Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-08-26, n. 201905859

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-08-26, n. 201905859
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201905859
Data del deposito : 26 agosto 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/08/2019

N. 05859/2019REG.PROV.COLL.

N. 06269/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO I

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6269 del 2010, proposto dal signor G R, rappresentato e difeso dall’avvocato M R e dall’avvocato M B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M C P in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 209,

contro

il Comune di Rimini, in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato M A F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M T B in Roma, via Caio Mario, 7,

nei confronti

Severini Costruzioni S.r.l., costituitasi in giudizio in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato Stefano Gattamelata e dall’avvocato Tonino Capriotti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Stefano Gattamelata in Roma, via di Monte Fiore, 22,

per la riforma

della sentenza del T.A.R. dell’Emilia – Romagna (Bologna), Sezione II nr. 2782/2010, resa tra le parti, concernente permesso di costruire.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Rimini e della Severini Costruzioni S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2019, il Consigliere F R e uditi per le parti l’avvocato M. Bevitori, nonché l’avvocato R. Cuonzo su delega dell’avvocato S. Gattamelata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1. L’attuale appellante, Sig. G R, espone di essere proprietario di un compendio immobiliare ubicato a Rimini in Via don Alessandro Berardi n. 32, distinto al catasto urbano al Foglio 64, particella n. 97 e costituito da un fondo e da due fabbricati ivi insistenti e che si sviluppano entrambi per un piano fuori terra.

Il medesimo appellante espone – altresì – che il primo di tali fabbricati è destinato ad abitazione, mentre il secondo è adibito a locale di sgombero e a ripostiglio.

Il sopradescritto compendio immobiliare confina da un lato con un lotto di terreno su cui insisteva – segnatamente al civico 34 della medesima Via Berardi - un edificio residenziale corrispondente al catasto urbano al Foglio 64, particella n. 96, costituito da due piani fuori terra e demolito nel luglio del 2009.

La Severini Costruzioni S.r.l. ha quindi ottenuto, al fine di realizzare ivi un nuovo edificio, il rilascio di un primo permesso di costruire Prot. n. 123216 dd. 7 febbraio 2008 – P.C. 75/07 a firma del Dirigente dell’Unità Operativa Gestione Edilizia del Comune di Rimini, avente segnatamente ad oggetto la “ristrutturazione, demolizione di manufatti accessori, costruzione di un piano interrato, ampliamento e sopraelevazione di fabbricato residenziale”.

Tale titolo edilizio è stato impugnato dal R unitamente a sua madre e a sua sorella sub R.G. 867 del 2008 innanzi al T.A.R. per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, che il medesimo appellante riferisce essere ancora pendente innanzi a tale giudice al momento della proposizione del presente appello.

Successivamente alla proposizione di tale primo ricorso da parte dei R la stessa Severini Costruzioni S.r.l. ha chiesto e ottenuto dal Comune il rilascio di un ulteriore permesso di costruire Prot. n. 88352 dd. 29 maggio 2009 – P.C. 2427/08, a valere sul medesimo terreno dianzi descritto e parimenti avente ad oggetto l’esecuzione di opere di costruzione di un fabbricato residenziale previa demolizione di quello ivi esistente.

L’attuale appellante espone che l’edificio così assentito è costituito da un piano interrato e da cinque piani fuori terra, e che la parete frontistante i due fabbricati di sua proprietà è finestrata;
in essa è – per l’appunto – prevista l’apertura di finestre e la realizzazione di un terrazzo che consentirebbero – a suo dire – vedute ed affacci sui suoi fabbricati.

In dipendenza di tale circostanza il R ha pertanto proposto avverso tale nuovo titolo edilizio un ulteriore ricorso al predetto T.A.R. sub R.G. 852 del 2009, chiedendone l’annullamento.

A tale riguardo il R ha dedotto, con unico e articolato motivo d’impugnazione, violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 1, numero 2, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, in applicazione dell’art. 41- quinquies della l. 17 agosto 1942, n. 1150, e dell’art. 15- bis delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Rimini.

1.2. Si è costituito in tale primo grado di giudizio il Comune di Rimini, eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso in primo grado per l’omessa impugnazione dell’art. 15 delle N.T.A. del P.R.G., e concludendo comunque per la reiezione del ricorso.

1.3. Si è parimenti costituita la controinteressata Severini Costruzioni parimenti concludendo per la reiezione del ricorso.

1.4. Con ordinanza cautelare n. 529 dd. 30 luglio 2009 la Sezione II^ dell’adito T.A.R. ha accolto la domanda di sospensione del provvedimento impugnato, presentata dal ricorrente.

1.5. Successivamente il medesimo giudice, con ordinanza collegiale n. 68 dd. 16 dicembre 2009, ha disposto l’effettuazione di “verificazioni che, previa semplice rappresentazione grafica dello stato di fatto risultante dal progetto assentito nella parte relativa alle pareti che si fronteggiano, provvedano : a) a descrivere i corpi edilizi antistanti interessati con individuazione delle pareti finestate degli stessi che si fronteggiano;
b) indicare le distanze fra le suddette pareti finestrate destinate a fronteggiarsi secondo i criteri desumibili dall’ art. 15 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Rimini”
(cfr. ivi).

Tale incombente è stato affidato ad un funzionario tecnico dell’Ufficio Urbanistica della Provincia di Rimini.

1.6. All’esito di tale adempimento istruttorio – il cui esito è stato sfavorevole per la tesi sostenuta dalla parte ricorrente - la Sezione II^ dell’adito T.A.R., con sentenza n. 2782 dd. 26 marzo 2010 ha respinto il ricorso.

Secondo il giudice di primo grado, “dalla documentazione depositata emerge che il progetto assentito prevede la realizzazione di un edificio con pareti finestrate e non finestrate che fronteggia due distinti manufatti di proprietà del ricorrente. In particolare dall’elaborato dello stato di fatto e di progetto riferito alle pareti che fronteggiano i manufatti di proprietà del ricorrente (allegato b) emerge che le distanze fra questi e le pareti finestrate del progetto contestato risultano essere di metri 10,02. La tesi esposta dal ricorrente nel ricorso (poi ripresa in sede di verificazione) è nel senso che le misure devono essere calcolate con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole pareti che si fronteggiano (vedi pag. 7 del ricorso). Pertanto, poiché il progetto assentito si estende longitudinalmente la parte deve essere (virtualmente) considerata come posizionata su di un unico segmento congiungente le parti sporgenti, anche se queste non fronteggiano la parete frontistante quella finestra. Il collegio non ritiene di seguire il suesposto ragionamento, in quanto l’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 (richiamato dall’art. 15-bis delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Rimini) stabilisce che la distanza deve intercorrere tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Nel caso di pecie, il manufatto di proprietà del ricorrente che fronteggia la parte finestrata dell’edificio assentito dista da questa mt. 10,02 in ogni suo punto, come emerge dall’elaborato dello stato di fatto e di progetto riferito alle pareti finestrate che si fronteggiano (allegato b alla relazione di verificazione). Conseguentemente le distanze minime inderogabili imposte dal d.m. n. 1444 del 1968 sono state rispettate. Per quanto sopra il ricorso in epigrafe è infondato e deve essere respinto” (cfr. pag. 3 e ss. della sentenza impugnata).

Il T.A.R. ha integralmente compensato tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio, “tenuto conto delle difficoltà di accertamento in fatto” .

2.1. Con l’appello in epigrafe il R chiede ora la riforma di tale sentenza.

L’appellante deduce al riguardo i seguenti motivi.

1) Errata decisione quanto al primo ed unico motivo di ricorso: violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 1, n. 2 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, in applicazione dell’art. 15- bis della l. 17 agosto 1942, n. 1150.

2) Errata decisione, sotto ulteriore profilo, ancora quanto al primo ed unico motivo di ricorso: violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 1, n. 2 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 emanato in esecuzione dell’art. 41 – quinquies della l. 17 agosto 1942, n. 1150, nonché dell’art. 15- bis delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Rimini.

3) Errata decisione, sotto ulteriore profilo, ancora quanto al primo ed unico motivo di ricorso: ulteriore violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 1, n. 2 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 emanato in esecuzione dell’art. 41- quinquies della l. 17 agosto 1942, n. 1150, nonché dell’art. 15- bis delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Rimini.

4) Errata decisione, sotto ulteriore profilo, ancora quanto al primo ed unico motivo di ricorso: ulteriore violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 1, n. 2, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, in applicazione dell’art. 41- quinquies della l. 17 agosto 1942, n. 1150, nonché dell’art. 15- bis delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Rimini.

5) Errata decisione: violazione di legge per violazione e mancata applicazione degli artt. 191 e ss. c.p.c. Errata decisione: eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento ed erronea rappresentazione dello stato dei luoghi.

2.2. Anche in questo secondo grado di giudizio si è costituito il Comune di Rimini, nuovamente eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso in primo grado per l’omessa impugnazione dell’art. 15 delle N.T.A. del P.R.G., e concludendo comunque per la reiezione dell’appello.

2.3. Si è parimenti costituita anche in questo grado di giudizio Severini Costruzioni, ugualmente concludendo per la reiezione dell’appello.

2.4. Con ordinanza n. 3918 dd. 31 agosto 2010 la Sezione IV^ di questo Consiglio di Stato ha respinto la domanda di sospensione cautelare della sentenza di primo grado, proposta dall’appellante, “ritenuto che, ad una prima valutazione, l’appello non appare assistito da adeguato fumus boni iuris , non tenendo adeguato conto, in particolare, della esistenza di due diversi fabbricati, non allineati, in relazione ai quali le distanze dal costruendo edificio devono essere calcolate in relazione alla rispettiva posizione, nel rispetto delle normative vigenti in materia, non rilevando al detto fine che attualmente i predetti fabbricati siano di un unico proprietario”.

In tale occasione non è stata pronunciata statuizione sulle spese relative alla fase cautelare del giudizio.

2.5. Avverso tale ordinanza l’appellante ha presentato ricorso per revocazione, deciso dalla medesima Sezione IV^ di questo Consiglio di Stato in diversa composizione con ordinanza n. 5187 dd. 10 novembre 2010, “ritenuto che nella specie non sussistono i presupposti per configurare l’asserito errore di fatto revocatorio, in quanto: tale non può considerarsi la mancata pronuncia su talune delle censure articolate in ricorso, dovendo tenersi conto della necessaria sommarietà della delibazione cautelare, che impone di concentrarsi unicamente sui punti ritenuti decisivi in tale fase;
per il resto, l’istanza di parte appellante tende a sollecitare un non consentito riesame di circostanze di fatto che risultano aver formato proprio l’oggetto della delibazione della Sezione ai fini dell’adozione della richiamata ordinanza n. 3918 del 2010”
.

Il giudice della revocazione ha condannato l’appellante al pagamento pro quota a favore delle parti appellate delle spese relative a tale specifica parte cautelare del presente giudizio d’appello, complessivamente liquidandole nella misura di € 2.000,00 (duemila/00).

2.6. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione del merito di causa, le parti hanno presentato puntuali memorie al fine di ribadire la fondatezza delle rispettive tesi e delle conseguenti conclusioni.

3. All’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.

4.2. Va innanzitutto scrutinata l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado dedotta dalla difesa del Comune di Rimini con riguardo all’omessa impugnazione, quale atto presupposto, dell’art. 15 delle N.T.A. del P.R.G.

Tale eccezione va respinta, in quanto – come correttamente evidenziato dalla parte appellante – la prospettazione contenuta nel ricorso proposto in primo grado si fonda nel sostenere la valenza non derogatoria degli artt. 15 e 15- bis delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Rimini rispetto alla disciplina contenuta nell’art. 9 del d.m. 1444 del 1968;
senza sottacere che – in via del tutto assorbente sul punto – le previsioni dei regolamenti edilizi, ivi incluse quelle contenute nelle norme tecniche di attuazione degli strumenti urbanistici e che eventualmente risultino difformi rispetto alla disciplina contenuta nel d.m. 1444 del 1968, devono essere disapplicate e sostituite automaticamente con quelle contenute in tale decreto ministeriale (cfr. sul punto, ex plurimis e tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. IV, 5 febbraio 2018, n. 702, e 4 agosto 2016, n. 3522;
cfr., altresì, sul punto anche Cass. Civ., SS.UU., 7 luglio 2011, n. 14953).

4.3.1. Venendo ora alla trattazione del merito di causa, va rilevato che l’appellante, in buona sostanza, affida la fondatezza della propria domanda agli argomenti qui appresso descritti.

1) Il giudice di primo grado sarebbe stato “fuorviato dagli ingannevoli esiti della verificazione” , laddove muove dal presupposto “che la parete progettata frontistante i due fabbricati” di proprietà dello stesso R “sia costituita da due pareti: la prima non finestrata, antistante il fabbricato ad uso abitazione;
la seconda finestrata, antistante il fabbricato ad uso deposito”
(cfr. pag. 8 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).

La parete prospiciente il fondo R si configurerebbe – per contro – come un’unica parete, artificiosamente progettata con continue rientranze e sporgenze al fine di eludere la vigente disciplina in materia di distanze tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
e ciò, segnatamente, mediante la creazione di angoli di 90 gradi in modo da artatamente indurre l’osservatore alla conclusione che la parete di cui trattasi non sia unica ovvero non abbia un unico fronte.

Posto ciò, se – ad avviso dell’appellante – si valutasse la concreta realtà delle cose e la parete frontistante la proprietà R fosse considerata nella sua effettiva configurazione materiale quale parete unica, allora si dovrebbe concludere nel senso che tale parete risulta comunque finestrata e che pertanto viola il dettato dell’art. 9 del d.m. 1444 del 1968 richiamato dall’art. 15- bis delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Rimini.

Né rileverebbe in contrario la circostanza che di fronte alla parete cieca del fabbricato ad uso abitativo del R la parete unica realizzata nel fondo attiguo non reca delle finestre lungo tale specifico tratto.

Infatti andrebbe innanzitutto considerato che l’art. 9 del d.m. 1444 del 1968 dispone che la distanza di m. 10 deve intercorrere comunque tra finestre e pareti di edifici antistanti, nel senso che – quindi – la parete deve ritenersi finestrata indipendentemente dalla posizione in cui sono aperte le finestre.

In secondo luogo andrebbe considerato che, sebbene la parete progettata non prevede la realizzazione di una finestra antistante alla parete cieca dell’abitazione ubicata nel fondo R, tuttavia al primo piano del medesimo edificio frontistante al fondo medesimo è corrispondentemente prevista la realizzazione di un terrazzo con veduta sulla predetta parete cieca: il che pertanto determinerebbe il sostanziale risultato di configurare tale parete alla stessa guisa di una parete finestrata.

Posto ciò, anche dall’esame degli elaborati progettuali versati in atti consterebbe che la distanza della parete finestrata rispetto alla parete del fabbricato del R adibito ad abitazione varierebbe da m. 6,74 rispetto al punto di massima sporgenza a m. 7,75 misurati nel punto di sporgenza minima, risultando pertanto comunque inferiore ai m. 10 inderogabilmente fissati dal d.m. 1444 del 1968.

2) Il giudice di primo grado, laddove alle pagine 3 e 4 della sentenza si richiama a quanto affermato a pag. 7 del ricorso ivi presentato, in realtà avrebbe travisato l’assunto del ricorrente.

Il T.A.R. afferma a tale riguardo che il ricorrente avrebbe sostenuto che le misure delle distanze devono essere calcolate con riferimento ad ogni punto del fabbricato e non alle sole pareti c he si fronteggiano;
viceversa dalla lettura dell’anzidetta pag. 7, ultima parte del terzo capoverso del ricorso risulta che la corretta misura “deve essere calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano” .

La sostituzione operata dal giudice di primo grado della locuzione “parti” con quella di “pareti” non costituirebbe ad avviso dell’appellante una mera svista, essendo perlomeno rivelatrice di un pregiudizio che nega l’esistenza di un’unica parete frontistante all’abitazione del R, fittiziamente “sostituendola” con più pareti.

Viceversa, mediante il proprio assunto contenuto a pag. 7 del ricorso proposto nel primo grado di giudizio l’attuale appellante afferma di aver soltanto inteso riferirsi alla giurisprudenza secondo cui la distanza di m. 10 imposta dal d.m. 1444 del 1968 va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti dei fabbricati che si fronteggiano, con ciò intendendo rimarcare che l’arretramento dei fabbricati antistanti va effettuato anche per quella parte del fabbricato o della sua parete che di fronte ha uno spazio libero (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 16 febbraio 1979, n. 89).

2) Il giudice di primo grado non si è pronunciato sulla circostanza che la progettata realizzazione di un terrazzo di mq. 13,50 sulla parte della parete segnatamente frontistante all’edificio di abitazione del R equivarrebbe di fatto alla realizzazione di una parete finestrata, se non addirittura ancor di più invasiva nel prospicere sul fondo attiguo, ove si consideri che la distanza tra i due edifici rilevata nel punto in questione è di soli m. 6,74, ossia – ancora una volta – inferiore ai m. 10 inderogabilmente fissati dall’art. 9 del d.m. 1444 del 1968.

3) Secondo l’appellante per l’individuazione del punto di massima sporgenza di una parete non si dovrebbe tener conto delle rientranze che interrompono il fronte della parete medesima, ma considerare le perpendicolari reciprocamente condotte dalle rette congiungenti i punti di massima sporgenza delle pareti reciprocamente frontistanti.

Diversamente, si perverrebbe a suo avviso al risultato di ritenere rispettata la distanza anche quando un edificio in realtà incombe sull’altro ad una distanza ben minore dei m. 10 imposti dalla norma.

Posto ciò l’appellante reputa errata la rappresentazione che il verificatore ha dato nel proprio elaborato della distanza che intercorre tra il segmento della parete progettata e il fabbricato ad uso deposito ubicato nel fondo R,

Ad avviso dell’appellante tale distanza risulterebbe inferiore ai m. 10, e l’errore di misurazione risulterebbe nella specie originato dalla presupposta e parimenti erronea interpretazione dell’art. 15 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Rimini, il quale andrebbe – per l’appunto – correttamente applicato calcolando la distanza sulla perpendicolare condotta dalla retta congiungente i punti di massima sporgenza del segmento di parete progettata antistante all’anzidetto deposito, e - quindi - senza considerare la rientranza, in quel punto, della parete progettata.

Seguendo tale metodo di misurazione, secondo l’appellante, si ricaverebbe un risultato di m. 9 circa, anziché della distanza di m. 10,02 calcolata dal verificatore.

4) L’appellante si richiama alla sentenza di Cass, Civ., Sez. II, 28 agosto 1991, n. 9207, tra l’altro pure a sua volta richiamata dalla stessa difesa di Severini Costruzioni in primo grado a sostegno della propria tesi, per rilevare che anche tale pronuncia affermerebbe che una parete è definita finestrata se c’è anche una sola finestra sulla parete medesima, non essendo quindi corretta la considerazione in contrario del computo di quante finestre ci sono e del riscontro dei punti in cui esse sono collocate.

5) Sempre secondo l’appellante, se la ratio dell’art. 9 del d.m. 1444 del 1968 si identifica nell’esigenza di tutelare la salubrità e la sicurezza dei luoghi, allora tale distanza tra gli edifici dovrebbe essere comunque rispettata, anche a prescindere dall’altezza degli edifici e dall’andamento parallelo delle pareti, “purché sussista almeno un segmento di queste ultime tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento, sia dalla possibilità che dalle finestre dell’una sia possibile la veduta dell’altra” (così a pag. 16 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).

6) Da ultimo, l’appellante contesta la circostanza che il giudice di primo grado abbia nella specie disposto ai fini istruttori una verificazione, anziché una consulenza tecnica a’ sensi dell’art. 191 e ss. c.p.c., non assicurando in tal modo alle parti le garanzie proprie di tale mezzo di assunzione di prova, per contro insussistenti nella verificazione.

A tale riguardo, secondo l’appellante il giudice di primo grado avrebbe in tal modo utilizzato la verificazione per una funzione che non le sarebbe propria, ossia quella di valutare tecnicamente dati già acquisiti al processo.

4.3.2. Il Collegio, per parte propria, reputa di iniziare la disamina degli argomenti sin qui esposti iniziando dall’ultimo di essi, ossia dalla censura in ordine all’avvenuto perfezionamento dell’incombente istruttorio mediante verificazione, a’ sensi dell’allora vigente combinato disposto dell’art. 19 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, dell’art. 44, primo comma, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, e dell’art. 26 e ss. del r.d. 17 agosto 1907, n. 642, in luogo della consulenza tecnica di cui all’art. 191 e ss. c.p.c.

Invero, ancor prima dell’attuale codificazione dei due istituti della verificazione e della consulenza tecnica contenuta negli artt. 66 e 67 c.p.a., anche all’epoca del procedimento di primo grado qui gravato, e quindi nella vigenza della predetta l. n. 1034 del 1971, il giudice amministrativo poteva disporre incombenti istruttori mediante consulenza tecnica, risultando tale istituto già a quel tempo introdotto nell’ordinamento processuale per effetto di progressivi interventi “additivi” , disposti sia da parte del giudice delle leggi (cfr. la sentenza di Corte Cost., 23 aprile 1987, n. 168), sia da parte dello stesso legislatore (cfr. art. 35, comma 3, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80. e artt. 1, comma 3, e 16 della l. 21 luglio 2000, n. 205).

Ad avviso dell’appellante il ricorso alla consulenza tecnica in luogo della verificazione sarebbe stato preferibile, se non addirittura obbligatorio, in dipendenza delle maggiori garanzie che l’ordinamento appresterebbe nei confronti del primo di tali istituti, ossia: l’obbligo di scelta del consulente, a’ sensi dell’art. 61, secondo comma, c.p.c., tra gli iscritti ad albi speciali formati a’ sensi dell’art. 13 e ss. disp. att. c.p.c.;
l’obbligatorietà, per il consulente tecnico, di assumere l’incarico, salva la sussistenza di giustificati motivi di astensione (art. 63, primo comma, c.p.c.);
la possibilità di ricusazione del consulente tecnico (artt. 63, secondo e terzo comma, c.p.c.);
il divieto per il consulente tecnico di avvalersi di altri ausiliari per l’adempimento del proprio ufficio senza l’autorizzazione del giudice (art. 194, primo comma, c.p.c.);
la responsabilità, anche penale, del consulente tecnico in dipendenza del proprio operato (art. 64, secondo comma, c.p.c.).

Orbene, va innanzitutto precisato che la decisione di avvalersi per un incombente istruttorio della consulenza tecnica in luogo di una verificazione - o viceversa – risponde ad una discrezionalità del giudice non sindacabile, posto che la scelta dei mezzi di prova attiene in tal senso alla piena disponibilità del giudice amministrativo (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, 11 aprile 2006, n. 2001;
Cons. giust. amm. reg. sic., 11 marzo 2005. n. 146).

Premesso che la verificazione disposta dal giudice alla stessa amministrazione parte della controversia, ovvero – come nel caso di specie – ad un’amministrazione terza consiste in un mero accertamento disposto al fine di completare la conoscenza dei fatti che non siano desumibili dalle risultanze documentali (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 19 febbraio 2007, n. 88), e ciò a differenza della consulenza tecnica d’ufficio che – viceversa – si estrinseca in una valutazione tecnica di determinate situazioni in fatto da utilizzare ai fini della decisione con una valenza non meramente ricognitiva e circoscritta (cfr. ibidem ), va denotato che i surriferiti richiami che la parte appellante elenca nei riguardi della disciplina dettata dal codice di procedura civile in tema di consulenza tecnica paiono adombrare l’ipotesi che la verificazione non offra, rispetto alla consulenza tecnica, analoghe garanzie di professionalità e di imparzialità da parte di chi è chiamato a svolgerla.

Ma, a parte la ben evidente capziosità del richiamo in tal senso dell’art. 64, secondo comma, c.p.c., al fine di sostenere per implicito l’alquanto paradossale tesi secondo la quale il verificatore risulterebbe immune da qualsivoglia responsabilità civile e penale per l’attività da lui svolta, è innegabile che nella specie il verificatore sia stato individuato in un soggetto terzo, indiscutibilmente qualificato in termini di competenza professionale.

Il verificatore ha in tal senso rispettato i limiti del proprio incarico - derivanti, sulla scorta della giurisprudenza poc’anzi citata, dalla stessa funzione assolta dalla verificazione - astenendosi dall’esternare una propria valutazione tecnica sulla fattispecie a lui sottoposta.

Egli infatti ha effettuato un sopralluogo, ha elaborato una rappresentazione dello stato di fatto e ha depositato la propria relazione stilata al riguardo presso la Segreteria del giudice.

Viceversa, la qualificazione delle pareti coinvolte nel contenzioso, l’individuazione della loro natura di pareti finestrate o meno, nonché la determinazione del criterio di calcolo delle distanze sono unicamente conseguite dall’apprezzamento della fattispecie da parte del giudice, avvenuto nel contesto della sua esclusiva interpretazione dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 e dell’art. 15 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Rimini.

Sotto questo aspetto, pertanto, la circostanza che tale attività interpretativa sia oggettivamente ascritta al giudice rende nella specie di fatto irrilevante che l’ausiliario del giudice medesimo sia stato un verificatore piuttosto che un consulente tecnico.

4.3.3. Va a questo punto opportunamente ribadito che l’art. 9 del d.m. 1444 del 1968, emanato in attuazione dell’art. 41- quinquies della l. 17 agosto 1942, n. 1150, come introdotto dall’art. 17 della l. 6 agosto 1967, n. 765, predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni in considerazione dell’interesse pubblico connesso alle esigenze dell’igiene pubblica (in particolare prevenendo l’insalubrità delle intercapedini tra edifici destinati ad abitazione), nonché della sicurezza, nel mentre la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione è viceversa assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile (cfr. sul punto, ex plurimis e tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. IV, 14 settembre 2017, n. 4337;
23 giugno 2017, n. 3093;
8 maggio 2017, n. 2086;
3 agosto 2016, n. 3510, e 29 febbraio 2016, n. 856;
Sez. VI, 10 settembre 2018, n. 5307;
cfr., altresì, Cass. Civ., Sez. II, 14 novembre 2016, n. 23136).

4.3.4. Le censure complessivamente dedotte in primo grado dal R e da lui pedissequamente riproposte anche nel presente giudizio d’appello muovono da un errato presupposto di fondo, che non involge soltanto la connotazione assunta dalla parete dell’attiguo edificio frontistante un lato della sua proprietà, ma riguarda anche la mancata considerazione delle implicazioni discendenti dallo stato di fatto dell’edificazione esistente nel fondo del medesimo R.

Su tale fondo sono state infatti erette due distinte unità immobiliari: la prima, adibita a residenza, non è finestrata nel lato frontistante la facciata all’epoca in corso di costruzione (cfr. a pag. 1 la relazione del verificatore, supportata anche da documentazione fotografica, laddove si descrive la presenza di “un edificio di un piano con la parete prospiciente il lotto” attiguo, “non finestrata” );
la seconda, costituita da “un manufatto in parte in muratura, in parte lamiera ad uso deposito con la parete prospiciente il lotto” attiguo “con aperture a portafinestra” (cfr. ibidem ).

Rebus sic stantibus , il computo delle distanze tra il muro edificato dalla parte controinteressata e le costruzioni insistenti sul fondo R non potrà che avvenire separatamente, ossia quantificando la distanza di ciascuna delle due costruzioni rispetto alla facciata della nuova edificazione realizzata sul fondo attiguo, e tenendo ovviamente in considerazione in ciascuna di tali due misurazioni la circostanza dell’esistenza - o meno – di pareti finestrate in ciascuno dei due corpi edificati della proprietà R rispettivamente frontistanti al muro di nuova costruzione.

A tal fine va innanzitutto considerato che la parete della nuova facciata in costruzione che fronteggia l’edificio adibito ad abitazione dal R non è finestrata, come non è del resto finestrata – per quanto detto dianzi - la parete dell’abitazione del R frontistante il fondo attiguo.

Viceversa risulta finestrata la parete del nuovo fabbricato segnatamente prospiciente al magazzino-deposito di proprietà del R, la cui parete frontistante al fondo attiguo.

Pertanto, al fine della definizione della presente causa risulta dirimente verificare innanzitutto se tra la nuova parete realizzata dalla parte controinteressata e il magazzino-deposito di proprietà del R è rispettata – o meno – la distanza di m. 10 imposta dal d.m. 1444 del 1968.

Successivamente andrà verificata l’incidenza determinata, con riferimento al rispetto della distanza tra il nuovo corpo edificato e l’abitazione del R, dalla realizzazione di un terrazzo nella nuova edificazione.

Posto ciò, dalla verificazione è risultato che la distanza tra entrambe le anzidette due pareti finestrate (quella di nuova costruzione e quella del magazzino-deposito di proprietà del R) è stata - sia pure di poco – rispettata, essendo risultata pari a m. 10,02.

Fondatamente, a tale proposito, la difesa di Severini Costruzioni ha evidenziato le seguenti incongruenze logiche che si determinerebbero ove si accedesse alla tesi della parte appellante, ossia:

1) le due ben distinte unità immobiliari di proprietà del R verrebbero ad essere considerate come un unico corpo edificato, contrariamente alla stessa e del tutto incontrovertibile realtà di fatto;

2) la parete non finestrata della nuova costruzione prospiciente all’abitazione del R sarebbe considerata, a sua volta e sempre contrariamente alla realtà di fatto, finestrata anche se assodatamente è priva di finestre, come del resto lo è la costruzione che la fronteggia;

3) nell’ipotesi in cui i due fabbricati insistenti nel fondo R dovessero divenire di proprietà di due soggetti diversi, il proprietario dell’edificio con una parete non finestrata frontistante una parete parimenti non finestrata di nuova costruzione potrebbe nondimeno pretendere l’osservanza del limite dei m. 10 disposto dall’art. 9 del d.m. 1444 del 1968 in forza della circostanza che la parete finestrata dell’altro edificio di proprietà del suo vicino prospetta viceversa sulla parete frontistante di nuova costruzione, a sua volta finestrata;

4) qualora sussista da una parte un fabbricato con fronte unico ma spezzato e lungo diverse decine di metri con finestre presenti solo su di un breve tratto dello stesso (come, per l’appunto, nel caso di specie) e dall’altra, in posizione frontale, vi siano edifici appartenenti a soggetti diversi con pareti non finestrate, tranne in un caso, allora ogni proprietario di tali edifici, e non solo chi è proprietario dell’edificio con la parete finestrata, potrebbe pretendere l’applicazione in suo favore della disciplina contenuta nell’art. 9 del d.m. 1444 del 1968.

Giova inoltre qui evidenziare che la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che agli effetti dell’applicazione dell’art. 9 del d.m. 1444 del 1968 il presupposto necessario si identifica – sempre e comunque – nell’esistenza di pareti di due diversi edifici di cui almeno una finestrata e che effettivamente si contrappongano, non risultando coerente con la ratio della relativa norma l’applicazione della stessa anche ad ulteriori parti degli edifici in riferimento, per le quali non si pone la suddetta questione di salubrità degli spazi tra edifici a destinazione abitativa (così Cons. Stato, Sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1670).

4.3.5. Per quanto attiene alle contestazioni formulate dall’appellante in ordine al metodo seguito per la misurazione delle distanze, il Collegio – innanzitutto – non può che concordare sull’assunto di fondo al riguardo enunciato dal giudice di primo grado, ossia che “l’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 (richiamato dall’art. 15-bis delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Rimini) stabilisce che la distanza deve intercorrere tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).

Qui giova pure rilevare che l’art. 15 delle N.T.A. del P.R.G., per quanto qui segnatamente interessa, al suo primo comma dispone che “le distanze prescritte dalle presenti N.T.A. sono verificate sul segmento posto sulla retta passante per i punti più vicini delle superfici delimitanti i corpi o delle linee considerate e sono riferite al distacco esistente tra detti due punti” .

A sua volta l’art. 15- bis delle medesime N.T.A. dispone che “le distanze minime tra i fabbricati per le diverse zone omogenee sono regolate dall’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nel predetto d.m. nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati con previsioni planivolumetriche” .

Ovviamente, il metodo di computo così complessivamente definito dal testé richiamato primo comma dell’art. 15 va applicato tra pareti di singoli edifici antistanti, per quanto dianzi rilevato al § 4.3.4. della presente sentenza.

Posto ciò, va evidenziato che l’appellante censura la circostanza che la misurazione delle distanze sia stata effettuata nella specie con riferimento alle sole pareti frontistanti e non considerando ogni punto di massima sporgenza dei fabbricati.

Tale assunto dell’appellante non può essere condiviso, poiché il surriferito art. 9 del d.m. 1444 letteralmente dispone che la distanza di m. 10 deve intercorrere tra “pareti finestrate” e “pareti di edifici antistanti” , ed impone pertanto ex se la misurazione della distanza “da parete a parete” ;
e, in ogni caso, anche ove si ammettesse l’utilizzo del criterio della “massima sporgenza” prospettato dalla parte appellante, esso potrebbe essere applicato, al fine di non violare l’anzidetto art. 9, alle sole pareti frontistanti e, comunque, “nei limiti di estensione” delle pareti medesime: il che, ragionevolmente, non muterebbe il risultato a cui è nella specie pervenuto il verificatore, posto che nella sentenza impugnata si afferma, testualmente, che “il manufatto di proprietà del ricorrente che fronteggia la parete finestrata dell’edificio assentito dista da questa m. 10,02 in ogni suo punto” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).

Va anche evidenziato in proposito che l’art. 15, primo comma, delle N.T.A. del P.R.G. afferma invero che la distanza tra edifici frontistanti va calcolata dal “segmento posto sulla retta passante per i punti più vicini della superficie delimitante i corpi” .

Tale disposto normativo tuttavia non conferma, ma smentisce la tesi dell’appellante.

La distanza va calcolata infatti considerando il “segmento”, che nella definizione della geometria euclidea costituisce la partizione di una linea retta delimitata dai due suoi punti estremi;
e se tale rappresentazione grafica corrisponde nella nuova costruzione ad una singola parte ( id est , “segmento ) dell’intera facciata (a sua volta porzione più estesa di una linea continua) deve concludersi che la distanza tra edifici frontistanti deve essere calcolata con riguardo – per l’appunto – alle singole parti di facciata che sono prospicienti, e cioè dei diversi “segmenti” , ovviamente in considerazione della natura finestrata – o meno – della parete singolarmente considerata rispetto alla correlativamente singola parete prospiciente.

In tal senso il Collegio non può che condividere l’assunto di Severini Costruzioni secondo il quale le modalità di calcolo per un edificio che è contraddistinto – come per il caso di specie, con riguardo alla tipologia costruttiva prescelta – da un fronte di linea spezzata (c.d. “zig-zag” ) devono in effetti considerare le sporgenze e le rientranze al fine del computo della distanza con l’edificio frontistante: ma ciò in via autonoma, ossia per ogni spigolo della costruzione che in prolungamento risulta antistante con l’edificio opposto.

Non può quindi ragionevolmente condividersi la tesi dell’appellante che – viceversa – vorrebbe considerare per tutta la lunghezza dell’edificio, sempre e comunque, il punto del fronte collocato più in profondità.

A tale riguardo, quindi, non risulta conferente per l’economia della presente causa la pur copiosa e certamente condivisibile giurisprudenza che l’appellante cita in ordine alla rilevanza assunta dalle sporgenze nelle distanze tra le costruzioni (cfr. sul punto , ex plurimis , Cass. Civ., Sez. II, 26 gennaio 2005 n. 1556;
25 marzo 2004, n. 5963;
2 ottobre 2000, n. 13001;
29 marzo 1999, n. 2986;
ma, ad es. e più recentemente, id. 27 novembre 2018, n. 30708), posto che nella presente fattispecie si controverte non già in ordine a sporgenze aggettanti su di un fronte lineare, ma si ha riguardo ad una ben differente fattispecie, ossia quella di un fronte non lineare tale da rendere l’edificio – per l’appunto – “irregolare” nella rappresentazione della propria facciata e che, peraltro, deve risultare comunque conforme alla disciplina sulla distanza tra le costruzioni con pareti finestrate.

4.3.6. Residua a questo punto la trattazione della questione relativa al terrazzo prospiciente all’abitazione del R.

Al riguardo la difesa del Comune ha riferito, nella sua ultima memoria datata 4 febbraio 2019, che la realizzazione di tale terrazzo è stata rinunciata da Severini Costruzioni mediante la presentazione, avvenuta medio tempore , della denuncia d’inizio di attività in variante n. 1367 del 2013: circostanza, questa, non contestata dall’appellante e dalla stessa Severini Costruzioni, e che rende pertanto la relativa censura improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse per la sua decisione.

4.3.7. Tutti gli ulteriori argomenti illustrati dall’appellante, ancorché non espressamente disaminati, sono stati reputati dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, in ogni caso, inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso, stante l’assorbenza delle considerazioni sin qui svolte.

5. Il Collegio, pur respingendo l’appello, reputa di compensare integralmente tra tutte le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio, in considerazione della particolarità delle questioni ad esso sottoposte.

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