericolo di i infiltrazione mafiosa.

Sostiene, dunque, che il nuovo orientamento prefettizio costituirebbe sostegno delle argomentazioni difensive svolte.

Rileva, ulteriormente, che la mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione, sarebbe significativa del sostanziale disinteresse della stessa a sostenere una difesa nel presente giudizio.

All’udienza da remoto del 28 gennaio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione

2 – Osserva il Collegio che l’appello è infondato.

L’impostazione di parte appellante, infatti, appare fondata su erronei presupposti, trascurando di prendere in considerazione proprio la permanenza dell’effetto preclusivo dell’informativa, al momento della emanazione dei provvedimenti gravati.

3 – Infatti, i provvedimenti assunti nel 2017/18 trovano fondamento nel provvedimento di divieto detenzione armi e ritiro della licenza assunto nel 2012 e sottoposto al vaglio giurisdizionale. Con sent n. -OMISSIS-il Tribunale respingeva il gravame, a sua volta richiamando la sent. n.-OMISSIS-, di rigetto del ricorso avverso l’interdittiva antimafia, che trovava la sua motivazione nelle frequentazioni dell’istante, nella propria qualità di amministratore unico e accomandatario di alcune società segnalate, ancora in quanto segnalato per violazione di autorizzazione di polizia nel 2012 e coniugato con persona segnalata per truffa e falsità ideologica, nonché suocero di persona con stretti legai familiari a soggetti detenuti per reati attinenti alla criminalità organizzata.

Va sin d’ora evidenziato che la sent. n. -OMISSIS-è stata oggetto di appello, che questa Sezione ha respinto osservando che “ Il complesso quadro indiziario interpretato alla luce del legame sistematico tra gli elementi raccolti e la motivazione della sentenza resistono alle critiche mosse dall’appellante” .

In particolare, si specificava che: “La sentenza ha puntualmente motivato con riguardo alla sufficienza degli indizi ritenuti significativi e conducenti dalle Forze investigative (e già desumibili sulla base degli accertamenti posti a base dell’atto impugnato): ad es., il fatto che il padre della nuora -OMISSIS-, --OMISSIS-, -OMISSIS-, fosse stato destinatario di informativa interdittiva in relazione all’omonima azienda agricola, e fosse stato controllato ripetutamente con elementi contigui della cosca di ‘ndrangheta attiva in -OMISSIS-”;
la circostanza che i quattro fratelli della madre di -OMISSIS-, -OMISSIS-, risultino gravati da gravi precedenti penali (per associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti;
per rapina, sequestro di persona a scopo di estorsione, ricettazione e altro;
segnalazione per associazione di tipo mafioso e ordinanza cautelare in carcere emessa dalla Procura della Repubblica di Milano per associazione di tipo mafioso);
ed ancora, la circostanza che due cognati della madre di -OMISSIS- sono detenuti perché condannati alla pena di anni 30 di reclusione per associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e ritenuti contigui alla cosca di ‘ndrangheta “-OMISSIS-”;
la circostanza che i fratelli di -OMISSIS- siano gravati da pregnanti vicende giudiziarie, nonché ritenuti appartenenti all’omonima consorteria criminale di -OMISSIS- (uno dei fratelli è sposato con -OMISSIS-, institore di un’impresa individuale destinataria di informativa antimafia interdittiva e figlia di -OMISSIS-, assassinato nel 1987 e ritenuto contiguo alla cosca “-OMISSIS-”)”
.

La giurisprudenza della Sezione ha evidenziato che il fatto che sia trascorso del tempo dall’adozione del provvedimento non giustifica la revoca dell’informazione interdittiva antimafia: occorrono fatti nuovi documentati.

Questa Sezione, con sentenza 2324 del 2019, ha chiarito quali sono i presupposti per la revoca dell’interdizione antimafia, stabilendo dei requisiti stringenti sugli elementi che devono essere posti a fondamento di tale revoca, ovvero il venire meno delle circostanze rilevanti, il decorso del tempo e gli elementi nuovi.

Ai sensi dell’art. 9, comma 5 del D. Lgs 159/2011, c.d. Codice Antimafia, “ il prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa ”.

Questo Consiglio, a tale proposito, ha costantemente evidenziato (cfr., ex plurimis , Cons. Stato, V, n. 4602/2015;
III, n. 292/2012;
VI, n. 7002/2011) che, col decorso dell’anno, la misura interdittiva che rileva il pericolo di condizionamento mafioso non perde efficacia.

L’Amministrazione, in ordine alla domanda finalizzata ad una nuova valutazione, dovrà:

- verificare se la domanda sia accompagnata da un fatto realmente nuovo, perché sopravvenuto ovvero non conosciuto, che possa essere ritenuto effettivamente incidente sulla fattispecie (es. effettiva cessione dell’impresa a soggetto del tutto estraneo al rischio di condizionamento o infiltrazione da parte della delinquenza organizzata);

– valutare quindi se possano ritenersi venute meno quelle ragioni di sicurezza e di ordine pubblico in precedenza ritenute prevalenti sull’iniziativa e sulla libertà di impresa del soggetto inciso.

4- Orbene, nel caso che occupa, il diniego di rilascio di licenza e di revoca del divieto di detenzione delle armi è fondato sulla permanenza degli effetti dell’informativa elevata nei confronti del richiedente in forza di numerosi elementi, già sottoposti al vaglio del giudice amministrativo.

In assenza, dunque, di una diversa valutazione da parte dell’Autorità dei fatti che avevano condotto all’emissione dell’informativa, persiste un fatto preclusivo al rilascio di una licenza di polizia.

Nella specie, peraltro, le istanze – depositate agli atti del primo grado – rappresentavano che fosse intervenuta tale diversa valutazione. Anzi esse si soffermano sul fatto di aver subito intimidazioni;
circostanze di per sé non rilevante, ma che deve essere sottoposta al vaglio attento dell’Autorità competente, poiché, come spesso affermato dalla Sezione, tali evenienze possono essere un sintomo di permeabilità al fenomeno malavitoso.

Va anche ricordato che con la sentenza questo Consiglio di Stato n. 1743 del 2016 ha evidenziato che: “ I fatti che l’autorità prefettizia deve valorizzare prescindono, infatti, dall’atteggiamento antigiuridico della volontà mostrato dai singoli e finanche da condotte penalmente rilevanti, non necessarie per la sua emissione, come meglio si dirà, ma sono rilevanti nel loro valore oggettivo, storico, sintomatico, perché rivelatori del condizionamento che la mafia, in molteplici, cangianti e sempre nuovi modi, può esercitare sull’impresa anche al di là e persino contro la volontà del singolo.

5.5. Anche soggetti semplicemente conniventi con la mafia (dovendosi intendere con tale termine ogni similare organizzazione di stampo criminale «comunque localmente denominata»), per quanto non concorrenti, nemmeno esterni, con siffatta forma di criminalità, e persino imprenditori soggiogati dalla sua forza intimidatoria e vittime di estorsioni sono passibili di informativa antimafia.

5.6. Infatti, la mafia, per condurre le sue lucrose attività economiche nel mondo delle pubbliche commesse, non si vale solo di soggetti organici o affiliati ad essa, ma anche e sempre più spesso di soggetti compiacenti, cooperanti, collaboranti, nelle più varie forme e qualifiche societarie, sia attivamente, per interesse, economico, politico o amministrativo, che passivamente, per omertà o, non ultimo, per il timore della sopravvivenza propria e della propria impresa.”.

5 - Costituisce approdo giurisprudenziale consolidato, quello secondo cui la facoltà di detenere e portare armi corrisponde ad un interesse del privato ritenuto cedevole di fronte al ragionevole sospetto di abuso della facoltà medesima, il cui soddisfacimento recede al cospetto dell’esigenza di evitare rischi per l’incolumità pubblica e per la tranquilla convivenza della collettività, sicché la pubblica amministrazione può legittimamente negare la detenzione e il porto d’armi anche qualora la condotta dell’interessato presenti solo segni di pericolosità o semplici indizi di inaffidabilità.

5 - Per quanto concerne il caso che occupa, la diversa valutazione è intervenuta solo nel corso del giudizio di appello, come specificato dallo stesso appellante, sì da poter giustificare, ora, una richiesta di riesame del divieto di detenzione ed una nuova istanza per il porto d’armi, ma tale elemento sopravvenuto non è idoneo ad inficiare la legittimità dei provvedimenti negativi qui gravati.

6 – Da quanto sin qui ritenuto, discende che correttamente la sentenza appellato ha fatto riferimento a tutti gli elementi che costituivano, al momento di emissione dei provvedimenti gravati, motivo di preclusione per il rilascio del titolo vantato, non rilevando, al contrario quanto affermato dall’istante, in assenza di una nuova informativa liberatoria.

7 – Conseguentemente, l’appello deve essere respinto, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Autorità competente alla luce della nuova valutazione prefettizia.

8 - Nulla è dovuto per le spese del presente grado.

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