Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-01-20, n. 202200358

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-01-20, n. 202200358
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202200358
Data del deposito : 20 gennaio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/01/2022

N. 00358/2022REG.PROV.COLL.

N. 04505/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4505 del 2015, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato M C, domiciliato in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso lo studio Studio Legale Pinto in Roma, via Ferrari n. 11;

contro

Comune di Prato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati M C, P T, domiciliato in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso lo studio M C in Roma, viale Liegi 32;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. -OMISSIS-/2014, resa tra le parti, concernente diniego parziale di condono edilizio.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Prato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 dicembre 2021 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti gli avvocati Cipriani Michele;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La parte appellante impugna la sentenza del 27.10.2014, n. -OMISSIS-, del T.A.R Toscana, Sezione Terza, con cui è stato rigettato il ricorso per l’annullamento del provvedimento 15.10.1999 (p.g. 67047) del Dirigente del Servizio Condono Edilizio del Comune di Prato, recante diniego parziale di condono edilizio.

In particolare, la società D. era proprietaria di una abitazione unifamiliare posta nel Comune di Prato, sulla quale sono state realizzati interventi edilizi senza il necessario titolo abilitativo, asseritamente nel periodo compreso tra il 1992 e la fine del 1993.

La medesima società ha presentato, in data 3 maggio 1994, domanda di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 per le suddette opere abusive, senza tuttavia inserire nella domanda un’autorimessa posta nel resede di pertinenza dell’abitazione, che secondo l’odierno appellante, sarebbe stata già realizzata, ma non menzionata in quanto mancava per questo manufatto il requisito della “doppia conformità”.

A seguito dell’entrata in vigore della legge sul c.d. secondo condono edilizio, è stata presentata in data 25 febbraio 1995, una domanda di sanatoria che comprende l’autorimessa.

Con il provvedimento p.g. n. 67047 del 15 ottobre 1999, il Comune di Prato ha respinto la domanda di sanatoria straordinaria con riferimento alla già citata autorimessa, sulla scorta della motivazione che la stessa non sarebbe stata realizzata entro il 31 dicembre 1993, come risulterebbe dalla documentazione allegata da parte ricorrente alla precedente domanda di sanatoria “ordinaria”, di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985.

La predetta società ha impugnato dinanzi al T.A.R Toscana il richiamato provvedimento comunale, formulando le seguenti censure:

- “Violazione e/o erronea applicazione di legge (art. 31 ss. legge n. 47 del 1985, come modificato dall’art. 39 della legge n. 724 del 1994). Eccesso di potere per difetto dei presupposti”.

Secondo la parte ricorrente le opere sarebbero state ultimate nel settembre 1993, come risulta dalle fatture di acquisto dei materiali, dalla dichiarazione resa dal committente, dalla dichiarazione dell’esecutore dei lavori e dal vicino di casa, dalla foto aerea del 20.10.1993, nonché dalla sentenza penale del Pretore di Prato n. 48 del 1999;

- “Eccesso di potere per difetto di istruttoria, per travisamento e/o erronea rappresentazione dei fatti”.

E’ stato contestato, in particolare, il richiamo nel provvedimento impugnato alle foto allegate alla domanda di sanatoria del 3 maggio 1994, evidenziando che quelle foto erano state scattate nel 1991 e sviluppate nuovamente nel 1994 per poterle allegare alla domanda di sanatoria ordinaria, che non comprendeva però l’autorimessa;

- “Violazione di legge (art. 654 c.p.p.) per contrasto con il giudicato penale”, che ha assolto R.G. per non aver realizzato l’autorimessa in epoca posteriore al 31.12.1993;

- “Violazione e/o omessa applicazione di legge (artt. 3, 7, 8, 9, 10 legge 241/90). Eccesso di potere per difetto di motivazione e violazione del giusto procedimento amministrativo”.

E’ stata omessa la previa comunicazione di avvio del procedimento e non essendo stata motivata la presenza di una particolare urgenza di decidere.

Il Comune di Prato si è costituito in giudizio per resistere al ricorso.

L’adito T.A.R., con la sentenza del 27.10.2014, n. -OMISSIS-, gravata in questa sede, ha rigettato il ricorso sulla base delle motivazioni che seguono.

La sentenza in esame ha rilevato l’infondatezza delle censure mosse al provvedimento impugnato,

laddove ha negato la sanatoria del manufatto realizzato nel resede dell’abitazione e destinato a rimessa auto, ritenendo fondata l’argomentazione dell’Amministrazione secondo cui il manufatto sarebbe stato ultimato oltre il termine legale del 31.12.1993, previsto dalla legge per l’accoglibilità dell’istanza di condono edilizio.

Il giudice di primo grado, valutati gli atti allegati al giudizio, ha, infatti, ritenuto non convincente la dichiarazione, contenuta in sede di domanda di condono edilizio, che il manufatto sia stato ultimato prima del 31.12 1993, prendendo in esame gli argomenti di fatto favorevoli all’Amministrazione e quelli contrari dedotti dalla società ricorrente.

In proposito, la decisione in questione ha rilevato che “ il profilo motivazionale centrale dell’atto gravato, in punto di avvenuta realizzazione dell’autorimessa oltre il termine legale del 31 dicembre 1993, è dato dall’esame delle foto prodotte all’Amministrazione dalla stessa società ricorrente a corredo, non già della domanda di sanatoria straordinaria presentata in data 25 febbraio 1995 (ai sensi dell’art. 39 della legge 724 del 1994), bensì in allegato alla precedente domanda di sanatoria ordinaria (ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985) presentata in data 3 maggio 1994, che non aveva ad oggetto l’autorimessa di cui qui si discute. L’esame delle foto allegate alla domanda presentata in data 3 maggio 1994 (cfr. doc. 4 dell’Amministrazione) evidenzia l’assenza del manufatto in questione, circostanza questa pacifica tra le parti.

La società ricorrente evidenzia però che quelle foto, pur allegate ad una pratica del 1994, sarebbero state in realtà scattate nel 1991, secondo la dichiarazione giurata resa dallo stesso legale rappresentante della società (doc. 24 di parte ricorrente).

Il Collegio ritiene poco convincente quanto sostenuto da parte ricorrente;
da un lato l’affermazione che le foto prodotte all’Amministrazione nel maggio del 1994 sarebbero state scattate nel 1991 non risulta in alcun modo provata, non potendo certo ritenere che costituisca prova la dichiarazione dello stesso legale rappresentante della società;
dall’altro si tratta di affermazione che richiama una condotta illogica e violativa di canoni di diligenza e buona fede nei rapporti con l’Amministrazione, canoni che impongono che la situazione fattuale rappresentata da foto allegate ad un’istanza di sanatoria (quella del maggio 1994) corrispondano allo stato attuale dei terreni e degli edifici e non già allo stato pregresso, risalente ad anni addietro. Tale profilo motivazionale risulta quindi dotato di intrinseca forza.

Ma il Comune di Prato ha altresì versato in atti il verbale del sopralluogo effettuato dalla vigilanza edilizia in data 28 gennaio 1994 (doc. 5 dell’Amministrazione) nel quale si dà atto dello stato dei luoghi descritto in termini analitici dagli accertatori senza che risulti la presenza dell’autorimessa, che, se realizzata anni prima senza titolo, ben avrebbe dovuto attrarre l’attenzione degli uomini della vigilanza edilizia della polizia municipale.

Il quadro probatorio che emerge dall’insieme di questi due dati (foto allegata alla sanatoria del maggio 1994, verbale di accertamento del gennaio 1994) appaiono al Collegio ben idonei a dimostrare l’assunto dell’Amministrazione, secondo il quale alla data del 31 dicembre 1993 l’autorimessa non era stata ancora realizzata.

La società ricorrente cerca di fornire prove in senso opposto, ma gli elementi indiziari indicati non paiono idonei a scalfire la forza probante dei due dati sopra ricordati (foto e verbale di sopralluogo). In primo luogo parte ricorrenti produce dichiarazioni di terzi che attestano la data di realizzazione del manufatto, ma la Sezione ha già avuto modo di chiarire che le dichiarazioni di terzi non appaiono idonee a comprovare la data di realizzazione di opere edilizie “non essendo loro riconosciuto valore probatorio nel processo amministrativo” (sentenze n. 795 del 2014 e n. 797 del 2013;
cfr. anche Cons. Stato, sez. 4^, 7 agosto 2012, n. 4527;
TAR Puglia – Lecce, sez.3^, 10 ottobre 2013, n. 2116). Ma neppure le fatture di acquisiti dei materiali, prodotte da parte ricorrente, risultano idonee a comprovare adeguatamente la data di ultimazione della edificazione, non essendoci alcun possibile riscontro sull’utilizzo di quei materiali e dunque essendo documenti non dotati di specifica e consistente forza probante in ordine alla data di ultimazione dei lavori. Quanto alla foto aerea del 20 ottobre 1993 risulta difficilmente intelligibile ed è stata interpretata dall’Amministrazione (cfr. doc. 10 della difesa comunale) come non probante, giacché “evidenzia presumibilmente una platea di cemento e non un volume fuori terra, in quanto non è presente la proiezione d’ombra come evidenziata dagli edifici contigui
”;
dunque si tratta di un elemento indiziario, ma di portata equivoca e non decisiva.

Con il terzo mezzo parte ricorrente rileva che il provvedimento qui gravato contrasta con il giudicato penale formatosi sulla sentenza di assoluzione di R.G., legale rappresentante della ricorrente, dal quale risulterebbe che l’autorimessa non è stata realizzata in epoca posteriore al 31 dicembre 1993.

La censura è infondata.

La sentenza del Pretore di Parto del 9 febbraio 1999 (doc. 23 di parte ricorrente) esprime sul punto considerazioni tutt’altro che certe;
si legge che né l’escussione dei testi né l’esame del materiale fotografico ha dato riscontri certi (“tale essendo il quadro probatorio non si possono fare affermazioni certe”) e il giudicante esprime addirittura il dubbio che “la rimessa fosse stata effettivamente posta in essere prima della fine del 1993, ma che possa essere stata temporaneamente smontata dall’imputato in vista del sopralluogo della polizia municipale del gennaio 1994 e poi rimontata”. È certo che la sentenza penale in considerazione non afferma dunque con certezza, come sembra sostenere parte ricorrente, l’infondatezza della tesi della edificazione del manufatto dopo il 1993 tanto che l’assoluzione è stata pronunciata ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p. (che sostituisce, in concreto, la formula dell’assoluzione per insufficienza di prove vigente anteriormente alla riforma del codice del processo penale). Ed è proprio dalla incertezza di quella sentenza che prende avvio il provvedimento qui oggetto di impugnazione, ricavandone la ipotizzabilità dell’ultimazione dell’edificazione successiva al 31.12.1993.

Con il quarto motivo parte ricorrente censura il provvedimento gravato per non essere lo stesso stato preceduto da comunicazione di avvio del procedimento.

La censura è infondata.

La Sezione ha a più riprese affermato che, per quanto concerne il diniego di condono, essendo stato tale provvedimento emesso a conclusione di un procedimento attivato ad istanza di parte, la comunicazione di avvio non era necessaria (cfr., ex multis, TAR Toscana, III, 7 maggio 2013, n. 724;
TAR Toscana, III, 9 luglio 2012, n. 1290;
Cons. St., VI, 8 giugno 2010, n. 3624)”.

La sentenza in esame è stata gravata dagli odierni appellanti.

Questi ultimi indicano che, more del giudizio, la proprietà del fabbricato oggetto dell’istanza di condono è stata trasferita dalla società D. in parti eguali indivise all’odierno appellante e A. G., con atto di compravendita dell'11.12. 1998, e che successivamente l’odierno appellante ha acquistato da A. G. la proprietà della quota del 50%, divenendone l'unico proprietario con atto notarile di compravendita.

Ne discenderebbe la successione a titolo particolare nella titolarità del diritto controverso, trasferita dalla società iniziale proprietaria all’odierno appellante in corso del giudizio, con il corollario che ai sensi dell'art.111 c.p.c., applicabile nel processo amministrativo in forza del richiamo dell'art.39 comma 1 c.p.a., la legittimazione a proporre appello averso la sentenza del T.A.R. Toscana n.-OMISSIS-/214 spetta anche al successore a titolo particolare, oltre che al legale rappresentante e Amministratore unico della cessata società già proprietaria R. G. (anch’esso appellante).

Gli indicati appellanti, dopo una minuziosa ricostruzione del giudizio di primo grado, hanno formulato articolati motivi di ricorso, in gran parte riproponendo le censure di primo grado.

In particolare, gli stessi hanno da un lato criticato le conclusioni raggiunte dal T.A.R. toscano, sulla base dell’esame dei documenti depositati in atti, sulla data di realizzazione dell’opera oggetto di istanza di condono, censurando peraltro la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta in sede istruttoria;
dall’altro hanno dedotto la violazione del giudicato penale della sentenza penale che ha assolto il rappresentante della società ricorrente in primo grado, che aveva presentato l’istanza di condono edilizio, e riproposto il vizio asseritamente derivante dalla mancata comunicazione del preavviso di rigetto e del difetto di motivazione.

In particolare, gli appellanti hanno formulato i seguenti rubricati motivi di appello:

I) Violazione e/o erronea applicazione di legge (art.31 e ss. legge 28.02.1985 n.47, come modificati dall'art.39 legge 23.12.1994 n.724). Eccesso di potere per difetto dei presupposti.

Secondo gli appellanti sarebbe errato l’assunto dell’intervenuta realizzazione del manufatto successivamente al 31 dicembre 1993 e l’adito T.A.R. avrebbe errato nel non ritenere decisive in tal senso le prove addotte dall’originaria società ricorrente.

Al riguardo, in favore della preesistenza a quella data del manufatto deponevano: - le fatture di acquisto dei materiali e le relative bolle di consegna registrate nei libri contabili della società ricorrente in primo grado;
- la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa dal proprietario e committente delle opere ai sensi dell'art.4 della L. 15/1968;
- le dichiarazioni sostitutive di notorietà rilasciate dal vicino di casa e dal muratore che avrebbe eseguito i lavori che collocano temporalmente la costruzione del garage in un periodo compreso fra marzo e novembre 1993;
- la sentenza penale del Pretore di Prato n. 48 del 1999 che ha assolto il rappresentante legale della società originaria ricorrente dal reato di cui all'art. 20 lett. b) della legge 47/85 perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e dal reato di cui all'art.483 c.p. perché il fatto non sussiste, concludendo che, " poichè... non si può affermare che si tratti di opera realizzata dopo il 1993, non si può dedurne che essa non possa con certezza beneficiare della procedura di condono di cui alla L. 724/94 ";
- la foto aerea del 20.10.1993;

Al riguardo l’appellante ha lamentato la mancata ammissione delle prove testimoniali chieste in giudizio dalla difesa di parte ricorrente, indicando che dato che il T.A.R. ha ritenuto non considerabili a fini probatori le dichiarazioni sostitutive di notorietà del vicino e dell’esecutore dei lavori, avrebbe dovuto ammettere la prova testimoniale in forma scritta nei loro confronti, integrando tale omissione, peraltro non motivata, vizio istruttorio del procedimento giurisdizionale di primo grado. Secondo gli appellanti, infatti, l'art.64 comma 2 c.p.a. non lascia al Giudice la discrezionalità di rifiutare l'ammissione della prova testimoniale, disponendo che, "salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti".

Sulla sentenza penale gli odierni appellanti rilevano che “ l'irrevocabile accertamento giudiziale in punto di fatto circa la realizzazione del manufatto in epoca antecedente al 31.12.1993 e la mancanza di prova della falsità della dichiarazione giurata del legale rappresentante della società ricorrente circa l'epoca di ultimazione del manufatto (settembre 1993), confermano che la fotografia (all. 2) allegata al verbale n.13 del 03.02.1994 della P.M. del Comune di Prato (doc. 5 et.) e scattata il 28.01.1994, raffigurante la recinzione dell'area di pertinenza dell'immobile posto in Prato …, non fornisce una veduta dell'area tale da ricomprendere il punto in cui è stata edificata l'autorimessa, che rimane molto spostata sulla sinistra rispetto all'area rappresentata nella fotografia… Tale fotografia - così come le altre scattate dalla P.M. nel corso dei sopralluoghi compiuti fra il febbraio e l'ottobre 1994 - non avvalora la tesi dell'Amministrazione comunale secondo cui l'autorimessa sarebbe stata realizzata dopo il 31.12.1993, atteso che inquadra l'area di pertinenza dell'abitazione delimitata da recinzione e cancello, spostata rispetto all'area in cui è stato edificato il garage in questione, come è confermato dalla fotografia con vista del cancello e della recinzione (abusi di cui al punto C indicato nell'atto notorio allegato alla domanda di condono) con cui è stata corredata la domanda ai sensi della L. 724/1994 (doc. 1 et.), in cui non è inquadrato il garage (abuso di cui al punto B) posto sull'estremo margine sinistro del resede antistante l'abitazione in posizione che - come confermano altresì le altre due fotografie allegate dalla domanda di condono - non è visibile dall'inquadratura di cui alla foto (all. 2) scattata il 28.01.1994 dai verbalizzanti della P.M. di Prato ed allegata al verbale n.13 del 03.02.1994. Diversamente da quanto ritenuto nella decisione appellata, il mancato rilievo della presenza del manufatto de quo nel sopralluogo della VV.EE. del 28.01.1994 e nella fotografia (all.2) scattata dai verbalizzanti nella circostanza (allegata al verbale del 03.02.1994) non prova pertanto l'assenza del manufatto oggetto di condono in data antecedente al 31 .12.1993 ”.

Sarebbe, di conseguenza, infondato l'assunto contenuto nella sentenza appellata secondo cui la fotografia scattata nel corso del sopralluogo della VV.EE. e il relativo verbale del 3.02.1994 costituirebbero elementi idonei a provare l'assunto dell'Amministrazione comunale secondo cui alla data del 31.12.1993 l'autorimessa non era ancora stata realizzata.

Gli odierni appellanti contestano, altresì, l’implausibilità affermata nella sentenza di primo grado riguardo alla circostanza che le foto allegate alla prima istanza si sanatoria, ai sensi dell’ art.13 L. 47/85, fossero risalenti al 1991 e non all’epoca di presentazione della medesima istanza.

Secondo gli appellanti sarebbe opinabile l'affermazione del Giudice di prime cure secondo cui sarebbe illogico aver allegato alla domanda di sanatoria del maggio 1994 fotografie dello stato dei luoghi scattate nel 1991.

Contestano, altresì, che sarebbe stata sottovalutata la rilevanza della dichiarazione giurata del 15.12.1999 del legale rappresentante della società già proprietaria nella quale quest'ultimo ha dichiarato innanzi al cancelliere del· Tribunale di Prato, sotto pena di responsabilità penale in caso di mendacio, che "tutte le fotografie allegate alla domanda di concessione edilizia in sanatoria ex art.13 L. 47/85, presentata in data 03.05.1994 (busta 197/94) al Comune di Prato e relative all'immobile posto in Prato, sono state scattate dal sottoscritto nell'anno 1991 e risviluppate nel 1994 dallo stesso, ai fini di poterle allegare alla pratica di concessione in sanatoria dei manufatti oggetto di sanatoria in quella circostanza”.

La parte appellante rileva, altresì, la sottovalutazione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa il 20.04.2015 ex DPR 445/2000 da D. M. (coniuge di G. R.) che materialmente si recò nel 1991 a ritirare il rullino fotografico presso lo studio fotografico dove furono fatte risvilppare e stampare, la quale ha confermato la circostanza che le fotografie in parola "furono scattate dal sig. G. R.nel 1991 e furono risviluppate nel 1994 per poter essere allegate alla domanda di concessione in sanatoria.

Secondo gli appellanti, contrariamente a quanto affermato nella decisione appellata, un elemento probatorio importante per dimostrare la realizzazione dell'autorimessa entro la fine del 1993 è costituito dalla foto "ripresa aerea della Regione Toscana 20.10.1993".

Tale ripresa aerea individuerebbe inequivocabilmente la presenza, alla data del 20.10.1993, del manufatto di forma trapezoidale adibito a garage - indicato nella cerchiatura in rosso - nel punto corrispondente a quello rappresentato nel grafico allegato alla domanda di condono - presentata il 25.02.1995. In proposito sarebbe destituita di fondamento la tesi dell'Amministrazione comunale secondo cui tale fotografia aerea, rilevando "solo la platea di cemento e non un volume fuori terra", non dimostrerebbe l'esistenza dell'autorimessa per il fatto che "non è presente la proiezione d'ombra come evidenziata negli edifici contigui".

Come risulta sia dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà allegata alla domanda di condono che dal verbale di sopralluogo della P.M. del 27.10.1994 del Comune di Prato, il manufatto in contestazione è stato realizzato con un'altezza media di 2,85 ml. da terra, variando in altezza da ml. 2,71 a ml. 2,90 al colmo.

Se, in base alle fotografie in atti, si confrontano l'altezza macroscopicamente inferiore dell'autorimessa rispetto agli edifici contigui adibiti a civile abitazione, aventi una altezza da terra di 10 ml., elevati due piani fuori terra e sormontati da tetto spiovente, è ragionevole ritenere anche ad un non esperto in materia che il manufatto condonato, per la ridotta altezza dal suolo, non ha un ingombro volumetrico capace di proiettare al suolo un cono d'ombra visibile dal punto di ripresa di una foto aerea scattata da 5.000 ml. di altezza da terra, come è la aerofotogrammetria della Regione Toscana del 20.10.1993. La conferma della fondatezza della tesi di parte ricorrente sarebbe fornita dalla perizia giurata del geom. A. B. del 13.04.2015 il quale, presa visione dell'autorimessa e della foto aerea della Regione Toscana del 20.10.1993, ha scientificamente accertato che "detto fabbricato non può generare un cono d'ombra con un'altezza di ml. 2,85 da un'altitudine di 5.000 ml.” La mancata proiezione al suolo del cono d'ombra non prova l'assenza del garage, mentre invece la sagoma trapezoidale rilevata nella foto aerea ne individua i contorni alla data del 20.10.1993, provando l'esistenza del manufatto a quella data.

La comprovata esistenza alla data del 20.10.1993 della sagoma trapeizodale del manufatto nel punto corrispondente a quello ove è stata effettivamente realizzata l'autorimessa – circostanza esplicitamente ammessa da controparte in giudizio da valutarsi ai sensi dell'art. 64 c.p.a.- costituisce riscontro probatorio idoneo a ritenere illegittimo il diniego di condono edilizio, non avendo l'Amministrazione fornito elementi sufficienti a confutare i convergenti elementi probatori allegati dalla società ricorrente a dimostrazione dell'ultimazione del manufatto abusivo in data antecedente a quella prescritta dalla legge (31.12.1993) per beneficiare del condono di cui all'art.39 L. 724/1994.

II) Violazione di legge (art. 654 c.p.p.) per contrasto con il giudicato penale.

Contrariamente a quanto ritenuto nella decisione appellata, il provvedimento amministrativo impugnato in primo grado è affetto da vizio di violazione dell'art.654 c.p.p. per avere ritenuto, in contrasto con il giudicato penale, che l'ultimazione del manufatto condonato sarebbe avvenuta in epoca successiva al 31.12.1993.

La sentenza n.48/99 del Pretore di Prato, pubblicata il 09.02.1999 e divenuta irrevocabile, ai sensi dell'art.530 c.p.p. ha assolto G.R. dall'imputazione di cui all'art.20 lett. b della legge 47/85 perché "il fatto non è previsto come reato" e da quella di cui all'art.483 c.p. perché "il fatto non sussiste".

A detta statuizione il Giudice penale è pervenuto con adeguata motivazione dopo aver accertato in base alle risultanze istruttorie (prove testimoniali e documentali) che "poiché non si può affermare che si tratti di opera realizzata dopo il 1993, non si può dedurne che essa non possa con certezza beneficiare della procedura di condono di cui alla L. 724/94" (doc. n.23 fase. 1° gr.). Il giudicato penale vincola il giudice amministrativo in riferimento all'accertamento della materialità dei fatti dedotti. .. .. che non possono più essere messi in discussione" e fra tali fatti rientrano "le opere edilizie abusive, la loro concreta esistenza, l'epoca della loro realizzazione". Ne segue che, essendo intervenuta sentenza penale irrevocabile di assoluzione dell'imputato G.R. per non avere realizzato l'autorimessa in epoca posteriore al 31.12.1993 ("il fatto non è previsto come reato") e per non aver dichiarato il falso in ordine alla data della sua realizzazione entro il settembre 1993 ("il fatto non sussiste"), l'Autorità amministrativa e, cioè, il Comune di Prato, avendo avuto tempestiva notizia della citazione in giudizio e possibilità di tutelare le proprie ragioni, quale parte offesa, nel procedimento penale, avrebbe dovuto conformarsi al giudicato penale relativo alla materialità dei fatti accertati ed assentire il rilascio del titolo a sanatoria, in quanto il manufatto gode dei requisiti (compresi quelli di realizzazione temporale) per beneficiare del condono edilizio di cui all'art.39 della legge 724/1994 e all'art.31 e ss. della legge 47/1985.

In ogni caso, in applicazione dei principi generali che presiedono alla valutazione delle risultanze istruttorie, il giudice amministrativo ben può utilizzare - in mancanza di qualsiasi divieto di legge e in ossequio al principio dell'atipicità delle prove - come fonte anche esclusiva del proprio convincimento le prove raccolte nel giudizio penale conclusosi con sentenza non esplicante Autorità di giudicato nei confronti di tutte le parti della causa amministrativa (o civile), e ricavare gli elementi di fatto dalla sentenza e dagli altri atti del processo penale, purchè le risultanze probatorie siano sottoposte a un autonomo vaglio critico svincolato dall'interpretazione e dalla valutazione che ne abbia già dato il giudice penale.

Nel caso di specie, la sentenza penale ha accertato che non sussiste il reato di cui all'art.483 c.p. ipotizzato a carico del legale rappresentante della società già proprietaria per aver falsamente affermato, nella dichiarazione di atto notorio ex art.4 L. 15/68 allegata alla domanda di condono edilizio, che l'autorimessa era stata ultimata nel settembre 1993.

La sentenza 48/99 del Pretore di Prato avrebbe accertato che " l'affermazione dei testi del P.M. secondo cui nella foto segnata con il numero 1, di cui si riferisce essere stata scattata il 28.1.94, si sarebbe dovuto vedere la rimessa, suscita perplessità: considerata la situazione dell'area quale desumibile anche dalle foto aeree e da quelle prodotte dalla difesa resta infatti fondato il dubbio che i testi possano confondersi. L'area su cui insiste la rimessa infatti sembra restare troppo spostata sulla sinistra guardando la foto in questione per potervi con certezza essere rappresentata". Da tale premessa, il Giudice penale fa discendere la conclusione che "per quanto concerne il reato di cui all'art.483 c.p. contestato in udienza, non vi sono elementi per poter affermare in modo certo la falsità della dichiarazione resa dall'imputato ", con conseguente assoluzione del G. perchè "il fatto non sussiste".

Per le stesse ragioni, il Giudice penale ha accertato, con statuizione idonea ad acquistare autorità di giudicato in punto di accertamento dell'epoca di realizzazione dell'autorimessa di cui si controverte nel presente giudizio, che "poichè non si può affermare che (non) si tratti di opera realizzata dopo il 1993, non si può dedurne che essa non possa con certezza beneficiare della procedura di condono di cui alla L. 724/94".

III) Violazione e/o omessa applicazione di legge (artt. 3, 7, 8, 9 e 10 legge 07.08.1990 n.241). Eccesso di potere per difetto di motivazione e violazione del giusto procedimento amministrativo.

In tale motivo di ricorso gli appellanti ripropongono la censura di primo grado secondo cui il Dirigente del Servizio Condono Edilizio del Comune di Prato ha negato il condono del manufatto senza previamente comunicare alla società istante l'avvio del procedimento amministrativo di esame della domanda presentata il 25.2.1995 (p.g. 9708), in violazione degli artt. 7 e 8 della legge 241/1990. Il Dirigente sarebbr, altresì, incorso nel vizio di carenza di motivazione e violazione di legge (art. 3 L. 241/1990) per non aver giustificato la mancata comunicazione con esigenze di celerità di intervenire per la tutela del pubblico interesse. I medesimi appellanti chiedono, in via istruttoria, che in riforma della sentenza appellata il Collegio adito ammetta la prova testimoniale da parte ricorrente dedotta nel giudizio di prime cure.

Si è costituito in giudizio il Comune di prato depositando memorie difensive l’11.11.2021, per resistere all’appello, cui ha fatto seguito memoria di replica degli appellanti del 17.11.2021.

DIRITTO

1) L’appello si palesa infondato per le ragion che seguono.

2) In via preliminare, il Collegio osserva, in punto di diritto, come sia principio consolidatissimo in materia di condono edilizio che l’onere nella prova di dimostrare il ricorrere delle circostanze previste dalla legge per l’accoglibilità dell’istanza di sanatoria verte in capo al richiedente (Cons. Stato Sez. VI, 15/11/2021, n. 7583).

Tale principio è, peraltro, confermato da granitica giurisprudenza per quanto riguarda specificamente la prova della data di realizzazione degli abusi al fine dell’applicabilità del regime di sanatoria, sia esso quello inerente all’ “ordinario” accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, già art. 13 della legge n. 47/1985, sia esso quello delle “sanatorie eccezionali” disposte con apposite legge di c.d. condono edilizio.

L’onere di provare la data di realizzazione dell’abuso al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per la sanatoria grava, infatti, su chi lo ha richiesto, atteso che solo il privato può fornire, in quanto ordinariamente ne dispone, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto;
mentre l'Amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all'interno del suo territorio (ex multis Cons. Stato, Sez. VI, 21/04/2021, n. 3214;
Cons. Stato, Sez. VI, 09/04/2021, n. 2895;
Cons. Stato Sez. VI, 30/07/2020, n. 4860;
Cons. Stato Sez. VI, 29/07/2020, n. 4829;
Cons. Stato Sez. II, 30/04/2020, n. 2766;
Cons. Stato Sez. II, 24/04/2020, n. 2615).

Inoltre, la prova della data di realizzazione dell’abuso deve essere data con rigore, con mezzi documentali certi (Cons. Stato, Sez. VI, 15/11/2021, n. 7583)

Fatta tale premessa è necessario verificare se tale onere della prova è stato assolto dall’appellante, dovendosi in senso contrario rigettare le censure che deducono l’erroneità delle conclusioni raggiunte nell’atto gravato e nella sentenza appellata sulla data di realizzazione delle opere, ritenuta post 31.12.1993, e conseguente inaccoglibilità dell’istanza di condono.

Al riguardo, il Collegio esaminati i profili sollevati dall’appellante e le circostanze di fatto dallo stesso indicate, non ritiene che l’onere della prova sia stato assolto e, di conseguenza, considera di dover rigettare i relativi motivi di appello, condividendo le conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado, che peraltro ha ben motivato sul punto la sua decisione.

In particolare, alla luce delle risultanze di causa, non risultano determinanti le circostanze indicate da parte appellante al fine di dimostrare l’intervenuta realizzazione dell’abuso in data antecedente al

31.12.1993.

La sentenza di primo grado ha dedotto che l’abuso fosse stato realizzato post 31.12.1993, in base all’analisi dei fatti di causa e a due considerazioni di ordine logico - deduttivo del tutto ragionevoli:

- nelle foto prodotte all’Amministrazione dalla stessa società ricorrente a corredo di una precedente domanda di sanatoria ordinaria, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985, presentata in data 3 maggio 1994, non è presente l’autorimessa e non è plausibile l’affermata circostanza secondo cui a

tale domanda sarebbero state allegate “vecchie” foto, risalenti al 1991, e non quelle inerenti all’effettivo stato dei luoghi al momento di presentazione dell’istanza;

- in data 28 gennaio 1994 l’immobile in esame è stato oggetto di sopralluogo. In tale sopralluogo si è dato atto analiticamente dello stato dei luoghi senza che sia stata menzionata la presenza dell’autorimessa, “ che, se realizzata anni prima senza titolo, ben avrebbe dovuto attrarre l’attenzione degli uomini della vigilanza edilizia della polizia municipale ”.

3) A fronte di tale motivazione, l’odierno appellante ritiene che il suo onere probatorio di provare l’antecedenza dell’abuso sia da ritenersi assolto in base a elementi che, tuttavia, a parere del Collegio si rivelano solo indiziari e non consentono di raggiungere un grado di certezza sufficiente a far considerare illegittimo il provvedimento gravato e, conseguentemente, erronea la sentenza di prime cure.

Lo stesso appellante, inoltre, invoca l’esito assolutorio della sentenza penale n.48/99 del Pretore di Prato, asserendo la sua valenza di giudicato rispetto all’accertamento del fatto ex art. 654 c.p., e, in ogni caso, l’importanza degli elementi istruttorio emersi nel corso del processo che ha portato alla finale assoluzione dall'imputazione di cui all'art.20 lett. b) della legge 47/85 perché "il fatto non è previsto come reato" e da quella di cui all'art.483 c.p. perché "il fatto non sussiste".

In proposito, il Collegio evidenzia di condividere le argomentazioni del giudice di primo grado sulla valenza non vincolante nel caso di specie della pronuncia penale in ordine all’accertamento del fatto in contestazione (nella specie la data di realizzazione dell’abuso) e l’assenza di decisività del contento della sentenza ai fini del predetto accertamento.

In linea generale nei rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo la regola, almeno tendenziale, è quella dell'autonomia e della separazione, fermo il disposto di cui all'art. 654 c.p.p. secondo cui il giudicato penale non determina un vincolo assoluto all'amministrazione per l'accertamento dei fatti rilevanti nell'attività di vigilanza. Né la sentenza penale di assoluzione può condizionare in modo inderogabile il giudizio amministrativo, tanto più quando la p.a. non si sia costituita parte civile nel processo penale. Il carattere vincolante, nei riguardi del giudizio amministrativo, dell'accertamento compiuto dal giudice penale, è in ogni caso subordinato alla ricorrenza di presupposti rigorosi. Sotto il profilo soggettivo, il giudicato è vincolante solo nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo civile. Non, quindi, nei confronti di altri soggetti che siano rimasti estranei al processo penale, pur essendo in qualche misura collegati alla vicenda penale (ad esempio, il danneggiato che non si sia costituito parte civile, la persona offesa dal reato, il responsabile civile che non sia intervenuto o non si sia costituito). Sotto il profilo oggettivo, il vincolo copre solo l'accertamento dei "fatti materiali" e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l'autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile. Da ciò deriva che l'eventuale qualificazione giuridica in termini di invalidità (annullabilità o nullità) che il giudice penale dovesse attribuire al provvedimento amministrativo rilevante nella fattispecie di reato esulerebbe, in quanto tale, dal vincolo del giudicato, atteso che il giudizio di invalidità non riguarda l'accertamento del fatto, ma la sua qualificazione giuridica. In ogni caso, il vincolo di giudicato della sentenza penale riguarda il solo accertamento dei fatti materiali, non anche la loro qualificazione giuridica (Cons. Stato Sez. V, 17/03/2021, n. 2285;
Cons. Stato Sez. VI, 15/02/2021, n. 1350;
Cons. Stato Sez. II, 24/10/2019, n. 7245).

La nozione di 'fatti materiali' deve essere limitata alla realtà fenomenica, materiale e storica che ha determinato il convincimento del giudice penale e non può essere anche riferita all'ulteriore procedimento di sussunzione logica del materiale probatorio svolta dal giudice stesso anche attraverso processi argomentativi (la cui articolazione non riguarda l'accertamento del fatto, ma la valutazione di esso). Si tratta di un corollario del principio secondo cui i mutamenti della disciplina del processo penale giustificano sempre meno la compressione del diritto alla prova e del principio del libero convincimento del giudice che l'efficacia extrapenale del giudicato penale comporta. Pertanto, il fatto materiale accertato in sede penale può e deve essere autonomamente valutato nell'ambito del giudizio amministrativo senza che operi al riguardo alcun vincolo di pregiudizialità. (T.A.R. Campania Napoli Sez. II, 28/04/2020, n. 1572).

Nel caso di specie, la sentenza penale in questione, infatti, come indicato nella sentenza di prime cure, non ha fornito indicazioni certe sugli aspetti temporali della realizzazione del manufatto, esprimendosi in termini dubitativi e si deve tener conto del differente grado di certezza del fatto necessario ai fini di una pronuncia assolutoria in sede penale, per la quale basta vi sia l’assenza dell’accertamento della realizzazione dell’abuso post 31.12.1993, da quella necessaria per l’accoglimento di una istanza di accertamento di conformità e la conseguente valutazione di illegittimità del diniego, in cui è necessaria la prova positiva, data dall’istante, che le opere sono state realizzate ante 31.12.1993.

Come correttamente rilevato dalla sentenza gravata la sentenza penale in questione non ha affermato con certezza in punto di fatto l’infondatezza della tesi della edificazione del manufatto dopo il 1993, con gli effetti di cui all’invocato art. 654 c.p., esprimendosi in termini dubitativi, tanto è vero che “ l’assoluzione è stata pronunciata ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p. (che sostituisce, in concreto, la formula dell’assoluzione per insufficienza di prove vigente anteriormente alla riforma del codice del processo penale )”.

4) Non risulta neanche decisivo il rilievo, basato sulle risultanze del processo penale, secondo cui la foto, scattata il 28.01.1994 - allegata nell’accertamento dei luoghi di cui al verbale n.13 del 3.2.1994 preso in considerazione nella sentenza del T.A.R. ai fini di affermare la ragionevole inesistenza a quella data dell’autorimessa - non “inquadra” l’area dove insiste il manufatto (che risulta spostata sulla sinistra della foto e fuori inquadratura).

La sentenza del T.A.R., infatti, non ha dedotto le sue conclusioni sulla ragionevole inesistenza a quella data della rimessa sulla scorta di quella foto, bensì sulla (diversa) corretta logica deduzione secondo cui se il manufatto ci fosse stato i verbalizzanti lo avrebbero rilevato in sede di sopralluogo.

Inoltre, proprio la mancata inquadratura di quell’area nella foto impedisce, ragionando correttamente a contrario, che la parte possa aver assolto il suo onere probatorio sull’esistenza del manufatto.

5) Stesso ragionamento può essere seguito per quanto riguarda la foto aerea del 20.10.1993, ritenuta a ragione dalla sentenza gravata di difficile intellegibilità, che secondo l’appellante evidenzierebbe un manufatto di forma trapezoidale corrispondente alla rimessa in questione.

Il Comune, tuttavia, afferma la non rilevanza decisiva di quanto si rileva nella foro aerea, in quanto potrebbe trattarsi di una mera una platea di cemento e non un volume fuori terra, non essendo “presente la proiezione d’ombra come evidenziata dagli edifici contigui”

Al riguardo, parte appellante ha dedotto, depositando anche una perizia giurata, che l’ombra dell’immobile non sarebbe stata comunque visibile data la ridotta altezza dal manufatto e la notevole altezza da cui è stata scattata la foto.

Il Collegio rileva che, in ogni caso, al di là della veridicità o meno di tale ultima asserzione, la medesima foto non offre con ragionevole certezza la prova positiva che il manufatto fosse già esistente e fosse stato completato nei suoi elementi essenziali (come richiesto dalla normativa del condono) e, in tal senso, non è idonea ad assolvere l’onere della prova più volte evidenziato.

Altri elementi che, in una valutazione secondo prudente apprezzamento, possono considerarsi meramente indiziari e non totalmente probanti, sono le fatture di acquisito dei materiali, prodotte da parte ricorrente, che, come ben evidenziato nella sentenza gravata risultano inidonee “ a comprovare adeguatamente la data di ultimazione della edificazione, non essendoci alcun possibile riscontro sull’utilizzo di quei materiali e dunque essendo documenti non dotati di specifica e consistente forza probante in ordine alla data di ultimazione dei lavori” .

Né possono avere rilevo determinante le dichiarazioni sostitutive di notorietà rilasciate dal vicino di casa e dal muratore che avrebbe eseguito i lavori, che collocano temporalmente la costruzione del garage in un periodo compreso fra marzo e novembre 1993.

Come correttamente osservato nella sentenza gravata, le dichiarazioni di terzi non appaiono idonee a comprovare la data di realizzazione di opere edilizie, alla luce di quella giurisprudenza, condivida dal Collegio, secondo cui le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà non sono utilizzabili nel processo amministrativo e non rivestono alcun effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l'attività istruttoria dell'amministrazione (Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 2021, n. 7583;
Cons. Stato Sez. II, 19 agosto 2021, n. 5939;
Cons. Stato, Sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3696) o le deduzioni con cui la stessa amministrazione rileva l'inattendibilità di quanto rappresentato dal richiedente (Cons. Stato, Sez. IV, 29 maggio 2014 n. 2782 e 27 maggio 2010 n. 3378).

In presenza di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ove non si riscontrino elementi dai quali risulti univocamente l'ultimazione dell'edificio entro la data fissata dalla legge, non si può ritenere raggiunta la prova circa la data certa di ultimazione dei lavori, atteso che la detta dichiarazione di notorietà non può assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull'epoca dell'abuso (Cons. Stato, Sez. IV, 24 dicembre 2008 n. 6548).

In tal senso si richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la prova del richiedente il condono in ordine alla data di ultimazione dei lavori deve essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, dovendosi, tra l'altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate (Cons. Stato, Sez. VI, 21/04/2021, n. 3214). E ancora, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non è applicabile nell'ambito del processo amministrativo, in quanto la stessa, sostanziandosi in un mezzo surrettizio per introdurre la prova testimoniale, non possiede alcun valore probatorio e può, al più, costituire soltanto un mero indizio che, in mancanza di altri elementi gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire l'attività istruttoria dell'Amministrazione (Cons. Stato Sez. VI, 18/05/2021, n. 3853;
Cons. Stato Sez. II, 04/05/2020, n. 2838)

6) A fronte di ciò, già sufficiente a motivare il diniego, permane la logicità delle considerazioni effettuate nella sentenza di primo grado sull’implausibilità dell’allegazione in sede di sanatoria di foto scattate ben tre anni prima, a smentire la quale non è sufficiente una dichiarazione del legale della stessa società proprietaria, sia per l’anzidetta valenza probatoria di tali dichiarazioni nel processo amministrativo, che per la provenienza soggettiva di tale dichiarazione.

Allo stesso modo permane la valenza logica della deduzione secondo cui in sede di sopralluogo del 28 gennaio 1994 gli agenti, preposti alla verifica dello stato dei luoghi, avrebbero rilevato il manufatto qualora fosse stato esistente.

7) Infondata è, altresì, la censura inerente la mancata ammissione delle prove testimoniali chieste in giudizio dalla difesa di parte ricorrente, in quanto la corretta valutazione del materiale probatorio da parte del giudice di primo grado esclude la necessità della richiesta prova testimoniale, essendo peraltro la necessità di ammissione dei mezzi istruttori rimessa alla sua prudente valutazione.

Ciò anche alla luce del fatto che nel processo amministrativo la prova testimoniale, per quanto consentita dall'art. 63, comma 3, c.p.a., è comunque da considerare estrema risorsa probatoria per il giudizio amministrativo, data la specifica natura di questo (Cons. Stato Sez. II, 13/06/2019, n. 3975;
Consiglio di Stato, Sezione V, 3 aprile 2019, n. 2197) e che nelle controversie in materia edilizia soggette alla giurisdizione del Giudice Amministrativo i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie, mappe catastali, tanto che la prova per testimoni è del tutto residuale (Cons. Stato Sez. IV, 09/02/2016, n. 511). Nel caso in esame, peraltro, del tutto ultronea sarebbe risultata l’ammissione di una prova testimoniale sulle stesse circostanze affermate nelle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà allegate in giudizio.

8) Inammissibile è l’ultimo motivo di appello, incentrato sulla mancata comunicazione di avvio del procedimento degli artt. 7 e 8 della legge 241/1990, in quanto meramente riproduttivo del quarto motivo di ricorso di primo grado, senza censure specifiche sulle motivazioni rese sul punto dalla sentenza gravata.

Al riguardo, l'art. 101, comma 1, c.p.a., non consente una generica riproposizione dei motivi di ricorso respinti dal giudice di primo grado, ma richiede la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo sul quale si fonda la decisione appellata, poiché l'oggetto del giudizio di appello è costituito dalla decisione appellata e non dal provvedimento gravato in primo grado (Cons. Stato Sez. II, 19/08/2021, n. 5939).

L'effetto devolutivo dell'appello, infatti, non esclude l'obbligo dell'appellante di indicare nel relativo atto le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali le conclusioni, cui il primo giudice è pervenuto, non sono condivisibili, non potendo l'appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado (Cons. Stato Sez. IV, 26/07/2021, n. 5534;
Cons. Stato Sez. II, 21/07/2021, n. 5504).

Il motivo, in ogni caso, risulta infondato alla luce di quanto ha correttamente rilevato la sentenza gravata secondo cui, essendo stato il diniego di condono emesso a conclusione di un procedimento attivato ad istanza di parte, la comunicazione di avvio non era necessaria.

9) Per le suesposte ragioni l’appello va rigettato.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti.

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