Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-07-02, n. 201403324

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-07-02, n. 201403324
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201403324
Data del deposito : 2 luglio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05281/2013 REG.RIC.

N. 03324/2014REG.PROV.COLL.

N. 05281/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5281 del 2013, proposto dal:
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

A S, rappresentato e difeso dall'avv. A F T, con domicilio eletto in Roma, viale delle Medaglie D'Oro, n. 266;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione I, n. 1 del 7 gennaio 2013, resa tra le parti, concernente la sanzione della destituzione dal servizio.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di A S;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2014 il Cons. Dante D'Alessio e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Wally Ferrante e l’avvocato A F T;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Il sig. A S, già ispettore della Polizia di Stato, aveva impugnato davanti al T.A.R. di Salerno il decreto, in data 19 agosto 2011, con il quale il Capo della Polizia aveva applicato nei suoi confronti la sanzione della destituzione dal servizio, con decorrenza dal 9 maggio 2002, nonché tutti gli atti presupposti, ed aveva chiesto l’accertamento del suo diritto all’intero trattamento economico per il periodo (9 maggio 2002- 29 settembre 2005) di sospensione cautelare dal servizio.

2.- Il T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione I, con sentenza n. 1 del 7 gennaio 2013 ha accolto il ricorso.

2.1.- In particolare, il T.A.R. ha ritenuto fondato il secondo motivo del ricorso con il quale era stata dedotta la violazione della composizione della Commissione consultiva di cui all’art. 15 del D.P.R. n. 737 del 1981. Infatti, secondo il T.A.R., la Commissione che ha adottato la proposta di destituzione era stata « appositamente nominata ai fini del procedimento » e risultava « presieduta da un dirigente privo della qualifica di vicario del Questore e da un componente (A) neppure compreso tra i supplenti che annualmente debbono essere scelti tra i funzionari del ruolo direttivo ».

2.2.- Il T.A.R. ha poi ritenuto fondato anche il quarto motivo del ricorso, con il quale il ricorrente aveva sostenuto che l’Amministrazione, ai fini della ricostruzione dei fatti e dell’individuazione delle responsabilità dagli stessi derivanti, aveva acriticamente fatto proprie le conclusioni cui era pervenuta la Corte di Appello, che aveva giudicato il sig. S colpevole per i reati di corruzione e rivelazione di segreto di ufficio, senza valorizzare la circostanza che la sentenza era stata successivamente annullata dalla Corte di Cassazione, sia pure per intervenuta prescrizione.

2.3.- Il T.A.R. ha ritenuto fondato anche il primo motivo e l’ulteriore parte del quarto motivo sostenendo che l’Amministrazione non aveva considerato diverse circostanze rilevanti delle quali doveva tenere conto, quali la personalità del reo, il recupero morale del medesimo, il tempo effettivamente trascorso dalla commissione del reato.

Mentre, nella fattispecie, la grave sanzione della destituzione, con effetto retroattivo, … « è stata comminata a distanza di 9 anni di distanza dai fatti ascritti, senza tener conto che ben poco era residuato dall’originaria imputazione, e ( ciò che più rileva) mostrando di ignorare il fatto che ormai da anni l’interessato non è più nella possibilità di in qualche modo nuocere all’Amministrazione in quanto collocato a riposo per inidoneità fisica ».

2.4.- Il T.A.R. ha, infine, ritenuto fondata anche la domanda del ricorrente volta ad ottenere la condanna dell’Amministrazione alla " restitutio in integrum " degli emolumenti non corrisposti per tutto il periodo di durata della sospensione dall’impiego, ai sensi dell'articolo 96 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, con interessi e rivalutazione monetaria.

3.- Il Ministero dell’Interno ha appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili.

All’appello si oppone il sig. S che ha insistito per la sua reiezione.

4.- L’appello è fondato.

4.1.- Seguendo l’ordine delle questioni trattate dal T.A.R. nell’appellata sentenza, non sussiste preliminarmente alcun vizio nella composizione della Commissione che ha proposto l’irrogazione della sanzione della destituzione dal servizio del sig. S.

4.2.- Al riguardo, l’art. 16 del D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 761, richiamato anche dal giudice di primo grado, prevede che « con decreto del questore è costituito, in ogni provincia, il consiglio di disciplina composto: a) dal vice questore con funzioni vicarie che lo convoca e lo presiede;
b) da due funzionari del ruolo direttivo della Polizia di Stato;
c) da due appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato di qualifica superiore a quella dell'incolpato, designati di volta in volta dai sindacati di polizia più rappresentativi sul piano provinciale. Un funzionario del ruolo direttivo della Polizia di Stato funge da segretario. I membri di cui alla lettera b) durano in carica un anno. Con le stesse modalità si procede alla nomina di un pari numero di supplenti per i membri di cui alla lettera b
».

4.3- Ciò premesso, nella fattispecie, come emerge dagli atti, il Consiglio di disciplina che ha trattato il caso del signor S è stato, in una prima, fase presieduto, come normativamente previsto, dal Vicario del Questore dr. Enrico Moja. Successivamente, essendo stato promosso e trasferito ad altro incarico il dr. Moja e nelle more della nomina di un nuovo Vicario, è stato presieduto dal primo dirigente dr. P, nominato con decreto del Capo della Polizia in data 15 giugno 2011.

Considerato che, come si è visto, la nomina del dr. P è stata determinata dalla temporanea vacanza del posto di Vicario del Questore e tenuto conto che il procedimento disciplinare non poteva essere sospeso fino alla nomina del Vicario, non risulta censurabile l’operato dell’Amministrazione che ha nominato un proprio dirigente, in servizio presso la stessa Questura, quale presidente della commissione in questione.

4.4.- Erronea in fatto è poi l’affermazione del T.A.R. secondo la quale avrebbe fatto parte della Commissione anche un componente (A) « neppure compreso tra i supplenti che annualmente debbono essere scelti tra i funzionari del ruolo direttivo ».

Risulta, infatti, dagli atti che il dr. Luigi A era stato regolarmente nominato quale supplente del Consiglio di Disciplina con decreto del Questore di Salerno in data 21 dicembre 2010.

5.- Passando al merito della vicenda, si deve ricordare che il signor S era stato tratto in arresto il 9 maggio 2002, in esecuzione di ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Salerno, perché accusato dei reati di cui agli artt. 81, 319, 321 e 326, comma 3, c.p. (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio), con l’aggravante di aver commesso il fatto per agevolare una associazione camorristica (art. 416 c.p.).

Il signor S era stato quindi, in pari data, sospeso dal servizio e in tale condizione permaneva fino alla data del 18 marzo 2006, di intervenuta cessazione dal servizio per inabilità fisica.

Con sentenza del Tribunale penale di Salerno, in data 14 luglio 2005, il signor S era stato riconosciuto colpevole per i reati ascritti ed era stato, quindi, condannato alla pena di anni quattro e mesi nove di reclusione, con la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Con sentenza della Corte d’Appello, in data 13 settembre 2006, la pena era stata ridotta ad anni tre e mesi dieci ed era stata confermata l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

La Corte di Cassazione, con decisione n. 226 del 6 febbraio 2008, annullava senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla imputazione di cui all’art. 416 c.p., per non aver commesso il fatto, e rinviava alla Corte d’Appello di Napoli per la rideterminazione della pena per gli altri reati.

La Corte d’Appello di Napoli, in data 21 gennaio 2010, rideterminava quindi la pena per i reati per i quali il signor S era stato definitivamente riconosciuto colpevole, in anni due di reclusione.

Il signor S ricorreva nuovamente in Cassazione che, in data 25 gennaio0 2011, annullava la sentenza della Corte d’Appello di Napoli per l’intervenuta prescrizione dei reati.

6.- Ciò premesso, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., si deve ritenere infondato il motivo con il quale il signor S aveva sostenuto che l’Amministrazione, ai fini della ricostruzione dei fatti e dell’individuazione delle sue responsabilità, aveva acriticamente fatte proprie le conclusioni cui era pervenuta la Corte di Appello, che lo aveva giudicato colpevole per i reati di corruzione e rivelazione di segreto di ufficio, « senza valorizzare la circostanza che la sentenza era stata successivamente annullata dalla Corte di Cassazione, sia pure per intervenuta prescrizione ».

6.1.- Come emerge dagli atti, l’Amministrazione aveva, infatti, chiaramente valutato la gravità della vicenda che aveva interessato il signor S, che era stato tratto in arresto e sospeso in via cautelare dal servizio per fatti la cui rilevanza era stata accertata (più volte) in sede penale in un lungo giudizio poi concluso favorevolmente per l’interessato solo per l’intervenuta prescrizione.

6.2.- Per principio pacifico, peraltro, l’Amministrazione, nei confronti di un dipendente che è stato assolto dal reato contestato per intervenuta prescrizione, ben può procedere all’instaurazione di un procedimento disciplinare ed alla irrogazione di una (eventuale) sanzione, all’esito di una valutazione sulla gravità dei fatti che hanno determinato il giudizio penale.

Infatti, come ha ricordato anche il giudice di primo grado, una questione disciplinare non può essere posta soltanto quando, in sede penale, abbia avuto luogo un proscioglimento con formula piena, cioè quando i fatti oggetto della sentenza penale sono stati definiti come storicamente inesistenti oppure la sentenza ha ricostruito la condotta materiale o l’elemento psicologico in modo tale da collocare con sicurezza gli episodi esaminati al di fuori delle fattispecie disciplinari.

6.3.- Si è, al riguardo, anche di recente affermato che, al fine di irrogare al pubblico dipendente una sanzione disciplinare non occorre che sul procedimento penale avviato per i medesimi fatti a lui imputati si sia formato il giudicato di condanna, essendo vero il contrario, e cioè che, ai sensi dell'art. 653 c.p.p., per escludere la veridicità dei fatti assunti a fondamento del procedimento disciplinare occorre un giudicato assolutorio circa l'insussistenza del fatto o la mancata commissione dello stesso da parte del dipendente pubblico. Mentre nelle rimanenti ipotesi di conclusione del giudizio, per le quali non si è giunti ad una condanna in conseguenza dell'intervento di cause di prescrizione o di altre cause di estinzione del reato, non si ha un giudicato sulla commissione dei fatti di carattere assolutorio e l'Amministrazione può legittimamente utilizzare a fini istruttori gli accertamenti effettuati nella sede penale senza doverli ripetere, salva la possibilità del dipendente di addurre elementi ed argomenti che, qualora dotati di oggettivo spessore e valenza, devono essere adeguatamente ponderati (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5344 del 17 ottobre 2012).

6.4.- Nella fattispecie, peraltro, i fatti per i quali è stata inflitta al signor S la sanzione disciplinare della destituzione erano stati confermati nelle diverse fasi, che si sono ricordate, del giudizio penale, senza che fossero possibili elementi diversi di valutazione.

6.5.- In conseguenza, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., risulta esente dalla censura sollevata il provvedimento adottato dall’Amministrazione.

7.- La sentenza appellata non risulta condivisibile nemmeno nella parte in cui ha ritenuto sproporzionata la misura della sanzione irrogata al signor S, per essere stata « comminata a distanza di 9 anni di distanza dai fatti ascritti, senza tener conto che ben poco era residuato dall’originaria imputazione, e ( ciò che più rileva) mostrando di ignorare il fatto che ormai da anni l’interessato non è più nella possibilità di in qualche modo nuocere all’Amministrazione in quanto collocato a riposo per inidoneità fisica ».

A tal proposito lo stesso T.A.R. aveva giustamente ricordato che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nel procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti, l’Amministrazione è titolare di un’ampia discrezionalità in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da infliggere, in considerazione degli interessi pubblici che devono essere attraverso tale procedimento tutelati.

La giurisprudenza ha quindi affermato che il provvedimento disciplinare sfugge ad un pieno sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, non potendo in nessun caso quest’ultimo sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall’Amministrazione, salvo che le valutazioni siano inficiate da travisamento dei fatti ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3125 del 21 maggio 2009, sez. IV, n. 512 del 14 febbraio 2008).

7.1.- Ciò chiarito, nella fattispecie, la gravità della vicenda che ha interessato il signor S non può far ritenere manifestamente sproporzionata, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., la sanzione della destituzione dal servizio irrogata nei suoi confronti.

Infatti, come si è ricordato, il signor S era stato ritenuto colpevole dei reati di corruzione e rivelazione di segreto di ufficio (in tutti i gradi di giudizio) ed era stato infine assolto solo per intervenuta prescrizione a causa del tempo trascorso.

7.2.- Né risulta manifestamente irragionevole l’irrogazione della sanzione in relazione al tempo trascorso dalla vicenda che aveva dato luogo al giudizio penale, considerato che il procedimento disciplinare è stato portato a termine solo dopo la conclusione della lunga vicenda penale.

7.3.- Nemmeno può avere rilievo la circostanza che, nelle more, l’interessato era stato dispensato dal servizio (con decreto del 18 marzo 2006, peraltro oggetto di annullamento in autotutela da parte dell’Amministrazione con decreto del 3 febbraio 2014), tenuto conto che, a prescindere da ogni altra considerazione, l’Amministrazione aveva comunque il dovere di regolare il periodo (decorrente dal 9 maggio 2002) durante il quale l’interessato era stato sospeso dal servizio e dalla retribuzione.

8.- Resta da aggiungere, con riferimento alle altre censure sollevate in primo grado, che sono state assorbite dal T.A.R. e sono state richiamate dal sig. S con la memoria di costituzione, che l’adozione del provvedimento di dispensa dal servizio per inabilità fisica non priva l’Amministrazione del potere di definire il procedimento disciplinare avviato per fatti precedenti soprattutto quando l’interessato per tali fatti è stato sospeso in via cautelativa dal servizio con riduzione della retribuzione. Altrimenti, venendo meno con la mancata instaurazione del procedimento disciplinare o con l’estinzione del procedimento disciplinare già avviato, gli effetti della sospensione dal servizio, l’interessato avrebbe poi diritto alla integrale ricostruzione della sua posizione economica pur non avendo svolto il servizio per fatti comunque a lui imputabili.

9.- Infondato è, infine, il motivo con il quale il signor S ha lamentato, anche in appello, la mancata osservanza dei termini stabiliti per la conclusione del procedimento disciplinare.

Il termine massimo (di complessivi 270 giorni) previsto per la conclusione del procedimento disciplinare (art. 9 della legge n. 19 del 1990) si deve, infatti, ritenere rispettato ove prima del suo decorso sia stato adottato il provvedimento sanzionatorio, risultando irrilevante la circostanza che lo stesso sia stato solo successivamente notificato poiché la comunicazione all'interessato dell'atto sanzionatorio si colloca al di fuori del procedimento disciplinare, riguardando esclusivamente la fase del perfezionamento dell’efficacia dell’atto nei confronti del destinatario della sanzione medesima, e non assume rilievo ai fini del rispetto dell'anzidetto termine di decadenza (Consiglio di Stato, sez. III, n. 2264 del 18 aprile 2012).

9.1.- Mentre, del tutto irrilevante, ai fini della legittimità del provvedimento impugnato, risulta l’asserito mancato rispetto di termini previsti per la fase istruttoria.

10.- Per tutte le ragioni esposte, l’appello è fondato e deve essere quindi accolto.

Per l’effetto, in integrale riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione I, n. 1 del 7 gennaio 2013, deve essere respinto il ricorso di primo grado.

11.- Considerata la natura della questione trattata si ritiene di poter disporre la compensazione integrale fra le parti delle spese e competenze del doppio grado di giudizio.

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