Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-05-05, n. 201702073
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Pubblicato il 05/05/2017
N. 02073/2017REG.PROV.COLL.
N. 07224/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7224 del 2010, proposto da:
Comune di Scilla, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato F M, con domicilio eletto presso lo studio Studio Legale Stajano Caputi Giovanni in Roma, via di Villa Albani, 12;
contro
Vodafone Omnitel N.V., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato G B, domiciliato ex art. 25 cod. proc. amm. presso la Segreteria della III Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA, n. 00541/2009, resa tra le parti, concernente disattivazione impianti di telefonia mobile;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Vodafone Omnitel N.V.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2017 il Cons. P U e uditi per le parti gli avvocati Giovanni Caputi su delega di F M e G B;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La controversia trae origine dal provvedimento del Comune di Scilla (RC) n. 1354 in data 11 febbraio 2008, con cui è stato intimato a Vodafone Omnitel NV (poi divenuta Vodafone Italia S.p.a., odierna appellante) la cessazione dell’attività di trasmissione dai due impianti ubicati in via Parco angolo via Matteotti e Stazione F.S., ed è stato comunicato l'avvio del procedimento per la disattivazione degli impianti stessi e l'applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 14, parte II, lettera a), del Regolamento comunale in materia di telefonia mobile (approvato con delibera consiliare n. 56 in data 28 dicembre 2006).
2. Vodafone ha impugnato il provvedimento, unitamente alle disposizioni del regolamento comunale presupposte (art. 7, che comporta il divieto l’installazione di stazioni radio base in intere aree omogenee, consentendola solo fuori dai centri abitati;art. 15, che estende la nuova disciplina allocativa agli impianti esistenti), dinanzi alla Sezione staccata di Reggio Calabria del TAR Calabria, deducendo in sostanza che:
- la contestuale comunicazione dell’avvio e del provvedimento conclusivo del procedimento vanifica la partecipazione del destinatario ed equivale ad omissione dell’avviso;
- gli impianti devono ritenersi legittimamente realizzati (anche in forza della tutela cautelare accordata dal TAR avverso la revoca del permesso di costruire per uno di essi), rispettano i limiti stabiliti dal d.P.C.M. dell’8 luglio 2003, e ad essi non può applicarsi l’art. 5 del regolamento comunale;
- detto regolamento, comunque, è illegittimo, in quanto non supportato da adeguata istruttoria ed eccedente i limiti di esercizio del potere regolamentare da parte dei Comuni, ai sensi dell’art. 8 della legge 36/2001, come interpretati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 307/2003 e dalla giurisprudenza del giudice amministrativo;infatti, il regolamento: (i) - è dichiaratamente rivolto alla tutela della salute pubblica, che rientra nella competenza dello Stato, mentre quella dei Comuni è limitata alla verifica della compatibilità urbanistica degli interventi;(ii) - prevede un divieto generalizzato di installazione delle stazioni radio base nel centro abitato, senza tener conto delle esigenza di copertura del servizio pubblico di radiotelefonia;
- inoltre, introduce prescrizioni proprie del regolamento edilizio, quali altezze e distanze, e quindi ha portata di variante al PRG, ma non è stato seguito il procedimento a tal fine previsto dalla legge, ed in particolare la fase di pubblicità e partecipazione.
3. Il TAR, con la sentenza appellata (n. 541/2009), ha respinto il ricorso.
3.1. Anzitutto il TAR ha disatteso l’eccezione di inammissibilità, sollevata dal Comune resistente in ragione della mancata tempestiva impugnazione della nota n. 5531 in data 28 maggio 2007 - con la quale era stato trasmesso il regolamento e comunicato che “l’impianto di telefonia mobile da Voi gestito ricade all’interno del centro urbano di Scilla e quindi in contrasto con quanto stabilito dall’art. 7 del regolamento. Si chiede di presentare entro sei mesi dal ricevimento della presente un piano di ricollocazione in area idonea, giusto quanto disposto dall’art. 15” – ritenendo che non fosse sorto l’onere di impugnazione immediata, in quanto la nota non ha inciso concretamente sugli impianti in funzione e non ha attivato i poteri sanzionatori previsti dal regolamento (ordine di smantellamento e sanzione pecuniaria).
3.2. Ha poi disatteso anche l’altra eccezione di inammissibilità, incentrata sulla natura endoprocedimentale della nota prot. 1354/2008, rilevando che essa ha un contenuto immediatamente lesivo per la ricorrente, nella parte in cui “intima e diffida” la cessazione di ogni attività di trasmissione, con ciò incidendo in concreto sulla legittima prosecuzione di queste ultime e, dunque, sulla funzionalità stessa degli impianti.
3.3. Nel merito, il TAR ha ritenuto fondate ed assorbenti le censure, di violazione della legge 36/2001, dedotte nei confronti degli artt. 7 e 15 del regolamento comunale e, in via derivata, del provvedimento impugnato.
In particolare, sottolineando che al Comune è consentito solo dettare prescrizioni volte a "minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici" (art. 8, comma 6, legge 36/2001), e a tale scopo il regolamento può vietare le installazioni nei siti sensibili, quali scuole o ospedali, ma non può estendere, come avvenuto nel caso in esame, siffatti siti all’intero centro abitato (tanto meno, può applicare tale divieto nei confronti degli impianti esistenti, posto che la retroattività viola chiaramente il principio, di derivazione comunitaria, di tutela dell’affidamento e della stabilità dei rapporti giuridici).
4. Appella il Comune di Scilla.
4.1. Ribadisce l’inammissibilità del ricorso di primo grado per omessa impugnazione della nota prot. 5531/2007.
Al riguardo, osserva che il TAR aveva disposto, con ordinanza istruttoria in data 8 gennaio 2009, l’acquisizione della ricevuta di ricezione della nota, proprio al fine di verificare la tempestività del ricorso.
Sottolinea che gli artt. 7 e 15 del regolamento contengono norme concretamente ed immediatamente lesive per gli impianti esistenti, imponendo un piano di rilocalizzazione (con tutti gli oneri e le incertezze conseguenti), e che la nota prot. 5531/2007 ne è atto applicativo, anche se l’applicazione delle sanzioni presuppone un ulteriore atto di invito/intimazione.
Osserva che, se davvero nota e regolamento non sono lesivi, allora il ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse.
4.2. Ribadisce anche l’inammissibilità dell’impugnazione della nota prot. 1354/2008.
Sottolinea che il consolidato insegnamento della giurisprudenza riguardante gli atti di diffida (ai fini della demolizione di manufatti abusivi, ai fini del rispetto degli orari delle farmacie, ovvero delle prescrizioni di un’autorizzazione ambientale, etc.), è nel senso che implicano la mancanza del provvedimento finale, e quindi non sono autonomamente impugnabili.
Peraltro, la lesione dell’appellata, sotto il profilo della prosecuzione dell’attività di trasmissione, non deriva dalla suddetta nota.
4.3. Nel merito, prospetta censure così sintetizzabili:
(a) - nel solco della giurisprudenza della Corte costituzionale (sentt. n. 307/2003 e n. 331/2003, che hanno distinto tra limiti alla localizzazione, illegittimi, e criteri di localizzazione, consentiti), la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato ammette il potere regolamentare dei Comuni, ai sensi dell’art. 8, legge 36/2001, anche in un’ottica di ottimale disciplina dell’uso del territorio;
(b) - nel caso in esame, il TAR non ha tenuto conto della particolare configurazione territoriale e della rilevanza ambientale del centro storico di Scilla;il regolamento comunale, in coerenza con la norma attributiva del potere e con l’interpretazione che ne ha dato la giurisprudenza, non impone divieti generalizzati, ma contiene criteri localizzativi che non impediscono l’installazione di impianti per la telefonia su tutto il territorio o su larga parte di esso, in quanto individua un numero chiuso di edifici, nominandoli uno per uno, rispetto ai quali vi è divieto di installazione (asili, edifici scolastici, strutture di accoglienza socio-assistenziale, ospedali, orfanatrofi, oratori, parchi gioco);
(c) - in particolare, il confine tra limite legittimo e non, discende dalla verifica empirica che la rete di comunicazione, alla luce delle sue caratteristiche tecniche (in particolare, la debolezza del segnale e il grado di copertura) abbia la possibilità di funzionare adeguatamente, nonostante le prescrizioni limitative (c.d. criterio della funzionalità del servizio);di modo che l’amministrazione dovrà consentire una deroga al divieto quando il gestore dimostri (in contraddittorio con gli uffici competenti) che non esiste una localizzazione alternativa capace di assicurare un risultato accettabile (anche se di qualità inferiore) di copertura di una determinata fascia territoriale;
(d) - poiché non preclude la capillare e piena copertura su tutto il territorio comunale, l’art. 7 del regolamento impugnato non può essere inteso come divieto generalizzato, ma costituisce legittima manifestazione del potere di cui all’art. 8, cit.;
(e) - il TAR ha considerato astrattamente le previsioni regolamentari, la cui portata applicativa va invece verificata in concreto;il Comune di Scilla chiede, riguardo all’impatto delle previsioni regolamentari, che venga disposta una consulenza tecnica d’ufficio.
4.4. In ordine all’art. 15 del regolamento, il Comune sottolinea che non introduce una disciplina retroattiva, in quanto non impone l’immediata operatività delle sanzioni e delle procedure di disattivazione, ma prevede al contrario un regime transitorio di adeguamento.
5. Si è costituita in giudizio la società appellata ed ha controdedotto riguardo alla tesi dell’inammissibilità dell’impugnazione, ribadendo nel merito la correttezza della valutazione operata dal TAR e sostenendo anche che le disposizioni regolamentari impugnate debbano essere disapplicate poiché contrastanti con la legge (anche se, a ben vedere, non precisa quale sia il parametro normativo che richiederebbe la disapplicazione).
6. Il Collegio ritiene anzitutto utile riprodurre le disposizioni regolamentari oggetto della controversia.
L’art. 7 (“ Localizzazione degli impianti ”) dispone che “ Si individuano, in prima istanza, quali aree di possibile installazione degli impianti tutte quelle situate fuori dai centri abitati e, comunque, fuori dalle zone indicate come “Aree di particolare tutela”, meglio individuate nell’allegata planimetria. Sempre nell’allegata planimetria sono indicate le aree in cui si trovano gli impianti di telefonia già esistenti. Nella planimetria, allegata al presente regolamento, vengono inoltre individuate le seguenti aree: - Aree di divieto assoluto: aree con divieto assoluto di installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione, ovvero: asili, edifici scolastici, nonché strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parchi gioco, orfanatrofi e strutture similari e relative pertinenze;- Aree di particolare tutela: aree comprese entro i 100 mt dal perimetro di proprietà delle aree di divieto assoluto .”
L’art. 15 (“ Norma transitoria ”), al comma 2, dispone che: “ Gli impianti esistenti al momento dell’adozione del presente Regolamento localizzati in aree non idonee, potranno rimanere in esercizio solo nel rispetto dei limiti di Legge e con l’obbligo di presentare entro 6 mesi dall’esecutività del presente Regolamento un piano di rilocalizzazione in area idonea da realizzarsi entro 6 mesi dalla relativa autorizzazione da parte del Comune, ai sensi dell’art. 5 del presente Regolamento ”.
Completa la disciplina comunale della localizzazione degli impianti, per quanto qui interessa, l’art. 9 (“ Programmazione delle installazioni ”) secondo il quale “ I gestori di reti di telecomunicazione entro il 31 dicembre di ogni anno dovranno presentare il piano annuale di sviluppo in funzione delle aree idonee, in base al quale saranno autorizzate le singole installazioni: saranno privilegiate forme di partecipazione per la condivisione dei siti da parte dei gestori, in base alla mappatura approvata ”.
7. Il Collegio non condivide la tesi dell’inammissibilità dell’impugnazione riproposta dal Comune di Scilla.
Nessun vincolo poteva sorgere dal tenore dell’ordinanza istruttoria adottata dal TAR, posto che il giudice di primo grado ha conservato la più ampia libertà di valutazione del merito della causa.
Quanto agli effetti della nota prot. 5531/2007, anche se ha esplicitato che gli impianti della società appellata sono soggetti a delocalizzazione, questa non è un effetto diretto ed immediato dell’atto, ma richiede l’adozione di atti ulteriori.
In definitiva, l’unico effetto lesivo esplicitato dalla nota è l’obbligo di presentare un piano di delocalizzazione, obbligo autonomamente sanzionato dal regolamento (ma evidentemente non è di questo adempimento strumentale, che la società si duole), non anche quello di sospendere le trasmissioni e tantomeno di disattivare e smantellare gli impianti.
E’ vero invece che, come ricordato dallo stesso Comune, gli atti di diffida hanno lo scopo di mettere a conoscenza il loro destinatario dei profili di carenza/illegittimità riscontrati nella sua condotta e di assegnare un termine per provvedere a colmare le carenze o eliminare le illegittimità, e che, di conseguenza, la giurisprudenza nega che siano immediatamente lesivi e comportino un onere di immediata impugnazione (cfr. di recente, in tema di impianti di comunicazione, Cons. Stato, III, n. 5480/2015). In buona sostanza, è questa la natura della nota prot. 5531/2007.
Diversa è la natura della nota prot. 1354/2008, che richiama la precedente per affermare la inottemperanza della società destinataria e intimarle la cessazione dell’attività di trasmissione.
A detto contenuto provvedimentale si accompagna una dichiarata valenza di comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla disattivazione ed all’applicazione della sanzione pecuniaria, ai fini del rispetto delle garanzie partecipative (che, evidentemente, il Comune riteneva non adeguatamente soddisfatte in occasione della prima comunicazione), e quindi la nota prelude all’adozione degli ulteriori provvedimenti ripristinatori e sanzionatori.
Ciò stante, se anche può ritenersi che non fosse necessario impugnare immediatamente l’intimazione e diffida, esigenze di tutela dell’affidamento del destinatario in ordine al duplice contenuto manifestato dall’atto e, al contempo, di economia procedimentale e processuale, conducono a ritenere che l’impugnazione proposta fosse ammissibile.
8. Nel merito, il Collegio osserva che, al momento in cui è sorta la controversia, gli orientamenti della giurisprudenza in ordine alla portata applicativa dell’art. 8, comma 6, della legge 36/2001, erano ancora in evoluzione.
8.1. Detta disposizione, secondo la quale “ I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici ”, ha una formulazione così sintetica (e generica) da lasciare aperte diverse soluzioni interpretative, ed è stata oggetto di un’intensa elaborazione giurisprudenziale.
8.2. Un primo approdo della giurisprudenza amministrativa è costituito dall’aver distinto detto potere regolamentare dalla tutela igienico-sanitaria in senso proprio - esaurientemente assicurata dalla fissazione, ad opera dello Stato, di livelli massimi di esposizione inderogabili – riconducendolo al generale potere di pianificazione delle utilizzazioni del territorio, in questo caso specificamente rivolto a conseguire finalità ulteriori di tutela paesaggistica e culturale (“ corretto insediamento urbanistico e territoriale ” degli impianti) e di tutela ambientale (“ minimizzazione delle esposizioni ai campi elettromagnetici ”) sull'intero territorio comunale.
8.3. Ad esso è seguita l’emersione della consapevolezza che l'esercizio dei poteri di pianificazione previsti (implicitamente) dall’art. 8, comma 6, ed in particolar modo la localizzazione dei siti di installazione degli impianti di radiotelefonia mobile, alla luce della qualificazione giuridica e delle caratteristiche delle reti di tale servizio pubblico, non possa avvenire applicando i procedimenti urbanistici ordinari, ma richieda la previa valutazione di compatibilità con le esigenze operative del servizio, attraverso un confronto dialettico con i gestori delle reti (i quali sono in possesso delle informazioni e conoscenze tecniche necessarie) e la loro partecipazione propositiva.
8.4. Ad orientare decisamente l’interpretazione della norma verso principi consolidati, è intervenuta la Corte costituzionale che, nell’esaminare la legittimità costituzionale di disposizioni legislative che prevedevano distanze minime da una serie di categorie di siti sensibili, ha affermato, con le sentenze n. 331/2003 e n. 307/2003, il principio secondo il quale tali disposizioni sono illegittime se pongono limiti generali che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbero addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, con la conseguenza che i «criteri di localizzazione» si trasformerebbero in «limitazioni alla localizzazione». Mentre le disposizioni poste a tutela di siti sensibili sono legittime se comunque consentono «una sempre possibile localizzazione alternativa» e non determinano invece «l'impossibilità della localizzazione».
8.5. Coerentemente a tali indicazioni, la giurisprudenza di questa Sezione può ormai dirsi consolidata, nel senso che:
- non sono legittimi limiti alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile di carattere generale e riguardanti intere ed estese porzioni del territorio comunale, in assenza di una plausibile ragione giustificativa (cfr. Cons. Stato, III, n. 1955/2014), né limiti di carattere generale giustificati da un’esigenza di tutela generalizzata della popolazione dalle immissioni elettromagnetiche, dal momento che a tale funzione provvede lo Stato attraverso la fissazione di determinati parametri inderogabili (cfr. Cons. Stato, III, n. 1955/2014), il rispetto dei quali è verificato dai competenti organi tecnici;
- il regolamento comunale previsto dall’art. 8, comma 6, della legge 36/2001, nel disciplinare il corretto insediamento nel territorio degli impianti, può contenere regole a tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico artistico, o anche per la protezione dall'esposizione ai campi elettromagnetici di zone sensibili (scuole, ospedali etc.), ma non può imporre limiti generalizzati all’installazione degli impianti se tali limiti sono incompatibili con l’interesse pubblico alla copertura di rete del territorio nazionale (cfr. Cons. Stato, III, n. 723/2014);
- invece, deve ritenersi consentito ai Comuni, nell’esercizio dei loro poteri di pianificazione territoriale, di raccordare le esigenze urbanistiche con quelle di minimizzazione dell'impatto elettromagnetico, ai sensi dell’ultimo inciso del comma 6 dell’art. 8, cit., prevedendo con regolamento anche limiti di carattere generale all’installazione degli impianti purché sia comunque garantita una possibile localizzazione alternativa degli stessi, in modo da rendere possibile la copertura di rete del territorio nazionale (cfr. Cons. Stato, III, n. 306/2015);di conseguenza possono ritenersi legittime anche disposizioni che non consentono (in generale) la localizzazione degli impianti nell’area del centro storico (o in determinate aree del centro storico) o nelle adiacenze di siti sensibili (come scuole ed ospedali), purché sia garantita la copertura di rete, anche nel centro storico e nei siti sensibili, con impianti collocati in altre aree (cfr. Cons. Stato, n. 3085/2015).
9. In sintesi, dunque, la pianificazione comunale di settore può interdire agli impianti anche ampie aree, purché ciò sia riconducibile ad uno degli interessi previsti dalla norma, e purché ciò, consentendo localizzazione in aree alternative, non determini difficoltà di funzionamento al servizio – circostanze che devono essere verificate in concreto attraverso il confronto con gli operatori.
Aggiunge il Collegio che tale approccio metodologico - tenuto conto che si tratta di tutelare interessi costituzionalmente rilevanti (ambiente, paesaggio) e che la disciplina conformativa prevede comunque un punto di equilibrio tale da salvaguardare la libertà di iniziativa economica - riguarda non soltanto le installazioni di nuovi impianti, ma anche la (eventuale) rilocalizzazione di quelli esistenti.
Gli impianti esistenti non possono ritenersi esenti da qualunque intervento conformativo.
Al contrario, la tutela della concorrenza e la rilevanza del legittimo affidamento degli operatori sulla possibilità di continuare a svolgere nel tempo l’attività autorizzata, si traduce nella necessità di una specifica motivazione in ordine alla possibilità di reperire siti di installazione alternativi, dove rilocalizzare gli impianti, a condizioni tecnicamente ed economicamente sostenibili.
In ogni caso, l’individuazione di siti alternativi e la valutazione sulla loro idoneità non può che prendere avvio dall’iniziativa dei gestori, i quali, nel confronto procedimentale con i Comuni, sono gli unici soggetti in possesso di adeguate conoscenze sulle esigenze del servizio e sui margini di “elasticità” di organizzazione delle proprie reti, e quindi in grado di proporre delle soluzioni alternative adeguate (ovvero di far constare la mancanza di esse e la conseguente necessità di mantenere le installazioni esistenti).
10. Ciò precisato, il Collegio osserva che la sentenza appellata, pur richiamandosi ai predetti principi per quanto concerne la localizzazione, ha però enfatizzato la rilevanza del principio di irretroattività, in modo non condivisibile, e soprattutto non ha tenuto in adeguata considerazione la portata concreta delle norme regolamentari oggetto di impugnazione.
11. Viceversa, l’appello del Comune di Scilla risulta coerente rispetto ai predetti principi, e coglie l’effettiva portata applicativa di dette norme.
11.1. Infatti, ricostruendo la portata applicativa delle disposizioni regolamentari, alla luce di quanto sopra precisato, sembra evidente che:
- l’art. 7 del regolamento prevede che le installazioni siano possibili in aree diverse da quelle individuate come “Aree di divieto assoluto” e “Aree di particolare tutela”, vale a dire dalle zone nelle quali, in ragione della densità e della durata della presenza della popolazione (ed in particolare di quella che rientra nelle fasce più deboli), si pone l’esigenza di minimizzare le esposizioni ai campi elettromagnetici;in tal modo ne risulta, di contro, una divieto di localizzazione in dette aree;
- tale divieto è dunque collegato ad una esigenza di tutela effettiva e concreta;
- tuttavia, per quanto esposto, il divieto deve intendersi come relativo, nel senso che è superabile qualora venga dimostrato che una localizzazione in aree alternative non sia possibile o comunque determini serie disfunzioni nel servizio;
- per le nuove installazioni è previsto (art. 9) che detta valutazione avvenga sulla base della proposta da parte dei gestori di un “ piano annuale di sviluppo in funzione delle aree idonee ”, e della approvazione del piano (in pratica, della “mappatura” dei siti idonei) da parte del Comune, in esito ad un confronto con i gestori volto a “ privilegiare forme di partecipazione per la condivisione dei siti ”;
- per gli impianti (legittimamente) esistenti al momento dell’entrata in vigore del regolamento, ma ubicati in area non idonea, l’art. 15 prevede sempre un’iniziativa dei gestori, tenuti a presentare entro sei mesi, al medesimo scopo, un “ piano di rilocalizzazione in area idonea ”, destinato ad essere approvato dal Comune (deve ritenersi, sempre attraverso il confronto procedimentale e con il medesima vincolo/obiettivo di assicurare la funzionalità del servizio) e ad essere attuato, mediante la rilocalizzazione, entro i sei mesi successivi;sempre che ciò si dimostri concretamente possibile, nei sensi altresì sopra esposti.
11.2. La società appellata invoca anch’essa il principio di compatibilità delle prescrizioni conformative con la funzionalità del servizio, ma non argomenta, né tanto meno dimostra di aver assolto all’onere di proporre una localizzazione alternativa, ovvero che non sia possibile reperirla a condizioni sostenibili.
Semplicemente, sostiene di essere immune dalla disciplina della rilocalizzazione (che dovrebbe dunque essere disapplicata), il che, si è detto, non trova giustificazione né nella lettera, né nella ratio della norma legislativa.
11.3. Pertanto, deve ritenersi che le disposizioni del regolamento in questione (per quanto appaiano testualmente scarne e necessitino quindi di essere integrate nei passaggi impliciti, mediante applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza) non si pongano in contrasto con le disposizioni di legge.
12. L’appello deve conseguentemente essere accolto, e, in riforma della sentenza appellata, il ricorso originario deve essere respinto.
Ad avviso del Collegio, tuttavia, la circostanza che, come esposto, per comprendere appieno la portata applicativa delle disposizioni regolamentari oggetto di controversia vi sia bisogno di far ricorso ai principi giurisprudenziali, e che il Comune di Scilla non abbia, mediante circolari o specifici atti rivolti alla società appellata, adeguatamente esplicitato tutte le possibilità offerte ai gestori del servizio di radiotelefonia di far valere le proprie esigenze, attraverso il confronto procedimentale finalizzato all’individuazione di siti idonei alla rilocalizzazione degli impianti, determina una sorta di scusabilità del comportamento della società appellata;nel senso che – salva la eventuale rilevanza di eventuali norme, provvedimenti o fatti sopravvenuti nel corso del giudizio – il Comune è tenuto a dare alla società appellata la possibilità di presentare il “ piano di rilocalizzazione in area idonea ” previsto dall’art. 15 entro un nuovo termine, decorrente dalla comunicazione della presente sentenza.
13. Considerata detta relativa incertezza e la stessa evoluzione della giurisprudenza, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate.