Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-09-04, n. 202005357

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-09-04, n. 202005357
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202005357
Data del deposito : 4 settembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/09/2020

N. 05357/2020REG.PROV.COLL.

N. 03070/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3070 del 2017, proposto da:
DOMUS S.R.L. SU, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati C G I, A I, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato C G I in Roma, viale Carso, n. 43;

contro

MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna n. 982 del 2016;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 luglio 2020 il Cons. D S;

L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 84 comma 5 del Dl. n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

L’avvocato Izzo Carlo Guglielmo, ai sensi dell'art. 4 del D.L.30 aprile 2020, n.28, ha depositato istanza di passaggio in decisione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Ritenuto che il giudizio può essere definito con sentenza emessa ai sensi dell’art. 74 c.p.a.;

Rilevato in fatto che:

- la società appellante – proprietaria dell’immobile costituito dall’ex Teatro Italia, sito in Via Bassa 579, a Mezzano, Provincia di Ravenna, per il quale aveva ottenuto autorizzazioni dal Comune di Ravenna e dalla Provincia di Ravenna per l’esecuzione di opere di ristrutturazione (da cui ricavare n.26 unità abitative) – riceveva in data 3 gennaio 2006 dal Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 42/2004, per la dichiarazione di interesse culturale dell’immobile in questione, a cui seguiva, in data 1 agosto 2006, il provvedimento 31 luglio 2006 con il quale il Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna dichiarava l’interesse particolarmente importante del citato immobile ai sensi degli artt. 10 e 13 del d.lgs. n. 42 del 2014;

- la società impugnava il suddetto provvedimento, unitamente alla relazione storico-artistica ivi richiamata, chiedendone l’annullamento;

- con sentenza n. 28 del 2009, il T.a.r. adito respingeva il ricorso, ma la sentenza veniva riformata dal Consiglio di Stato, con sentenza n. 2903 del 2015, che annullava i provvedimenti gravati in primo grado, avendo ritenuto fondata la censura relativa alla ritenuta inadeguatezza della motivazione che sorreggeva l’atto dichiarativo dell’interesse particolarmente importante dell’immobile in oggetto;

- l’organo ministeriale, in sede di riedizione del potere, con provvedimento emesso in data 11 dicembre 2015 e notificato in data 14 dicembre 2015, dichiarava nuovamente, ai sensi degli artt. 10 e 13 del d.lgs. n. 42 del 2004, l’interesse particolarmente importante dell’immobile denominato Teatro Italia;

- a questo punto, l’appellante (con due distinti ricorsi notificati in data 22 gennaio 2016), adiva nuovamente il giudice amministrativo, chiedendo: i) l’annullamento del predetto provvedimento con cui era stato nuovamente dichiarato l’interesse particolarmente importante dell’immobile, unitamente alla relazione storico-artistica richiamato, in quanto viziato (al pari di quanto rilevato nella sentenza del Consiglio di Stato n. 2903 del 2015) da eccesso di potere per omessa, carente, perplessa motivazione e per travisamento dei fatti ed illogicità manifesta;
ii) il risarcimento dei danni patrimoniali derivati alla Società ricorrente dal primo provvedimento 31 luglio 2006, annullato con la citata sentenza n. 2903 del 2015 del Consiglio di Stato;

- il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna, con sentenza n. 982 del 2016, riuniti i due ricorsi, li rigettava entrambi;

- avverso la predetta sentenza ha proposto appello la società Domus s.r.l., chiedendone l’integrale riforma, sulla scorta dei medesimi vizi sollevati in primo grado, sia pure adattati all’impianto motivazione della sentenza gravata;

- in particolare, secondo l’appellante:

a) nel rigettare la domanda risarcitoria avanzata dalla Domus S.r.l., il giudice di prime cure non si sarebbe avveduto del fatto che il provvedimento appositivo del vincolo adottato nel 2006 era stato definitivamente annullato dal Consiglio di Stato con la citata sentenza n. 2903 del 2015, passata in giudicato;
il vincolo illegittimamente frapposto dalla P.A. alla libera disponibilità del bene, accertato con sentenza passata in giudicato, avrebbe causato rilevantissimi danni alla Società ricorrente, sia sotto il profilo del danno emergente, per la mancata utilizzazione del bene e per la mancata realizzazione dell’edificio a scopo residenziale, sia sotto il profilo del lucro cessante, per il mancato utile che sarebbe derivato dalla vendita delle previste unità immobiliari, danni quantificabili in € 4.000.000,00;

b) quanto al nuovo provvedimento emesso in data 11 dicembre 2015, il giudice di prime cure non si sarebbe avveduto del fatto che la relazione storico-artistica, posta alla base del provvedimento impositivo del vincolo, oggi impugnato, ricalcherebbe pedissequamente quella precedente, rivelandosi quindi inidonea a superare le censure mosse dal giudicato amministrativo alla prima relazione;
da un mero raffronto tra i due documenti, è agevole rilevare che la relazione storico-artistica in questione si limiterebbe anch’essa, sia pure più ampiamente della precedente ad una mera elencazione delle caratteristiche del fabbricato, senza tuttavia evidenziare gli elementi che inducono a ritenerne la meritevolezza storico-architettonica idonea a giustificare l’imposizione di un regime vincolistico;
la relazione nulla aggiungerebbe, né sotto forma di riferimenti più precisi e dettagliati, né di documentazione allegata, a sostegno e riprova della rilevanza storica e/o culturale degli eventi che dal 1921 (data di asserita ultimazione e inaugurazione del Teatro) avrebbero costituito le attività prevalentemente effettuate all’interno del Teatro stesso;
la nuova relazione sarebbe addirittura più carente della precedente, avendo l’Amministrazione ritenuto di espungere del tutto il riferimento agli unici elementi positivi (quali la programmazione lirica dal ’24 al ’28) che già peraltro il Consiglio di Stato aveva ritenuto inidonei a sorreggere lo scarno impianto motivazionale;

c) anche gli ulteriori danni derivanti dal rinnovato provvedimento appositivo del vincolo – derivanti dalla impossibilità di far fronte agli oneri finanziari relativi agli investimenti già effettuati, dalla impossibilità di dare esecuzione alle promesse di vendita già in essere e di perfezionarne di ulteriori, dagli oneri per far fronte ad eventuali richieste risarcitorie dei promissari acquirenti e di terzi in genere, dalla impossibilità di ottenere i finanziamenti necessari per la realizzazione dell’intervento edilizio – andrebbero risarciti come quantificati nella perizia allegata;

- resiste nel presente giudizio il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, insistendo per il rigetto dell’appello;

Ritenuto in diritto che:

- la sentenza di primo grado deve essere integralmente confermata;

- in via preliminare, va rimarcato che il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell’arte e dell’architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità;

- l’apprezzamento compiuto dall’Amministrazione preposta alla tutela è quindi sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile;

- nel caso in esame, l’atto in contestazione dà adeguatamente conto, in modo puntuale e per nulla generico o tautologico, delle ragioni per le quali l’immobile in contestazione riveste «interesse particolarmente importante», ai sensi dell’art. 10, comma 3, del decreto-legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137);

- è infatti destituita di fondamento la censura secondo cui la nuova determina del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ricalcherebbe sostanzialmente quella precedentemente annullata da questo Consiglio di Stato, con sentenza n. 2903 del 2015 (che aveva ritenuto che il contenuto della precedente relazione storico artistica non fosse idoneo a suffragare le ragioni che avevano indotto l’organo ministeriale ad imporre la tutela, né sotto il profilo del valore architettonico e tipologico della costruzione, né sotto quello del valore testimoniale degli aspetti culturali e sociali che avevano caratterizzato la vita civile della comunità dei braccianti di Mezzano);

- difatti, all’esito della riedizione del potere, la nuova determina è ora imperniata – a differenza di quella precedente – sulla previsione di cui all’art. 10, comma 3, lettera d), del d.lgs. n. 42 del 2004, secondo cui: « Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’articolo 13: […] le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con 1a storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose […]»;

- in particolare, lo specifico livello dell’interesse che il bene deve avere per assumere la qualità di bene culturale, nell’atto oggetto del presente giudizio, viene desunto soprattutto dal significato che l’ex Teatro Italia aveva rivestito per la comunità locale, all’epoca costituita per lo più da bracciantati agricoli, che attraverso la sua costruzione volle soddisfare una sorprendente istanza di emancipazione sociale, testimonianza emblematica del movimento operaio-bracciantile nato in Romagna nei primi del ‘900;

- la nozione di «bene culturale» è in grado di ricomprendere anche i cespiti che – pur non portatori di uno specifico valore artistico – costituiscono una testimonianza della vita e della storia (anche di una parte soltanto) della comunità nazionale in relazione al messaggio che esso, come un vero e proprio documento, è in grado di perpetuare per le generazioni future;

- la tutela storico-artistica di un bene culturale non protegge qui l’ingegno dell'autore, ma un’oggettiva testimonianza materiale di civiltà, la quale, nella sua consistenza effettiva e attuale, ben può essere intesa a valorizzare l’intenso legame tra il cespite e la storia del territorio;

- a tal fine, appare significativo il seguente stralcio della relazione: « Il Teatro Italia, ubicato ai piedi dell'argine destro del fiume Lamone, nella frazione di Mezzano, costituisce una testimonianza di grande interesse storicoculturale per il significato assunto all'interno della comunità locale, nonché per il linguaggio architettonico derivato da un felice connubio di temi classici e di espressioni moderne di stampo liberty. Il paese di Mezzano, le cui esistenza è documentata già nella "Descrizione della Provincia di Romagna" del 9 ottobre 1371 del cardinale A, si è da sempre caratterizzato per la vocazione agricola in stretta connessione con l'andamento tumultuoso del fiume Lamone, a cui l'uomo si è opposto, nel tempo, per modificarne il corso e per bonificare i terreni, una volta prevalentemente paludosi e resi, poi, fertili e coltivabili. Dall'impulso verificatosi nel Cinquecento col dominio veneziano, si arriva alle estese bonifiche ottocentesche e alla formazione delle leghe operaie, per la gestione del lavoro bracciantile, con la nascita dell'Associazione Generale degli Operai Braccianti del Comune di Ravenna nel 1883, che cominciò ad avviare anche una gestione diretta delle terre, entrando così nell'impresa agraria. Mezzano, con la sua alta percentuale di popolazione bracciantile, fu tra i primi paesi ad organizzarsi, e, l'11 dicembre 1907, anarchici e socialisti diedero vita alla Cooperativa Agricola Braccianti. Nel 1920 la Cooperativa, con una decisione a votazione, cui parteciparono tutti i soci, decise di investire un milione, il guadagno di più di dieci anni di lavoro, nella costruzione del Teatro, in alternativa a quella di case per i braccianti. Fu una scelta coraggiosa e lungimirante, che antepose ai bisogni primari degli operai, le case appunto, il privilegio della cultura. La fabbrica fu concepita con la doppia valenza del vasto spazio teatrale poggiante sulla cantina sociale sottostante, idonea per la produzione del vino e per lo stoccaggio dei cereali. L'attività culturale si alimentava con l'operosità propriamente bracciantile ed utilitaristica. Nel 1921 il Teatro fu ultimato ed inaugurato con la rappresentazione dell'opera lirica "Don Pasquale";
grande e bello, divenne subito motore propulsivo di crescita culturale e di aggregazione politica del territorio. Per la gestione venne nominata una commissione formata da socialisti, anarchici e comunisti che dovevano occuparsi della programmazione operistica, teatrale e cinematografica;
all'interno il teatro ospitò anche la biblioteca. Nell'ottobre del 1922, dopo essere stato sede del Congresso Provinciale del Partito Comunista alla presenza di Umberto Terracini, il Teatro fu occupato dalle forze governative e, da quel momento, assunse il nome Italia e fu adibito ad un uso esclusivamente mondano, soprattutto per feste e veglioni. Non mancò, tuttavia, una programmazione lirica d'interesse negli anni venti. Il Teatro, rimasto intatto durante la guerra, fu bombardato dagli alleati il giorno prima della liberazione;
i danni comportarono la demolizione del palcoscenico, che non fu più ricostruito. Dal dopoguerra furono riprese attività culturali di ampio respiro, che furono mantenute per un lungo lasso di tempo, cui seguì la decadenza, dopo agli anni ottanta, legata anche alla necessità di restauri all'immobile
»;

- anche sul versante architettonico, la relazione storico-artistica ha – in modo assai più diffuso che nel caso precedente – precisato il valore culturale delle tecniche costruttive e dello stile architettonico del Teatro;

- nella relazione si legge in particolare che: « La grande costruzione concepita come un testo unico formato da un corpo verticale –il Teatro-poggiante su un corpo orizzontale –magazzino per cereali e cantina sociale per produrre vino –secondo una particolare tipologia dal forte valore semantico, è culturalmente testimone del periodo di appartenenza, che ha visto in Italia, dopo l’unità e soprattutto a cavallo tra il sec. XIX e il sec. XX, la diffusione capillare di teatri e teatrini dalle molteplici valenze ed implicazioni sociali e pedagogiche oltre che ludiche. All’impostazione classicheggiante della massa nella stereometrica volumetria e nelle partiture esterne di maggiore evidenza, fa riscontro un apparato decorativo degli elementi di finitura di chiara derivazione liberty;
prevale nell’insieme un gusto eclettico, ben armonizzato nelle sue componenti, che testimonia dell’aggiornamento culturale del progettista e della committenza.
[…] L’edifìcio è ubicato nella zona più settentrionale dell’abitato stesso, con facciata principale rivolta verso il fiume, probabilmente a sottolineare in modo simbolico il rapporto con le terre oggetto di bonifica e con l’elemento vivificante dell’acqua. Detto fronte principale risulta costituito da due livelli sovrapposti e caratterizzato da partizioni orizzontali - fascia marca pìano, fascia marca davanzale e superiore cornicione plasticamente modellato a costituire un pregevole attacco al cielo - e da partizioni verticali, costituite da lesene, utilizzate In corrispondenza degli angoli esterni del prospetto, per conferirne compattezza, e in prossimità dell’elemento centrale. Quest’ultimo vede la presenza di un gradevole ingresso, con arco a tutto sesto, sottolineato da una serie di comici prospetticamente strombate verso l’interno, e, superiormente, di un balconcino sorretto da tre mensole, elemento centrale della composizione architettonica del fronte articolato in tre moduli. Di buona fattura il portale esterno, in cui vengono usati il legno, il ferro ed il vetro, questi ultimi nel motivo superiore a raggiera;
il disegno si articola nelle tipiche forme curvilinee, caratterizzato da due tondi simmetrici intagliati con figure e scritte che richiamano le attività teatrali. Particolarmente curati sono anche i dettagli, quali le maniglie in ferro e le inferriate. Bucature ad arco a tutto sesto al piano terra ed architravate al piano primo completano la sobria proporzione e articolazione del fronte. Dette membrature architettoniche si stagliano su specchiature piane, a creare anche un piacevole gioco chiaroscurale. La medesima sintassi architettonica è utilizzata nel risvolto del prospetto principale sui lati più lunghi dell’edificio, per la sola ampiezza di un modulo, trattati per la parte residuale con superfici lisce prive di elementi caratterizzanti, ad eccezione del poderoso cornicione, elemento unificatore della pregevole architettura. Tale volume costituiva sicuramente nella Mezzano dei primi del Novecento un segno importante ed emergente all’interno del tessuto urbano caratterizzato da un’edilizia estremamente semplice e minuta. All’interno si apre lo spazio dell’invaso della platea: si tratta di un ampio volume a tutt’altezza a forma di ferro di cavallo, che riduce al minimo gli elementi strutturali a favore della capienza, rimandando alla funzione popolare e sociale per cui è nato il Teatro, utilizzato anche come luogo di ritrovo assembleare. Gli elementi strutturali e decorativi, ridotti al minimo, denunciano con chiara evidenza il linguaggio déco nell’uso delle esili colonnine in ghisa, con un aggraziato capitello di reminescenza tuscanica, sorreggenti i due ordini dei palchi e nella forma dei parapetti in legno dalla bombatura a colpo di frusta dei palchi stessi. Lo spazio della sala di forma rettangolare a tutt’altezza è dinamicamente mosso dai due ordini di palchi che sì stagliano con poca profondità contro le pareti longitudinali e di controfacciata generando con effetti chiaroscurali, derivanti dell’incidenza mutevole della luce sulle superfici curve disposte a ferro di cavallo, una percezione dello spazio interno della sala dal buon dinamismo architettonico, nonostante la semplicità dei mezzi formali e materiali impiegati;
si tratta di un effetto complessivo dagli esiti formali dì pregio e di una certa modernità
»;

- rispetto all’apprezzamento espresso della pubblica amministrazione – sulla scorta di dati oggettivi correlati, come si è visto, sia al legame storico con la comunità locale, sia alle caratteristiche costruttive dell’immobile – la società appellante non è stata in grado di evidenziare la presenza di errori decisivi, né gravi carenze motivazionali, tali da inficiare l’accertamento della sussistenza dell’interesse culturale di un bene richiesto;

- anche il primo motivo d’appello, concernente il rigetto della domanda correlata all’annullamento della prima determina mediante la quale fu sottoposto a vincolo l’immobile dell’appellante, non può essere accolto;

- va sottolineato che l’illegittimità del provvedimento non equivale all’illiceità della condotta dell’Amministrazione autrice del provvedimento, giacché le risultanze del giudizio risarcitorio sono strettamente commisurate alla verifica della consistenza effettiva dell’interesse materiale che si assume leso;

- nell’illecito provvedimentale, soltanto se l’illegittimità accertata ha determinato la privazione (o il diniego) di un’utilità che il diritto assicurava, o ne ha pregiudicato l’acquisizione, può dirsi che il provvedimento è lesivo dell’interesse materiale;

- è ben possibile, infatti, che la violazione di una norma non abbia avuto un ruolo eziologico nel determinare il contenuto provvedimento che si assume pregiudizievole, potendo darsi disposizioni protettive la cui la violazione non produce ‒ di per sé ‒ il nocumento lamentato, e che pertanto non può dirsi «ingiusto»;

- nel caso in esame, l’apprezzamento compiuto originariamente dall’Amministrazione preposta alla tutela era stato censurato sotto i profili della logicità e coerenza di una valutazione che resta connotata da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell’arte e dell’architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità;

- l’effetto conformativo del giudicato di annullamento imponeva la riedizione del potere senza alcun vincolo positivo rispetto al conseguimento del bene della vita;

- la regola violata ‒ relativa al dovere di logica e corretta motivazione ‒ aveva dunque privato gli interessati non del risultato finale (la certezza di potere effettuare la ristrutturazione dell’immobile), bensì di una utilità intermedia, consistente nella mera possibilità di un risultato vantaggioso;

- la riedizione legittima dell’atto di imposizione del vincolo non consente di ravvisare alcun nesso causale tra il danno lamentato ed il vizio ascritto al primo provvedimento annullato;

- dal rigetto della domanda di annullamento del secondo provvedimento impositivo del vincolo discende poi anche l’infondatezza della domanda risarcitoria formulata con il terzo motivo;

- l’appello va dunque integralmente respinto;

- può assorbirsi l’eccezione pregiudiziale sollevata dall’Amministrazione ministeriale secondo cui il secondo motivo d’appello sarebbe inammissibile in ragione della novità delle questioni ivi sollevate;

- la liquidazione delle spese di lite del secondo grado di giudizio segue la soccombenza secondo la regola generale;

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