Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-21, n. 202000506

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-21, n. 202000506
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202000506
Data del deposito : 21 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/01/2020

N. 00506/2020REG.PROV.COLL.

N. 05448/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5448 del 2016, proposto da
A s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato S D P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Sportello unico per le attività produttive dell'associazione dei Comuni chietino – ortonese, non costituito in giudizio;

nei confronti

Comune di Chieti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati M M, P T, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Silvestri in Roma, corso V.Emanuele n.209 sc.C;

per la riforma

l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, 17 dicembre 2015 n. 488


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Chieti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2019 il Cons. D S e uditi per le parti gli avvocati Francesco Paoletti, in sostituzione dell'avv. Di Pardo, e M M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso iscritto al n. 5448 del 2016, A s.r.l. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, 17 dicembre 2015 n. 488 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro lo Sportello unico per le attività produttive dell’associazione dei Comuni chietino - ortonese e il Comune di Chieti per l'annullamento:

dei provvedimenti prott. nn. 1451 e 1458 del 02 luglio 2015 con i quali il responsabile unico del procedimento del S.U.A.P. dell'associazione dei Comuni Chietino-Ortonese ha diffidato la ricorrente dall'intraprendere i lavori relativi alla realizzazione dell'edificio denominato D2 con destinazione ristorativa e commerciale nonché dell'edificio A con destinazione sportiva e ricreativa e intimato la stessa a non proseguire con ulteriori azioni.

Il giudice di prime cure ricostruiva la vicenda in fatto, evidenziando quanto segue:

“La società ricorrente, in quanto titolare di terreni oggetto di Accordo di programma privati-Regione-Comune di Chieti per la riqualificazione urbana e lo sviluppo sostenibile del territorio (

PRUSST

8-94, denominato la città lineare della costa di cui al dPGR 32/2005), espone:

- di avere sottoscritto in data 12.10.2006 con il Comune di Chieti la convenzione urbanistica prevista dal predetto Accordo;

- di avere quindi presentato al SUAP:

--in data 14.7.2011 “richiesta di provvedimento conclusivo” n. 1420 “per la realizzazione dell’edificio denominato D2 con destinazione ristorativa e commerciale”;

--in data 9.11.2012 i documenti richiesti per l’integrazione della pratica;

- di aver sottoscritto in data 8.7.2014 atto unilaterale d’obbligo in ordine alla realizzazione delle opere di urbanizzazione;

- di aver rappresentato in data 21.8.2014 che tutta la documentazione era agli atti della pratica;

- che in data 4.6.2015, “alla luce del silenzio dell’Amministrazione e, fermo restando l’applicazione dell’istituto del silenzio-assenso in ordine all’istanza … ha formalmente diffidato l’Amministrazione a voler trasmettere … il provvedimento conclusivo del procedimento”, avendo necessità di disporre di un provvedimento espresso;

- di aver quindi comunicato con nota 1.7.2015 l’inizio dei lavori di cui alla predetta istanza.

L’oggetto del ricorso è costituito da due atti adottati in data 2 luglio 2015 con cui il SUAP l’ha diffidata dall’avviare i lavori (prot. 1451) e le ha intimato “di recedere e non insistere con azioni temerarie e intimidatorie, finalizzate solo all’instaurarsi di pretestuosi contenziosi…” (prot. 1458).

La ricorrente asserisce preliminarmente “come il SUAP non contesti la generale operatività, nella presente fattispecie, dell’istituto del silenzio assenso ma ritenga –appunto, sul presupposto della sua astratta applicabilità- il suo mancato perfezionamento per due distinte ragioni…”, e cioè perché “le pratiche riferite agli interventi del

PRUSST

8-94 – Zona C sono a tutt’oggi sequestrate dalla Autorità giudiziaria…” ed in quanto “non esiste convenzione urbanistica per gli interventi proposti sull’intera area, … indispensabile presupposto per il rilascio dei titoli edilizi abilitativi”.

La prima di tali ragioni sarebbe tuttavia “del tutto irrilevante”, stante l’obbligo in capo all’amministrazione di ricostruire in ogni caso il fascicolo, mentre la seconda non terrebbe conto che la convenzione urbanistica è stata sottoscritta nel 2006.

Si è costituito in giudizio il Comune di Chieti che ha tra l’altro messo in rilievo:

- la intervenuta rinuncia del direttore dei lavori, circostanza ritenuta di per sé sufficiente ad impedire che la comunicazione di avvio possa avere un qualche seguito;

- la considerazione che il sequestro del fascicolo è stato effettuato nel gennaio 2015, cosa che evidenzierebbe la mancanza di tempi adeguati per ricostruirlo;

- l’assenza di qualsiasi presupposto per il rilascio del permesso o per la formazione di silenzio-assenso, essendo intervenute dopo la convenzione del 2006:

--variante del

PRUSST

8-94, approvata con dPGR 5/2013;

--approvazione da parte della Giunta regionale dello schema di un nuovo accordo di programma;

--determinazione del Genio Civile di annullamento del proprio parere in precedenza reso ex art. 13 l. 64/1974;

--impugnazione da parte della ricorrente (“appoggiata” dallo stesso Comune) del predetto atto [r.g. 372/2013] nonché davanti al TSAP del giudizio sfavorevole sulla VIA e di ulteriori atti di carattere inibitorio e ripristinatorio;

--comunicazione del 26 settembre 2004, inviata dall’Ente a tutti i comproprietari interessati, a fornire la documentazione necessaria alla stipula della nuova convenzione.

La ricorrente ha replicato alle deduzioni comunali sostenendo tra l’altro che, “ammesso e non concesso” che non vi sia una convenzione efficace, “vi è che per regola pacifica le convenzioni urbanistiche non sono in rapporto di sinallagmaticità con lo ius aedificandi per essere attinenti alle sole opere di urbanizzazione”, sicché “le vicende di una convenzione urbanistica non possono essere prese in considerazione come presupposto legittimamente [n.d.e., recte: “legittimante”] (e men che meno indispensabile per il conseguimento del singolo titolo edilizio”.

Ha quindi sostenuto che le ulteriori deduzioni comunali non trovano riscontro negli atti impugnati e si riducono perciò ad un’inammissibile integrazione della motivazione.”

Il ricorso di primo grado veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure, di seguito meglio descritte.

Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di Chieti, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Dopo la sostituzione del difensore della parte appellante (previa rinuncia dell’originario patrono con atto depositato il 25 maggio 2018 e assunzione della difesa da parte dell’attuale avvocato con atto del 22 novembre 2019), alla pubblica udienza del 12 dicembre 2019, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. - Con il primo dei quattro motivi di diritto, non espressamente rubricato come peraltro anche i successivi, viene lamentata l’erroneità della sentenza gravata dove afferma che entrambi gli atti impugnati sarebbero fondati sul presupposto che la richiesta di permesso di costruire dovrebbe essere ancora definita in quanto gli stessi conterrebbero l'esternazione delle ragioni, una di carattere materiale, altre di natura procedimentale, per cui non potrebbe ritenersi definita.

Al contrario, a parere della parte appellante, stante la dimostrazione dei presupposti di carattere fattuale e normativo sulla concreta formazione del silenzio-assenso sull'istanza di permesso di costruire depositata dall'appellante, la sentenza appare meritevole di essere riformata.

2.1. - La censura non può essere condivisa.

Va ricordato che il silenzio assenso costituisce una strumento di semplificazione amministrativa e non di liberalizzazione, per cui esso non si perfeziona con il mero decorrere del tempo, ma richiede la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge per l'attribuzione del bene della vita richiesto.

In tal senso, l'art. 20, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001 dispone che, decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo (90 giorni complessivi dalla presentazione dell'istanza, salve ipotesi di sospensione o interruzione), ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire, si intende formato il silenzio assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990.

Accanto alla previsione normativa, la giurisprudenza ha ampiamente chiarito che la formazione tacita dei provvedimenti amministrativi per silenzio assenso presuppone, quale sua condizione imprescindibile, non solo il decorso del tempo dalla presentazione della domanda senza che sia presa in esame e sia intervenuta risposta dall'Amministrazione, ma la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge, ossia degli elementi costitutivi della fattispecie di cui si deduce l'avvenuto perfezionamento, con la conseguenza che il silenzio assenso non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata non sia conforme a quella normativamente prevista (ex multis, Cons. Stato, IV, 11 aprile 2014, n. 1767).

Nel caso in esame, come correttamente evidenziato dal giudice di prime cure, la situazione su cui si inserisce il tema dell’attuale giudizio, lungi che limitarsi alla mera presenza o meno dei presupposti per la formazione di un silenzio assenso a fronte di un quadro pianificatorio coerente e condiviso, evidenzia l’esistenza di “un insieme di fattori, palesemente noti da tempo a tutte le parti in causa, che smentiscono la tesi della ricorrente … di un procedimento ormai pervenuto alla fase decisoria per essere state da tempo fornite tutte le integrazioni documentali richieste.”

In questa ottica, del tutto condivisibile, il primo giudice ha sottolineato come non sussistesse una inerzia dell’Amministrazione, atteso che le integrazioni documentali provenienti dalla originaria ricorrente fossero ferme ai mesi di luglio e agosto 2014 ed erano state seguite dalla nota del Comune di Chieti del 26 settembre 2014, dove si evidenziava la stipula della convenzione urbanistica in data 12 ottobre 2006 e l’adozione della variante al PRUSST, tramite dPGR 5 del 2013, il che portava a sostenere come l’esame delle istanze presentate richiedesse la stipula di nuova convenzione, con necessità di deposito della documentazione allo scopo necessaria.

Il quadro così delineato rimarca la circostanza che “la convenzione del 2006 non fosse più idonea allo scopo, e che quindi si manifestasse l’esigenza di integrare la documentazione”, vicenda di cui vi era consapevolezza da parte degli interessati, in primis del Comune. Il che rende evidente come l’amministrazione avesse sostenuto, anche in epoca ben precedente a quella in cui si collocano gli atti oggetto del giudizio, che non sussistessero i presupposti per la formazione tacita del titolo.

Peraltro, va evidenziato che (anche se nell’appello – pag. 13 - si sostiene che “non vi è alcuna prova che la nota comunale sia mai stata inviata alla società appellante” e in disparte se tale affermazione, nella formulazione aperta con cui è stata proposta, sia in grado di dare vita ad una contestazione dei fatti idonea a sconfessare la valutazione del primo giudice) la valutazione unilaterale del Comune era comunque idonea ad integrare l’elemento dirimente valutato dal T.A.R., ossia la carenza dei presupposti per il rilascio del titolo.

Per altro verso, correttamente il primo giudice ha dato rilievo a due ulteriori profili che incidono sulla esistenza degli evocati presupposti: da un lato, si tratta della determinazione del Genio Civile di annullamento del proprio parere in precedenza reso ex art. 13 l. 64 del 1974 con ordine di ripristino dello stato dei luoghi [in data 20 luglio 2015, dove si evidenzia che “per gli aspetti di competenza di questo Genio Civile … l’area in argomento risulta inibita a qualsiasi attività di trasformazione e/o edificatoria poiché trattasi di area golenale classificata esondabile dal vigente PSDA”];
e , dall’altro, il penultimo capoverso delle premesse della convenzione del 2006 [“…la Regione Abruzzo ha adottato il Piano di salvaguardia idrogeologico … e che pertanto ai fini del rilascio dei permessi di costruire vige la norma di salvaguardia…”].

Non può quindi che concordarsi con il T.A.R. in relazione alla circostanza che questo insieme di elementi, coesi ed univoci, nonostante la posizione della parte appellante che li etichetta come frutto di una formulazione vaga (pag. 12), renda evidente la complessità della situazione sottostante, che è apparsa in giudizio solo nello sviluppo della vicenda giudiziale.

Sulla scorta di questa sommaria ricostruzione, appare palmare come la situazione su cui ha inciso la pretesa della parte appellante di essere considerato soggetto legittimato ad avviare i lavori, appariva, al contrario di quanto sostenuto in appello, del tutto carente dei presupposti per il rilascio del permesso nella forma del silenzio assenso (in senso conforme, quando il mutamento della situazione di fatto ha determinato la necessità della rivalutazione dell'interesse pubblico, impedendo la formazione del silenzio assenso, Cons. Stato, IV, 7 gennaio 2019, n.113).

Pertanto, le affermazioni della parte, sul deposito dell’istanza e della relativa documentazione integrativa (ripetute in appello, in maniera del tutto analoga a quanto già fatto in prime cure), appaiono insufficienti, nel quadro composito evidenziato, a sostenere la propria pretesa al rilascio del titolo edilizio.

Come infatti evidenziato dal primo giudice, i provvedimenti gravati sono stati emanati in ossequio ad una visione diametralmente opposta a quella proposta dalla ricorrente e sono con questa coerenti (infatti, la diffida prot. 1451 afferma che “nelle more dei dovuti approfondimenti, la comunicazione di inizio lavori, peraltro trasmessa in forma irrituale, risulta assolutamente mancante di qualsiasi presupposto di legittimità e pertanto … non può produrre alcun effetto”;
la seconda nota, in riscontro alla diffida a concludere il procedimento del precedente 8 giugno, indica quattro ragioni che impediscono l’accoglimento dell’istanza) e che si fonda sull’evidenza di una situazione complessa che non permetteva di accertare l’esistenza dei presupposti di legge.

Per altro verso, l’originaria ricorrente “non esprime chiaramente su cosa si fondi la pretesa azionata”, come nota icasticamente il primo giudice, con una valutazione che va condivisa anche in appello, non essendovi state allegazioni ulteriori. Infatti, a fronte della valenza generale delle affermazioni fatte, non vi sono elementi concreti dal quale dedurre la formazione del silenzio assenso nel caso di specie.

Il che giustifica, quale portato immediato, come gli atti impugnati sono apparsi al primo giudice, con una valutazione fondamentalmente qui condivisa, del tutto coerenti con la loro funzione procedimentale e che sono stati ritenuti carenti solo nell’ottica della parte ricorrente, la quale si poneva tuttavia in una posizione, quella di soggetto legittimato ad avviare i lavori “senza dedurre in maniera specifica quale fosse il titolo alla base della pretesa e senza comunque farsi carico di allegare gli specifici modi e termini in cui, nel descritto contesto procedimentale, si sarebbe formato il silenzio assenso.”

Conclusivamente, il motivo di appello deve essere respinto, confermandosi integralmente la lettura fatta dal T.A.R..

3. - Con il secondo motivo di diritto, viene lamentata l’affermazione contenuta in sentenza in relazione alla affermata mancanza di una valida convenzione urbanistica inter partes sulla quale si sarebbe fondata la decisione del primo giudice.

3.1. - La censura non ha pregio.

Come sopra già evidenziato, gli elementi che incidevano sulla possibilità di ritenere ancora valida e applicabile la convenzione del 2006 sono stati individuati dal T.A.R. unitamente ad altri fattori che impedivano il rilascio del permesso di costruire, stante la situazione delineatasi con il sovrapporsi di pianificazioni diverse e nel tempo rimodulate.

Premesso che le valutazioni sulla validità o sull’applicabilità o meno della detta convenzione non sono l’oggetto principale del presente giudizio ma vi intervengono per la dimostrazione dell’esistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di costruire, va rimarcato come anche in questo caso, il motivo di appello si dilunga nel riportare elementi condivisibili di diritto, senza poi indicare la fattispecie concreta che renderebbe fondata la sua prospettazione e attivabile il procedimento per silenzio assenso.

4. - Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la mancata valutazione da parte del primo giudice della censura inerente la mancata disponibilità del fascicolo istruttorio, quale ritenuto ostacolo alla definizione, anche per silenzio assenso, delle istanze di permesso di costruire.

4.1. - La doglianza appare inconferente.

Come prima evidenziato, la situazione sottolineata dal Comune, e condivisa dal primo giudice e anche in questa sede, sulla impossibilità del rilascio del permesso di costruire rende di fatto ininfluente sulla definizione della presente vicenda il tema della presenza o meno del fascicolo, atteso che, quand’anche fondata, la censura non porterebbe a una soluzione diversa da quella prospettata, stante appunto la carenza dei presupposti per il rilascio del titolo in esame.

5. - Infine, con il quarto motivo di doglianza, la parte lamenta la mancata considerazione della domanda risarcitoria proposta.

5.1. - La doglianza non può essere accolta.

L’esame dei motivi di ricorso sopra proposti ha evidenziato l’infondatezza della pretesa della parte appellante, con conseguente legittimità degli atti impugnati. Ne deriva l’assenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria che, conseguentemente, deve essere respinta.

6. - L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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