Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-05-10, n. 201302559

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-05-10, n. 201302559
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201302559
Data del deposito : 10 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01125/2012 REG.RIC.

N. 02559/2013REG.PROV.COLL.

N. 01125/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1125 del 2012, proposto da D A, D E e F V in proprio e, rispettivamente, nella qualità di titolare, di coltivatore diretto e proprietario e di coltivatrice diretta e proprietaria dell'Azienda agricola Mimmole, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato F L e dall’avvocato F G, con domicilio eletto presso lo studio legale del primo in Roma, via del Viminale, 43;

contro

La Rete Ferroviaria Italiana Spa (RFI), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato F A, con domicilio eletto presso la signora S P in Roma, via Giovanni Nicotera, 29;
la Prefettura di Firenze – UTG -, in persona del Prefetto legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE I n. 1751/2011, resa tra le parti, concernente domanda di restituzione di aree oggetto di procedura espropriativa già dichiarata illegittima con sentenza dell’Adunanza plenaria n. 3 del 2000 e di risarcimento dei danni;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Rete Ferroviaria Italiana Spa e dell’Ufficio U.T.G. - Prefettura di Firenze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2013 il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Grignolio, l’avvocato Paradisi per delega dell’avvocato Alcaro e l’avvocato dello Stato D'Ascia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- E’ impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Toscana 17 novembre 2011 n. 1751 che ha dichiarato inammissibile, per violazione del principio processuale del ne bis in idem , il ricorso proposto dalle odierne parti appellanti per la restituzione, previa riduzione in pristino, di un’area di loro proprietà, sita in Fiesole loc. Caldine ed estesa circa mq 4.953, già oggetto di procedura espropriativa dichiarata illegittima con sentenza definitiva di questo Consiglio di Stato nonché per il risarcimento dei danni consequenziali.

Gli appellanti censurano la sentenza impugnata per aver dichiarato inammissibile il ricorso sull’erroneo rilievo della identità di petitum tra la presente controversia, avente essenzialmente natura reipersecutoria, e quella, definita con pronuncia di rigetto passata in giudicato, avente ad oggetto una richiesta risarcitoria conseguente al verificarsi, in relazione allo stesso terreno, di un’ipotesi di accessione invertita .

Gli appellanti insistono per il riconoscimento della fondatezza della loro pretesa restitutoria, assumendo di essere a tutt’oggi proprietari dell’area, abusivamente trasformata dal soggetto a cui favore era stata promossa la espropriazione (Rete ferroviaria italiana spa;
in seguito “RFI”) e destinata in parte a superficie ferroviaria, in parte a stazione ferroviaria ed in parte ad opere a servizio (parcheggio e viale di accesso). Deducono che, in difetto di un provvedimento ablatorio o comunque di altro titolo idoneo al trasferimento in capo al gestore della rete ferroviaria del bene di loro proprietà, il terreno illegittimamente occupato (per come definitivamente statuito da questo Consiglio di Stato con sentenza dell’Adunanza plenaria 24 gennaio 2000, n. 3) dovrebbe essere loro restituito, previa la sua riduzione al pristino stato a cura e spese di RFI, salvo in ogni caso il diritto al risarcimento dei danni ulteriori.

Concludono per l’accoglimento, con l’appello, del ricorso di primo grado, in riforma integrale della impugnata sentenza.

Si sono costituite le parti intimate per resistere al ricorso in appello e per chiederne la reiezione.

All’udienza del 23 aprile 2013 la causa è stata trattenuta per la sentenza.

2.- L’appello è fondato e va accolto nei sensi e limiti di cui appresso.

Giova premettere, per una migliore comprensione della vicenda:

- che con sentenza n. 3 del 2000 dell’Adunanza. plenaria di questo Consiglio di Stato sono stati annullati, per vizio inerente la omessa comunicazione d’avvio del procedimento funzionale alla dichiarazione di pubblica utilità, i seguenti atti della procedura espropriativa relativa al terreno di proprietà degli odierni appellanti : 1) la deliberazione del responsabile della Vice direzione Progetti delle Ferrovie dello Stato 30 agosto 1995 n. 32, recante l’approvazione del progetto di realizzazione della stazione ferroviaria e delle opere annesse e la connessa dichiarazione implicita di pubblica utilità dell’opera;
2) il decreto del Prefetto di Firenze 5 gennaio 1996 n. 953 di autorizzazione alla occupazione d’urgenza del terreno;

- che con sentenza del Tar della Toscana n. 5056 del 2003 (confermata con sentenza di questo Consiglio di Stato n. 3727 del 2009) è stato respinto, per ritenuta carenza di colpa in capo al soggetto occupante, il ricorso proposto dagli odierni appellanti per il risarcimento del danno subito in conseguenza della occupazione sine titulo del terreno di loro proprietà da parte della RFI;

- che con la sentenza oggetto dell’appello in esame è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto dagli odierni appellanti per la restituzione del bene sottoposto a procedimento espropriativo, sul rilievo processuale dell’essere tale domanda assorbita nella richiesta risarcitoria già rigettata con sentenza definitiva, dovendo in tale decisum ritenersi ricompreso, secondo la tradizionale espressione di matrice processualcivilistica, il “dedotto ed il deducibile”.

3.- Tanto premesso, osserva il Collegio come sia meritevole di condivisione la preliminare censura degli appellanti che ha evidenziato l’erroneità della impugnata sentenza nella parte in cui ha ravvisato la violazione del principio processuale del ne bis in idem ed ha conseguentemente dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado.

3.1 -Non par dubbio che nel presente giudizio la pretesa principale fatta valere dagli originari ricorrenti sia quella alla restituzione di un bene illegittimamente occupato dalla Amministrazione (come sancito con la citata sentenza dell’Adunanza plenaria n. 3 del 2000) mai oggetto di decreto di esproprio (ovvero di altro atto di trasferimento capace di estinguere il diritto dominicale degli appellanti, quale la cessione bonaria ovvero il provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001).

Si tratta pertanto di una tipica azione reipersecutoria, portata alla cognizione del giudice amministrativo, che ne conosce in sede di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art.133, comma 1, lett. g), del Codice del processo amministrativo, in quanto strettamente connessa ad una procedura espropriativa;
i fatti generatori dell’obbligazione restitutoria dedotta in questa sede scaturiscono pur sempre da atti amministrativi (e cioè gli atti, dichiarati illegittimi, recanti l’approvazione del progetto dell’opera pubblica contenente la dichiarazione implicita di pubblica utilità e l’autorizzazione prefettizia all’occupazione d’urgenza), che integrano comportamenti ricollegabili all’esercizio del potere espropriativo, dei quali il giudice amministrativo conosce in sede di giurisdizione esclusiva ai sensi della richiamata disposizione processuale.

3.2- Quanto al giudizio conclusosi in primo grado con la sentenza del Tar Toscana n. 5056 del 2003, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 3727 del 2009, a formare oggetto di giudizio era esclusivamente la domanda risarcitoria avanzata dalle odierne parti appellanti in relazione ad una ipotizzata “accessione invertita”, e cioè in base a quella fattispecie, di conio giurisprudenziale, di acquisizione in via di fatto di beni di proprietà privata da parte della pubblica amministrazione mercé la loro irreversibile trasformazione e destinazione effettiva a finalità di interesse pubblico.

3.3- Risulta pertanto evidente la diversità di petitum sostanziale (e cioè della pretesa in concreto fatta valere, in relazione alla causa petendi ) azionato nei distinti giudizi;
in questa sede la domanda è essenzialmente restitutoria, dato che gli appellanti intendono in prima battuta rientrare in possesso del loro bene, mai legittimamente espropriato dalla Amministrazione, e solo in via subordinata ne chiedono il “risarcimento del danno”, alla stregua di compenso per la perdita del bene ove la restituzione non fosse più possibile. Con tale ultima espressione essi infatti intendono rivendicare il diritto ad ottenere il controvalore dell’immobile (e così intesa, d’altra parte, la domanda non incontra il divieto di bis in idem ), e ciò per il caso ch’essi non riescano ad ottenerne la restituzione in natura.

Nel distinto ricorso definito con le richiamate sentenza di rigetto, invece, la causa petendi (e, per l’effetto, il petitum sostanziale ) era significativamente diversa, posto che gli stessi ricorrenti, stante la trasformazione del loro terreno, davano per verificata una ipotesi di “accessione invertita” (secondo la richiamata costruzione giurisprudenziale definita all’epoca ma ormai superata, come subito si dirà, dall’evoluzione normativa e giurisprudenziale successiva) e chiedevano il risarcimento dei danni consequenziali quale unico rimedio riparatorio accessibile nella fattispecie data (in base alla ormai risalente elaborazione della Corte di cassazione – inaugurata dalla storica sentenza 26 febbraio 1983 n.1464 – l’Amministrazione diveniva proprietaria del bene privato attraverso l’occupazione dello stesso, la sua irreversibile trasformazione e la destinazione a finalità pubblicistiche, a prescindere dall’adozione o meno di atti espropriativi legittimi).

Ritiene il Collegio che anche ove volesse ritenersi che, con la proposizione dell’azione risarcitoria, gli odierni appellanti abbiano inteso implicitamente rinunciare, stante l’alternatività dei rimedi, all’azione restitutoria, nondimeno non par dubbio che a tale rinuncia, formulata all’interno di un contesto normativo e giurisprudenziale ben diverso da quello vigente all’epoca della proposizione del ricorso di primo grado, non potrebbe in alcun modo attribuirsi un effetto abdicativo della proprietà in favore dell’Amministrazione, essendo tale conclusione in contrasto con l’esigenza di una piena tutela del diritto di proprietà, la quale esige che l’effetto traslativo consegua a una volontà espressa ed inequivoca del proprietario interessato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290 e 28 gennaio 2011 n.676).

3.4- Proprio tale ultima considerazione, in ordine al carattere necessitato, nel previgente sistema, della tutela riparatoria per equivalente, quante volte si fosse verificata la irreversibile trasformazione dei terreni e la loro destinazione alle finalità di pubblico interesse sottese alla iniziativa espropriativa, induce vieppiù a ritenere erronea l’affermazione del Giudice di primo grado riguardo agli effetti estensivi del giudicato di rigetto formatosi sulla domanda risarcitoria, che giungerebbe al risultato estremo di inibire la tutela restitutoria in quanto domanda deducibile ( ed in concreto mai dedotta) nel giudizio ad oggetto risarcitorio.

4.- Ciò premesso in ordine alla erroneità della declaratoria di inammissibilità del ricorso originario, il Collegio deve altresì rilevarne la sua fondatezza nel merito.

Come già anticipato, con sentenza definitiva di questo Consiglio di Stato (Ad. plen. 24 gennaio 2000 n. 3) sono stati annullati gli atti recanti l’approvazione del progetto dell’opera e la connessa dichiarazione implicita di pubblica utilità (conseguente all’applicazione della legge n. 1 del 1978), nonché in via consequenziale il provvedimento prefettizio autorizzativo della occupazione d’urgenza.

Dopo tale definitiva pronuncia caducatoria, nessun atto della procedura espropriativa risulta adottato;
in particolare, non è mai stato emanato il decreto di esproprio o, in sua alternativa, atti (di acquisizione sanante o di cessione volontaria) che abbiano potuto avere l’analogo effetto del trasferimento alla mano pubblica del bene privato.

4.1 Il fatto che il terreno sia stato trasformato con la realizzazione della stazione ferroviaria (e delle opere annesse) non è circostanza in sé ostativa all’accoglimento della domanda restitutoria.

Questo Consiglio di Stato ha più volte ribadito (sez. IV: 30 gennaio 2006, n. 290;
7 aprile 2010, n. 1983) che l’intervenuta realizzazione dell'opera pubblica non fa venire meno l'obbligo dell'amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, in quanto – come già detto - deve ritenersi superata (e non più ammessa dall’ordinamento) l’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all’irreversibile trasformazione effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato illegittimamente ablato.

In base alla sopravvenuta giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza Cedu 30 maggio 2000, ric. 31524/96). In tale ultima decisione i giudici di Strasburgo hanno infatti ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisca impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità - occupazione acquisitiva o usurpativa - di acquisizione del terreno.

4.2 Per tali ragioni, il proprietario del terreno illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell'occupazione e l'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare in giudizio sia il risarcimento del danno, sia la restituzione del terreno, previa la sua riduzione in pristino.

La realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in fatti o comportamenti materiali (Cons. Stato, sez. IV: 29 agosto 2012, n. 4650;
27 gennaio 2012, n. 427).

Peraltro, l’azione restitutoria, essendo posta a riparazione di un illecito permanente (i.e., l’occupazione sine titulo ;
cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6012), è imprescrittibile e può essere proposta senza limiti di tempo (salvi gli effetti della usucapione);
in particolare, detta azione non soggiace al termine decadenziale di 120 giorni previsto dall’art. 30, comma 3, del Codice per il processo amministrativo.

Infatti, l’art. 30, comma 3, del Codice riguarda la domanda di risarcimento per lesioni di interessi legittimi, mentre nel caso in esame – con l’annullamento degli atti di natura ablatoria, su cui si è già formato il giudicato – gli interessati hanno chiesto la tutela del loro diritto di proprietà, attualmente ancora leso dal possesso altrui (da qualificare sine titulo) .

5. - Tanto premesso in ordine alla ammissibilità ed alla fondatezza dell’azione restitutoria proposta dagli odierni appellanti con il ricorso di primo grado, il Collegio non può tuttavia omettere di considerare che sul terreno oggetto di causa insistono una stazione ferroviaria e opere infrastrutturali essenziali per l’esercizio del servizio pubblico di trasporto.

L’Autorità espropriante dispone oggi dello strumento giuridico idoneo ad acquisire definitivamente alla mano pubblica l’area ove sorgono la stazione ferroviaria e le opere annesse, corrispondendo ai legittimi proprietari il giusto indennizzo, che è dato dall’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001(recante il Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità), introdotto a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 43 dello stesso Testo unico, per difetto di delega, pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 293 del 2010.

L’art. 42 bis , infatti, come già in precedenza evidenziato da questo Consiglio di Stato riguardo all’analoga ratio dell’art. 43 (Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830), è stato emanato per consentire una ‘legale via di uscita’ per i moltissimi casi in cui una pubblica amministrazione (ovvero un soggetto privato da essa immesso nel possesso di un bene altrui in esecuzione di una ordinanza di occupazione d’urgenza) avesse occupato senza titolo un’area di proprietà privata, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio.

L’articolo in questione, inserito nel Testo unico degli espropri dal decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (art. 34), convertito nella legge n. 2011, ha dunque reintrodotto, con diversa disciplina, il potere discrezionale già attribuito dall’art. 43: l’amministrazione - valutate le circostanze e comparati gli interessi in conflitto – può decidere se demolire in tutto o in parte l’opera (affrontando le relative spese) e restituire l’area al proprietario, oppure se disporre l’acquisizione (evitando che sia demolito, paradossalmente, quanto altrimenti risulterebbe meritevole di essere ricostruito).

L’art. 42 bis prevede infatti, al comma 1, che l’Amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, possa disporre, con formale provvedimento, l’acquisizione del bene, con la corresponsione al privato di un indennizzo per il pregiudizio subito, patrimoniale e non patrimoniale;
al comma 8 prevede poi che le sue disposizioni “ trovano altresì applicazione ai fatti anteriori ”, sicché esso si applica senza alcun dubbio anche nella fattispecie in esame.

6. Anche nell’attuale quadro normativo, l’Amministrazione ha dunque l’obbligo giuridico di far venir meno la occupazione sine titulo e cioè deve adeguare la situazione di fatto a quella di diritto.

In particolare, la stessa o deve disporre la restituzione del terreno ai legittimi titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la riduzione in pristino, oppure deve attivarsi perché vi sia un titolo di acquisto dell’area da parte del soggetto attuale possessore.

7. Nel caso di specie la rilevanza dell’art. 42 bis citato appare indubbia, poiché sull’area occupata senza titolo (in base agli atti annullati in sede di giustizia amministrativa) sono state realizzate opere di sicuro interesse pubblico, in quanto funzionali all’esercizio di un servizio pubblico essenziale (quale appunto il trasporto ferroviario).

Ritiene la Sezione che, come stabilito in analoga vicenda (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1° dicembre 2011, n. 6351) in assenza di atti di natura acquisitiva o ablatoria o di contratti di acquisto delle relative aree, sussiste il potere-dovere di questo giudice amministrativo di avvalersi (anche per il tramite del commissario ad acta ) di tutti i mezzi per far luogo – con le necessarie cautele per la pubblica incolumità –alla materiale rimozione delle opere che attualmente risultano sui terreni in proprietà degli appellanti, per disporne la restituzione conformemente alla loro domanda.

Tuttavia, ritiene anche la Sezione che, in attesa delle determinazioni che gli organi competenti assumeranno ai sensi dell’art. 42 bis , essa debba tenere in debito conto le esigenze di interesse pubblico che militano nel senso del provvisorio mantenimento della rete e della stazione ferroviaria.

8. La Sezione ritiene che la competenza sulla gestione della vicenda (con l’alternativa tra l’emanazione dell’atto di acquisizione ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001 e la materiale demolizione delle opere al fine restitutorio) sia del Prefetto di Firenze, che ebbe ad emanare l’atto autorizzativo dell’occupazione d’urgenza in favore di Rete ferroviaria italiana spa.

9.- Pertanto, sulla scorta delle considerazioni che precedono, il Collegio dispone che:

a) entro il termine di centoventi giorni (decorrente dalla comunicazione o dalla previa notifica della presente sentenza), il Prefetto di Firenze (ovvero un funzionario da questi delegato, che agisca sotto la sua diretta vigilanza), trasmetta ai proprietari – per il tramite del loro difensore costituito nel presente giudizio – l’avviso di avvio del procedimento previsto dall’art. 42 bis del Testo unico degli espropri, consentendo loro, entro un termine non inferiore a sette giorni e non superiore a trenta dal ricevimento della comunicazione, di rappresentare le proprie valutazioni sulla complessiva vicenda, anche in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico tale da giustificare l’emanazione dell’atto di acquisizione, sia sul valore dell’area in questione (specificando, sulla base dei criteri contestualmente esplicitati, il suo ipotizzato valore complessivo ovvero computandolo a metro quadrato);

b) decorsi i medesimi termini, entro i successivi sessanta giorni, il Prefetto ovvero il suo delegato:

b1) debba emanare il formale provvedimento di acquisizione dell’area, ai sensi dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, disponendo che l’onere finanziario del pagamento dell’indennizzo ricada a carico della società Rete ferroviaria italiana spa, che sarebbe risultata beneficiaria nel caso di emanazione del decreto di esproprio;

b 2) in alternativa, lo stesso Prefetto di Firenze debba emettere un atto formale, in cui dichiari che non ritiene sussistenti i presupposti di emanazione dell’atto di acquisizione previsto dall’art. 42 bis , disponendo contestualmente per la materiale demolizione della stazione ferroviaria e delle opere annesse realizzate sul terreno.

Il Prefetto di Firenze, non appena avrà emanato uno dei due provvedimenti alternativi previsti dalle precedenti lettere b1) e b2), invierà una articolata e documentata relazione alla Segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato.

10. La Sezione è consapevole della delicatezza degli interessi coinvolti e della nettezza delle misure sopra statuite, ma non può che evidenziare che in uno Stato di diritto – anche in base agli articoli 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo – le decisioni di giustizia, divenute irrevocabili, devono essere eseguite.

E nella specie l’adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto può avere luogo – come sopra rilevato - o con la riduzione in pristino del terreno e la sua restituzione in favore dei proprietari (con la spettanza in tal caso anche del risarcimento del danno derivante dal ritardo della consegna) o con la emanazione del provvedimento di acquisizione (con la spettanza in tal caso dell’indennizzo di cui all’art. 42 bis ).

11..- Va da sé che, in attesa delle determinazioni amministrative da adottare in esecuzione della presente sentenza, nessuna somma può essere liquidata allo stato agli appellanti, tanto più che la valutazione della congruità dell’eventuale indennizzo che sarà liquidato in base all’art. 42 bis citato esula dall’ambito cognitorio di questa giurisdizione (ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), del Codice del processo amministrativo), sussistendo nella materia la competenza funzionale in unico grado della Corte d’appello competente per territorio.

12.- Le spese del doppio grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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